mercoledì 30 dicembre 2020

Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti, mio fratello caduto sotto i ferri di Menghele, di Mario De Simone

Il Circolo culturale della Parrocchia di San Pio X di Udine dal 2016 si occupa di commemorare la Giornata della Memoria. Negli ultimi anni le iniziative sono rientrate nel calendario delle attività del Comune di Udine. Quest’anno iniziamo le attività con la pubblicazione di un interessante ed originale contributo di Mario De Simone, di Napoli, fratello di Sergio De Simone, un bambino deportato vittima dell’Olocausto. Gli è stato detto: "Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti". Dal lager di Auschwitz, fu l’unico italiano tra i 20 bambini di varia nazionalità lì selezionati da Menghele come cavie umane per esperimenti medici compiuti dal dottor Kurt Heissmeyer nel campo di concentramento di Neuengamme, presso Amburgo. Proprio la città di Amburgo, di recente, ha dedicato un toponimo al bambino Sergio De Simone, vicino al Wassermann Park. L’intitolazione è: “Sergio-De-Simone Stieg”.  Per l'appoggio ricevuto siamo riconoscenti a don Maurizio Michelutti, coordinatore della Collaborazione pastorale di Udine sud.                             (A cura di Tiziana Menotti e Elio Varutti)

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I fatti della seconda guerra mondiale che riguardano le sofferenze e le persecuzioni subite da grandi parti delle popolazioni europee per motivi politici, religiosi o di appartenenza ad una “razza” sono stati per molto tempo sottaciuti o evitati con un senso di imbarazzato fastidio.

L’appartenenza ad etnie o, come si diceva allora, a ‘razze’ diverse da una fantomatica ‘razza’ ariana mai esistita sulla terra è stata utilizzata dal nazionalsocialismo per indicare una ‘razza’ superiore da contrapporre alle razze inferiori costituite da ebrei (indicati come responsabili di tutti i guai che erano piombati sulla Germania dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale) e zingari (che davano fastidio con quel loro modo di vivere fuori dagli schemi di una ordinata società borghese e disciplinata). Oltre, naturalmente ad alcuni tipologie di ‘sottouomini’ quali comunisti, omosessuali, persone con problemi psichici o fisici, neri o di altro colore tutti soggetti che turbavano il quieto vivere della società nazista.

Com'è noto queste scelte odiose furono adottate anche dal fascismo e, nonostante la sostanziale indifferenza per il problema da parte del popolo italiano, furono fatte proprie anche da esponenti del mondo della cultura che speravano in questo modo di fare carriera e di avere i loro vantaggi accademici, culturali, giornalistici e patrimoniali.

Le leggi razziali del 1938 costituiscono un’imperdonabile scelta politica del governo fascista e della casa reale del nostro sfortunato paese, che adottandole si contrassegnarono con maggiore evidenza per quello che rappresentavano: un governo razzista, usurpatore, violento e contrario agli interessi degli italiani che dicevano invece di tutelare.

Tutto questo è stato fino a oggi, a contrario di quello che molti pensano, troppo poco indagato dagli storici. Del dolore arrecato alle persone moltissimi hanno cominciato ad avere conoscenza solo dopo l’entrata in vigore della legge 20 luglio 2000 n° 211 che istituisce il Giorno della Memoria, che si commemora in Italia il 27 gennaio di ogni anno nella data di liberazione del campo di Auschwitz da parte dei soldati dell’Armata Rossa.

È in questo contesto che si inquadra la vicenda della mia famiglia materna e del mio povero fratello Sergio. Nel marzo del 1944 le SS, accompagnate dai fascisti locali e da un delatore si presentarono presso la casa della mia famiglia, di origine ebraica, a Fiume [vicino all’Istria, NdR], che allora era italiana. Lì trovarono e deportarono mia nonna Rosa, mio zio Jossi con la moglie, mia Zia Sonia che viveva con la sua mamma anziana, mia zia Mira con le mie due cuginette Andra a Tatiana e mia madre Gisella con mio fratello Sergio.

Sergio De Simone e cugine Tatiana e Alessandra; foto dal web

Io sono qui a scrivere queste righe perché sono nato dopo la guerra quando mia madre, tornata da Auschwitz insieme alla sorella Mira, rientrò a Napoli e lì rincontrò mio padre anch’egli rientrato dalla prigionia come militare in Germania dove era stato condotto prigioniero per difendere la ‘Patria’ che nel frattempo gli distruggeva la famiglia. Nella terribile storia della mia famiglia materna, di cui sono tornate solo quattro persone su tredici deportate in vari momenti, la storia di mio fratello riveste un particolare significato per la sua drammaticità e crudeltà.

Infatti, come è ormai noto, il destino di mio fratello Sergio prende una strada diversa da quella delle mie cugine. Drammaticamente diversa. Egli, infatti, fu scelto dai nazisti con un vile trucco, ‘chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti’, insieme ad altri 19 bambini ebrei o presunti tali prelevati dal lager di Auschwitz, trasportati a Neuengamme per essere sottoposti ad esperimenti medici sulla TBC da uno pseudo medico di Amburgo. Qui in un contesto surreale, in cui non vi erano blokove compiacenti ma solo adulti malvagi e crudeli, furono usati come cavie. [Nei lager femminili la funzione del Kapo veniva svolta dalla Blokove, NdR]. Pensate, usati come cavie: oggi abbiamo remore anche ad usare i topi o altri animali grazie alle associazioni animaliste che giustamente li tutelano.

Furono tutti uccisi nella scuola di Bullenhuser Damm ad Amburgo. In quella città, il 20 aprile del 1945, Sergio, gli altri 19 bambini, i medici e gli infermieri prigionieri che furono costretti a collaborare con Heissmayer e che per quello che potevano, tentarono di mitigare gli effetti della folle sperimentazione, i prigionieri russi utilizzati come inservienti, furono tutti eliminati ed i loro corpi inceneriti e dispersi per distruggere, insieme alle prove cartacee delle malefatte, anche le vittime, perché tanto “nessuno avrebbe mai creduto alla narrazione di quello che è accaduto realmente”, come diceva Himmler sperando nell'impunità dopo la guerra.

La storia di mio fratello e degli altri 19 bambini rappresenta la parte non a lieto fine delle storie legate alle persecuzioni razziali nazifasciste e per questo io ritengo che non debba essere mai taciuta o solo accennata ma narrata e conosciuta nel pieno dei suoi particolari aberranti per mettere tutti, moderni razzisti e non, davanti alle proprie responsabilità in particolare in relazione alle scelte politiche attuali spesso superficialmente adottate.

