giovedì 31 gennaio 2019

Ariel Haddad, rabbino della Slovenia, parla della Shoah. Giorno della Memoria a Udine sud


È stato Guglielmo Cocco, delegato pastorale della parrocchia di S. Pio X, a Udine, ad aprire l’originale Giorno della Memoria il 29 gennaio 2019. “La Shoah ci tocca proprio da vicino e voglio ricordare che mio nonno ospitò una famiglia di ebrei – ha detto Cocco – evitando loro la deportazione nazista”. Poi ha accennato all’assenza di don Maurizio Michelutti, parroco di S. Pio X, sostituito in sala da don Pietro Giassi, vice parroco. L’invito in sala riportava comunque il contributo di don Maurizio Michelutti, riportato alla fine di questo articolo del blog.
Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine porta il saluto all’incontro sul Giorno della Memoria in S. Pio X del 29.1.2019, vicino a don Pietro Giassi, vice parroco, Ariel Haddad, rabbino della Slovenia e direttore del Museo della Comunità Ebraica di Trieste "Carlo e Vera Wagner", Tiziana Menotti e Elio Varutti. Fotografia di Leoleo Lulu

Ha avuto la parola in seguito Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine, che ha patrocinato l’iniziativa. “Abbiamo coordinato volentieri vari incontri per il Giorno della Memoria – ha detto Cigolot – in collegamento alla mostra “Aurelio e Melania Mistruzzi Giusti tra le Nazioni” visitabile, fino al 17 febbraio 2019 e proprio all’inaugurazione di tale mostra abbiamo conosciuto la signora Lea Polgar, che quando aveva dieci anni, fu salvata dalle retate naziste a Roma dai coniugi Mistruzzi, dichiarati poi Giusti tra le Nazioni”.
Cigolot, che ha portato il saluto del sindaco Pietro Fontanini, ha concluso con una riflessione incentrata sul fatto che “è proprio vero che non possiamo nascondere l’umanità”. 
Marco Balestra, presidente dell’Associazione Nazionale Ex Deportati politici (ANED) di Udine, si è complimentato con gli organizzatori della serata, divenuta una ormai tradizione, primo fra tutti il gruppo culturale parrocchiale di S. Pio X. Poi Balestra ha ricordato di “lanciare tanti messaggi per scuotere le cosciente assopite, puntando sui giovani che danno molte risposte positive sul tema della Shoah”.
Marco Balestra, presidente dell’ANED di Udine. Fotografia di Leoleo Lulu

Un intervento molto seguito e con una impostazione teologica è stato quello di don Pietro Giassi, vice parroco di S. Pio X. “Mi sono chiesto che cos’è il Giorno della Memoria per me – ha detto don Giassi – allora sono andato a cercare le parole del profeta Isaia per capire che dobbiamo guardare qual è la strada buona da seguire”.
Ariel Haddad, rabbino della Slovenia e direttore del Museo della Comunità Ebraica di Trieste "Carlo e Vera Wagner", ha effettuato l’intervento più atteso. Si è domandato se ci sia dell’antisemitismo in Europa. La sua risposta è che “l’antisemitismo non è stato sradicato, anzi resta nei pregiudizi e nelle equazioni dell’ebreo ricco, intelligente e di successo, fino ad arrivare a ripescare il falso documento dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion sugli ebrei che desideravano dominare il mondo, oppure sul concetto di razza e di creazione del nemico”.
Sono solo alcuni cenni all’articolato e complesso discorso del rabbino, che ha concluso il suo intervento citando Primo Levi sull’indifferenza provata dalle persone circa i primi atti di persecuzione razziale avvenuti in Italia, dopo le Leggi razziali del 1938.
Sono seguiti gli interventi con diapositive in Power Point della studiosa Tiziana Menotti sul “Ghetto di Varsavia” e di Elio Varutti su “Ebrei iugoslavi salvati dall’Esercito italiano al Campo di concentramento di Arbe, Dalmazia”, cui si rinvia ai brani tratti dal depliant di sala pubblicati poco sotto.
Don Pietro Giassi, Ariel Haddad, rabbino della Slovenia e Tiziana Menotti. Fotografia di Leoleo Lulu
--
Si riportano qui di seguito, a cura della redazione del blog, gli interventi dei quattro relatori al Giorno della Memoria, svoltosi la sera del 29 gennaio 2019, nella parrocchia di S. Pio X a Udine, predisposti per il biglietto col programma di sala.

Saluto del Parroco don Michelutti nel Giorno della Memoria 2019
Carissimi, la comunità parrocchiale di S. Pio X in Udine, con grande disponibilità accoglie la proposta di ospitare l’incontro in occasione del Giorno della Memoria 2019.
Parlare di Memoria riguardo ad un evento difficile e drammatico che ha toccato persone e luoghi non è un semplice “ricordare” qualcosa che è avvenuto nel passato ma, come esprime in modo più significativo e vivo il concetto biblico del “memoriale”, è ripresentare, rinnovare, rendere nuovo ed effettivamente presente nell’oggi quell’evento accaduto tanto tempo fa.
Un pesachim  ebraico della notte di Pasqua, parte del racconto che il padre di famiglia fa ai figli circa l’evento della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, afferma che “in ogni generazione, ognuno deve considerare se stesso come se egli in persona fosse uscito, quella notte, dall’Egitto”.
Penso e mi auguro che questa giornata davvero speciale sia una giornata “memoriale”, l’opportunità di riflettere e soprattutto rivivere in prima persona quegli eventi del passato, per riprendere in mano la nostra umanità e renderla più umana, nuova e aperta ad orizzonti di pace che soli producono, nel cuore dell’uomo, quella speranza che desidera fortemente e giustamente che eventi così tristi e tragici non succedano mai più.
Buon lavoro a tutti coloro che con passione e competenza ci offrono questo importante evento e un grazie di cuore a tutti coloro che, a qualsiasi livello, rendono possibile questo incontro-esperienza di profonda umanità.
Don Maurizio Michelutti, parroco di S. Pio X, Udine.

