domenica 31 ottobre 2021

Esodo istriano degli Sponza: Rovigno, Trieste, Udine, Laterina e Torino, 1951

Mio papà Antonio, nato a Rovigno nel 1911, ga provà a restar sotto Tito fin al 1951 – ha detto Gabriele Sponza – dopo no iera più possibile, lui era un falegname senza tessere di partito, ma là no iera più possibile, me contava”. Così, con regolare passaporto n. 26.806 “rilasciato per il solo viaggio di rimpatrio” dal Consolato italiano di Zagabria il 13 settembre 1951 la famiglia Sponza inizia l’esodo istriano passando il confine a Sesana ed entrando nel Territorio Libero di Trieste (TLT). Oltre al babbo Sponza ci sono la mamma “Eufemia Drandich (Drandi)”, detta Natalia, nata a Valle d’Istria nel 1916 e il figlio Luciano, nato nel 1948 a Rovigno e deceduto nel 2011 a Cafasse (TO). Il primogenito Gianantonio era deceduto a causa della polmonite nel 1946 in Istria.

Me ricordo, dai racconti, che si son fermati a Opicina di Trieste – ha aggiunto Gabriele Sponza – poi Udine e Laterina”. Nel Campo profughi di Opicina, uno dei 18 attivi nel capoluogo giuliano, nel 1951, c’erano i separè, per suddividere i box di ogni famiglia ospitata in spazi ristretti, come ha documentato Enrico Miletto nel suo volume del 2007. Le mamme facevano da mangiare accovacciate sul pavimento col fornelletto elettrico appoggiato a due mattoni.

Al Centro smistamento profughi di Udine, dal 1945 al 1960, transitano oltre 100mila esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia, che vengono sventagliati, secondo i dati di Guido Rumici, in oltre 140 Centri raccolta profughi (padre Rocchi scrive di 109 Crp) sparsi per l’Italia, come quello appunto di Laterina (AR), da dove passano oltre 10mila individui in fuga dalle terre perse, oltre che dalle ex-colonie.

Ci sono ben 18 nominativi Sponza nell’Elenco alfabetico profughi giuliani del Comune di Laterina, non solo per rilevare la frequenza del cognome (utili i soprannomi: “Ciapascana” in questo caso), ma pure quella dei fuggiaschi da Rovigno. I familiari di Gabriele Sponza sono segnati al fascicolo n. 819 e risultano usciti per Torino il 6 novembre 1953. A Laterina ci sono le sue zie Assunta Drandich (fascicolo n. 174 dell’Elenco alfabetico…) e Beatrice Paretti. È una Sponza perfino una delle maestre della scuola elementare del Crp di Laterina. Il 1° ottobre 1956 inizia la scuola per le cinque classi elementari del Campo. Si trovano a fare lezione a 150 alunni due maestri, dei quali una è proprio l’esule di Rovigno Pasqua Benvegnù Sponza.

Signor Gabriele ricorda qualcosa dei suoi nonni? “Certo, nonno Antonio Drandich era postino sotto l’Austria-Ungheria – ha riposto il testimone – ed era orgoglioso dei fiorini austriaci, mentre con la lira italiana iera meno luganighe [salsicce] col cren. Noi erimo povera gente, senza tessere di partito, con l’esodo gavemo perso la casa in via Carera a Rovigno, oltre alle case a alla terra di Valle d’Istria, come successo ai miei nonni materni, si deve sapere che con i nostri beni abbiamo pagato i danni di guerra per tutti gli italiani nei confronti della Jugoslavia, invasa da Mussolini e dal re. Poi gli slavi, per dispetto, a chi voleva partire con le opzioni, davano i documenti con i cognomi di famiglia scritti diversamente, col ‘ch’ finale, oppure solo con la ‘c’, oppure con ‘ć’ croata accentata, in Italia queste persone si disperavano, perché le nostre autorità non riconoscevano il nucleo familiare”.

È successo così pure alla famiglia Serli, di Umago, fuggita nel 1961, col cognome straziato dai burocrati titini. Dopo il Crp di Laterina dove sono andati i suoi familiari? “Alle Casermette di Torino, che è il mio luogo di nascita – ha replicato Sponza – un altro Campo profughi, fino all’assegnazione di una casa popolare al Villaggio S. Caterina, come tanti altri profughi e abbiamo dovuto lottare per poter riscattare quei semplici appartamenti fino al 1995-’96, quando si è raggiunto l’obiettivo previsto dalla legge”.

