Da questa testimonianza si sente
un grande senso di smarrimento. I protagonisti della vicenda non sanno prendere
decisioni. Lo mettono persino per iscritto in certe missive ai loro cari.
Per il presente racconto ho potuto utilizzare le lettere dell’esodo giuliano
dalmata, come in altri casi.
È un filone di ricerca assai affascinante, perché
dai messaggi scritti si possono cogliere talune originali espressioni
dialettali, oltre al lessico familiare e ai contingenti sentimenti collettivi
riguardo ai fatti della storia dopo la Seconda guerra mondiale.
La targa del negozio di frutta D’Arrigo di Trieste, verso gli anni 1920-1930
Testimone dell’esperienza è il
professore Daniele D’Arrigo di Udine, classe 1951. «Mio padre, che si chiamava
Giuseppe D’Arrigo – inizia così il racconto – era nato a Messina il 1 marzo
1920 e morì a Udine nel 1987».
Domanda: Cosa c’entra con
Fiume?
Risposta: «Mio nonno paterno
Mariano D'Arrigo (classe 1882) era siciliano di Messina e come macchinista
delle Ferrovie di Stato si distinse nei soccorsi ai terremotati della sua
città, nel 1908 – risponde il professore. Successivamente, con la nonna Anna
Martino e i loro figli, si trasferì a
Trieste, dove il figlio Domenico iniziò a
gestire un negozio di agrumi. In seguito tutta la famiglia, dal 1937, si
trasferì a Fiume, dove nonno Mariano morì durante la guerra nel 1943».
D.: Certo era un buon mercato. La
vitamina delle rosse arance di Sicilia poteva ben sostenere le malattie del
tempo diffuse sulla costa triestina e istriana, come la tisi, lo skrilievo (una
forma di sifilide) e il tifo. Tuo padre si sentiva profugo di Fiume?
R.: «Sì, lo diceva, anche se
parlava poco di questi fatti – risponde
– si sentiva ed era stato dichiarato dalle istituzioni di Udine come profugo di
Fiume nel maggio 1951, dopo aver fatto la domanda d’opzione nel 1948, come pure
la nonna Anna Martino. Anche mia madre, Maria Narduzzi (1916-2000), insieme a
mio fratello Elio, fu acquisita come profuga. Nel 1956 vivevamo a
Udine in un
appartamento dell’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati».
Gruccia, picarìn, o omenetto, o picadin, in dialetto fiumano. Un piccolo ricordo della vita a Fiume negli anni 1930-1940
D.: Era in una delle case del
Villaggio Giuliano, sorto in Via Casarsa angolo Via Cormòr Alto nel 1951-1952?
R.: «No, abitavamo in Via Fruch
al numero 55 – è la risposta di D’Arrigo – ma mio padre prima di essere profugo
di Fiume aveva lavorato ai Cantieri Navali del Quarnaro. Era disegnatore dal
1937, quando fu chiamato alle armi nel 1940 ed inviato in Francia.
Successivamente fu trasferito in Russia, da dove tornò nel 1943 ammalato ed
iniziò la convalescenza per ospedali. Dopo il giorno 8 settembre i miei nonni
Mariano D’Arrigo e Anna Martino pensarono di venir via da Fiume [vedi lettera,
oltre], per giungere a Udine. Trovarono casa in Via Bertaldia al civico numero
79, ma nel 1944 col bombardamento USA persero tutto, poi andarono a vivere in
una vecchia casa in Via Gemona e, infine, in Via Fruch nelle case assegnate ai
profughi».
Ricevuta del 4 dicembre 1956 per l'affitto di Lire 7000 della casa al Secondo Villaggio Giuliano di Udine, paga Giuseppe D'Arrigo
Udine, Via Fruch n. 55, case del Secondo Villaggio Giuliano. Fotografie di Elio Varutti
D.: Si pensi che nella stessa Via
Bertaldia, angolo Via Manzini, dal 2010 c’è il monumento nel
Parco Vittime delle Foibe, in ricordo degli esuli d’Istria, di Fiume e della Dalmazia,
inaugurato dal presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione
Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, l’ingegnere
Silvio Cattalini, dal sindaco
Furio Honsell e da molte autorità. Posso vedere quei documenti e pubblicarli
nel mio blog e in altri spazi?
R.: Sì, certo, se pubblicati su
giornali stampati o libri, mi piacerebbe averne una copia.