Guglielmo Cocco, delegato pastorale di S. Pio X di Udine. Fotografia di Leoleo Lulu

Le Leggi Razziste del 1938
Qualche settimana dopo il giro di boa del nuovo anno, il 2019, ci si volta indietro e si pensa ai significati di quello passato.
Dal punto di vista storico si può dire che due eventi di rilevanza fondamentale per l’Italia hanno visto nel 2018 un anniversario fondamentale. Il primo, dal punto di vista cronologico, è il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. Il secondo è l’Ottantesimo Anno dalla promulgazione delle Leggi Razziste (o razziali che dir si voglia).
Non c’è dubbio che per quanto riguarda la Comunità Ebraica italiana le Leggi Razziste promulgate dal governo di Mussolini sanciscono una frattura insanabile tra l’ebraismo italiano e la sua patria. Gli ebrei italiani, negli anni del Risorgimento e dell’Italia liberale avevano partecipato con ardore alla costruzione di uno stato liberale e moderno. Negli anni del Fascismo, invece, vedono le loro esistenze prima minacciate, poi limitate, sopraffatte, derubate, umiliate e annientate.
Coloro che contribuirono con speranza alla costruzione della Nazione, si videro da essa stessa respinti e obliterati.
La genesi di queste Leggi affonda le sue radici filosofiche e storiche in un coagulo di motivazioni che, sorprendentemente, si fanno beffe delle idee di modernità democrazia e uguaglianza che il mondo moderno sembrava aver fatto definitivamente proprie, scagliando gli ebrei d’Europa nell’incubo del genocidio di massa oramai conosciuto come Shoah. Non si può non pensare a quanto siamo vicini all’oblio di quegli anni.
Ariel Haddad, rabbino della Slovenia e direttore del Museo della Comunità Ebraica di Trieste "Carlo e Vera Wagner".
 Il pubblico in sala. Fotografia di E. Varutti


Tra i grattacieli di Varsavia. Ciò che resta del ghetto più grande d'Europa
Prima del 1939, a Varsavia viveva la comunità ebraica più grande d'Europa con circa 400.000 unità. Nel marzo 1940 i nazisti ordinarono di recintare la zona abitata tradizionalmente dagli ebrei. L'operazione terminò il 16 novembre 1940, quando il ghetto, indicato ufficialmente come quartiere residenziale ebraico, fu chiuso definitivamente. Il ghetto di Varsavia era il più grande d'Europa anche per superficie (4 km²). Il muro che lo delimitava era alto 3 metri e lungo 18 chilometri. Nel ghetto vennero inglobate 73 delle 1800 vie della città comprendenti 27.000 appartamenti, un cimitero, un campo sportivo, 14 orfanotrofi, alcuni teatri, negozi e ristoranti di lusso per gli ebrei facoltosi. L'estensione del ghetto subì vari ridimensionamenti. Nel 1941 furono creati il ghetto piccolo (100.000 ebrei) e il ghetto grande (300.000 ebrei).
Nel ghetto imperversavano la fame, le malattie e la morte. Nel 1941 vi morirono circa 100.000 persone. Il 22 luglio 1942 iniziò la “Grande Operazione“, la deportazione, durata quasi 2 mesi, di circa 265.000 ebrei nel vicino campo di sterminio di Treblinka, attivo dal 23 luglio 1942. Ogni giorno venivano deportate dalle 2000 alle 13.500 persone che morivano subito dopo l'arrivo nel lager. Tra il 18 e il 22 gennaio 1943, in occasione dell'ennesimo tentativo di deportazione, gli ebrei si difesero per la prima volta con le armi. La rivolta culminò con l'eroica insurrezione del ghetto di Varsavia (19 aprile -16 maggio 1943), che costò la vita ai circa 60.000 ebrei sopravvissuti alla deportazione. Il ghetto di Varsavia è andato completamente distrutto. Al suo posto, oltre a un  frammento di muro e ad alcune tracce dei suoi vecchi confini sparse tra i grattacieli della città, si snoda un commovente percorso della Memoria che accompagna il visitatore fino alla Umschlagplatz, nella parte più a nord del grande ghetto, da dove partivano ogni giorno i convogli diretti a Treblinka con il loro carico umano destinato alle camere a gas. Tiziana Menotti.
 L'intervento di Tiziana Menotti. Fotografia di Germano Vidussi
Ebrei iugoslavi salvati dall’Esercito italiano al Campo di concentramento di Arbe, Dalmazia


Non pare neanche vero che un lager possa salvare delle vite. Bisogna dire che l’Italia fascista, con la Germania, invade la Jugoslavia nel 1941. Nelle zone di occupazione italiana e in altre parti vengono relegati nei campi di concentramento gli allogeni, come vengono chiamati gli sloveni o i croati dissidenti o ribelli.
Succede altresì che, dal 1941 al 1943, al Campo di concentramento dell’Isola di Arbe, in Dalmazia, l’Esercito Italiano sottrae 2.180 ebrei iugoslavi dalle grinfie del nazisti e degli ustascia croati.  Per i piani di Hitler dovevano finire essi ad Auschwitz, noto Campo di sterminio. È una storia poco nota. Certi storici sono stai troppo impegnati a glorificare i vincitori, oscurando la figura dell’italiano-brava gente.
Le cose cambiano dopo il 1989, con la Caduta del Muro di Berlino e il venir meno delle ideologie. Con la Legge italiana del 20 luglio 2000, n. 211, istitutiva del Giorno della Memoria e dalla analoga risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, c’è più consapevolezza sul tema della Shoah. Così si fa chiarezza e si rende giustizia a quegli ufficiali italiani che, rischiando la vita, si sono prodigati per evitare la deportazione di migliaia di ebrei balcanici. Elio Varutti.
Il pubblico in sala poco prima dell'inizio. Fotografia di E. Varutti
--

Il Giorno della Memoria a Udine sud è stato organizzato dal gruppo culturale della Parrocchia di S. Pio X di Udine, in collaborazione con l'Associazione Insieme con Noi, il Gruppo Alpini Udine Sud e il patrocinio del Comune di Udine col titolo generale: La Shoah a Udine sud. Luoghi e storie fra deportazioni e campi di concentramento. Impaginazione e grafica del biglietto di sala a cura di Anna Del Fabbro.