Antonio Sponza, di Rovigno, recluso nello Stalag III-A, campo di prigionia tedesco della seconda guerra mondiale, sito a Luckenwalde, Brandeburgo, 52 chilometri a sud di Berlino

Signor Sponza vuole aggiungere qualcosa sul suo babbo? “Nel 1936 ha dovuto andare militare in Etiopia – ha concluso – è morto a Torino nel 1967, in Africa è stato ad Axum, per lavori edili, rientrato in Italia, dopo lo sbandamento dell’8 settembre 1943, viene arrestato dai Tedeschi, che lo deportano in un Campo di concentramento in Germania, poi viene liberato dai Russi dai quali riesce a sfuggire presentandosi a Valle dove la moglie era rimasta con i genitori nel periodo bellico, dimagrito come uno straccio (zia Beatrice racconta di averlo riconosciuto dagli occhi), ai primi di settembre del 1945, dove il potere era in mano ad altri comunisti”. In Germania è stato recluso nello Stalag III-A, un campo di prigionia tedesco della seconda guerra mondiale, sito a Luckenwalde, Brandeburgo, 52 chilometri a sud di Berlino Il campo venne liberato dall’esercito sovietico il 22 aprile 1945. Poi l’esodo istriano del 1951. La gente istriana era già stata abituata agli esodi e sfollamenti “come quando, nel 1915, mia nonna Manzin, di Valle d’Istria – ha precisato Gabriele Sponza – viene internata col treno in Ungheria dalle autorità austro-ungariche e, nella confusione dello spostamento in massa, perse tre figli”.

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Fonte orale e collezione privata: per la gentilezza riservata all’indagine storica si ringrazia la seguente persona intervistata da Elio Varutti, con contatti preparatori di Claudio Ausilio. Sono della collezione privata dell’intervistato le fotografie e i documenti personali qui pubblicati, grazie al suo cortese permesso alla diffusione.

Gabriele Sponza, Torino 1954, int. telefonica del 25 ottobre 2021 ed email del 30 ottobre 2021.

Archivi consultati - La presente ricerca è frutto della collaborazione fra l’ANVGD di Arezzo e il Comitato Provinciale dell’ANVGD di Udine. La consultazione e la digitalizzazione dei materiali d’archivio toscani è stata effettuata dal 2015 a cura di Claudio Ausilio, grazie alla cortesia degli operatori e delle autorità degli uffici citati.

Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, pp. 1-78, ms.

Provveditorato agli Studi di Arezzo, Circolo Didattico di [Montevarchi], Comune di Laterina, frazione Centro Raccolta Profughi, Scuola Elementare Statale, Registro della Classe 2^, 4^, 5^ mista, insegnante Benvegnù Sponza Pasqua, anno scolastico 1956-1957, pp. 24, stampato e ms.

Passaporto provvisorio di Antonio Sponza, dopo l'opzione italiana, facciata anteriore

Bibliografia

E. Miletto, Istria allo specchio. Storia e voci di una terra di confine, Franco Angeli, Milano, 2007.

Giuliana Pesca - Serena Domenici - Giovanni Ruggiero, Tracce d’esilio. Il C.R.P. di Laterina 1948-1963. Tra esuli istriano-giuliano-dalmati, rimpatriati e profuganze d’Africa, Città di Castello (PG), Biblioteca del Centro Studi “Mario Pancrazi”, Edizioni NuovaPrhomos, 2021.

Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Edizioni Difesa Adriatica, Roma, 1990.

G. Rumici, Catalogo della mostra fotografica sul Giorno del Ricordo, Roma, ANVGD, 2009.

Elio Varutti, Esodo da Umago nel 1961. Cognome straziato, on line dal 3 agosto 2016 su   eliovarutti.blogspot.com/

Elio Varutti, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Firenze, Aska, 2021.

Facciata posteriore del passaporto provvisorio di Antonio Sponza, si noti, in alto a sinistra, il timbro del Centro smistamento profughi di Udine, con destinazione a Laterina, 1951

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Progetto e ricerca di Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo). Intervista di Elio Varutti. coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Gabriele Sponza (ANVGD Torino), Claudio Ausilio, Maria Iole Furlan, Rosalba Meneghini (ANVGD Udine), professor Enrico Modotti. 

Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.









lunedì 25 ottobre 2021

Venezia Giulia Istria Dalmazia: tremila anni di storia, libro di Carlo Cesare Montani

Questo libro è giunto alla quinta edizione in una veste del tutto rinnovata. “Venezia Giulia e Dalmazia: sommario storico”: il volume era uscito con tale titolo nel 1990. Hanno fatto seguito la traduzione in lingua inglese (2001), la terza edizione bilingue con testi a fronte (2002) e la quarta a stampa in forma anastatica (2011).  

L’entità geografica della Venezia Giulia, sotto il Regno d’Italia, dal 1918 al 1947, è formata dalle province di Gorizia, inclusa la Valle dell’Isonzo e fino a Circhina e Idria, Trieste fino a Postumia, Pola, comprese le Isole di Cherso e di Lussino e Fiume, da Moschiena fino a Villa del Nevoso (con alcune annessioni dal 1941). Zara con un po’ di entroterra è una exclave del Regno d’Italia dal 1918, anzi dal trattato di pace del 1920, fino all’arrivo dei titini, nel 1943, cui segue l’occupazione nazista e nel 1944 la definitiva invasione iugoslava. Nel periodo 1941-1943 Zara appartiene al Governatorato della Dalmazia del Regno d’Italia, assieme alle province di Spalato e di Cattaro.

Di grande impatto divulgativo e segnato da un profondo spirito patriottico, pur essendo privo di figure, il prodotto culturale di Carlo C. Montani si presenta molto snello nella Prima parte, di 94 pagine. Qui l’Autore è riuscito a suddividere in 18 brevi capitoli circa 3000 anni di storia, di cui c’è un cenno sin dal sottotitolo. Il riferimento va a quelle terre irredente che, nel 1863, Graziadio Isaia Ascoli, glottologo italiano di fama internazionale definiva per la prima volta “Venezia Giulia”. I loro confini sono contenuti, generalmente, tra il Friuli orientale (inclusa la Bisiacaria, ossia parte del Monfalconese), Trieste, l’Istria, le isole del Quarnaro e la città di Fiume, comprendendo perciò le terre site fra Alpi e Prealpi Giulie, Carso, Alpi Dinariche e Alto Adriatico orientale (Golfo di Trieste e Golfo di Fiume). Il celebre linguista goriziano volle contrapporlo al vocabolo Litorale, ideato dalle autorità austriache, nel 1849, per identificare una regione amministrativa più o meno coincidente. La Dalmazia include altri territori irredenti di Zara, Spalato, Sebenico, Traù e varie isole fino alle Bocche del Cattaro. Tutte aree a prevalenza, o di grande presenza di italofoni, assieme al mondo slavo. Nel Novecento tali province sono oggetto di cambi repentini di bandiera e di padrone, passando attraverso certe dittature. Sono pure soggette alle devastazioni delle due guerre mondiali, con tutte le conseguenti ricadute sociali e politiche.

Nella Premessa è lo stesso Autore a ricordare che: “La tragedia di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, parte essenziale del più grande dramma italiano compiutosi nel XX secolo, rende indispensabile fare il punto sulle vicende da cui trasse origine, e sulle loro motivazioni antiche e recenti: non è possibile ignorare il grido di dolore di circa 20 mila Vittime incolpevoli, infoibate o diversamente massacrate durante e dopo l’ultimo conflitto mondiale, al pari di quello dei 350 mila profughi che furono costretti all’abbandono senza ritorno di quanto avevano caro, come la terra, gli affetti, i beni personali e prima ancora, i sepolcri degli Avi, senza dire che secondo alcune fonti le cifre dei Caduti e degli Esuli sarebbero sensibilmente maggiori” (pag. 6). Pur negli alvei della correttezza, ogni storico affronta le varie tematiche con la sua Weltanschauung e pure Carlo C. Montani lo fa. Tuttavia, come il Prof. Augusto Sinagra rileva sin dalle prime battute della Prefazione, l’Autore rivendica, in chiave filosofica, una determinata attendibilità e la necessità di essere fedeli al vero, richiamando “la comune attenzione sulle immortali parole di Tacito, il grande storico latino che aveva affermato come la storia non si possa fare coi sentimenti - scrive Sinagra - da cui deve necessariamente prescindere, perché fonda la propria attendibilità sull’obbligo di professare incorrotta fedeltà al vero. Ne discende l’imperativo di ogni storico degno di questo nome: quello di interpretare i fatti e le loro naturali matrici umane senza amore e senza odio” (p. 11).

