martedì 28 giugno 2022

Dobri Memories. Esodo da Albona per Udine e il Campo profughi di Laterina, poi in Canada, 1956

A metà giugno 2022 ricevo questo messaggio in Messenger da Silvio Dobri: “Signor Varutti, sono stato molto sorpreso e felice di vedere la sua ricerca sui profughi Istriani. Sono uno di loro. Siamo partiti dall'Istria nel 1956. Abbiamo viaggiato in treno da Pola a Lubiana, dove abbiamo cambiato treno per Trieste e poi Udine. Abbiamo passato una settimana al Centro smistamento profughi di Udine e 18 mesi al Campo profughi di Laterina, in provincia di Arezzo. Dopo ci siamo trasferiti a Genova e la famiglia — papà, mamma e tre figli — emigrò in Canada. Ho 75 anni e ricordo ancora il tempo trascorso a Laterina, specialmente le estati nuotando nell’Arno”.

Laterina, Crp, 19 maggio 1957 – Prima Comunione di Silvio Dobri, col papà Giuseppe e il signor Ricco, a destra. Collezione Silvio Dobri.

Chiedo se sia disponibile a raccontare ancora. Signor Dobri ha altri ricordi del Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina? “Ho frequentato la terza elementare nel campo di Laterina – è la replica – l’unico insegnante che ricordo è un giovane che era da Siena, però, non ricordo il suo nome. Manderò una foto, una storia del nostro breve soggiorno a Laterina e come mio padre è riuscito a tirarci fuori del campo in 18 mesi. Il mio italiano va bene per parlare ma non per scrivere, quindi scriverò in inglese, la lingua che parlo dall’età di 12 anni, quando siamo venuti in Canada. Sono un redattore di testi in pensione e ancora un pellegrino irrequieto. La famiglia Dobri è di Albona”.

Nella classe 3^ del Crp, nell’anno scolastico 1956-1957 la maestra è Giuliana Stoppielli, con 23 scolari, tra i quali c’è appunto Silvio Dobrich (Archivio dell’Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane, AR). Niente male per un cucciolo dell’esodo, diventato un importante giornalista canadese. Nei documenti scolastici lei, signor Silvio Dobri, come mai è segnato così: “Silvio Dobrich”? “Nel Campo profughi si usava il cognome Dobrich – ha risposto l’interessato – come indicavano i documenti rilasciati dalla Jugoslavia quando nel 1956 siamo usciti dall’Istria, però mio papà preferiva usare il cognome italianizzato ‘Dobri’, dopo essere usciti dal campo”.

Giuliana Stoppielli, insegnante aretina della 3^ classe, scrive nel suo registro: “Sono piccoli uomini e brave donnine, che guardano già all’avvenire con una certa serietà e che, per la loro esperienza o per l’esperienza dei genitori, mostrano di valutare in pieno quel senso di italianità per il quale hanno accettato di vivere miseramente al campo”. (Registro della classe 3^ mista, insegnante Giuliana Stoppielli, anno scolastico 1956-1957).

Com’è stato il giorno della sua Prima Comunione nel Crp di Laterina? Ha una fotografia?  La foto è stata scattata il 17 o 19 di maggio 1957, il giorno della mia Prima comunione – ha detto Silvio Dobri – e ricordo che mia madre mi portò da un sarto ad Arezzo per farmi il vestito. Mio padre, Giuseppe (Beppo), nella foto è a sinistra. A destra è un vicino, che era di Albona e si chiamava Ricco. Lui lasciò il Campo poco dopo la mia famiglia ed emigrò in Francia”.

In effetti il 19 maggio 1957 è registrato il nome del comunicando e cresimando “Dobrich Silvano” (anziché Silvio) assieme al suo santolo, o padrino “Bastianich Enrico”, come si legge nella Rubrica, conservata all’Archivio della Parrocchia dei Santi Ippolito e Cassiano, Laterina (AR), col titolo: Laterina CRP Cresimati dal 1950 al 1962, ms.

