Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Carlo Cesare Montani, esule di Fiume, dedicato alla figura di Papa Benedetto XVI (in latino: Benedictus PP. XVI, in tedesco: Benedikt XVI; nato Joseph Aloisius Ratzinger (Marktl, 16 aprile 1927 – Città del Vaticano, 31 dicembre 2022), è stato il 265º papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma). A cura di Elio Varutti, per la redazione del blog.
Papa Ratzinger è stato un grande teologo, oltre che
demiurgo di pace e di conciliazione, ma nello stesso tempo, con singolari
visioni profetiche. In proposito, basti rammentare la Sua visione del futuro
illustrata nelle celebri lezioni del 1969, quando si espresse in termini
oltremodo chiari sul processo di scristianizzazione che stava già coinvolgendo
il mondo occidentale, la Chiesa cattolica e non solo quella, e che lo avrebbe
fatto ancor più nell’avvenire, togliendole tanti residui poteri mondani e
riducendola, come da profezia dello stesso Ratzinger, a un’eletta schiera di
fedelissimi, se non anche di Martiri, da cui trarre gli spunti e gli auspici
necessari per un’autentica rifondazione: vaticinio solo apparentemente
pessimista ma conforme all’intenso spiritualismo delle origini e tanto più
degno di riflessione a mezzo secolo da quella profezia, tristemente verificata
nella “realtà effettuale” di oggi.
Essendo nato nel 1927, aveva vissuto gli anni del potere
nazionalsocialista in età giovanile, ma aveva fatto in tempo a mutuarne
esperienze indimenticabili, a cominciare da quelle di un potere cieco e
assoluto, e di una tragica distruzione della propria terra, traendone motivi di
sicura e forte opposizione, tanto più convinta, anche alla luce di quella che
si “respirava” in casa, per opera categorica e prioritaria del padre. Come ha
scritto con dovizia di particolari nella lunga autobiografia (1) avrebbe
rischiato più volte la vita salvandosi, da un lato per la sostanziale
rassegnazione all’incipiente sconfitta da chi avrebbe potuto essere suo
persecutore, e dall’altro per il mero dileggio riservato alla fede cattolica
già professata alacremente; meglio
ancora, per una sorta di intercessione divina che lo protesse nei momenti
peggiori.
Non è un caso né tanto meno un mistero, che il Santo
Padre avesse scelto il proprio Nome di Papa ispirandosi a San Benedetto da
Norcia con il grande invito a “pregare e lavorare” per farsi apportatori di
pensiero e di meditazione, ma nello stesso tempo, di presenza attiva nel mondo
fatto a immagine e somiglianza di Cristo, e quindi, di Dio. D’altro canto,
quella scelta si era ispirata anche a Benedetto XV, il Pontefice che durante il
primo conflitto mondiale aveva bollato la guerra con la celebre definizione di
“inutile strage” tanto più pertinente nel cuore dei credenti, secondo cui i
dissidi fra gli uomini e gli Stati si possono risolvere non già con le armi, ma
con la riflessione e la cooperazione.
Alcuni esegeti sembrano scoprire soltanto oggi che
Papa Ratzinger è stato un grande “incompreso” ancor prima di essere entrato
nell’occhio di talune opposizioni sorte persino nell’ambito della Chiesa, in
chiara antitesi a un corretto e beninteso tradizionalismo interpretato come autentica
fedeltà alle origini, ben lungi dall’essere un qualsiasi orpello formale. In
tal senso, quella di Papa Benedetto XVI è la ricerca di una rinnovata
semplicità e di un adeguamento alle mutevoli esigenze del mondo sempre più
piccolo, ma nello stesso tempo, impegnato ad accogliere una popolazione
crescente con progressioni sempre più accelerate, al pari dei problemi sociali.
Nell’omelia del 18 aprile 2005, pronunciata il giorno
precedente l’ascesa al pontificato, il Cardinale Ratzinger aveva attirato l’attenzione
del Sacro Collegio sulla “necessità di essere animati da una santa
inquietudine”: quella di essere paladini di fede e “dell’amicizia con Cristo” per donarla agli
altri con un atto di servizio dal fondamentale rilievo nella missione
sacerdotale.
Tutti gli uomini, proseguiva il Cardinale, hanno il
desiderio di lasciare “una traccia che rimanga, ma bisogna fare in modo che
diventi anche un frutto: ebbene, non sono tali il denaro, gli edifici, i beni
materiali, persino gli amatissimi libri. In un tempo breve o lungo, ma comunque
ineluttabile, tutto ciò scompare, mentre l’anima rimane nell’eternità col
patrimonio di amore e di conoscenza che abbia potuto sviluppare nell’impegno
cristiano e nella fedeltà a Dio, anche attraverso l’opera della Chiesa.
Non a caso, aveva scelto come motto episcopale quello
di “collaboratori della verità” che riteneva tanto più pertinente perché nel
mondo contemporaneo la ricerca del vero è quasi scomparsa, essendo “troppo
grande per l’uomo” e creando il presupposto di un vero e proprio crollo
dell’ethos. Accanto a quel motto aveva posto due simboli: quelli della
conchiglia e dell’orso. Il primo intende richiamarsi alla natura dell’uomo, che
è quella di essere pellegrino sulla terra, nel senso che “non abbiamo qui una
stabile dimora”, non senza richiamarsi alla parabola di Sant’Agostino circa il
bimbo che giocava sulla spiaggia con una conchiglia per attingere l’acqua del
mare e trasferirla in una piccola buca, laddove quest’ultima “tanto poco può
contenere l’acqua del mare, quanto la ragione può afferrare il mistero di Dio”.