Lettera di Mariano D'Arrigo al figlio Giuseppe, detto Pippo, da Fiume 17 settembre 1943
1. Letteratura dell’esodo da
Fiume
La lettera seguente è stata
scritta da Mariano D’Arrigo al figlio Giuseppe D’Arrigo, chiamato familiarmente
“Pippo”, in forma sicula. Al di là di alcuni errori di grammatica, il messaggio
trasmette la grande tensione psicologica vissuta dagli italiani in quel
frangente. Dal manoscritto traspare la paura per i “ribelli”, ossia i
partigiani di
Tito. Si legge della presenza dei tedeschi, anzi i “titische”, come
li appellava nonna Anna Martino (1884-1969), così ricorda Daniele D’Arrigo.
Non c’è alcuna consapevolezza
sulla perdita di quei territori per l’Italia. Persi a favore della Jugoslavia,
come accadde nel 1947, oppure a favore della Germania che con la “
Operazionszone Adriatische Küstenland” del 1943. Hitler aveva, in pratica, annesso entro
i propri confini le province di Fiume, Pola Trieste, Gorizia, Udine, Lubiana,
assieme a Belluno, Trento e Bolzano con operazione militare analoga, la
“Alpenvorland”.
Colpisce la paura di restare soli
a Fiume, vedendo che scappano le famiglie vicine di casa, come i Colombo e i
Crovatto. Colpisce pure il verbo usato per descrivere ciò che fanno i
nazisti o i partigiani nei confronti della popolazione: qui siamo tutti
bloccati!
«Fiume, 12. 9. 1943
Carissimo Figlio pippo / noi
siamo ancora / a Fiume e non so quale / decisione debo prendere / qui siamo
tutti i blocati / dei tetesch [cancellato, prevale la pronuncia sicula]
titische e i / ribelli pero tutti rimanca / no qui perche dicono che non / sara
nulla
bacioni i tuoi
Genitori Mariano
[recto del foglio]
Colombo e crovatto non /
cisono piu sono partiti / siamo soli».
[verso del foglio]
Informativa del 9.9.1948 sul diritto d'opzione per il signor Giuseppe D'Arrigo
Il secondo scritto ha la forma di
un memoriale. Scritto dopo il mese di maggio 1947 a Udine, mostra tutta la
disillusione del fiumano Giuseppe D’Arrigo, disegnatore ai Cantieri Navali di
Fiume dal 1937 e mobilitato dal fascismo per le guerre contro la Francia e
contro la Russia. Il disegnatore si ritrova nel dopo guerra senza patria,
perché ceduta agli slavi. Lo stato cui si rivolge per avere aiuto, anche per la
famiglia, gli dà ben poca soddisfazione.
Tale atteggiamento rientra nel
comportamento generale di rassegnazione vissuto dagli esuli d’Istria, di Fiume
e della Dalmazia. Si pubblica uno stralcio di questo memoriale, scritto a
matita, con varie abbreviazioni e cancellature; è quasi una minuta di testi da
proporre alle sedi istituzionali. Sono molto interessanti e significative le
cancellature: non posso rientrare, sostituito con non voglio
ritornare…
«Dopo tre mesi [si riferisce
all’anno 1940] fui mob.[ilitato] ed inviato allo scacchiere Occidentale.
Rientrato fui inviato per oltre un anno in Russia. Ora mi trovo ancora alle
armi trattenuto perché non posso rientrare [due
parole cancellate, n.d.r.] voglio ritornare a Fiume essendo
italiano (…) [poiché territorio ceduto alla Jugoslavia, n.d.r.]».
Udine, Via Fruch – 9.12.1956, invito per l’inaugurazione del Secondo Villaggio Giuliano. Il Primo Villaggio Giuliano di Udine sorse nel reticolo di Via Casarsa, angolo Via Cormòr Alto, Via Cordenons nel 1951-1952
Ringraziamenti
Desidero
ringraziare il professor Daniele D’Arrigo di Udine, che mi ha messo a disposizione,
con grande generosità, documenti esclusivi, oltre a svariate informazioni della
sua famiglia. Ho potuto intervistarlo il 23 dicembre 2015, oltre a certi
contatti telefonici e per e-mail. Le immagini
qui riprodotte, riferibili alla vicenda della famiglia D'Arrigo, fanno parte dell’Archivio Daniele D’Arrigo di Udine. Fotografie di
Elio Varutti.