Voglio infine chiarire le motivazioni che mi hanno condotto a divulgare questa storia da quando ne sono venuto a conoscenza nel lontano 1995. In quell’anno fui chiamato ad Amburgo dalla Associazione dei venti bambini di Bullenhuser Damm in quanto il giornalista tedesco Gunter Schwarberg, che con fatica era riuscito a ricostruire la storia dei bambini e dei prigionieri ed a far condannare i responsabili. Nella cerimonia di commemorazione Gunter mi rivelò la storia della fine del mio povero fratello. La storia mi sconvolse e mi indignò profondamente e già sull’aereo del ritorno d’accordo con mia moglie decidemmo che non poteva rimanere chiusa nella mia famiglia ma doveva essere portata a conoscenza del maggior numero di persone possibile.

Arrivati a Napoli prendemmo contatto con la giornalista Titti Marrone del quotidiano “Il Mattino” di Napoli la quale scrisse degli articoli molto belli e poi decise di scrivere un libro su questa storia “Meglio non sapere” coinvolgendo anche le mie due cugine Tatiana e Andra Bucci. Questo è il primo dei tanti altri che successivamente sono stati pubblicati.

Questo è il motivo, infine, per cui io, come le mie cugine, non ci risparmiamo a divulgare, specie nelle scuole e nei luoghi della conoscenza, la narrazione delle nostre vicende.

Mario De Simone

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Fotografie qui accanto e poco sopra - Luneburgo (Germania), edificio adattato a Campo di concentramento nel 1943, sottocampo di Neuengamme per deportati utilizzati come forza lavoro nello sgombero di macerie in seguito ai devastanti bombardamenti alleati su Amburgo. Fotografie di Daniela Conighi, 2019.

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Cenni bibliografici e del web

Maria Pia Bernicchia (a cura di), Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti. I 20 bambini di Bullenhuser Damm una carezza per la memoria, Milano, Proedi, 2005-2006.

Elio Varutti, Ebrei di Fiume in transito a Udine per Auschwitz 1944-1945. Riflessioni, on line dal 16 gennaio 2019 su eliovarutti.blogspot.com

E. Varutti, Shoah dietro l’angolo. Carceri naziste nelle case di Udine, 1943-1945, on line dal 31 dicembre 2020 su evarutti.wixsite.com

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Autore principale: Mario De Simone. Testo a cura di Tiziana Menotti e Elio Varutti, per il Circolo culturale della Parrocchia di San Pio X, Udine. Servizio redazionale e di Networking a cura di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Tiziana Menotti, e Sebastiano Pio Zucchiatti. Copertina: Fiume 1943, Sergio De Simone con le cugine Andra e Tatiana Bucci, dietro, la mamma Gisella Perlow De Simone (al centro) e le zie Mira Perlow Bucci e Paula Perlow; Collez. privata. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo. Aderiscono: il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’Associazione Nazionale Ex Deportati politici (ANED) di Udine.



giovedì 29 ottobre 2020

Zuan da Vdene Furlano, una mostra coi fiocchi al Castello di Udine dal 12 giugno 2021

Zuan da Udene furlano. Giovanni da Udine, tra Raffaello e Michelangelo (1487-1561)", è il titolo della mostra in programma presso i Civici Musei Udine dal 12 giugno al 12 settembre 2021, nel Salone del Parlamento e nelle sale della Galleria d'Arte Antica del Castello del Comune Di Udine. In mostra saranno esposte anche alcune opere su carta (manoscritti e volumi a stampa) delle collezioni della Biblioteca Civica Vincenzo Joppi di Udine (aggiornamento del 7 giugno 2021).

Finalmente in città ci sarà una mostra su Giovanni da Udine, pittore poco noto che crebbe tra i panni, le tintorie, i cramars e le rogge della Udine medievale. La sua formazione artistica avviene nell’ambito della bottega di Giovanni Martini, che insieme con Pellegrino da San Daniele era uno dei principali artisti attivi in Friuli. Giovanni Ricamatore, meglio noto come Giovanni da Udine, nasce il 27 ottobre 1487: è l’artista stesso a precisarlo in uno dei suoi libri di conti, contraddicendo il Vasari, secondo cui sarebbe nato nel 1497. Il nonno paterno, morto nel 1457, era dedito al ricamo e alla tintura dei panni, mentre il padre Francesco alternava l’attività di sarto, o più verosimilmente di tintore, a quella di ispettore sanitario del Comune.

Raffaello volle Giovanni da Udine al suo fianco nella Loggia di Psiche alla Farnesina e nell’impresa delle Logge Vaticane, Michelangelo lo teneva in alto conto, Clemente VII si affidò a lui per delicati interventi di restauro e decorazione sia a Roma che a Firenze.

Giovanni Ricamatore, o meglio, Giovanni da Udine Furlano, come si firmò all’interno della Domus Aurea, riuniva in sé l’arte della pittura, del disegno, dell’architettura, dello stucco e del restauro. Il tutto a livelli di grande eccellenza. A Roma, dove era stato uno dei più fidati collaboratori di Raffaello, rimase anche dopo la scomparsa dell’Urbinate. Conquistandosi, per la sua abilità, dapprima il titolo di Cavaliere di San Pietro e quindi una congrua pensione da pagarsi sull’Ufficio del Piombo. Intorno alla metà degli anni trenta del ’500, Giovanni decise di abbandonare la città che gli aveva garantito fama e onori e rientrare nella sua Udine con il proposito di non toccar più pennelli.

Preceduto dalla fama conquistata a Roma, una volta tornato in Friuli si trovò pressato dalle committenze e non seppe mantenere fede al suo autopensionamento. Tra gli interventi di maggiore importanza, il lungo fregio a stucco ed affresco nel castello di Spilimbergo e, a Venezia, la decorazione di due camerini di Palazzo Grimani. Sarà proprio salendo col fiatone la monumentale scalinata a doppia rampa progettata da Giovanni, stavolta in veste d’architetto, che il pubblico potrà accedere alla magnifica Sala del Parlamento che dal 12 dicembre 2020 al 14 marzo 2021 accoglie la prima retrospettiva che mai sia stata a lui dedicata.

Giovanni da Udine tra Raffaello e Michelangelo (1487 - 1561), promossa dal Comune di Udine,  Servizio Integrato Musei e Biblioteche, è a cura di Liliana Cargnelutti e Caterina Furlan, affiancate da un autorevole Comitato Scientifico. La Mostra si avvale del sostegno della Fondazione Friuli e di Amga Hera in veste di Main Sponsor.

Per la prima volta in questa mostra viene riunito un cospicuo numero di raffinati disegni che, provenienti da diversi musei europei e da una collezione privata americana, confermano la sua proverbiale abilità nella rappresentazione del mondo animalistico-vegetale e soprattutto degli uccelli. Ciascuno degli ambiti della poliedrica attività di Giovanni da Udine è indagato in mostra attraverso stucchi, incisioni, documenti, lettere, libri e altri materiali.

Inoltre le spettacolari sezioni dedicate alle stampe e ai disegni di architettura consentono di visualizzare i principali luoghi e ambienti in cui l’artista ha operato: dalla Farnesina alle Logge Vaticane, da Villa Madama alla Sacrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze. Il contesto storico e culturale del tempo viene ricostruito in mostra attraverso libri, documenti e filmati.

