Il Circolo culturale della Parrocchia di San Pio X di Udine dal 2016 si occupa di commemorare la Giornata della Memoria. Negli ultimi anni le iniziative sono rientrate nel calendario delle attività del Comune di Udine. Quest’anno iniziamo le attività con la pubblicazione di un interessante ed originale contributo di Mario De Simone, di Napoli, fratello di Sergio De Simone, un bambino deportato vittima dell’Olocausto. Gli è stato detto: "Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti". Dal lager di Auschwitz, fu l’unico italiano tra i 20 bambini di varia nazionalità lì selezionati da Menghele come cavie umane per esperimenti medici compiuti dal dottor Kurt Heissmeyer nel campo di concentramento di Neuengamme, presso Amburgo. Proprio la città di Amburgo, di recente, ha dedicato un toponimo al bambino Sergio De Simone, vicino al Wassermann Park. L’intitolazione è: “Sergio-De-Simone Stieg”. Per l'appoggio ricevuto siamo riconoscenti a don Maurizio Michelutti, coordinatore della Collaborazione pastorale di Udine sud. (A cura di Tiziana Menotti e Elio Varutti)
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I fatti della seconda
guerra mondiale che riguardano le sofferenze e le persecuzioni subite da grandi
parti delle popolazioni europee per motivi politici, religiosi o di
appartenenza ad una “razza” sono stati per molto tempo sottaciuti o evitati con
un senso di imbarazzato fastidio.
L’appartenenza ad etnie
o, come si diceva allora, a ‘razze’ diverse da una fantomatica ‘razza’ ariana
mai esistita sulla terra è stata utilizzata dal nazionalsocialismo per indicare
una ‘razza’ superiore da contrapporre alle razze inferiori costituite da ebrei
(indicati come responsabili di tutti i guai che erano piombati sulla Germania
dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale) e zingari (che davano fastidio
con quel loro modo di vivere fuori dagli schemi di una ordinata società
borghese e disciplinata). Oltre, naturalmente ad alcuni tipologie di ‘sottouomini’
quali comunisti, omosessuali, persone con problemi psichici o fisici, neri o di
altro colore tutti soggetti che turbavano il quieto vivere della società
nazista.
Com'è noto queste
scelte odiose furono adottate anche dal fascismo e, nonostante la sostanziale
indifferenza per il problema da parte del popolo italiano, furono fatte proprie
anche da esponenti del mondo della cultura che speravano in questo modo di fare
carriera e di avere i loro vantaggi accademici, culturali, giornalistici e patrimoniali.
Le leggi razziali del
1938 costituiscono un’imperdonabile scelta politica del governo fascista e
della casa reale del nostro sfortunato paese, che adottandole si contrassegnarono
con maggiore evidenza per quello che rappresentavano: un governo razzista,
usurpatore, violento e contrario agli interessi degli italiani che dicevano
invece di tutelare.
Tutto questo è stato
fino a oggi, a contrario di quello che molti pensano, troppo poco indagato
dagli storici. Del dolore arrecato alle persone moltissimi hanno cominciato ad
avere conoscenza solo dopo l’entrata in vigore della legge 20 luglio 2000 n°
211 che istituisce il Giorno della Memoria, che si commemora in Italia il 27
gennaio di ogni anno nella data di liberazione del campo di Auschwitz da parte
dei soldati dell’Armata Rossa.
È in questo contesto
che si inquadra la vicenda della mia famiglia materna e del mio povero fratello
Sergio. Nel marzo del 1944 le SS, accompagnate dai fascisti locali e da un
delatore si presentarono presso la casa della mia famiglia, di origine ebraica,
a Fiume [vicino all’Istria, NdR], che allora era italiana. Lì trovarono e
deportarono mia nonna Rosa, mio zio Jossi con la moglie, mia Zia Sonia che
viveva con la sua mamma anziana, mia zia Mira con le mie due cuginette Andra a
Tatiana e mia madre Gisella con mio fratello Sergio.
Io sono qui a scrivere
queste righe perché sono nato dopo la guerra quando mia madre, tornata da
Auschwitz insieme alla sorella Mira, rientrò a Napoli e lì rincontrò mio padre
anch’egli rientrato dalla prigionia come militare in Germania dove era stato
condotto prigioniero per difendere la ‘Patria’ che nel frattempo gli
distruggeva la famiglia. Nella terribile storia della mia famiglia materna, di
cui sono tornate solo quattro persone su tredici deportate in vari momenti, la
storia di mio fratello riveste un particolare significato per la sua
drammaticità e crudeltà.