Come vi siete integrati in Canada? “Ho lavorato nel giornalismo per 40 anni nelle provincie di Ontario, Manitoba e Alberta – ha concluso Silvio Dobri – ora sono in pensione. I miei fratelli, Franko e Bruno, vivono a Port Hope, così come la sorella Mary Susan, che è nata lì. I miei fratelli sono ingegneri, entrambi in pensione”.

Da ultimo si nota che Silvio e Giuseppe Dobri, assieme a Bruno e Franco Dobri sono segnati al fascicolo n. 211 dell’Elenco alfabetico profughi giuliani, custodito dal Comune di Laterina Pergine Valdarno. Risultano emigrati il 26 gennaio 1959 per Calenzano (FI). Poi vanno a Genova e in Canada, come emerge dal racconto dello stesso Silvio Dobri.

Copertina della rubrica dei cresimati al Centro raccolta profughi, APLa, Laterina CRP Cresimati dal 1950 al 1962, ms

Memoriale di Silvio Dobri e la traduzione di Patrizia Pireni

Come in ogni memoriale ci sono i racconti di vita vissuta, fatti tristi, momenti allegri e certe opinioni personali. Il racconto è fluente, colorito e, a volte, con intensi toni letterari. In parentesi riquadrate sono state inserite alcune spiegazioni del redattore. Buona lettura con le parole di Silvio Dobri nel testo originale in inglese e nella traduzione a cura della professoressa Patrizia Pireni, di Udine.

Dobri memories Laterina refugee centre

Laterina floats on a Tuscan hill, levitating lordly over the flood plain of the Arno. The town’s ancient stones are set in the fertile agricultural triangle with Firenze, Siena and Arezzo at its points. 

I was 9 the year my brothers — Bruno and Franko — and our parents — Giuseppe and Maria — set foot on Tuscan soil. Bruno was almost six months old and squirming in mom’s arms, Franko was three years old; dad was 42 and mom was 32. Laterina was our first home in Italy. Surrounded by rolling hills and vineyards fed by the eternaly-flowing Arno, you’d think Laterina an idyllic and enviable locale. The scene held a lot of promise, even for refugees like us.

Our first temporary pied-à-terre was a barrack. Grey blankets hanging on wires were our walls that provided some privacy. Baby Bruno was colicky, so our need for family quarters was dire. And before too long we moved into a three-room unit located in another of the 20 barracks that capped the flood plain. This was quite a contrast to the lush surrounding. 

A church, infirmary, public showers, a community television room and general store were among the 30 buildings that completed our place of refuge. The same buildings had previously housed prisoners of war, and once PoWs were cleared out the camp was a re-indoctrination centre for the disgraced acolytes of Benito Mussolini.

Whatever the condition of the Centro Raccolta Profughi Laterina it was enough for the hardy exiles from the Balkans to feel safe. The camp provided temporary housing for about 5,000 refugees between 1948 and 1963. The residents were primarily a diaspora from Istria and Dalmatia. The camp closed in 1963, after 15 years of non-stop hosting of people looking for safety, freedom and a chance at a better life.

For children the camp was never a dreary place. The camp provided opportunities for adventure, for devil-may-care games and plenty of swimming in the Arno. Here, I saw a television for the first time. Watching TV was a community event. There were times for access and kids would line up early to get a good spot on the floor in front of the television. The Lone Ranger, The Cisco Kid and show featuring cowboys and Indians were my favourite.

As strange as this may sound, the classroom was another place popular with kids. The resources were few, but the foreign students were eager to learn and improve their stilted Italian, if they spoke it at all. All joined the Dante Alighieri Society.

Movement at the camp was not restricted. I’d be sent on errands to the medieval town often, and fondly remember a day I bought a chocolate and walking out with two. As luck would have it, two chocolates stuck together and the old man behind the counter did not notice it. I tried to repeat the magic trick but got caught.