Una sezione speciale ripropone al Castello di Udine la mostra documentaria, curata da Virginia Lapenta e Antonio Sgamellotti. Tale sezione, realizzata in collaborazione con l’Accademia Nazionale dei Lincei, è stata presentata nell’aprile 2017 alla Farnesina, dedicata ai festoni realizzati nella Loggia di Psiche proprio da Giovanni da Udine.

Concluso il percorso espositivo, al visitatore viene proposto un itinerario che gli può consentire di ammirare dal vivo le opere architettoniche, gli affreschi e gli stucchi realizzati da Giovanni da Udine e dai suoi collaboratori nel Castello di Colloredo di Montalbano, a Spilimbergo, a San Daniele del Friuli e ad Udine. Per chi voglia spingersi fuori dal Friuli, l’itinerario ideale trova ulteriore tappe a Venezia, per una visita a Palazzo Grimani, e naturalmente a Roma, che fa tesoro delle sue opere più celebri.

Pietro Fontanini, Sindaco di Udine, ha sottolineato il suo profondo orgoglio nel “presentare questa mostra che vuole essere non solo un’occasione unica dal punto di vista del valore artistico dei pezzi esposti ma anche un segno doveroso dell’affetto e della gratitudine che la nostra città prova da sempre per uno dei suoi più grandi talenti. È anche grazie a lui e alle sue opere, di cui vanno ricordate la scalinata del Castello e la fontana di piazza San Giacomo, se Udine vanta uno dei centri storici più belli ed eleganti del nostro Paese ed è capace di attirare visitatori da tutta Europa. Dopo l’intitolazione del Teatro e lo scoprimento della lastra commemorativa sulla facciata della sua casa natale avvenuta solo alcuni giorni fa, Udine tributa al suo illustre concittadino un nuovo e importante riconoscimento: questa straordinaria mostra a lui dedicata”.

Giovanni da Udine: Studi di mazzi di fiori e frutti. Penna e inchiostro bruno, acquarellato con pigmenti colorati e lumeggiato in bianco, 292x200 mm. Vienna, Albertina.

L’Assessore alla Cultura del Comune di Udine, Fabrizio Cigolot ha aggiunto: “Finalmente la nostra città rende onore a Giovanni da Udine, l’artista che fu capace, durante la prima metà del XVI Secolo, di farsi conoscere sullo scacchiere internazionale dell’epoca come uno dei talenti pittorici più puri della sua generazione, forte anche della formazione presso la bottega di Raffaello. E lo fa attraverso un’esposizione che ha tutte le carte per richiamare a Udine visitatori da tutta Europa entrando a pieno titolo nel novero delle più importanti mostre organizzate nella nostra città”.

Accanto alle istituzioni il Gruppo Hera, con Amga Energia & Servizi, “il nostro gruppo non ha mai perso l’occasione di confermare il proprio radicamento e l’attenzione per le comunità di riferimento - ha affermato l’Amministratore Delegato di Hera Comm Cristian Fabbri -. Questo significa anche continuare, soprattutto adesso, a valorizzare e sostenere le principali espressioni artistiche e culturali locali: siamo lieti di collaborare affinché gli udinesi, ma non solo, possano ammirare e conoscere meglio un importante artista rinascimentale e che ha contribuito a rendere famoso questo territorio”.

A queste dichiarazioni si unisce il dottor Giuseppe Morandini, in veste di Presidente della Fondazione Friuli. Il Presidente Morandini ha ricordato che: “Da sempre la Fondazione Friuli è attenta a quei progetti culturali d'eccellenza che valorizzano e promuovono il territorio sia a livello nazionale che internazionale. La mostra dedicata a Giovanni da Udine, per la qualità del progetto scientifico e per i prestiti ottenuti, è sicuramente uno di questi e ci vede con soddisfazione a fianco del Comune di Udine in nome di una sinergia che, anche in tempi così difficili, potrà portare alla nostra regione importanti elementi di sviluppo turistico oltre che culturale”.

La mostra è stata posticipata alla primavera 2021 a causa del Covid-19. Aggiornamento del 16 novembre 2020.

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Giovanni da Udine tra Raffaello e Michelangelo (1487 - 1561), Udine, Castello, Gallerie d’arte antica. 12 dicembre 2020 – 14 marzo 2021. Mostra a cura di Liliana Cargnelutti e Caterina Furlan.

Info: + 39 0432.1272591

Link : http://www.civicimuseiudine.it

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Servizio redazionale con testi dall’Ufficio stampa studioesseci.net - Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo e Elio Varutti. Copertina: Raffaello e aiuti (Giulio Romano e Giovanni da Udine): Pennacchio con Mercurio. Roma Villa Farnesina, Loggia di Psiche.

sabato 24 ottobre 2020

Dalmati italiani due volte esuli, lezione di Bonetti, ANVGD Udine

Bruno Bonetti ha parlato dei Dalmati italiani, due volte esuli nel 1920 e nel 1944. L’interessante incontro pubblico si è svolto il 22 ottobre 2020 all’Accademia Città di Udine, di via Anton Lazzaro Moro 58, in collaborazione col Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD). Ha aperto la riunione Bruno Ciancarella, segretario dell’Accademia Città di Udine, presieduta da Francesca Rodighiero, che ha curato l’accoglienza dei soci.

Poi ha avuto la parola Bruna Zuccolin, presidente dell’ANVGD di Udine. “Mi complimento con questa Accademia – ha detto la Zuccolin – per le varie attività che organizza e per la disponibilità dimostrata a tenere una conferenza sui temi dell’esodo italiano dalla Dalmazia, così poco noto”.

Prima della lezione storica del dottor Bruno Bonetti, segretario dell’ANVGD di Udine, c’è stata una lettura scenica di alcune poesie in dialetto istro-dalmata. È stata Rosalba Meneghini, figlia di un’esule da Rovigno, a leggere con intenso trasporto le liriche su Zara, sulla Dalmazia e su Trieste.

Bonetti ha poi mostrato alcune diapositive in Power Point per corredare la sua originale esposizione basata su anni di ricerche presso di archivi di stato di Venezia, Spalato e di Zara. “Alcuni italiani di Dalmazia – ha detto Bonetti – si trovano lì da secoli, come il mio avo Bartolo Buffalis, morto nel 1129 a Traù, altri dal Trecento o Quattrocento, quindi con pieno diritto di vivere in quelle terre, invece dopo la Grande Guerra hanno dovuto venir via da Curzola, Lesina, Sebenico, Spalato, Traù, perché queste ed altre zone con una minoranza italofona sono state assegnate al Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, poi c’è stato l’esodo del 1943-’44 da Zara che subì 54 bombardamenti aerei angloamericani suggeriti dai titini, per cancellare l’italianità della città, con vestigia romane e veneziane”.