Il secondo simbolo, invece, si richiamava alla leggenda di San Corbiniano
che dopo l’uccisione del suo mulo da
parte dell’orso, aveva costretto
l’assassino, per espiazione del crimine, a farsi carico del fardello rimasto a
terra, al pari di quanto accade all’uomo quando diventa “animale da tiro” al
servizio del Signore, perché “chi sta dalla parte di Dio non sta
necessariamente dalla parte del successo” (2).
Il momento politico contemporaneo non ha mancato di
esternare un vasto campionario di commenti non appena Benedetto XVI è salito
alla Casa del Padre. Fra i tanti, piace ricordare quello di Giorgia Meloni, cui
si deve la definizione di “Gigante” proprio per la singolare capacità di
pensiero manifestata da Papa Ratzinger nel promuovere la convergenza della
ragione nell’ambito della fede. Ciò, si potrebbe aggiungere, non solo nella
dottrina, ma nello stesso tempo, con l’impegno attivo in un mondo sempre più
piccolo, ma non per questo meno caro al Signore dell’Universo, tanto da essersi
immolato sulla Croce per la salvezza degli uomini (3).
Benedetto XVI era consapevole di quanto sia importante
il progresso tecnico, ma riteneva che non fosse accompagnato da quello morale e
civile, vista la permanenza se non anche la crescita di grandi “problemi
planetari” come quelli della “disuguaglianza nella ripartizione dei beni della
terra” con tutto il corollario di povertà, sfruttamento, fame e malattie, per
non dire dello “scontro fra le culture”, come avrebbe detto a Subiaco, nel
Monastero di Santa Scolastica, quando fu insignito del Premio per la
“promozione della vita e della famiglia in Europa”. Purtroppo, “la forza morale
non è cresciuta come lo sviluppo della tecnica, anzi è diminuita”, tanto che il
pericolo maggiore dell’età contemporanea è costituito proprio da questo
squilibrio, matrice non ultima, fra l’altro, della tentazione di un fallace
“anarchismo distruttivo” se non addirittura del terrorismo. Carattere
essenziale dell’odierna congiuntura etica e politica è la contrapposizione, non
già fra diverse culture religiose, ma soprattutto quella di una “radicale
emancipazione dell’uomo da Dio”, ancor più visibile nel mondo occidentale,
all’insegna di un relativismo che finisce paradossalmente per tradursi in un
nuovo dogmatismo “che si crede in possesso della definitiva conoscenza della
ragione” mentre “abbiamo bisogno di radici per sopravvivere e non dobbiamo
perdere di vista Dio, se vogliamo che la dignità umana non sparisca”.
Tutto ciò era motivo di sofferenza tanto più viva
nella consapevolezza di quanto la vera gioia sia perseguibile nel Nome del
Signore e delle tante lezioni di vita cristiana, di cui è ricca la storia della
Chiesa, ma nello stesso tempo non escludeva la speranza: al contrario,
ravvisava nell’impegno che ne scaturisce, e quindi nella preghiera, uno
strumento idoneo a contrastare le suggestioni di un razionalismo fine a se
stesso, senz’altra prospettiva all’infuori di un arido nichilismo. A volte,
quella sofferenza morale diventava un vero e proprio dolore, come quello che
Papa Ratzinger avrebbe sperimentato con l’abolizione del latino liturgico nelle
cerimonie ordinarie, ravvisando in tale provvedimento l’abbandono di una
tradizione importante, e nello stesso tempo, di un simbolo di fedeltà alla
Chiesa di Roma, pur comprendendo la necessità di farsi intendere in ogni luogo
del pianeta con il “contemperamento” delle espressioni linguistiche.
Oggi si rende necessaria un’attenta rilettura di
questo grande Pontefice nella sua straordinaria umiltà, non disgiunta dalla
riservatezza e dal rispetto per tutte le creature, e dalla Sua capacità di
dialogo con chiunque, dai grandi della Terra ai “lavoratori nella vigna del
Signore”, come volle definirsi nel momento in cui fu chiamato al Soglio di Pietro.
Nello stesso tempo è altrettanto fondamentale la fedele adesione ai “Valori non
negoziabili” - come da Sua felice allocuzione - che il popolo cristiano onora,
ringraziando per le intercessioni e le preghiere in favore di un mondo mai
tanto lontano da tali Valori, ma proprio per questo chiamato a nuova vita
morale, nel segno di fede, ragione e speranza.
Carlo Cesare Montani
Annotazioni:
(1) - Joseph Ratzinger, La mia vita. Autobiografia,
traduzione dal tedesco di Giuseppe Reguzzoni, Edizioni San Paolo, orino 2005, pagg. 154 (ristampa dal testo
iniziale del 1997 con aggiunta di due testi successivi: L’Europa nella crisi
delle culture, e l’Omelia del 18 aprile 2005 nella Basilica di San Pietro,
prima del Conclave da cui sarebbe uscito Papa).
(2) - Per maggiori ragguagli sui fondamenti dottrinari
dell’opera in questione, cfr. Marco Tosatti, Il dizionario di Papa
Ratzinger, con bibliografia essenziale, Baldini Castoldi Dalai
Editore, Milano 2005, pagg. 128.
(3) - Non meno notevole, pur nella sintesi, è stato il
giudizio conclusivo proposto da un’umile Suora africana, nella breve intervista
televisiva del 5 gennaio 2023, concessa al termine delle esequie di Papa
Ratzinger in piazza San Pietro: “I Santi non muoiono mai”! In tale
occasione, la sola Cupola fu lungamente circonfusa da un sottile velo di
nebbia, rendendo vagamente sfumata la sua percezione: soltanto un caso meteo, o
un segnale di riservata e pronta accoglienza?
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Autore principale: Carlo Cesare Montani. Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Fotografia dal web. L’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/
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