Dad had planted a vineyard near Valmazzinghi, the cement factory town we lived in Istria. The field was abandoned when we left. So to satisfy his nostalgia for what he left behind he would take us for Sunday walks through the Tuscan countryside to admire the grapes and the work the “contadini.” Knowing the hard work that went into cultivating the vineyards, never would he take as mush as a grapes without first talking to the farmer. It always worked and we would gorge ourselves. For me it was like being back in my grandfather’s vineyards.

Not everyone was mindful of the hard working grape growers. I recall a farmer whose vineyard was closest to the camp running, with a bullwhip in hand, after a kid who had stolen his grapes.

Italy had a welcome mat for refugees flooding into the country during the 1950s. Quite a contrast to the current situation. Anyone entering Italy today faces a marathon of obstacles and often hatred for just considering to step onto Italian ground.

The mass exodus of Italian-speaking men, women and children from Istria and Dalmatia was a result of the protracted internecine struggle between the Communist and Fascist forces. For Italians the war and the turbulent post war period raises the ugly and cruel spectre of the “foibe massacres.” Finding hundreds of bodies in Istria’s “foibe” is proof enough for them.

A “foiba” is a deep sinkhole or karst, a natural geological phenomenon throughout Istria. Many of the “foibe” were used by both warring side as dumping grounds for the losers of the five-year war and the settling of accounts after the war. The rocky village where I was born, had a foil near the cemetery, but never did I hear of a local being thrown into the sinkhole.

In every village it was common knowledge who took what political side, but the settling of political conflict was rarely discussed after the war. Both sides of my family lost members in the war, or had members spend time in concentration camps either in Germany or Greece.

Crp di Laterina, Istruzioni per la cresima, da un Attestato di cresima del 1949. APLa, Attestati di cresima vari 1949-1957, stampati.


Our family of five left Pula on a night train with no more than two suitcases. A policeman at the house watched my parents pack and made sure we did not take even one of Tito’s dinars over the amount allowed. Giuseppe, Maria and their sons were processed at the Giuliano Dalmatian Refugee Sorting Centre in Udine, and spent a week in an overcrowded apartment block before getting train tickets to Tuscany.

In Udine we saw cousin Gino, who had escaped from Tito’s grip by rowing westward across the Adriatic. Gino made the journey to freedom with a couple of friends a few months after all three completed their military service.

In Udine and Laterina the Italians provided some assistance to the exiles, but it was up to each refugee to get a job and leave the camp as soon as possible. My father was resourceful and hard working. He got us out of Laterina some 18 month after our arrival.

Dad still had contacts in Italy. He was conscripted into the Italian army in 1936. His unit was based in Piemonte, and before he served in the army he was in the merchant marine. He sailed while still a teen and often told us stories about his trips to India through the Suez Canal, and other ports of call. Montenegro’s ports were the scariest place to stop, he said. His intent was to resume his merchant marine career once he got his military discharge, but that was not to be. Yugoslavia was rebuilding after the war and workers were needed at the Valmazzinghi cement factory. He had no political aspirations or affiliations, and no interest in taking part in any the local Communist committee meetings or events at the factory. That meant he never got permission his papers to return to sea.

Dad’s search for a way back into the merchant marine and freedom, was a force that drove him to keep his Italian citizenship and he applied for political asylum in Italy.

A great many places in European had changed flags and nationalities when the war ended. Istria was such a place and Tito agreed to let all Italian citizens leave Yugoslavia. It was not an easy process. It took my parents five years to get out from behind the Iron Curtain.

Getting out of the camp was a lot easier. Dad found work on the autostrada the Italian government was building. He then started to contact people he knew. He reached a relative on his mother’s side of the family who worked in the Port Authority in Livorno, and through him signed us on a ship that sailed out of Genova. He spent almost two years plying the Tyrrhenian Sea hauling goods from Genova to Sardinia, to Corsica and to Sicilia, before emigrating to Canada. He even took me along on one of his voyages the last summer we spent in Italy.