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Una versione della prima parte di questo articolo è apparsa il 23 febbraio 2016 nel web su infofvg.it col titolo:
Fiume 1943, profughi
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Riconoscimento dello stato di profugo a Giuseppe D'Arrigo, Prefettura di Udine, 2 maggio 1951
2. San Nicolò tra il Moskowitz di Fiume e il Mocambo di Udine
Helga Conighi, nata a
Fiume nel 1923, ricordava che, dopo l’esodo a Udine, i bambini alla festa di
San Nicolò, che si teneva nella sala del Mocambo, in Piazza XX Settembre, al
Palazzo Antivari Kechler, per ogni regalo «che fazeva veder el santo, i zigava
tutti mi [a me], un po’ come succedeva davanti al negozio Moskowitz a Fiume»
dove pure veniva inscenata la consegna di doni ai bimbi da parte di un barbuto
San Nicolò, che, ovviamente era un parente o un conoscente del negoziante,
disposto, nella pantomima a vestire i panni del santo. (E. Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano a Udine.
Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo.
1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Comitato
Provinciale di Udine, 2007, p. 112).
Un altro San Nicolò per
così dire smascherato, fu il signor
Sante Modesto, nato nel 1890, maestro elementare a Fiume dal 1922 al 1944. «Sì,
per San Nicolò – ha detto Fabiola Modesto – ogni bambino delle classi prima,
seconda e terza elementare aveva un regalino sul banco, poi arrivava proprio
lui San Nicolò, con la lunga barba bianca, il bastone, la tiara, attorniato di
diavoletti e angioletti. San Nicolò diceva certe frasi ad ogni bimbo, per
essere buoni. Mi ricordo che lui sapeva certi fatti miei e non capivo chi
glieli avesse raccontati, poi da grande ho scoperto che era proprio mio padre a
travestirsi da San Nicolò». Fabiola Modesto Paulon, nata a Fiume nel 1928, è
stata intervistata dallo scrivente il 5 e del 13 aprile 2016 a Udine. Vedi in
questo stesso blog: Via da Fiume nel 1944, colpa dei partigiani.
3. A Bihać i partigiani titini ne sparava de notte
Cambiamo un po' argomento. Un'altra fonte - Alberto G., di Rovereto (TN), testimonianza del 1979-1980 - mi ha riferito del suo peregrinare, in veste di soldato italiano, tra
Zara, Fiume e
Bihać, "dove i partigiani titini ne sparava de notte - ha detto - fin dal 1941-1942, dopo i scamapava via e chi li ciapava?". Gli italiani d'Istria, di Fiume e della Dalmazia il signor Alberto G., negli anni 1980-1990, se li é trovati esuli in Trentino: "I era tutti missini - ha ricordato - e inrabiadi con l'Italia che taseva sui lori fatti, povereti".
La "congiura del silenzio", come è stata definita dalle autorità italiane di oggi, è data dal tacere nel dopo guerra sui fatti della pulizia etnica, delle uccisioni nelle foibe ed altri crimini iugoslavi, per non disturbare Tito e il suo distacco progressivo dall'URSS.
C'è poi il
silenzio degli esuli istriani, che si accompagna alla poca capacità di ascolto dei discendenti dei profughi d'Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Fiume (nel cerchio verde) e Bihac, a nord della Bosnia Erzegovina
4. L’esodo da Fiume in Lombardia
«Mia madre era di Fiume - ha riferito un'altra fonte, Anna Ghersani Durini, nata a Monza - i miei genitori mi parlavano
poco o in modo frammentario dell’esodo da Fiume. Nel dopoguerra si spostarono
in Lombardia, poi in Friuli.
Uno zio, di nome Iti Mini, ha tenuto una sorta di diario degli eventi.
Non sono mai passati per i Campi Profughi.
Domanda: allora il caso della sua famiglia rientra
nel tema del silenzio dei profughi, che non raccontavano l’esodo ai propri
figli?
Risposta: Più che un silenzio dei profughi è da dire
qualcosa sulla sordità dei discendenti, nel senso che i giovani, per tanti
motivi (lavoro, famiglia ed altro), non stavano ad sentire i racconti dei
vecchi, anche se poi ci si è rammaricati di aver poco ascoltato i propri
familiari esuli dalle terre adriatiche».