Bruna Zuccolin, presidente ANVGD di Udine, presenta Bruno Bonetti. Fotografia di Elio Varutti

Bonetti si è poi soffermato a illustrare alcune figure politiche e morali come Antonio Bajamonti, sindaco di Spalato a fine dell’Ottocento, sotto l’Austria-Ungheria. “A lui si deve la costruzione dell’Ospedale – ha spiegato Bonetti – del teatro, incendiato dai nazionalisti croati nel 1881 e della fontana neoclassica, demolita dai titini nel 1947, poiché rappresentava l’italianità nella Spalato iugoslava”.

Il relatore non ha nascosto, nel secolo tremendo dei nazionalismi, gli atti di violenza perpetrati dai fascisti nei confronti degli slavi; un atto di equidistanza particolarmente apprezzato dall’uditorio.

Tra il pubblico si sono notate le presenze di alcuni soci ANVGD di Udine, come Elio Varutti, vicepresidente del sodalizio, Livio Sessa, di Trieste, con avi dalmati e parenti di Dignano e Pola, Marco Rensi, con avi di Pedena, Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria e la professoressa Marina Bellina, figlia di un’esule da Fiume. Ha presenziato all’incontro pure la professoressa Renata Capria D’Aronco, presidente del Club UNESCO di Udine e socia ANVGD.

Rosalba Meneghini legge le poesie in dialetto istro-dalmata

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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettore: Bruno Bonetti. Fotografie di Elio Varutti e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

Bruno Bonetti, segretario ANVGD di Udine, relatore alla conferenza: Dalmati italiani, due volte esuli nel 1920 e nel 1944. Fotografia di Elio Varutti


martedì 13 ottobre 2020

Norma Cossetto, 100 anni dalla nascita, cerimonia a Latina, col ricordo di un suo allievo

Riceviamo e pubblichiamo con interesse il resoconto del Ricordo del mondo esule e le celebrazioni di Latina nel LXXVII anniversario dell’uccisione nella foiba della giovane laureanda istriana. Si ringrazia Laura Brussi, esule da Pola, che ci ha inviato la cronaca dell’avvenimento del 5 ottobre 2020. È riportato, prima di tutto, l’esclusivo ricordo di un suo giovane alunno alla scuola media di Parenzo, dove la professoressa Norma Cossetto era stata nominata supplente nell’anno scolastico 1942-1943. L’alunno è Ottavio Sicconi, esule a Latina. Anche le originali fotografie che corredano l’articolo presente, inviateci cortesemente da Laura Brussi, sono inedite ed esclusive. Poche settimane dopo lo scatto di queste immagini, la Cossetto veniva seviziata e uccisa da 17 partigiani titini. - 

Premessa a cura della redazione del blog (Elio Varutti)

Norma e Ottavio Sicconi con gli alunni
    Norma e Ottavio Sicconi con gli alunni. Collezione Laura Brussi
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Ottavio Sicconi ricorda come quella fosse stata “una giornata indimenticabile, all’insegna di canti e giochi. Nulla faceva presagire ciò che accadde dopo pochi mesi! Resta il ricordo indelebile di Norma, con la certezza che dal Cielo continuerà a proteggere i suoi cari ed i suoi alunni”.

Ricorda ancora Sicconi: “A Norma è legato un ricordo affettuoso e straziante: era una ragazza di 23 anni, quasi nostra coetanea, con uno splendente sorriso, sempre disponibile, molto patriottica ed ottimista, con tanta fiducia nel futuro, sia militare che politico. Rammento la sua grande amicizia con la famiglia Visentini, che ebbe due Medaglie d’Oro al Valor Militare: quelle di Mario, Capitano Pilota, e di Licio, Tenente di Vascello, conferite rispettivamente nel cielo di Cheren e nelle acque di Gibilterra. All’epoca, la tradizionale gita scolastica consisteva in una passeggiata alla fine dell’anno. In quell’occasione, ad accompagnarci fu proprio Norma: andammo lungo il mare, facemmo il bagno, cantammo, ed al rientro lei volle fermarsi al ‘Caffè Parentino’ per offrire a tutti un bel gelato. Poi ci salutò con un ampio gesto della mano, dandoci appuntamento per la ripresa autunnale: fu l’ultima volta che la vidi! Come tutti sanno, i  partigiani la infoibarono il 5 ottobre a Villa Surani, dopo indicibili ed allucinanti torture”.

                                        Ottavio Sicconi, alunno di Norma Cossetto

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Nel 2020 si è celebrato il centenario dalla nascita di Norma Cossetto, la giovane patriota istriana seviziata e assassinata dai partigiani comunisti di Tito nel torbido autunno del 1943, ormai assurta a simbolo della tragedia di un intero popolo: in Italia, quello giuliano e dalmata fu il più colpito dalla guerra e dalle sue conseguenze a medio e lungo termine, alla luce dei 20 mila Caduti per cause non belliche e dei suoi 350 mila Esuli, un quarto dei quali destinati all’ulteriore diaspora dell’emigrazione in Pesi lontani a seguito dell’accoglienza non certo ottimale ricevuta troppo spesso da una patria matrigna.

Norma era nata a Santa Domenica di Visinada dove stava preparando la tesi di laurea dedicata alla sua Istria, che avrebbe dovuto discutere a Padova, quando sopravvenne l’armistizio dell’otto settembre 1943 che nelle zone del confine orientale fu immediatamente seguito dalla caccia agli italiani, ancor prima del momentaneo e precario ripristino di una sovranità nazionale largamente affievolita dalla presenza tedesca. Assieme alla famiglia finì subito nel mirino dei partigiani che la sequestrarono e le usarono ogni tipo di violenza prima di infoibarla a Villa Surani nella notte del 5 ottobre assieme a tante altre Vittime innocenti. Le efferatezze furono tanto più forti perché costoro non avevano accettato il rifiuto opposto da Norma alla pretesa di tradire l’Italia e di scegliere un ‘verbo’ oggettivamente perverso: motivo che avrebbe suffragato, in tempi largamente successivi, il conferimento della Medaglia d’Oro ad memoriam per iniziativa del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, avvenuto nel 2006.

Norma Cossetto scatta la foto ai suoi alunni prima di scomparire per sempre. Anno scolastico 1942-'43. Collezione Laura Brussi

La storia di Norma, che oltre a preparare la tesi aveva assunto una supplenza di lettere nella Scuola media di Parenzo dove avrebbe lasciato ricordi indelebili della sua cordiale e affettuosa disponibilità, e che sognava un futuro felice nella sua Istria, è tutta qui. A prescindere dai tanti dettagli circa la nobiltà dei suoi pensieri e dei suoi atteggiamenti, opportunamente memorizzati dai biografi e dagli storici, il suo dramma resta quello di una donna travolta da una vicenda iniqua e dal disegno di pulizia etnica e politica programmata con metodo sicuro dai pretoriani di Tito, non senza l’aggravamento di varianti proprie.