Giuseppe was 45 when he walked down the gangway of the Cristoforo Colombo in Halifax. His ultimate destination was Port Hope, Ontario, where his brother lived. The train ride took several days. For a mariner, Port Hope must have appeared to be full of promise. Maria and his three sons followed 10 months later, sailing on the ‘Irpinia’ from Genova to Montreal then making a four-hour train trip to their Canadian home.

Two years after arriving in Port Hope, Mary Susan, was welcomed into the family. Giuseppe and Maria raised their family and spent the last 50 years of their life in Port Hope. Husband and wife reached the age of 94 when they passed away. Three of their children still reside in Port Hope, while the oldest son went west and lives in Edmonton, Alberta.

The four generations of the Dobri family — parents to great-grandchildren — total 25 souls who live a comfortable life in freedom and prosperity all because of the sacrifices Giuseppe and Maria made through their lives. [Così finisce il testo originale di Silvio Dobri].

Il nome “Dobric Silvano”, per Silvio, è al tredicesimo posto della lista in questa rubrica di cresimati. Si noti al secondo posto il cognome Daicich, di cui c’è una breve testimonianza alla fine del presente saggio. APLa, Laterina CRP Cresimati dal 1950 al 1962, ms


Il Centro raccolta profughi di Laterina nelle memorie di Dobri, traduzione

Laterina fluttua su una collina toscana levitando signorile sulla pianura alluvionale dell’Arno. Le antiche mura della città sono situate nel fertile triangolo agricolo tra Firenze e Siena ed Arezzo nei suoi punti cardinali. Avevo nove anni l’anno in cui i miei fratelli Bruno e Franco e i nostri genitori Giuseppe [detto Beppo, NdR] e Maria [nata Glavicich] misero piede sul suolo toscano [era l’anno 1956]. Bruno aveva quasi sei mesi e si contorceva nelle braccia di mamma, Franco aveva tre anni, papà aveva 42 anni e la mamma ne aveva 32. Laterina era la nostra prima casa in Italia. Circondata da colline ondeggianti e vigneti nutriti dall’Arno eternamente fluente, tu avresti pensato a Laterina come a una località idilliaca ed invidiabile. La scena era piena di promesse, persino per dei rifugiati come noi.

Il nostro primo temporaneo pied-à-terre fu una baracca. Grigie coperte pendevano su dei fili ed erano le nostre mura, fornendoci una certa privacy. Il piccolo Bruno aveva le coliche e così la nostra necessità per un alloggio familiare era terribile e dopo poco ci trasferimmo in una unità di tre stanze situata in un’altra delle 20 baracche che ricoprivano la pianura alluvionale. Questo costituiva un contrasto notevole con i dintorni lussureggianti. Una chiesa, un’infermeria, docce pubbliche, una stanza per la televisione comune e un magazzino generale erano tra i 30 edifici che completavano il nostro luogo di rifugio. Gli stessi edifici avevano precedentemente ospitato prigionieri di guerra e una volta che i prigionieri di guerra se ne furono andati il Campo divenne un centro per il re-indottrinamento degli accoliti di Benito Mussolini in disgrazia.

Qualunque fosse la condizione del Centro di raccolta profughi di Laterina, era comunque abbastanza affinché i profughi provenienti dai Balcani si sentissero al sicuro. Il campo fornì alloggio temporaneo a circa 5.000 rifugiati tra il 1948 e il 1963 [dalle statistiche più recenti i profughi passati per il Crp di Laterina sono oltre 10 mila]. I residenti erano principalmente una diaspora proveniente dall’Istria e dalla Dalmazia [e da Fiume e costa liburnica]. Il campo fu chiuso nel 1963 dopo 15 anni in cui ospitò senza sosta persone che cercavano salvezza, libertà e una opportunità per una vita migliore.