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Data e luogo dell’intervista alla professoressa Anna Ghersani Durini : Udine, 2 dicembre 2015, a cura di: Elio Varutti
Cartolina di Fiume, un viale del centro cittadino
negli anni '10 del XX secolo. Ripresa da Internet
5. Memoriale di Iti Mini, Fiume 1939-1950
«Sono nato a Fiume il 19 agosto
1921. Vivevo con i miei e con mio nonno materno che, dopo la morte della nonna
aveva abbandonato l’attività di un negozio di abiti con sartoria annessa. A
casa mia si parlava soltanto dialetto fiumano.
Mio padre era un impiegato
d’ordine in una società che commerciava in carbone, molto richiesto, essendo
allora Fiume un porto di mare. (…) Due sorelle di mio padre erano andate a
lavorare a Milano subito dopo la prima guerra e ivi si erano sposate. Queste
parentele saranno utili a me e a mia sorella appena abbandonata Fiume alla fine
della guerra [nel 1945]».
Nel 1939 scoppia la Seconda
guerra mondiale e l’Italia di Mussolini sceglie la non belligeranza. Nel 1940
Mussolini cambia idea, dichiarando guerra a Francia e Gran Bretagna. Iti Mini
studia all’Università di Padova.
«La guerra cambia alquanto la
situazione. La classe del 1921, leva di terra, viene chiamata alle armi
all’inizio del secondo anno di studi mente si salva la leva di mare – alla
quale appartenevo essendo stato nei
marinaretti e non nei
Balilla
[organizzazioni giovanili fasciste]. Inspiegabilmente – ma forse qualche grosso
gerarca che teneva famiglia e figli lo sapeva – rimane a casa la precedente
classe 1920. La conseguenza fu una immediata riduzione delle frequenze alle
lezioni e ben quattro fiumani partirono. Uno morì subito silurato. Ritrovai
altri due molto indietro con gli esami, quando mi stavo laureando. qui ha
giocato la fortuna a mio favore. Fui chiamato alle armi nel giugno 1942, quasi
un anno e mezzo dopo. Riuscii mio malgrado ad essere invischiato nella guerra
ugualmente.
Fui candidato per l’esame
all’Accademia di Livorno ed ammesso al corso di “Armi navali gruppo T (siluri,
torpedini e bombe di profondità”, della durata di quattro mesi e mezzo e non fu
lieve. Alla fine del corso fui promosso aspirante ed inviato all’Arsenale di
Taranto, quale appartenente ad un corpo tecnico.
Verso la primavera del 1943 si
cominciarono ad avvertire i primi sintomi di una guerra che andava male, anche
se la Marina era meno invischiata dell’Esercito. non subimmo bombardamenti. A
marzo tornai a Fiume in licenza per esami. Ne feci due. Fu l’ultima volta che vidi
Fiume italiana. Passeranno oltre 40 anni prima che ci tornassi e in Fiume
croata.
Il 25 luglio 1943, caduta di
Mussolini, ero ancora in arsenale; poco dopo assieme ad altri ufficiali fui
spostato alla Difesa, dalla parte opposta della città, per opporci ad un
eventuale sbarco. Quivi ero presente all’armistizio dell’8 settembre: vidi
partire la flotta verso Malta, sostituita dal 9 settembre da quella anglo
americana.
L’Ammiraglio comandante della
Difesa ci fece subito un discorso per dirci che gli Anglo-americani erano
ancora nostri nemici e ciò provocò una repentina fuga di molti elementi, specie
fra i marinai. Alcuni giorni dopo altro discorso assembleare per dirci che no,
contro ordine, gli Anglo-americani erano nostri amici. Effetti della grave
disorganizzazione che imperava (…) ».
A Taranto «Ci trovavamo spesso
tra Fiumani la sera a mangiare quello che si trovava, spesso rubato agli
Americani. Alcuni erano giunti a Taranto col piroscafo Abbazia che apparteneva
a mio zio, ma era stato requisito. Un viaggio lungo 1500 chilometri con una
nave adatta al lago di Como! Non ho mai chiesto come si fossero riforniti di
carburante per un simile viaggio».
«A metà maggio 1945, dopo due
mesi passati solo a seguire qualche lezione, partii con mezzi di fortuna, cioè
treni e camion verso Padova da cui potei finalmente ai miei che mi
sconsigliarono caldamente di tornare a Fiume occupata dai titini (…).