In proposito, viene alla mente un racconto di Caterina Percoto, intitolato appunto “Non una sillaba oltre il vero”, pubblicato sul «Giornale di Trieste» nel 1848. Nel caso del Risorgimento, descritto dalla Percoto, esponente della letteratura rusticale ed amica di Nicolò Tommaseo, si tratta di una serie di violenze di rappresaglia degli austro-croati contro le genti friulane per i moti di libertà dall’invasore. Siamo comunque nel campo delle pressioni anti-italiane sulla sponda dell’alto Adriatico.

Nella Seconda parte del volume (di 167 pp.) troviamo una personale antologia di critica storica. Qui gli stessi argomenti vengono ripresi, approfonditi con le citazioni e la bibliografia relativa. A volte si tratta di studi già pubblicati su carta, o nel web dallo stesso Autore. Le fonti di riferimento per tale parte sono: il Consiglio Regionale della Toscana (Firenze); Difesa Adriatica (Roma); L’Esule (Milano); Nuova Antologia (Firenze); Riscossa Adriatica (Firenze); Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale (Roma); Studi in onore di Augusto Sinagra (Roma); Vita Nuova (Trieste) e il sito www.storico.org (Roma).

Nella Terza ed ultima parte si trova un’utile Cronologia (di 100 pp.). Come sottolinea l’Autore, la “prassi di inserire un elenco cronologico dei fatti salienti a fini di consultazione e documentazione è diventata ricorrente sia in buona parte delle opere storiografiche di maggiore impegno, sia in parecchie di quelle a carattere divulgativo, spesso fondate su testimonianze dirette: nell’ambito giuliano-dalmata tale ricorso risulta diffuso anche alla luce di una vicenda collettiva particolarmente articolata e complessa, in specie dall’Ottocento in poi” (p. 265). Sulla questione dell’esodo, delle foibe e del Giorno del Ricordo è proprio la Cronologia finale, aggiornata ai fatti e ai luoghi, con ponderata dovizia di particolari, a fornire una marcia in più all’intero volume.

Cartolina per le terre redente, collezione privata, Udine

Tra i tanti argomenti esposti troviamo la fondazione di città sulla costa dalmata per opera di coloni della Magna Grecia sin dal III secolo a.C. e la notevole presenza dell’Antica Roma in Istria, a Fiume (Tarsatica) e in Dalmazia. Seguono le invasioni barbariche e la presenza bizantina. Col VI secolo d.C. iniziano le invasioni slave. In seguito c’è il potere carolingio. È dell’anno 804 il “Placito” di Risano, presso Capodistria; a seguito di una manifestazione di “coraggio civico” destinata ad essere ricordata nei secoli, l’autonomia viene solennemente restituita alle comunità istriane davanti a 172 delegati in rappresentanza di undici città. Il duca Giovanni che aveva governato quale espressione diretta di Carlo Magno e promosso il collocamento di ulteriori coloni slavi in forte contrapposizione alle genti autoctone, è sconfessato ed allontanato. Nei decenni successivi iniziano le scorrerie turchesche in Dalmazia e nascono le alleanze con Venezia nella costa adriatica orientale, tanto che il doge Pietro Orseolo, nell’anno 1000, combatte in difesa delle città istriane ed acquista il titolo di “Dux Dalmatiae”. Nel 1300 Dante Alighieri pone sul Carnaro il confine orientale d’Italia; si tratta di un convincimento che sconta conoscenze e limiti dell’epoca in senso “italico” ignorando la Dalmazia e le Isole, ma sarà motivo di frequente ispirazione sino al terzo millennio.

Col 1420 buona parte della Dalmazia è possesso di Venezia. Ha fine il potere temporale dei Patriarchi di Aquileia: anche Udine e Cividale passano alla Serenissima. Seguono pestilenze, guerre e altalenanti domini diversificati. Nel 1779 Maria Teresa d’Austria trasferisce Fiume all’Ungheria confermando la sua indipendenza dalla Croazia e le riconosce la prerogativa di “Corpus separatum”.

Il 17 ottobre 1797 si stipula il Trattato di Campoformido. I territori della Serenissima vengono ceduti all’Austria che in cambio riconosce la Repubblica Cisalpina. Inizia il dominio austriaco in Friuli e nel Veneto mentre l’esercito napoleonico occupa Trieste. A Perasto (odierno Montenegro), veneziana dal 1420, l’ultimo vessillo della Repubblica di Venezia viene ammainato nella commozione generale e sepolto sotto l’altare maggiore del Duomo. Il Capitano Giuseppe Viscovich pronuncia la celebre allocuzione di commiato che resterà esempio imperituro della fedeltà dalmata alla Serenissima, ripreso nel Risorgimento e nell’Impresa fiumana di Gabriele d’Annunzio. “Ti con nu, nu con ti” (Tu con noi, noi con te).