Per i bambini il campo non fu mai un posto triste. Il campo forniva opportunità di avventura, di giochi e un sacco di nuotate nel fiume Arno. Qui io vidi per la prima volta una televisione. Guardare la TV era un evento comunitario. C’erano delle ore per poter accedere alla televisione e i ragazzi erano soliti fare la coda presto per poter ottenere una buona posizione sul pavimento davanti alla TV. The Lone Ranger, The Cisco Kid e spettacoli con cowboy e indiani erano i miei preferiti.

Può sembrare strano ma la classe [l’aula scolastica, in baracca] era un altro posto molto popolare tra i ragazzi. Le risorse erano poche ma gli studenti stranieri erano desiderosi di imparare e di migliorare il loro italiano pomposo, se addirittura riuscivano a parlarlo. Eravamo tutti iscritti alla società Dante Alighieri. Muoversi e uscire dal campo non era proibito e io ero spesso mandato per commissioni nella città medievale e così ricordo che un giorno ho comprato una stecca di cioccolata e uscendo dal negozio ne avevo due di stecche di cioccolata. Le due stecche si erano appiccicate insieme e il vecchio dietro il bancone non l’aveva notato. Tentai di ripetere quel trucco magico, ma venni preso.

Papà aveva piantato un vigneto vicino a Valmazzinghi [o Koromačno, presso Albona], la città di industrie di cemento dove vivevamo in Istria. Il campo agricolo fu abbandonato quando partimmo. Così per soddisfare la sua nostalgia per ciò che avevamo lasciato dietro di noi lui era solito portarci la domenica a fare passeggiate attraverso la campagna Toscana per ammirare l’uva e il lavoro dei contadini. Poiché sapeva del duro lavoro che c’era dietro alla coltivazione dei vigneti, lui non avrebbe mai raccolto un grappolo d’uva senza prima averlo chiesto al contadino. E questo funzionava sempre perché così noi potevamo rimpinzarci. Per me era come tornare indietro nel vigneto del nonno. Non tutti erano consapevoli del duro lavoro che c’era dietro a una coltivazione d’uva. Ricordo un agricoltore il cui vigneto era vicino al campo e lo ricordo mentre con una frusta in mano rincorreva un bimbo che aveva rubato la sua uva. L’Italia aveva steso un tappeto di benvenuto per i rifugiati che come una ondata avevano invaso il paese durante gli anni ’50 [Secondo altre fonti l’accoglienza non fu così rosea]. Una situazione completamente diversa da quella attuale. Qualunque persona che entri in Italia oggi deve affrontare una maratona di ostacoli e spesso di odio semplicemente per il fatto di aver messo piede sul suolo italiano.

L’esodo di massa dall’Istria e dalla Dalmazia di uomini donne e bambini parlanti italiano fu il risultato di una lotta protratta e intestina tra le forze comuniste e quelle fasciste. Per gli italiani la guerra e il turbolento periodo del dopoguerra solleva il terribile e crudele spettro dei massacri delle foibe. Ne è prova l’aver trovato centinaia di corpi nelle foibe istriane. Una foiba è una profonda dolina nel Carso, un fenomeno geologico naturale presente in tutta l’Istria. Molte foibe furono usate da entrambi le parti in guerra come terreni di discarica per i perdenti di questa guerra durata cinque anni e per sistemare i conti dopo la guerra.

Il paese roccioso, dove sono nato io [Santa Lucia d’Albona], ne aveva una vicino al cimitero, ma non ho mai sentito di un solo abitante che fosse gettato nella voragine. In ogni villaggio si sapeva chi parteggiava per una parte politica, ma dopo la guerra raramente si è affrontato il tema della risoluzione politica del conflitto. Entrambi i lati della mia famiglia hanno perso membri nella guerra o avevano dei membri che hanno passato del tempo nei campi di concentramento sia in Germania che in Grecia. La nostra famiglia di cinque persone ha lasciato Pola con un treno notturno e non avevamo che due valigie. Un poliziotto controllava che i miei genitori facessero le valigie e si assicurava che noi non prendessimo nemmeno uno in più dei dinari di Tito oltre l’ammontare che ci era concesso. Giuseppe, Maria e i loro figli furono sistemati nel Centro smistamento dei rifugiati giuliano dalmati di Udine e trascorsero una settimana in un edificio super affollato prima di ottenere i biglietti ferroviari verso la Toscana.