Conobbi a Padova le novità di
Fiume occupata dalle bande di Tito interessate alla pulizia etnica. Furono per
primi uccisi tutti gli anti-Dannunziani e antifascisti – fautori di “Fiume
città libera” come sotto l’Ungheria – (perché politicamente i più pericolosi),
per secondi i fascisti e i capi che non erano riusciti a fuggire. Venne poi la
sorte dei più ricchi o considerati tali, uccisi o imprigionati. Lo fu anche mio
zio che se la cavò con il carcere solo perché aveva settant’anni ed era
ammalato di cancro».
Nel dopoguerra Iti Mini lavorò
all’ACNA di Cesano Maderno, poi a Spinetta Marengo, provincia di Alessandria e
a Pieve Vergonte, in Valle d’Ossola.
Nel 1949 «a Pieve Vergonte mi
trovai subito male. Livello tecnico a terra, tutti pronti a colpi bassi e per
completare tutti comunisti, dal direttore agli operai. Quando seppero che ero
di Fiume ci fu uno che mi accusò di aver combattuto con gli
ustascia, i
fascisti croati. Era un fatto pericoloso. (…) dimissioni e ritorno a Milano»
vicino alla sorella.
Nel 1949 Iti Mini andò a vivere
in una casa popolare e nel 1950 si sposò. Nacquero quattro figli. Nei decenni
successivi ebbe dieci nipoti.
Fiat 635, della linea Trieste - Fiume, 1934. La linea di trasporto collettivo era
gestita dalla Società Anonima Grattoni di Fiume, fondata da Rodolfo Grattoni.
Dopo la guerra la ditta si era trasferita a Trieste e, poco dopo, a Milano dove
ha operato sino agli anni ’70, quando è fallita. A Milano aveva sede (direzione
e rimessa) in viale Cassala. Adesso ci sono solo condomini.
Tornando alla direttissima
Trieste-Fiume, c’era anche un altro servizio, sempre gestito dalla Grattoni che
però faceva tutte le fermate in ogni paese (Basovizza, Erpelle, Abbazia,…). Fotografia da Internet
Iti Mini al Politecnico di Milano
C’è ora una curiosità del
curriculum di studi del protagonista del memoriale citato. Si è avuta tale
notizia, l'11 maggio 2018, grazie alla solerzia degli archivisti all'opera presso il Politecnico di Milano. Dal fascicolo
personale di Iti Mini, profugo di Fiume, esistente presso gli Archivi Storici
del Politecnico di Milano, emerge quanto segue. “Mini Iti, di Amedeo, nato a
Fiume il 19 agosto del 1921, si iscrive al Politecnico di Milano nel dicembre
del 1945 per conseguire la seconda laurea in Ingegneria elettrotecnica; era
proveniente dall’Università di Padova, dove aveva conseguito la laurea in
Ingegneria chimica nel luglio 1945. Lascia il Politecnico nel 1946 in data non
nota”. Detto fascicolo personale è privo di fotografia e di atto di nascita che
dovrebbe trovarsi conservato all’Università di Padova.
Il
documento datato a Fiume il 18 marzo 1946, giacente presso gli Archivi Storici
del Politecnico di Milano, che si pubblica in queste pagine è firmato da
Silvino Gigante, preside del Liceo classico “Dante Alighieri” di Fiume.
Osservazioni su Silvino Gigante
Silvino Gigante è un personaggio
centrale nelle vicende culturali e politiche della città di Fiume nella prima
metà del Novecento. Nacque 7 novembre 1878, figlio di Agostino e di Francesca
Canarich. Dopo il liceo, frequentò l’Università di Padova. Nella città veneta
si laureò dove nel 1901 in Storia con una tesi dal titolo: “
Venezia e gli Uscocchi”.
Autore di varie ricerche storiche sulla sua città, si dedicò
soprattutto all’insegnamento. Dal 1912 al 1946 fu preside del ginnasio liceo “Dante
Alighieri”. Notevole cultore della lingua e della storia ungherese, Gigante
divenne uno dei più autorevoli mediatori culturali di Fiume. Si occupò della
traduzione di poesie, di canti popolari ungheresi e di romanzieri magiari. Fu colpito
dalla tragica fine del fratello
Riccardo, senatore del Regno, che fu prelevato
da membri dell’
OZNA il 4 maggio 1945 e poi fucilato dai titini a Castua.
Le autorità jugoslave
destituirono nel 1946 Silvino Gigante dal suo incarico di preside del liceo classico
e la sua abitazione fu posta sotto sequestro.