Si ricorda che la mostra “Aurelio e Melania Mistruzzi Giusti tra le Nazioni” è visitabile, fino al 17 febbraio 2019, il venerdì a ingresso libero dalle ore 14,30 alle 17,30, oltre al sabato e domenica dalle ore 10 alle 13 e dalle 14 alle 17,30 a Palazzo Morpurgo, in Via Savorgnana a Udine.
--

Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Grazie a Anna Del Fabbro per la grafica del volantino. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo, come quella di Leoleo Lulu, di Germano Vidussi e di E. Varutti

martedì 29 gennaio 2019

Arsia, città mineraria 1936. Prospettive turistiche del Terzo millennio, libro di Racovaz


Grazie alle esaurienti ricerche archivistiche “alla raccolta di notizie per il tramite dei racconti degli abitanti – scrive nella Prefazione al volume presente Glorija Paliska Bolterstein, sindaco del Comune di Raša (Arsia) – alla localizzazione dei vari edifici e contenuti con l’aiuto delle fotografie, all’analisi dell’odierno patrimonio e al faticoso lavoro in situ, è nata quest’opera dedicata principalmente all’illustrazione delle particolarità edilizie di Arsia”.
La copertina del volume

Certo, avrà insistito molto nella scelta editoriale incentrata sugli aspetti edili il fatto che Rinaldo Racovaz è un geometra. È quasi una sua deformazione professionale soffermarsi sulle opere di bonifica, sull’acquedotto, sulla centrale termoelettrica di Vlaska, sulle risorse minerarie dell’area e sulla fondazione della città. La parte più affascinante per i saltafossi (è così che venivano chiamati in Friuli dai coetanei gli studenti e i diplomati geometri) è la seconda metà del testo ricco di tante fotografie. 
Qui vengono descritti la direzione dei lavori, il cantiere, gli edifici residenziali, gli artisti di Arsia, oltre alle caratteristiche morfologiche del nuovo Comune, sorto nel 1937. Ci sono i particolari costruttivi dei pavimenti in piastrelle, delle porte, con tanto di maniglia fotografata a parte, oppure il solaio della famosa chiesa col tetto a forma di vagone minerario rovesciato, in onore dei minatori.
Panorama di Arsia nel 1939

Il volume è perfettamente bilingue: italiano e croato.  Tra gli artisti e i professionisti che lavorano ad Arsia nel 1936-1937 troviamo Ugo Carà pittore, Marcello Mascherini scultore, Gustavo Pulitzer Finali architetto, gli sloveni Zorko Lah e Franjo Kosovel architetti e Eugen Kokot pittore. L’autore riesce a sfatare i dati trionfanti del regime, con documenti alla mano, come le Relazioni mensili, inviate dalla Società ARSA al prefetto Cimoroni sull’andamento dei lavori di edificazione. Secondo il regime ed i giornali del tempo, controllati dal regime, il villaggio di Arsia fu costruito in soli 547 giorni! Ecco la frase sfatata. Arsia fu costruita dal 10 marzo 1936 al 29 ottobre 1940, per un totale sincero di 1.694 giorni ma, come lamenta l’Autore, ancor oggi nei saggi scientifici si continua a propinare la non documentata cifra di 547 giorni di lavoro (p. 282).
Arsia, Case operaie edificate nel 1937. Fotografia archivio Rinaldo Racovaz

Si ricordano le sciagure che colpirono la miniera di Arsia, inclusa una del dopoguerra. La più grave disgrazia avvenne il 28 febbraio 1940, causando la morte di 185 minatori e un centinaio di feriti. La stampa di regime diffuse appena la notizia, ridimensionando l’accaduto. Così scrive l’autore a pag. 7. Si può aggiungere che con lo sfruttamento intensivo della miniera in periodo bellico, a fare le spese di una produzione febbrile e incosciente fu la sicurezza dei lavoratori. Infatti, già prima del disastro del 28 febbraio, ci furono altri incidenti collettivi, di cui due particolarmente gravi nel 1937 e 1939 che causarono, rispettivamente, la morte di 13 e 7 operai (Giorgio Di Giuseppe, “Arsia, una tragedia ancora poco conosciuta”, on-line dal 3 marzo 2015). https://www.balcanicaucaso.org/Transeuropa/Arsia-una-tragedia-ancora-poco-conosciuta
Piscina di Arsia, 1942; gli impianti sportivi sono il fiore all’occhiello del regime. Si riconosce, in basso a sinistra Gino Stringaro, minatore. Collezione Walter Stringaro, esule da Arsia a Udine

Dopo l’armistizio del 1943, Arsia venne occupata dalla Germania nazista all’interno dell’Adriatische Küstenland, in fase di annessione al Terzo Reich. Nell’aprile del 1945 i nazisti fuggono e arrivano i partigiani di Tito. Costoro destinarono al lavoro forzato i prigionieri tedeschi della Wehrmacht, dato che molti minatori italiani erano fuggiti, sin dal 1944 (come ha raccontato Walter Stringaro), per la paura delle violenze titine; queste ultime parole sono della redazione del blog. 
L’autore si limita a scrivere che “L’esodo del dopoguerra interessò un gran numero di abitanti di questa cittadina che in quel periodo perse anche lo stato di Comune perché incorporata in quello di Albona” (p. 7). Nel 1937 Arsia contava 8.786 abitanti (p. 272).
Facente parte della Repubblica Socialista Iugoslava, nel 1961, ad Arsia vi fu stabilita una colonia di bosniaci che crebbero fino a rappresentare un terzo della popolazione del comune, ma al 2011 sono censiti solo in 190. Mentre la comunità italiana è costituita oggi da una cinquantina di persone, secondo le enciclopedie del web. A causa della crisi e della riforma dell’economia socialista negli anni Sessanta il numero di lavoratori diminuì e si svilupparono nuove attività economiche, che poi subirono dei fallimenti.
Il futuro di Arsia, che conta 3.197 abitanti, in conclusione, sta nel turismo secondo l’autore e secondo il sindaco della città, gemellata con alcuni comuni del Friuli Venezia Giulia.


Piscina di Arsia, 1942; relax di Gino Stringaro, minatore. Collezione Walter Stringaro, esule da Arsia a Udine

I coeditori dell’interessante ed esclusivo volume sono il Comune di Arsia / Općina Raša, la Regione Istriana / Istarska županija e l’Associazione Arsia Art di Arsia / Udruga Arsia Art iz Raše. Per l’editore / za izdavača hanno collaborato: Daniela e Federika Mohorović. È stato redattore e traduttore / urednik i prevoditelj Tullio Vorano. Lettori / lektori risultano Iva Peršić (italiano / talijanski) e Samanta Paronić (croato / hrvatski). L’impaginazione e il design / prijelom i dizajn sono opera di Leo Knapić. La stampa di questo volume è stata agevolata dal consistente contributo finanziario della signora Lia Carli vedova Faraguna di Trieste. Il testo è stato schedato nel catalogo informatico della Biblioteca universitaria di Pola / Pula (Croazia).
La redazione del blog presente ringrazia il signor Walter Stringaro, nato ad Arsia nel 1942 ed esule a Udine, socio ANVGD, per il prestito dell’originale volume sulla sua città natale.