Scorcio di Albona, anni '30. Immagine dal web


In Udine abbiamo incontrato il cugino Gino che era sfuggito alla morsa di Tito navigando verso occidente attraversando l’Adriatico. Gino aveva realizzato il viaggio verso la libertà con una coppia di amici alcuni mesi dopo che tutti e tre avevano completato il loro servizio militare. A Udine e anche a Laterina gli italiani davano assistenza ai rifugiati, ma dipendeva poi da ciascun esule procurarsi un lavoro e lasciare il campo non appena possibile. Mio padre era un uomo pieno di risorse ed era un duro lavoratore e così riuscimmo ad uscire da Laterina 18 mesi dopo il nostro arrivo.

Papà aveva ancora dei contatti in Italia. Fu arruolato nell’esercito italiano nel 1936. La sua unità era di base in Piemonte. Prima di entrare nell’esercito era nella marina mercantile. Era solo un teenager e già viaggiava per mare e spesso ci raccontava storie dei suoi viaggi verso l’India attraverso il Canale di Suez e altri porti di scalo. Ci raccontava che i porti del Montenegro erano i posti più insidiosi dove fermarsi. La sua intenzione era di riprendere la sua carriera nella marina mercantile una volta ottenuto il congedo militare, ma ciò non fu possibile. La Jugoslavia stava attraversando un periodo di ricostruzione dopo la guerra ed erano necessari i lavoratori alla fabbrica di cemento di Valmazzinghi. Papà non aveva né aspirazioni, né affiliazioni politiche e nessun interesse a prendere parte agli incontri locali del Comitato comunista, oppure agli eventi in fabbrica. Ciò significò per lui l’impossibilità di tornare a lavorare in mare.

La ricerca di papà di un modo per poter tornare a lavorare nella marina mercantile e quindi avere anche la libertà fu la forza che lo guidò a mantenere la sua cittadinanza italiana e così fece domanda di asilo politico in Italia. Parecchi posti in Europa avevano cambiato bandiere e nazionalità quando la guerra finì. L’Istria fu uno di quei posti e Tito concesse a tutti i cittadini italiani di lasciare la Jugoslavia. Non fu un processo facile. Ci vollero cinque anni perché i miei genitori uscissero da dietro la Cortina di Ferro. Uscire dal Campo profughi fu molto più facile. Papà trovò lavoro nell’autostrada che il governo italiano stava costruendo. Poi iniziò a contattare persone che conosceva. Raggiunse un parente dal lato di sua madre che lavorava nell’autorità portuale a Livorno e tramite lui ci imbarcò su una nave che salpava da Genova. Trascorse quasi due anni navigando per il mare Mediterraneo, trasportando merci da Genova verso la Sardegna, Corsica e Sicilia, prima di emigrare in Canada. Mi portò persino con sé in uno dei suoi viaggi l’ultima estate che passammo in Italia.