Poi le ristrettezze imposte a lui e alla moglie Gisella Saska, lo
portano in poco tempo alla morte il 2 settembre 1946, in esilio, forse a
Venezia. Il luogo della morte è stato comunicato da Salvatore Samani, della Società
di Studi Fiumani, che scrisse una Precisazione nella rubrica
Lettere de «Il Piccolo» del 2 settembre
2016. La data della morte è stata riferita il 28 febbraio 2004 nel web in “
Elenchi di fiumani”
dalla nipote Maria Gigante sposata Sterpa, “profuga Fiumana trasferitasi prima
a Siena e poi a Roma”.
Ecco parte della documentazione,
giacente presso gli Archivi Storici del Politecnico di Milano, che attesta la
grande volontà di studio e di miglioramento di un fiumano, come Iti Mini, pur
nelle avversità dell’esodo giuliano dalmata. Scheda di iscrizione alla facoltà
di Ingegneria del Politecnico di Milano di Iti Mini, nell’anno accademico
1945-1946, già laureato all’Università di Padova il 30 luglio 1945, in
Ingegneria chimica. Si ringrazia per la fotografia Roberta Moro.
Lettera, del 15 marzo 1946, dell’Università
di Padova con cui il rettore attesta e conferma la laurea in Ingegneria chimica
di Iti Mini, di Fiume, protocollata dal Politecnico di Milano il 20 marzo 1946.
Archivi Storici del Politecnico di
Milano. Si ringrazia per la fotografia Roberta Moro.
Ecco il documento più
interessante dalla cartella di Iti Mini presso gli Archivi Storici del
Politecnico di Milano. Il direttore M. Marchetti, il 9 marzo 1946, chiede
conferma al preside del Liceo classico di Fiume circa il diploma di maturità di
Iti Mini, nell’anno scolastico 1938-1939. Nonostante gli anni sconvolgenti del
dopo guerra, il preside del Liceo “Dante” di Fiume, risponde e conferma, il 18
marzo 1946, la maturità classica del fiumano Iti Mini. La firma è "S. Gigante", ossia Silvino Gigante. Si ringrazia per la
fotografia Roberta Moro.
Bibliografia esclusiva sul Memoriale di Iti Mini ed altro
- Archivi Storici del Politecnico di Milano; dato che nel 2018 ci ha comunicato l'interessante aggiornamento sulla biografia di Iti Mini, un sentito ringraziamento vada a Roberta Moro - Diplomata in Archivistica Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Venezia, che lavora per conto di CAeB - Cooperativa archivistica e bibliotecaria di Milano - presso gli Archivi Storici del Politecnico di Milano dal 2013.
- Ilona Fried,
Emlékek városa. Fiume, Budapest, Ponte Alapítvány, 2001 (traduzione
italiana:
Fiume città della memoria.
1868-1945, Del Bianco Editore, 2005).
- Iti Mini,
Autobiografia,
Moggio, provincia di Lecco, 1994, dattiloscritto, pp. 4, Collezione famiglia Mini, Milano.
-
E. Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo. 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
- E. Varutti, Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in
Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni,
Udine, Provincia di Udine / Provincie di Udin, 2017 (disponibile anche nel web).
-
Ringraziamenti per le testimonianze
Per la grande disponibilità
dimostrata, desidero ringraziare le seguenti persone da me intervistate a Udine
con taccuino, penna e macchina fotografica, se non altrimenti indicato. C’è chi
mi ha messo a disposizione, con grande generosità, documenti esclusivi,
fotografie e cimeli del tempo, oltre a svariate informazioni riguardo alla
propria famiglia.
- Daniele D’Arrigo, Udine 1951, int. del 10 dicembre 2014.
- Anna Ghersani Durini, Monza, int.
del 2 dicembre 2015 e messaggi e-mail del 14 e 17 maggio 2018.
Archivi, biblioteche e collezioni familiari
- Archivio Daniele D'Arrigo, Udine, dattiloscr., documenti, fotografie, cimeli vari.
- Collezione famiglia Mini, Milano,
dattiloscritto.
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Questo articolo rientra
nelle attività del Centro
di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata,
per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari
momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di
storia dell’Istituto
Stringher di Udine, di cui è
referente il professor Giancarlo Martina. È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie
di donne del ‘900”, che ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio
di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana,
ANED,
ANVGD di Udine.