In qualche misura si tratta di una storia breve ma emblematica e di un contributo alla storia di un genocidio che non ha bisogno di soverchi commenti. Non a caso, il nome di Norma è stato affidato al ricordo dei posteri con una lunga serie di monumenti eretti in suo onore, e di titolazioni toponomastiche di luoghi pubblici, non escluse quelle di aule scolastiche, biblioteche, sale comunali e via dicendo. Evidentemente, la sua storia, conclusa da una fine orribile a causa della ‘malefica stella vermiglia’ citata nell’iscrizione del Sacrario di Basovizza, ha colpito l’inconscio collettivo lasciando una traccia indelebile nelle menti e nei cuori di tanti italiani, e promuovendo un ventaglio d’iniziative idoneo a sottolineare la perenne attualità dei valori ‘non negoziabili’ tanto più apprezzabile in un’epoca individualista - se non anche nichilista - come la nostra.

In tale ottica, quella del Cinque Ottobre di Norma è diventata una ricorrenza quasi sacrale, in cui permane una ‘pietas’ non solo rituale per la giovane Vittima dell’odio altrui che lei aveva ricambiato con l’entusiasmo del suo atteggiamento di solare cordialità; ma prima ancora, in cui permane la condivisione dei suoi alti ideali e del suo impegno patriottico, non già a parole, ma nell’ambito della famiglia, dello studio e della professione. In tutta sintesi, si tratta di un esempio idoneo a trascendere il tempo e lo spazio, e da ergersi a modello di vita semplice, e nello stesso tempo, testimone di una forte volontà nell’opposizione a ogni tipo di violenza fisica e morale.

Conviene aggiungere che quella di Norma fu la tragedia di un’intera famiglia, perché la medesima sorte fu riservata al padre Giuseppe: preoccupato per la sua prigionia, e ignaro della fine già sopravvenuta, era rientrato da Trieste e aveva iniziato a cercare la figlia, ma fu intercettato da una banda partigiana e barbaramente ucciso. Eppure, era un uomo giusto che non mancava di sovvenire alle esigenze della sua gente, come emerge da tante testimonianze, a cominciare da quelle dell’altra figlia Licia, che dopo una rocambolesca fuga per l’esilio avrebbe dedicato tutta la vita al ricordo di Norma, fino alla scomparsa che avvenne proprio nel LXX anniversario del suo sacrificio (nel 2013) mentre si stava recando a Trieste per la celebrazione del Cinque Ottobre.

Il centenario di Norma ha consentito a tanti Comuni italiani di ricordare nuovamente Norma assieme al suo esempio; e con lei, la tragedia del suo popolo, alla luce del vecchio auspicio per cui ‘indocti discant et ament meminisse periti’. Un pensiero speciale deve essere riservato a Latina, anche alla luce della sua benemerita accoglienza storica di tanti Esuli e di una forte tradizione nella memorialistica patriottica, testimoniata dai suoi monumenti e dai suoi ricordi. In effetti, la città laziale era stata all’avanguardia, subito dopo l’approvazione della Legge 30 marzo 2004 n. 92, nell’affidare al marmo un pensiero per gli Esuli e gli Infoibati o diversamente massacrati, con alti sentimenti confermati in un’altra pietra appena scoperta per Norma Cossetto in occasione del centenario dalla nascita, quale riconoscimento dei suoi ideali e della sua Medaglia d’Oro.

Latina - Ricordo di Norma Cossetto. Collezione Laura Brussi

Al riguardo, si deve menzionare la cerimonia svoltasi in occasione del LXXVII anniversario dall’atroce scomparsa in foiba (5 ottobre), alla presenza di Autorità civili e militari e delle Associazioni d’Arma, con l’intervento del Sindaco Damiano Coletta, che non ha mancato di onorare il messaggio di fedeltà ai valori civili, culturali e umani di Norma e all’alto esempio che seppe offrire alle comuni riflessioni; e con quello di Piero Simoneschi, che ha evocato il doloroso ma eroico calvario della Martire istriana fino all’olocausto della vita; per finire con la celebre ‘Preghiera dell’Infoibato’ scritta da Mons. Antonio Santin, letta con evidente commozione da Ottavio Sicconi, Esule da Parenzo, che era stato allievo di Norma durante il suo ultimo anno di insegnamento, e che ne ha dato testimonianze coinvolgenti e indimenticabili.

Il ringraziamento a Latina deve intendersi simbolicamente esteso a tutte le Città che hanno assunto decisioni analoghe, lungi da ogni intento meramente formale o celebrativo, ancorché meritorio, ma nella consapevolezza di proporre l’obbligo di non dimenticare alla stregua di un adeguato senso civico e di una riflessione davvero propositiva: come avrebbe detto David Ben Gurion, un popolo senza ricordo è un popolo senza futuro.

Oggi non è infondato chiedersi come mai Norma sia diventata un simbolo del dramma vissuto da almeno Ventimila Vittime infoibate o diversamente massacrate dai partigiani di Tito. Si tratta di una domanda legittima, tanto più che almeno settecento donne (per non parlare di tanti minori), come da pertinente ricerca di Giuseppina Mellace, conobbero lo stesso destino nefando, spesso con la tremenda fine in foiba che non sempre era immediata, come è emerso dalle testimonianze di chi udiva per giorni le urla disperate provenienti dagli anfratti del terreno. La risposta non è difficile: Norma era buona, bella e colta, apparteneva a famiglia importante, e si affacciava alla vita con tutte le speranze dei suoi giovani anni, troncate sul nascere dalla protervia criminale dei suoi diciassette aguzzini.

Come la sorella Licia non si stancava di ripetere nel corso delle innumerevoli iniziative in memoria di Norma a cui ha partecipato durante tutta la vita, costoro erano tutti italiani al servizio degli slavi: dopo la rapida riconquista dell’Istria da parte tedesca furono prontamente catturati, riconosciuti e costretti a vegliare le Spoglie mortali di Norma (appena recuperate dalla foiba ad opera della squadra di Vigili del Fuoco comandata dall’eroico Maresciallo Harzarich) durante la notte precedente la fucilazione. Al lume di candela, in un’atmosfera resa surreale dalla paura e dall’ambiente, tre di loro impazzirono ma non furono risparmiati: la Nemesi di carducciana memoria aveva colpito senza sconti.

Cartolina di Parenzo, anni '30. Collezione privata, Udine

L’appartenenza degli assassini all’etnia italiana la dice lunga circa le matrici di una tragedia tanto più assurda qualora si pensi che la famiglia Cossetto non aveva mancato di esercitare ampie attività benefattrici a vantaggio di tutti, vanificando le ipotesi formulate a posteriori sul ‘fumus’ di vendetta che avrebbe caratterizzato le agghiaccianti soppressioni in foiba, che appartenevano - invece - al disegno di pulizia etnica programmato da Belgrado ed eseguito senza remore, come fu ammesso in tempi successivi da massimi luogotenenti di Tito del calibro di Edvard Kardelj e Milovan Djilas.