Il libro qui recensito
Rinaldo Racovaz, Arsia, un’opera d’arte d’edilizia moderna / Raša, remek-djelo graditeljstva Moderne, Arsia / Raša, Comunità degli Italiani “Giuseppina Martinuzzi” di Albona / Zajednica Talijana “Giuseppina Martinuzzi” Labin, Consiglio della minoranza italiana della Città di Albona / Vijeće talijanske manijne Grada Labina, 2016, pp. 308, varie fotografie b/n.

ISBN 978-953-97919-7-9
---

Approfondimenti nel web
Si può menzionare il libro di Cristina Scala, intitolato  : Cuore di bambina a Fiume nell’anno 1947, Portogruaro (VE), [s.e.], 2018, pp. 58.
Come ha scritto, il 31 gennaio 2019, la stessa Cristina Scala in Google, è opportuno ricordare: "l'incidente in miniera del 14 marzo 1948, dove morirono 92 prigionieri tedeschi durante i lavori forzati nel dopoguerra. Infatti non esistono documenti ufficiali, ho solo la lettera originale del 1949 del soldato sopravvissuto che lo testimonia". Il soldato tedesco è il protagonista del volume di Cristina Scala, che si ringrazia per l'approfondimento interessante. 

---

Recensione di Elio Varutti. Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

sabato 26 gennaio 2019

Udine, Varutti parla su Ebrei di Fiume deportati ad Auschwitz


Tutto esaurito in sala “Gino Valle” a Palazzo Morpurgo, in Via Savorgnana 12, a Udine per la conversazione tenuta dal professor Elio Varutti sul tema degli “Ebrei di Fiume in transito a Udine per Auschwitz”. L’evento, svoltosi il 25 gennaio 2019 alle ore 17, è stato aperto da Silvia Bianco, conservatore della galleria del Progetto di palazzo Morpurgo, secondo il piano promosso e coordinato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Udine.
Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine porta il saluto della Civica Amministrazione, accanto a Elio Varutti e a Silvia Bianco. Fotografia di Leoleo Lulu

Dopo i saluti all’affollato pubblico la Bianco ha detto che l’iniziativa rientrava nell’ambito della Giornata della Memoria, nel quadro della mostra “Aurelio e Melania Mistruzzi Giusti tra le Nazioni” visitabile, fino al 17 febbraio 2019, il venerdì a ingresso libero dalle ore 14,30 alle 17,30, oltre al sabato e domenica dalle ore 10 alle 13 e dalle 14 alle 17,30.
Ha dato la parola poi a Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine, molto colpito per la grande partecipazione di pubblico alla conversazione. “È ormai una consuetudine – ha detto Cigolot – che il Comune di Udine commemori ogni anno con apposite manifestazioni la Giornata della Memoria che cade il 27 gennaio, data della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, divenuta la giornata per ricordare le vittime della Shoah”.
In seguito Varutti ha iniziato la sua relazione sul tema mostrando una serie di diapositive sulla città di Fiume. “Questa fotografia di tre bambini – ha detto il relatore – è stata scattata a Fiume, il 29 novembre 1943, ci mostra Sergio De Simone fra le cuginette Andra e Tatiana Bucci; ebbene il  21 marzo 1944 sono arrestati coi familiari, portati alla Risiera di San Sabba a Trieste e poi, col trasporto T25, sono deportati ad Auschwitz dove giungono il 29 marzo 1944, dopo sei giorni di viaggio nel carro bestiame, passando per Udine e Tarvisio”.
Una parte del pubblico poco prima dell’inizio, con la bandiera di Fiume. Fotografia di E. Varutti

Le sorelle Bucci si salvarono ed oggi partecipano alle visite d’istruzione con varie scolaresche ai campi di concentramento, mentre il loro cuginetto Sergio De Simone fu usato, assieme ad altri 19 bambini, per atroci quanto fallimentari esperimenti dai medici nazisti sul vaccino per la tubercolosi e venne impiccato nei sotterranei di una scuola di Amburgo. “È il 20 aprile 1945, gli inglesi sono alle porte della città anseatica – ha spiegato Varutti – l’ordine di uccidere i bambini viene da Berlino al comandante del Campo di Neuengamme, Max Pauly. Devi eliminare i bambini con il gas o con il veleno, gli scrivono. I piccoli vengono portati in camion alla scuola di Bullenhuser Damm, ad Amburgo e lì avvelenati e poi impiccati. I loro corpi vengono bruciati nei forni crematori di Neuengamme, dove oggi c’è un memoriale della Shoah”.
Il numero degli ebrei di Fiume deportati ed uccisi ad Auschwitz ammonta a 275 individui, come emerge dal monumento inaugurato a Fiume, nel Cimitero di Cosala, il 17 giugno 1981. Il totale delle vittime dell’Olocausto a Fiume, Volosca e Abbazia ammonta a 336 persone, come ha scritto Federico Falk, nel 2016.
È stato ricordato anche il luogo di concentramento di ebrei a Fiume, nel 1944, che era presso la Scuola «Cesare Battisti» di Torretta, ha concluso Varutti, come le parole di un altro testimone. “Li portavano in questa scuola alla chetichella a bordo di autovetture per non dare nell’occhio. Vedevamo molta gente alle finestre della scuola e i tedeschi che facevano la guardia, poi li hanno caricati sui camion militari e li hanno portati alla stazione ferroviaria. Li hanno fatti salire sui carri bestiame. Io frequentavo l’Oratorio della Chiesa di Piazza San Nicolò e lì vicino passa la ferrovia, per giorni vedevo passare questi convogli e dai piccoli finestrini con sbarre e filo di ferro spinato si vedevano la facce di quella povera gente, ero un muleto ma son rimasto molto impresionado e impietosido, xe stada una bruta storia”. Così è il racconto del 27 gennaio 2018 di Antonio Nini Sardi, nato a Fiume nel 1931, presidente del Comitato Provinciale di Novara dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD).
La diapositiva d'inizio con le sorelle Andra e Tatiana Bucci e Sergio De Simone, bimbi di Fiume deportati ad Auschwitz. Fotografia di Leoleo Lulu