Infatti, come è ormai
noto, il destino di mio fratello Sergio prende una strada diversa da quella
delle mie cugine. Drammaticamente diversa. Egli, infatti, fu scelto dai nazisti
con un vile trucco, ‘chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti’, insieme
ad altri 19 bambini ebrei o presunti tali prelevati dal lager di Auschwitz, trasportati
a Neuengamme per essere sottoposti ad esperimenti medici sulla TBC da uno
pseudo medico di Amburgo. Qui in un contesto surreale, in cui non vi erano blokove
compiacenti ma solo adulti malvagi e crudeli, furono usati come cavie. [Nei
lager femminili la funzione del Kapo
veniva svolta dalla Blokove, NdR]. Pensate,
usati come cavie: oggi abbiamo remore anche ad usare i topi o altri animali grazie
alle associazioni animaliste che giustamente li tutelano.
Furono tutti uccisi
nella scuola di Bullenhuser Damm ad Amburgo. In quella città, il 20 aprile del
1945, Sergio, gli altri 19 bambini, i medici e gli infermieri prigionieri che
furono costretti a collaborare con Heissmayer e che per quello che potevano, tentarono
di mitigare gli effetti della folle sperimentazione, i prigionieri russi utilizzati
come inservienti, furono tutti eliminati ed i loro corpi inceneriti e dispersi per
distruggere, insieme alle prove cartacee delle malefatte, anche le vittime,
perché tanto “nessuno avrebbe mai creduto alla narrazione di quello che è
accaduto realmente”, come diceva Himmler sperando nell'impunità dopo la guerra.
Voglio infine chiarire
le motivazioni che mi hanno condotto a divulgare questa storia da quando ne
sono venuto a conoscenza nel lontano 1995. In quell’anno fui chiamato ad
Amburgo dalla Associazione dei venti bambini di Bullenhuser Damm in quanto il giornalista
tedesco Gunter Schwarberg, che con fatica era riuscito a ricostruire la storia
dei bambini e dei prigionieri ed a far condannare i responsabili. Nella cerimonia
di commemorazione Gunter mi rivelò la storia della fine del mio povero fratello.
La storia mi sconvolse e mi indignò profondamente e già sull’aereo del ritorno
d’accordo con mia moglie decidemmo che non poteva rimanere chiusa nella mia
famiglia ma doveva essere portata a conoscenza del maggior numero di persone possibile.
Arrivati a Napoli
prendemmo contatto con la giornalista Titti Marrone del quotidiano “Il Mattino”
di Napoli la quale scrisse degli articoli molto belli e poi decise di scrivere
un libro su questa storia “Meglio non sapere” coinvolgendo anche le mie due
cugine Tatiana e Andra Bucci. Questo è il primo dei tanti altri che successivamente
sono stati pubblicati.
Questo è il motivo, infine, per cui io, come le mie cugine, non ci risparmiamo a divulgare, specie nelle scuole e nei luoghi della conoscenza, la narrazione delle nostre vicende.
Mario
De Simone
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Fotografie qui accanto e poco sopra - Luneburgo (Germania), edificio adattato a Campo di concentramento nel 1943, sottocampo di Neuengamme per deportati utilizzati come forza lavoro nello sgombero di macerie in seguito ai devastanti bombardamenti alleati su Amburgo. Fotografie di Daniela Conighi, 2019.
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Cenni
bibliografici e del web
Maria Pia Bernicchia (a
cura di), Chi vuole vedere la mamma
faccia un passo avanti. I 20 bambini di Bullenhuser Damm una carezza per la
memoria, Milano, Proedi, 2005-2006.
Elio Varutti, Ebrei di Fiume in transito a Udine per Auschwitz 1944-1945. Riflessioni, on line dal 16 gennaio 2019 su eliovarutti.blogspot.com
E. Varutti, Shoah dietro l’angolo. Carceri naziste nelle case di Udine, 1943-1945, on line dal 31 dicembre 2020 su evarutti.wixsite.com
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Autore principale: Mario De Simone. Testo a cura di Tiziana Menotti e Elio Varutti, per il Circolo culturale della Parrocchia di San Pio X, Udine. Servizio redazionale e di Networking a cura di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Tiziana Menotti, e Sebastiano Pio Zucchiatti. Copertina: Fiume 1943, Sergio De Simone con le cugine Andra e Tatiana Bucci, dietro, la mamma Gisella Perlow De Simone (al centro) e le zie Mira Perlow Bucci e Paula Perlow; Collez. privata. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo. Aderiscono: il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’Associazione Nazionale Ex Deportati politici (ANED) di Udine.
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