Tutto ciò avrebbe contribuito in misura importante al ricordo di Norma come martire dell’italianità, ma prima ancora, della civiltà; poi le notizie circa il suo comportamento eroico hanno fatto il resto, suffragando gli onori che le furono, le sono e le saranno resi, a cominciare dalla Medaglia d’Oro del Quirinale.

Norma Cossetto ha pagato con la vita il suo impegno per l’Italia, per la giustizia e per la libertà, come è stato ricordato sulle pietre che l’Università patavina le ha dedicato a più riprese, unitamente alla laurea “honoris causa” conferita nel 1949 per iniziativa del Prof. Concetto Marchesi e per decisione unanime del Senato Accademico: il grande latinista militava nel Partito Comunista Italiano ma era un uomo giusto che aveva compreso il dramma della sua allieva senza la benché minima simpatia per gli assassini.

Giorni orsono, l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Assisi ha volgarmente insinuato che Norma è stata una ‘presunta’ Martire delle foibe, alludendo non già al fatto incontestabile confermato dal citato recupero negli anfratti del terreno ad opera dei Vigili, ma al triste destino di tanti prigionieri che nulla poterono opporre alla protervia dei torturatori. Ebbene, gli infaticabili ‘presunti’ partigiani hanno commesso un altro errore, non senza offendere, oltre a quella di Norma, anche la memoria del Presidente Ciampi: infatti, tutti dovrebbero sapere che la Medaglia d’Oro fu conferita proprio alla luce del nobile comportamento assunto dalla Martire davanti al nemico, e del rifiuto di impossibili collaborazioni.

Quel grande sacrificio non è stato moralmente vano, perché ha consentito di meditare sulle motivazioni e sul valore di scelte come quella di Norma, che fu capace di escludere l’ipotesi di ogni compromesso e di ripudiare ‘le vie dell’iniquità’ di cui alla citata preghiera di Mons. Antonio Santin, Vescovo di Trieste e Capodistria in quella stagione disumana. In effetti, il male è sempre in agguato ma l’esempio dei Martiri che non vollero piegarsi alla violenza istituzionale, alla tortura più nefanda e all’ateismo di Stato è destinato a dare frutti copiosi: soprattutto se quelle meditazioni sapranno indurre una “volontà generale” idonea a spostare l’ardua frontiera del possibile.

Laura Brussi, Volontariato per non dimenticare

Norma Cossetto

Ecco una toccante video-testimonianza di Licia Cossetto, sorella di Norma; clicca qui. Da youtube.
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Testi di Laura Brussi. Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

lunedì 5 ottobre 2020

Il congrès di Flumisel La Vila de Societât Filologjiche Furlane pal 2020

Inte Ete dal Covid-19 la Societât Filologjiche Furlane e je rivade istès di meti adun il 97 in Congrès dai socis. Al è capitât a Flumisel La Vila, che par talian al sarès “Fiumicello-Villa Vicentina”. La riunion in presince si è davuelzude inte sale “Bison”, ai 4 di Otubar dal 2020. Prime si è tacât, a lis 9, cu la messe inte glesie di San Valantin, celebrade di don Dario Franco, cun mascarinis, savon licuit pes mans, distanziament sociâl e librut di preieris discjamât via email.

Flumisel La Vila - Intervent de sindiche Laura Sgobin; tal mieç Federico Vicario e, in bande, Ferruccio Tassin

A lis 10 in plaçâl dai Tigli si è sintût e viodût il bon acet in musiche par cure de bande “Tita Michelas”, direzude dal mestri Giorgio Cannistrà. Daspò i socis a si son metûts in file par jentrâ te sale dal congrès. No son plui i timps di salis plenis di int. Cumò si jentre dopo di vê misurât la fiere. Chei de Protezion Civîl (guai se a no fossin!) a ti metin in rie tant che tancj fantacins a un metri di distance un di chel altri. Dopo si à di scrivi un modul plen di crosutis. La uniche robe che no mi àn domandât al è il numar des scarpis, pal rest chei di Flumisel La Vila a san dut di me… ancje se ài spudacjât îr di sere.

Si è davuelzût cussì a Flumisel La Vila il 97in congrès de Societât Filologjiche Furlane, nassude a Gurize tal 1919. Si che duncje al si è passât il 100in inovâl de socie simpri plui indaûr a butâsi su lis ativitâts telematichis. Pensait che ae Scuele di Avost, dulà che par solit a erin 100 iscrits in presince, chest an, che si faseve dut su le taule on line (midiant Internet) i iscrits insegnants a son stâts passe 300 di lôr.

A àn cjantât te sale “Bison” di Vie Gramsci, chei dal grup corâl “Lorenzo Perosi”, direzût dal mestri Fulvia Miniussi. Oltri a Stelutis Alpinis di Arturo Zardini a si son scoltadis lis cjantis di chescj artiscj: Narcisio Miniussi, Cecilia Seghizzi e altris.

La bande "Tita Michelas"

Aes 11 e à tacât il congrès cul salût dai sorestants. E à cjacarât in marilenghe, par prime, il sindic di Flumisel La Vila, Laura Sgubin, dute braurose di ospitâ la Filologjiche pe prime volte. La Sgubin è à fevelât di “une ocasion di identitât pal paîs di Ugo Pellis, autôr dal Atlant Linguistic Italian”. Flumisel La Vila al è impuartant propit parcè che al è il teritori là ch’al nassè Ugo Pellis (1882-1943), benemerit dai studis furlans e un dai paris de Societât Filologjiche Furlane. Lui al è stât president de socie dal 1920 al 1923. Al à puartât il salût par furlan ai socis Tiziano Portelli, president de Cjasse rurâl dal Friûl Vignesie Julie.

Piero Mauro Zanin, president dal Consei regjonâl dal Friûl Vignesie Julie, al à fat un discors par talian. “Riconosco – al à dit – che la Società Filologica Friulana ha sviluppato e valorizzato la lingua friulana e il sentimento di appartenenza territoriale; è importante che il friulano sia insegnato nelle scuole”. Zanin al à ancje memoreât la cressite des oris in marilenghe tes trasmissions de Rai in radio e, buine gnove, la scree par television. Zanin al à ancje berghelât par fâ nassi un centri di produzion de RAI par furlan a Udin, par fâ il telegjornâl in marilenghe, tant ce che a fasin pai slovens.

Guido Germano Pettarin, deputât de Republiche elet a Flumisel, al à dit di “difindi la nestre lenghe, parcè che o sin furlans e europeans”. Pettarin al si bat tal parlament talian parcè che si voti la Cjarte europeane des lenghis minoritariis jenfri il 2023.