Nel dibattito che è seguito ha parlato Fabiola Modesto Paulon, nata a Fiume nel 1928, per ricordare di aver “abitato in Via Milano, vicino alla casa del rabbino e alle case degli ebrei, per i quali noi fiumani avevamo rispetto – ha detto – perché la città era mitteleuropea e di grande cultura e i miei genitori mi hanno insegnato a comportarmi così”. Un’altra signora ha voluto ricordare due ebree di Cividale del Friuli prelevate dai nazisti e deportate in campo di concentramento. Solo al termine dell’incontro la stessa signora ha rivelato al tavolo della presidenza che esse erano sue strette familiari. Il riferimento riteniamo vada fatto ad Elvira Schönfeld Piccoli ed alla figlia Amalia Piccoli deportate col convoglio del 27 aprile 1944 dalla Risiera di San Sabba, già ricordate negli anni scorsi dalla stampa locale, come il «Messaggero Veneto» del 2004.
Al termine dell’incontro si è svolta una visita guidata alla mostra “Aurelio e Melania Mistruzzi Giusti tra le Nazioni”, a cura delle curatrici della interessante rassegna, la professoressa Gabriella Bucco e Silvia Bianco.
Elio Varutti durante l'incontro col libro di Maria Pia Bernicchia. Fotografia di Leoleo Lulu

Tra il pubblico in sala era presente, tra gli altri, una delegazione del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), capeggiata dall’ingegnere Sergio Satti, esule da Pola e decano del sodalizio, con Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria e l’architetto Franco Pischiutti, con parenti di Fiume. C’era anche (in piedi) il professor Massimo Gargiulo, segretario generale del FLC CGIL di Udine. Si sono notati poi lo scrittore Paolo Bulfone e il professore nei licei Giovanni Pascolini di Cividale
C’erano, inoltre, il pittore Luigino Peressini, l’architetto Daniele Murello, alcuni insegnanti dell’Istituto “Cecilia Deganutti” e dell’Istituto “Bonaldo Stringher” di Udine, qualche allievo dell’Università della Terza Età di Udine, alcune guide turistiche locali e certi parrocchiani di S. Pio X, dove il 29 gennaio 2019, in Via Mistruzzi 1, si tiene un’altra manifestazione patrocinata dal Comune di Udine, con la presenza di Ariel Haddad, rabbino della Slovenia e direttore del museo della Comunità Ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner”, che parla delle “Leggi razziali italiane del 1938” assieme ad altri studiosi.
Visita guidata alla mostra sui Mistruzzi Giusti fra le Nazioni con un cicerone d’eccellenza, la professoressa Gabriella Bucco Fotografia di E. Varutti

Note dal web
Prima dell’incontro il relatore ha ricevuto, via e-mail, i graditi complimenti per l’iniziativa da Romeo Mattioli, per anni assessore al Comune di Udine nonché presidente regionale dell’Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL) di Trieste, impossibilitato a partecipare, ma interessato alla tematica “per non dimenticare”.
Romeo Ceccarelli, di Poppi (AR), che vive a Monterotondo (Roma) e, in passato, ha lavorato nelle Ferrovie in Friuli, il 26 gennaio 2019, ha scritto in Facebook questo messaggio in riferimento ai treni dei deportati nei campi di concentramento: “A Chiusaforte ove si fermavano quei treni per prendere la spinta, mi raccontavano i vecchi di allora - primi anni sessanta - le loro dirette esperienze e quanto potevano fare durante quelle brevi soste...”.
Il contributo di Romeo Ceccarelli è un altro piccolo tassello di storia. Sapevamo di vagoni merci carichi di deportati ad Auschwitz fermi a Udine, Gemona, Tarcento, Pinzano, Tarvisio, con le ragazze, le donne e i ferrovieri che aiutavano i prigionieri. Ci mancava la stazione di Chiusaforte nella lista degli aiuti ai prigionieri.
--
La sinagoga grande di Fiume distrutta dai nazisti nel 1944. Fotografia di Leoleo Lulu

Riferimenti bibliografici e nel web
- Maria Pia Bernicchia (a cura di), Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti. I 20 bambini di Bullenhuser Damm una carezza per la memoria, Milano, Proedi, 2005-2006.
- Federico Falk (a cura di), Le comunità israelitiche di Fiume e Abbazia tra le due guerre mondiali. Gli ebrei residenti nella Provincia del Carnaro negli anni 1915 – 1945, on-line dal 2016 (data dedotta dalla copertina).  https://www.bh.org.il/jewish-spotlight/fiume/
- Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai Lager nazisti. I «trasporti» dei deportati 1943-1945, Milano, Franco Angeli, Consiglio Regionale del Piemonte, (1.a edizione: 1994), 1995.
- E. Varutti, Ebrei a Udine sud e dintorni, 1939-1948. Deportazione in Germania e rientri, on-line dal giorno 11 novembre 2016 con aggiornamenti del 2017. 
Udine, sala Valle di Palazzo Morpurgo, pubblico il 25 gennaio 2019 per la conversazione di Elio Varutti. Fotografia di Giorgio Gorlato

- E. Varutti, Shoah, ebrei di Fiume salvatisi in Friuli e il ruolo dei Mistruzzi, on-line dal 10 gennaio 2018. http://eliovarutti.blogspot.com/2018/01/shoah-ebrei-di-fiume-salvatisi-in.html
- E. Varutti, Corona d’alloro per le Donne resistenti in stazione a Udine, on-line dal 31 gennaio 2018. http://eliovarutti.blogspot.com/2018/01/corona-dalloro-per-le-donne-resistenti.html
- E. Varutti, Militari italiani a Fiume, in Istria, Dalmazia e Erzegovina, 1941-1943, on-line dal 23 agosto 2018. http://eliovarutti.blogspot.com/2018/07/militari-italiani-fiume-in-istria.html
- E. Varutti, Ebrei di Fiume in transito a Udine per Auschwitz 1944-1945. Riflessioni, on-line dal 16 gennaio 2019. http://eliovarutti.blogspot.com/2019/01/ebrei-di-fiume-in-transito-udine-per.html
- Giorgio Vecchio, “La Shoah italiana: ritorni, incomprensioni, prime rimozioni”, in Guido Formigoni, Daniela Saresella (a cura di), 1945. La transizione del dopoguerra, Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Roma, Viella, 2017, pp. 177-208.
- August Walzl, Die Juden im Kärnten und das Dritte Reich, Klagenfurt, Universitätsverlag Carinthia, 1987 (traduzione italiana: Gli ebrei sotto la dominazione nazista. Carinzia Slovenia Friuli Venezia Giulia, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1991).
--

--

Rassegna stampa


Dal «Messaggero Veneto» del 25 gennaio 2019.

Cristina Boschetto, Ebrei di Fiume in transito a Udine per Auschwitz", l'incontro a palazzo Morpurgo, «udinetoday.it», del 24 gennaio 2019.

Giorno della Memoria 2019, Udine Venerdì 25 gennaio 2019, «girofvg.it».

- da "La Vita Cattolica" del 23 gennaio 2019 , p. 35.