Per Istria, Fiume e Dalmazia segue un fugace dominio napoleonico, prima facendo parte del Regno d’Italia del Viceré Eugenio di Beauharnais e, poi, delle Provincie Illiriche dell’Impero francese (1809-1813). Col Congresso di Vienna (1815) tutto passa sotto l’Austria fino alla Grande Guerra. Nel 1831 lo Statuto della “Giovine Italia” dichiara l’italianità della Venezia Giulia. Seguono le tre guerre d’indipendenza italiane (1848, 1859, 1866) e si sviluppa l’Irredentismo italiano nella Venezia Giulia, in Istria e Dalmazia, con conseguente snazionalizzazione da parte dell’autorità austriaca a favore degli slavi, cui partecipa il clero slavo, che nei registri battesimali slavizza i cognomi, contro il volere di genitori e padrini di sentimenti italiani.

Nel Novecento spiccano le due guerre mondiali e l’impresa dannunziana di Fiume, come dai libri di testo per le scuole, che poco trattano delle uccisioni titine nelle foibe, della strage parimenti titina di Vergarolla (18 agosto 1946) e dell’esodo giuliano dalmata di 350mila persone. Col Trattato di pace del 10 febbraio 1947 la Jugoslavia si annette Istria, Fiume e Dalmazia. Trieste fa parte della Zona A del Territorio Libero di Trieste fino al 1954, quando tornerà all’Italia, mentre la Zona B, da Capodistria a Cittanova passa sotto i carri armati titini. Le manifestazioni anti-iugoslave di Trieste dei primi anni ‘50 culminano nell’eccidio compiuto dalla polizia del Governo Militare Alleato nel novembre 1953, che provoca sette Vittime definite quali “ultimi Caduti del Risorgimento italiano”. I confini tra Italia e Jugoslavia vengono stabiliti nel 1975 col Trattato di Osimo. Dal 1991 si disgrega lo stato di Tito in varie entità con le guerre conseguenti. Non si poteva in queste righe riportare altro, se non alcune delle tappe cronologiche del confine orientale, ben approfondite nel volume.

Nella vasta Bibliografia (di 22 pp.) trovano spazio perfino i più recalcitranti negazionisti, peraltro in fase di trasformazione per non perdere del tutto la faccia e i pubblici finanziamenti, in un coacervo di riduzionisti e giustificazionisti. Consola il fatto che pure la recente letteratura internazionale stia orientando le proprie ricerche sulla storia trascurata nei decenni passati. Si pensi al libro di Ljubinka Toševa Karpovicz, studiosa croata, intitolato non a caso “Rijeka / Fiume (1868-1924)”, od “Autonomije do Države (Fiume 1868-1924: dall’Autonomia allo Stato) edito nel 2021 e all’opera di Dominique Kirchner Reill, ricercatrice statunitense, che ha dato alle stampe “The Fiume crisis: life in the wake of the Absburg Empire” (La crisi di Fiume: vita sulla scia dell'Impero asburgico). Tanto per dire che è difficile far scomparire la parola “Fiume” dai titoli dei libri di storia.

In tutta sintesi, sembra di poter affermare che il libro di Carlo C. Montani sarà un toccasana per il lettore a digiuno di storia dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia: è come un Bignami massimizzato.

Infine, per concludere con una pertinente citazione “ad hoc” mutuata da un celebre scrittore europeo, e riferibile anche ai giuliani, istriani e dalmati, vorrei dire che “nella loro bellezza rassegnata di tristi esuli in questo mondo volgare, si potevano leggere le emozioni con altrettanta chiarezza che in uno sguardo espressivo” (Marcel Proust, Le Mystérieux correspondant, 1896, traduzione italiana, Garzanti, 2021).

Il libro recensito

Carlo Cesare Montani, Venezia Giulia – Istria - Dalmazia: pensiero e vita morale. Tremila anni di storia - Antologia critica - Cronologia, Udine, Aviani & Aviani, 2021, pp. 416.

ISBN: 978-88-7772-319-2

Bandierina per la riunificazione di Trieste all'Italia, 1954. Collezione famiglia Conighi

Recensione di Elio Varutti, docente di “Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata” all’Università della Terza Età di Udine. Membro del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine, Sede dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine: Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30