Grup corâl “Lorenzo Perosi”, direzût dal mestri Fulvia Miniussi

L’intervent centrâl “intun contest cussì dificil” al è stât la relazion dal professôr Federico Vicario, president de Societât Filologjiche Furlane. “O saludi ducj i rapresentants des istituzions furlanis – al à zontât Vicario – ch’a son chi cun nô. Dutis istituzions simpri dongje al nestri Istitût par ativâ colaborazions e inviâ progjets a pro de comunitât”. Tra lis variis esponents politics si è viodût Fabrizio Cigolot, assessôr ae Culture dal Comun di Udin; ancje Pordenon e Gurize a erin rapresentadis.  Daspò Vicario al à memoreât il ricercjadôr de universitât Giulio Regeni, copât dai polizais in Egjit, cence che nus contin la veretât; in sale a erin presints i gjenitôrs di Giulio ancjemò in spiete di justizie.

A chest pont al è stât presentât cuntun snait dut particolâr il Numar Unic “Flumisel La Vila” par cure di Ferruccio Tassin, un libri plen di gnovis sul paîs. Si fevele di 550 pagjinis, cun 40 contribûts scrits di passe 30 autôrs su la storie, l’ambient e la int dal teritori. Il program al proviodeve ancje un intervent di Nedi Tonzar cul titul: “Flumisel La Vila, di dulà che al ven, dulà che al va. Parcè visâsi dal ambient”. Il libri al è stât une vore agradît dal public.

Il regjist Dorino Minigutti (ultin a drete inte fotografie su disore) al à presentât, par talian, il so documentari “Ugo Pellis e l’Atlante della memoria”. Dilunc di dôs seradis a Flumisel (Sale Bison, martars ai 6 di Otubar dal 2020) e a La Vila (Sale Polifunzionâl, martars ai 13 di Otubar) al vignarà ancje presentât il Numar Unic "Flumisel La Vila".

Il gustâ in compagnie si è tignût li dal ristorant “Ragno d’Oro”, par passe 50 di lôr. Dopo di gustât, a lis cuatri: su la mascarine e vie a cjase. Apontament pal 2021, cul 98in congrès, a Vençon. Cence Covid-19, sperin!

                    Al fevele Vicario

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Servizi gjornalistic, fotografic e di butâ dentri tal blog in Internet ("networking") par cure di Elio Varutti. Letôr: Sebastiano Pio Zucchiatti. Graciis a Feliciano Medeot, diretôr de Societât Filologjiche Furlane.


IL DISCORS DAL PRESIDENT AL CONGRÈS DI FLUMISEL LA VILA  Flumisel La Vila, ai 4 di Otubar dal 2020, par leilu, frache culì.

mercoledì 30 settembre 2020

Udine, alla UTE, Corso di Sociologia del Ricordo. Esodo giuliano dalmata

UDINE, lunedì 12.10.2020 ore 16 - Inaugurazione del Corso di SOCIOLOGIA DEL RICORDO. ESODO GIULIANO DALMATA all’Università della Terza Età. Ingresso riservato solo agli iscritti dell’Anno Accademico 2020-2021, Aula Magna 2, Viale Ungheria, 18. Dalle ore 16 alle 16,50. Il corso semestrale si terrà ogni lunedì fino al 25.1.2021. Prof. Elio Varutti. Dall'8 febbraio 2021 il corso è on line, su Zoom, per informazioni telefono 0432. 1721619 (segreteria UTE di Udine).


Programma preventivo. Dal concetto di esodo degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, si passa a comprendere la storia e la geografia delle terre perse. Si conoscerà l'esodo italiano degli anni Venti dalla Dalmazia, passata alla Jugoslavia. Poi la guerra, coi 54 bombardamenti di Zara, l'esodo e l'uccisione nelle foibe del 1943 da parte dei titini. L’occupazione titina di Trieste, di Gorizia del 1945. Il corso si avvale di varie testimonianze sull’accoglienza in Friuli e nel resto d'Italia. Si scopriranno il Villaggio giuliano di S. Giorgio di Nogaro, Il Centro di Smistamento Profughi, il Villaggio Metallico e i 4 Villaggi giuliani di Udine. Si chiuderà con questi temi: L’ANVGD di Udine e il Giorno del Ricordo in dimensione europea. Itinerario giuliano a Udine. Camminate del Ricordo nel segno della pace. Durante le lezioni verranno presentati dei libri sul tema con la presenza degli autori.

martedì 14 aprile 2020

L’esodo da Veglia di Celina Maracich, esule in Toscana

Certi esuli preferiscono dimenticare tutto e andare avanti. Lasciano perdere, per non avere rancori, per non riaccendere i dolori e i patimenti subiti, forse perché erano molto giovani durante la seconda guerra mondiale. Mi è sembrato il caso di Celina Maracich Pardi, nata a Veglia nel 1933 ed esule a Ripafratta di San Giuliano Terme (PI). “Son venuta via da Veglia il 19 marzo 1949, avevo 16 anni – inizia così il racconto della testimone – con me c’erano la mia mamma Maria Fiorentin e il babbo Giovanni Maracich, nati alla fine dell’Ottocento”. La signora Celina è la sorella di Maria Maracich, scappata clandestina nel 1944 con una zia e le cugine, per sfuggire dalle grinfie dei titini e dei nazisti di cui ho già descritto la sua esperienza nel 2016.
La scuola italiana di Veglia nel 1920. Fonte: da Internet