--
Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Si ringraziano per le fotografie: Elio Varutti, Giorgio Gorlato e Leoleo Lulu. Altre immagini dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

martedì 22 gennaio 2019

Fiume 1947, l’umanità tra una bambina italiana e un militare tedesco prigioniero degli iugoslavi


È un libro che si legge tuto de un fia’. È un incantevole volume del ricordo, giunto già alla seconda edizione. Sono poche, ma intense le 58 pagine fondate su di un atto di gentilezza delle ragazze di Fiume dopo la Seconda guerra mondiale verso i soldati tedeschi costretti ai lavori forzati. L’umanità, in quelle terre, aveva iniziato a spegnersi dal 1943, quando un insieme variegato di bande e di eserciti si fronteggiava con vena nazionalistica e con tragiche uccisioni.
La copertina del libro con la fotografia che il militare tedesco Josef teneva con sé; si vede la moglie, col figlioletto Werner

Il fatto straordinario è che l’intero testo di Cristina Scala è stato creato sulla base di documenti familiari, come lettere manoscritte, fotografie, dattiloscritti e vari contatti via web. Lo stile dell’autrice appare scarno e senza fronzoli, ma è sciolto e leggibile. Certe sue frasi sono come stilettate di bora, lanciate lì tra appunti storici e riflessioni filosofiche. Al termine di una paragrafo potrebbe capitarvi di avere dei brividi di emozione, perché tutto il racconto si basa su di una storia vera del 1947, come recita il titolo, con un balzo cronologico al 2016 e 2017 per le corrispondenze di posta elettronica, quando la Scala scopre gli originali manoscritti in lingua tedesca. 
È proprio a Natale del 2016, durante un viaggio negli Stati Uniti, in contatto con la rete dei fiumani sparsi nel mondo, che all’Autrice vengono sottoposte alcune lettere da comprendere e tradurre. I manoscritti, del 1949, sono opera di un soldato tedesco che si trovava prigioniero degli slavi a Fiume, annessa alla Jugoslavia, dopo il secondo conflitto mondiale.
Il soldato esprime la sua gratitudine per la solidarietà e la gentilezza incontrate tra i fiumani, in particolare con una bambina di 10 anni, Luzia, che lo aiutò, con poche e semplici parole, a superare il brutto periodo di detenzione e di lavori forzati per gli slavi. Dopo quasi 70 anni Cristina Scala è riuscita a mettersi in contatto con i discendenti di quel milite e a creare l’occasione di un viaggio del ricordo nei luoghi di detenzione e di pena.
Il libro della Scala è come una bomba d’acqua: tutto, tanto e subito. Non c’è tempo per fare delle congetture. Non c’è sosta. C’è solo la voglia matta di finire di leggere e di capire dove vano a parare i protagonisti dell’avvincente faccenda. Non si vede l’ora di finire una pagina per scoprire che cosa ci sarà in quella seguente.

Josef B., nato a Kobern, presso Coblenza, il 14 settembre 1911, morì a casa sua il 18 gennaio 1987. L'ultima di copertina del libro di Cristina Scala


La vicenda del soldato Josef e della bambina Lucia
Come già accennato la vicenda è quella di Josef B., di Coblenza, soldato tedesco della Wehrmacht fatto prigioniero, col suo reparto, dagli iugoslavi a Castelnuovo d’Istria, oggi Podgrad, il 3 maggio 1945. Come molti altri suoi commilitoni viene destinato ai lavori forzati. Gli è andata bene, perché è ancora vivo. Nel 1947 a Fiume, in Via Torquato Tasso, diventata Ulica Kozala, fa conoscenza con Lucia, una bambina italiana di 10 anni, che gli dà un semplice saluto, oppure un pezzo di pane e marmellata.
I semplici atti di gentilezza della bimba italiana Lucia danno grande conforto al soldato tedesco Josef, che ricorderà quel briciolo di umanità. Il soldato Josef B. riesce a far ritorno in Germania, dalla sua famiglia, il 25 gennaio 1949, dopo quattro anni di lavoro coatto duro e pesante, come quello notturno in miniera, ad Arsia, che gli rovina la salute e la possibilità di deambulare. Muore il 18 gennaio 1987.
Nel 1949 Josef scrive tre lettere di ringraziamento a Lucia M., indirizzandole a Fiume, Via Tasso, raccontandole del figlio Werner, della moglie e dei vicini, curiosi di sapere quella storia di piccola umanità. La bambina Lucia, pur non capendo quella calligrafia, è contenta perché capisce che Josef è riuscito a tornare dalla sua famiglia. Le missive, in tedesco, non facilmente comprensibili per la grafia, restano in una scatola nella cantina di Lucia fino al suo esodo da Fiume, avvenuto nel 1957, per arrivare a Genova.
La miniera di Arsia negli anni Quaranta; grazie per la cartolina a Paolo De Luise, di Pirano, esule a Carpi, provincia di Modena

Dalla Liguria, questi originali documenti vengono ritrovati nel 2016, scansionati ed inviati per posta elettronica all’amica del cuore Lucilla, che da Fiume è esule negli Stati Uniti, nel Nord Carolina. Avendo Lucilla un fratello che conosce la lingua tedesca, potrà egli tradurre i messaggi, ma la grafia è veramente impossibile. Poi, per pura coincidenza, arriva Cristina Scala e riesce a capire quelle frasi e a tradurle. Non solo, ritornata in Italia, costruisce dei contatti con i discendenti di Josef di Coblenza. Nel luglio del 2017 si incontra con Alexandra, la figlia di Werner, in Austria. Poi se li porta a Portogruaro, a Fiume e ad Arsia, nella miniera dove pativa Josef, in un tenero quanto europeo viaggio della memoria, documentato nel libretto con tanto di fotografie.
“Non dimenticherò mai le donne di Via Tasso – scrive Josef nella lettera, firmandosi Giuseppe, moglie e Werner (il figlio) – con pane, conserve e frutta vi siete occupate per il nostro benessere fisico, e tramite il vostro gentilissimo Buongiorno e Come Va? siamo stati rafforzati nello spirito” (p. 25).