Celina, Mario e Maria Maracich, sono tre fratelli che, con i genitori e parenti vari, fanno parte di quel gruppo di esuli di Veglia (Krk, in croato) definiti “italiani all’estero”, in quanto nati in un’entità statale diversa dall’Italia, anche se molto vicina territorialmente a Fiume e al Regno d’Italia. Bisogna accennare al fatto che, nel mese di aprile 1941, l’Italia di Mussolini, con truppe di altri stati, invade la Jugoslavia, che adotta tale denominazione dal 1929. Gli italiani di Veglia vengono evacuati fino a Verona, per tre settimane. Si tratta di oltre 1.500 individui. Gli optanti alla cittadinanza italiana a Veglia città, nel 1927, sono 1.162. Poi l’isola è annessa all’Italia, fino al 1943, quando arrivano i partigiani di Tito e i nazisti che la riprendono per poco tempo. Oggi fa parte della Croazia.
“Ricordo che si andava a messa nella chiesa di San Quirino, vicino al Duomo – aggiunge Celina Maracich – e la funzione era in italiano; avevamo le scuole italiane e il Consolato italiano in città, poi noi con l’esodo si fa tappa al Centro smistamento profughi di Udine”.
Come mai siete finiti in Toscana? “Mio fratello don Mario Maracich, nato nel 1925, dopo l’esodo studia a Udine, Venezia e poi a Pisa, dove dal 1948 è arcivescovo monsignor Ugo Camozzo, prima vescovo di Fiume – risponde la signora Celina – così, per motivi di famiglia, ci hanno destinato al Centro raccolta profughi  (CRP) di Migliarino Pisano, dove mia sorella Maria si è sposata nel 1950, mentre il mio matrimonio è del 1960 ed a Ripafratta è cominciata un’altra vita. Certo, ho perso tutti gli amici d’infanzia e a Veglia sono ritornata una volta sola nel 1986 con mia sorella, il cognato e il marito”.
Perché siete andati a Ripafratta? “Mons. Camozzo, nel 1951, assegna la parrocchia a mio fratello don Mario Maracich proprio lì – replica la signora – così noi siamo potuti uscire dal CRP di Migliarino Pisano, dato che siamo andati a vivere in canonica. Il babbo si lamentava, perché essendo emigrato negli Stati Uniti d’America, negli anni ’20, aveva guadagnato i soldi per comprarsi la casa a Veglia, poi abbiamo perso tutto. Papà sperava che gli dessero un indennizzo per i beni perduti, ma non ha avuto mai nulla. Don Mario ha vissuto con me per 22 anni ed è deceduto nel 2006, è stato un parroco benvoluto da tutti, perché ricordava proprio il prete di campagna vicino alla sua gente”.
Dove sono oggi i suoi parenti? “Oggi mi ritrovo con una nipote in Australia – conclude Celina Maracich – ed altri parenti in Olanda e in Finlandia; eh già, gli istriani, fiumani e dalmati sono sparsi per il mondo".
Cartolina di Veglia con porta Pisana, ricordo delle Repubbliche marinare: Venezia, Pisa, Amalfi e Genova


Nota storico-geografica. Tante bandiere, un campanile
La basilica romanica di San Quirino, a Veglia (Krk) è appoggiata alla cattedrale, notevole monumento architettonico della città, come ha scritto Zdenko Šenoa, pag. 47. Tale basilica reca dei ricchi ornamenti plastici sulle facciate e frammenti di dipinti murali in stile romanico. La cattedrale, originariamente basilica paleocristiana, è un edificio a tre navate, costruito e ampliato a più riprese. Fabbricata nelle forme attuali all’inizio del XII secolo, ha un campanile eretto tra il XVI e il XVII secolo. Nella navata di sinistra è situata a Cappella dei Frankopani, del XV secolo, con volta gotica a rete. Tra le varie opere notevoli si nota la Deposizione di Cristo di Giovanni Antonio Pordenone nel cappella in fondo alla navata destra. Veglia (Krk) è l’antica Splendidissima civitas Curictarum, che in epoca romana era un abitato con amministrazione municipale. Dal VI secolo è sede vescovile. La dedizione di Veglia a Venezia è del 1481, mentre l’Istria e il Friuli lo fanno nel 1420. Nel 1797, col Trattato di Campoformido, Veglia passa all’Austria come le Isole quarnerine (Cherso e Lussino), per volere di Napoleone. Nel 1805, dopo la cosiddetta terza coalizione contro Napoleone, divenuto imperatore dei francesi il 2 dicembre 1804, l’Austria perde Venezia e Dalmazia (con Veglia) passate al Regno d’Italia, la corona del quale è di Napoleone stesso. Nel 1809 sorge lo stato napoleonico delle Provincie Illiriche dell’Impero francese con Trieste, Pola, Fiume (Isole quarnerine incluse), Zara, Spalato e Ragusa, con capitale Lubiana. Le Provincie Illiriche dell’Impero francese (1809-1813), comprendono l’Istria, Dalmazia, Ragusa, Cattaro, con ampie presenze di italofoni, assieme a Carinzia (Austria), Carniola (Slovenia) e a una parte della Croazia, con le quali le prime entità, in precedenza, nulla avevano avuto a che fare, secondo Flavio Fiorentin. L’effimero stato franco-imperiale si sgretola nel 1813, con la disfatta di Napoleone, Veglia ripassa all’Austria-Ungheria, che la possiede sino al 1918, al termine della Grande Guerra. Nel 1919 Veglia è occupata dai Legionari di D’Annunzio e, per qualche tempo, fa parte della Reggenza italiana del Carnaro. Poi è parte di un nuovo stato: il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, che muta denominazione in Jugoslavia nel 1929. Come già accennato Veglia è occupata e annessa al Regno d’Italia nel 1941 fino al 1943, con l’arrivo dei partigiani di Tito, che l’assegnano alla Jugoslavia. Al discioglimento iugoslavo, nel 1991, Veglia diventa croata.

Le cartoline di Veglia
Oltre che di editori asburgici, molte cartoline illustrate di Veglia, prodotte sin dal 1896, sono opera con tutta probabilità del fotografo Ilario Carposio. Nato a Trento nel 1852, Carposio muore a Fiume nel 1921. Quale fotografo di Fiume, attivo dal 1869, è menzionato nelle raccolte fotografiche del Museo Marittimo e Storico del Litorale Croato di Fiume, come sostiene Margita Cvijetinović Starac, curatrice delle collezioni fotografiche del Museo di Fiume. Nel 1869 Carposio fotografa la visita a Fiume dell’Imperatore Francesco Giuseppe e la visita imperiale alla Raffineria del 1891. Esegue dei ritratti a tale Germana Canarich, nel 1889, con dicitura: “Cherso, Fiume” (Arch. Anvgd, UD), dimostrando di avere uno stabilimento fotografico a Cherso, isola vicina a Veglia, nel Golfo del Quarnero.
L'Isola di Veglia, in alto, vicino a Fiume

Fonte orale
Celina Maracich Pardi, Veglia 1933, vive a Ripafratta di San Giuliano Terme (PI), intervista telefonica di Elio Varutti del 14 aprile 2020. L’autore ringrazia il signor Roberto Loru per la collaborazione ricevuta.

Sitologia e bibliografia

- Flavio Fiorentin, L’eredità del Leone, dal Trattato di Campoformio (1797) alla Prima Guerra Mondiale (1918), Udine, Aviani & Aviani, 2018.
- Lauro Giorgolo, “50 anni di sacerdozio di don Mario Maracich, di Veglia”, «Il Dalmata», IV, n. 3, maggio 2000, p. 10.
- Maria Maracich, Il Viaggio di Meri, Codroipo (UD), Edizioni Beltramini, 2013.
- Zdenko Šenoa, Litorale jugoslavo. Guida e atlante. Trieste, Lukovo, Cres, Lošinj, Krk, traduz. italiana di Dušanka e Roberto Orlandi, Jugoslavenski Leksikografski Zavod, Zagreb, 1971.
- E. Varutti, Il viaggio di Meri. Esodo da Veglia, 1944, on line dal 21 febbraio 2016.

Musei e Archivi citati
- Archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine.
- Museo Marittimo e Storico del Litorale Croato di Fiume (Croazia).
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.