La storia del pacchettino
Lucia risponde al soldato Josef con delle cartoline e delle lettere, come quella del 20 dicembre 1950 che, racconta Josef in un altro messaggio, viene letta assieme alla sua famiglia e a certi vicini di casa, desiderosi di sentire raccontare ancora una volta la storia del pacchettino delle bambine fiumane. Cos’era questo pacchettino? Lucia, sua sorella e le altre ragazze di Fiume davano da mangiare al soldato Josef che lavorava ad uno scavo in Via Tasso. Le bambine senza farsi notare dai guardiani titini, lasciavano cadere o nascondevano un piccolo pacco, con dentro un panino di marmellata, oppure un frutto, per Josef. Il pacchetto veniva nascosto vicino ad un cancello del forno Pucikar, il nonno di Lucilla. Quando poteva, Josef lo andava a raccogliere e si nutriva, oltre a sentire i garruli saluti di Buongiorno delle ragazzine di Fiume.
I discendenti di Josef, con Cristina Scala, hanno visitato a Fiume, in Via Tasso a Cosala, il luogo di consegna del pacchettino. Lo hanno fotografato e mostrato ai parenti. Tutta la visita a Fiume e alla miniera di Arsia si è svolta tenendosi in contatto telefonico con Werner, in Germania, con Lucilla, in Nord Carolina, con Furio, figlio di Lucilla che vive in Texas e con Lucia a Genova.
Arsia 1942, scuola elementare "G. Marconi"; ringrazio per la immagine Mario Tamburlini, del gruppo di Facebook Amici profughi istriani, col suo messaggio del  21.1.2019

L’incidente del 1948 nella miniera di Arsia
La miniera di Arsia, ora Raša, non si è accontentata della vita dei 187 minatori uccisi da un’esplosione il 28 febbraio 1940, quando apparteneva all’Italia. Divenuta iugoslava, tornò ad esplodere nel 1948, provocando la morte di almeno 92 minatori tedeschi prigionieri degli iugoslavi e costretti ai lavori forzati, come Josef, il quale si salvò perché era stato spostato a lavorare in un panificio di Draga di Moschiena. Oggi Arsia pare una città fantasma, la miniera è chiusa e dell’incidente del 1948 si sa che “… il regime di Tito volle insabbiare questa faccenda” (p. 46).

Chi è Cristina Scala?
Figlia di padre esule da Fiume e di madre profuga dalla Boemia, l’Autrice è nata nel 1972 a Trieste. Nel 1978 la famiglia si trasferisce in Germania, a Offenbach sul Meno, vicino a Francoforte sul Meno. L’Autrice si specializza in Tecniche turistiche, conseguendo il diploma di Reisenverkehrskauffrau, corrispondente in Italia a Perito turistico.
Per dieci anni lavora in agenzie marittime per crociere internazionali a Francoforte e a Monaco di Baviera. Nel 2000 rientra in Italia, stabilendosi a Portogruaro, in provincia di Venezia, dove attualmente è responsabile dell’ufficio commerciale di un’impresa del settore metalmeccanico. Il suo primo libro edito si intitola Ricordi fiumani e Ciacolade di Giulio Scala, del 2014 e premiato nel 2018 con menzione d’onore speciale al Premio letterario “Generale Loris Tanzella” di Verona. L’autrice ha un profilo Facebook, dove può essere contattata per eventuali informazioni sul suo originale libro.
 Cartolina di Moschiena degli anni 1920-1930. Immagine da Internet 


--
Il libro recensito
Cristina Scala, Cuore di bambina a Fiume nell’anno 1947, Portogruaro (VE), [s.e.], 2018, pp. 58.

--
Commenti del web
In un paio di giorni l’articolo presente ha fatto registrare nel web oltre 350 visualizzazioni e una serie di commenti positivi, compresi quelli festosi dell’Autrice. Tra i tanti messaggi ricevuti riportiamo i seguenti per dare un’idea della ricezione riguardo al libro di Cristina Scala.
Rudi Decleva, nato a Fiume nel 1929, sul profilo di Google il 23.1.2019, ha scritto: “Storia di una  bambina dal cuore d’oro e di un soldato prigioniero di uno Stato che per punirlo gli impedisce di correre ad abbracciare la sua famiglia in una terra lontana. Una vacanza negli States che fa scoprire all’Autrice gli ingredienti di questa storia come in un gioco del destino. E le imprevedibili sorprese nei luoghi dove venne a svilupparsi questo doloroso dramma umano che fortunatamente si conclude con lacrime di gioiosa commozione”.
Una fiumana nel cuore, Arianna Gerbaz, di Latina, che vive a Torino, il 22.1.2019, nel gruppo di Facebook Un Fiume di Fiumani, ha scritto: “Una storia commovente con protagonista la piccola Lucia”.

--
Recensione di Elio Varutti. Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

lunedì 21 gennaio 2019

Sulle ali della memoria. Gli esuli giuliano-dalmati di Sicilia ricordano, libro di Maria Cacciola


Ce ne fossero di libri così. È una fortuna che Maria Cacciola si sia impegnata a raccogliere numerose testimonianze sull’esodo giuliano dalmata per pubblicarle in questo volume, ricco inoltre di molte fotografie. 
Il fatto che siano stati sondati solo testimoni legati all’esodo verso la Sicilia, terra di grande accoglienza, non attenua il valore nazionale dell’intera opera. Il volume originale dell’Autrice ha molte qualità, che cercheremo di illustrare.
Qui si possono trovare “memorie personali e testimonianze drammatiche di dolorose esperienze che documentano fatti ed episodi di quella storia (patria) della Venezia Giulia che va dal settembre 1943 ai giorni nostri, quasi; – come scrive nella sua Presentazione Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli Istriani – vicende lontane nel tempo che sono però ancora così vive nella memoria di ogni giuliano e perciò opportunamente riunite in uno sforzo encomiabile indirizzato a mettere a disposizione di tutti le verità più precise ed inesorabili rispetto a quanto accadde a trecentocinquantamila profughi da Istria, Fiume e Dalmazia”.
La copertina, di Carmelo Samperi, mira a far conoscere la foiba al lettore comune. Viene artisticamente mostrata, infatti, la sezione di una voragine carsica, a volte abitata da colombi svolazzanti. Nel groviglio del bosco si trovano, in Istria, oltre 1.500 di queste buche naturali, alcune delle quali sono profonde centinaia di metri. È in questi anfratti che, dopo l’8 settembre 1943, i titini uccidono e gettano nel baratro i corpi degli italiani, per vendetta contro quanto vissuto sotto il fascismo, per pulizia etnica e per espansionismo nazionalista croato.
Maria Cacciola è presidente provinciale, a Messina, dell’Associazione Nazionale tra i Congiunti dei Deportati italiani uccisi o scomparsi in Jugoslavia (ANCDJ). In tale veste è impegnata a raccogliere le testimonianze e i ricordi degli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia rifugiatisi in Sicilia e dei loro discendenti. Interessante è infatti l’apporto poetico, ad esempio, pubblicato nel volume, oppure la tenerissima produzione culturale di nipoti e pronipoti degli scomparsi per uccisione dei titini. Ci sono poi resoconti sulle intitolazioni di vie e piazze ai caduti in Istria, Fiume e Dalmazia, ma anche riguardo ai militari e civili deportati e eliminati a Gorizia e a Trieste durante l’occupazione titina del 1945. Qualche testo qui pubblicato è del mondo scolastico, come quello di Francesco Calvaruso, docente al Liceo Pedagogico di Palermo.

Nel volume c’è persino l’attualità, visto che viene riprodotta la celebre intervista di Lucia Bellaspiga a Giuseppe Comand, ultimo testimone delle foibe, pubblicata il 6 gennaio 2018 sul quotidiano «L’Avvenire». Dopo aver saputo di tale intervista, tra l’altro a un personaggio che risiede a Latisana, in provincia di Udine, il presidente della Repubblica Mattarella sei giorni più tardi lo ha nominato commendatore al merito.
Il professor Dario Caroniti, nella Prefazione al testo della Cacciola, traccia la storia di come è stato recepito il Giorno del Ricordo dal Comune di Messina. Si va dalla pubblicazione di un volume divulgativo nel 2008, a cura di Davide Gambale, fino al racconto a fumetti, con disegni di ragazzi sulle vittime delle violenze titine, edito nel 2010 a cura di Enzo Migneco. La stessa Civica amministrazione, nel 2010, ha posto una lapide in ricordo dei messinesi che persero la vita nella Venezia Giulia durante la Seconda guerra mondiale.
Il volume contiene dei cenni storici sull’Istria, Fiume e Dalmazia con l’ausilio di alcune carte geografiche, per arrivare alla seconda guerra mondiale e al Trattato di pace del 1947, fino al Trattato di Osimo del 1975 e alla legge istitutiva del Giorno del Ricordo, del 2004. Mi hanno incuriosito le varie riflessioni riguardo al Giorno del Ricordo qui contenute.
Cartolina di Fiume negli anni Venti. Collezione E. Varutti

Una parte speciale in questa modesta recensione meritano i testimoni che raccontano il loro vissuto e il loro dolore. Non è da tutti. C’è chi non vuole riaccendere il dolore straziante e quindi preferisce non parlare, non raccontare. Posizione da rispettare indubbiamente, ma è molto importante parlare. Così si può leggere il racconto di Rosalia Barrile, nata a Montona, di Nelly Berdar, esule da Fiume e di Anna Maria Bruno, nata a Caltanisetta, ma trasferita col padre poliziotto in questura a Fiume.
È nata a Rovigno d’Istria Grazia Bruno, un’altra preziosa testimone. È fuggita con la famiglia nel 1945, in seguito all’uccisione del padre nella foiba di Villa Bassotti, avvenuta nel 1943. L’Autrice stessa è nata a Dignano d’Istria nel 1941; la famiglia Cacciola è esule a Messina, dopo la scomparsa del padre catturato dai titini nel 1945, a guerra finita, senza riferire alcuna notizia ai congiunti.
Un altro contributo è di Sergio Campagnoli, classe 1923, esule da Fiume. Poi c’è un altro fiumano, Antonio D’Aliberti, figlio di un sottobrigadiere della Guardia di Finanza; i titini lo catturano il 3 agosto 1944 a Sicciole di Pirano. La madre dal dolore perse la ragione e il piccolo Antonio viene raccolto da una famiglia di contadini, che lo mettono a dormire in un magazzino di mele. Nel 1945 gli zii di Antonio lo rintracciano e, con la madre ancora sconvolta, rientrano a Messina.
Altre storie dell’esodo in Sicilia sono quelle di Maria Dusman, di Pola, di Luciana Favretto, nata a Umago, di Bruna Fiore, nata a Fianona, di Lucia Hödl, nata a Fiume ed esule a Palermo e di Rosa Vasile, pure fiumana, esule a Palermo e presidente provinciale dell’ANCDJ.

Due sono i passaggi a Udine per questi esuli italiani presso il Centro smistamento profughi di Via Pradamano. Bruna Fiore racconta come “raggiungemmo Udine e con altri esuli fummo radunati in uno stanzone, dove trascorremmo tante notti su pagliericci, al freddo” (p. 124). Lucia Hödl con i familiari è profuga al Silos di Trieste. Sostiene che quella fu la sua prima tappa dell’esodo. “La seconda tappa fu Udine – aggiunge la Hödl – dove restammo pochi giorni, poi ci fermammo a Gaeta per quasi un mese e quindi fummo trasferiti a Siracusa, una ridente città siciliana, dove saremmo voluti restare per sempre perché era un piccolo centro e il suo mare ci ricordava Fiume”. Invece altri sette anni la famiglia Hödl li passerà al Centro Raccolta Profughi di Termini Imerese, vicino a Palermo (p. 130).
L’interessante libro della Cacciola si chiude con due altri contributi nella Postfazione. Col primo intervento Milena Romeo effettua una breve panoramica sulla storia dell’esodo e su quanto di nuovo porti il volume miscellaneo della Cacciola. Secondo lei “la storia, la grande storia, accaduta a più riprese già prima e dopo la Seconda guerra mondiale, irruppe nei microcosmi di famiglie e persone che dovettero difendersi da sole da rastrellamenti, sparizioni, persecuzioni, infoibamenti prima e da un nomadismo forzato dopo, che non fu un fenomeno storico amorfo e indistinguibile, ma la migrazione di un popolo fatto di singole persone, di storie minute intrise di sangue, stenti, tristezza, nostalgia, sradicamento” (p. 208).
L’ultimo scritto, di Davide Rossi, vice presidente del Coordinamento adriatico, si intitola non a caso Dall’Istria, fin giù per tutto lo Stivale.

 --
Il libro recensito
Maria Cacciola (a cura di), Sulle ali della memoria. Gli esuli giuliano-dalmati di Sicilia ricordano, Terme Vigliatore (ME),  Giambra, 2018, euro 13, pp. 218.
ISBN 9788898311934
Per informazioni, vedi il sito web:    www.giambraeditori.com
--


Riferimenti bibliografici e del web
- Marcello Crinò, Barcellona Pozzo di Gotto: il ricordo degli esuli giuliano-dalmati di Sicilia in un libro di Maria Cacciola pubblicato da Giambra, «Messinaweb.eu», on-line da febbraio 2018.

- Lucia Bellaspiga, Udine. «Io, a 97 anni ultimo testimone oculare delle stragi delle foibe», «L’Avvenire», 6 gennaio 2018.


--
Recensione di Elio Varutti. Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.