Giuseppe aveva 45 anni quando percorse la passerella della ‘Cristoforo Colombo’ ad Halifax [in Canada]. La sua ultima destinazione fu Port Hope, nell’Ontario, dove viveva suo fratello. Il tragitto in treno durò vari giorni. Per un marinaio, Port Hope doveva essergli sembrato un posto pieno di promesse. Maria e i suoi tre figli lo seguirono 10 mesi più tardi, viaggiando sulla ‘Irpinia’ [motonave] da Genova fino a Montreal e poi facendo un viaggio in treno di quattro ore verso la loro dimora canadese. Due anni dopo l’arrivo a Port Hope, nacque Mary Susan, benvenuta nella nostra famiglia. Giuseppe e Maria crebbero i figli e trascorsero gli ultimi cinquant’anni della loro vita a Port Hope. Marito e moglie raggiunsero l’età di 94 anni quando poi morirono. Tre dei loro figli si trovano tuttora a Port Hope, mentre il figlio più anziano [Autore delle memorie] si trasferì a ovest e vive a Edmonton, nell’Alberta. Le quattro generazioni della famiglia Dobri, dai genitori fino ai pronipoti, sono in totale 25 anime, vivono una vita confortevole in libertà e prosperità, tutti grazie ai sacrifici che Giuseppe e Maria fecero lungo il corso delle loro vite.

Cosa succede alla scuola di Albona nel 1944

Grazie alla diffusione nel web dell’Archivio di Stato di Gorizia (ASGo) ecco un documento scolastico della provincia di Pola (vedi sopra), allora amministrata dalle autorità germaniche di occupazione nell’ambito della Zona di Operazioni Litorale Adriatico (OZAK). Il 13 giugno del 1944 Giuseppe Nider, direttore didattico ad Albona in Istria, trasmette all’ispettore scolastico a Pola il rapporto sulla visita alla scuola di Pozzo Littorio (dal 1943 “Piedalbona”; dal 1947 “Podlabin”), villaggio minerario inaugurato il 28 ottobre 1942, a vent’anni dalla Marcia su Roma. Su 39 alunni della classe seconda ben 22 sono rimasti a casa. Motivo delle assenze: “paura”. Le “note ragioni” [ossia, la guerra] impedivano di prendere provvedimenti. “Molto bene la lettura”, scrive il direttore, mentre tra vetri rotti e in assenza di mezzi didattici procede il lavoro di Caterina Luciani e Maria Scopas Potnik, insegnanti di una classe decimata dal terrore dei bombardamenti. ASGo, Provveditorato agli studi di Pola (1923-1951), b. 153, fascicolo “Maria Scopas Potnik”.

Conclusioni

Parliamo degli uni e parliamo degli altri. Nel gennaio 2022 un mio amico di gioventù, Maurizio Daici, a una presentazione pubblica a Udine del mio libro 'La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul centro raccolta profughi giuliano dalmati di Laterina 1946-1963', ha voluto dirmi che: “Anche mio padre, e prima ancora i miei nonni, avevano perso la patria. Istriani di lingua croata, a loro furono italianizzati il nome e il cognome negli anni ’30. Inoltre, mio nonno, ferroviere, non poté mai lavorare nella sua terra, dove aveva una casa, e a causa dei continui trasferimenti da un luogo all’altro si ritrovò con la famiglia in Friuli, decidendo di rimanervi anche dopo la guerra, perché ormai qui i figli erano cresciuti e qui aveva il suo lavoro. Lui e mia nonna parlavano un italiano ‘imparaticcio’, con alcune inflessioni istro-venete, negandosi la lingua madre che il regime fascista contrastava e che era un ostacolo all’assimilazione non solo nell’Italia del Ventennio, ma anche in quella degli anni successivi. Sennonché, mia nonna sul letto di morte non parlò altrimenti che in croato, circondata da figli e nipoti che non potevano capirla. Il nonno non so in quale lingua pensò o urlò quando, col terremoto del 6 maggio 1976, gli cadde addosso il tetto di casa”.

Per concludere questo originale contributo riportiamo il pensiero dell’ingegnere Sergio Satti, nato nel 1934, esule di Pola, componente del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine e già vicepresidente dal 1987 al 2015. Il decano Satti, in riferimento al travagliato Novecento istriano, ha affermato: “Sono contento e felice che, dopo essere da 75 anni socio dell’ANVGD, la memoria della nostra storia stia diventando patrimonio per tutti”.

Compito di aritmetica di Dobri Silvio, classe III, Laterina Crp, giugno 1957. Archivio Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR)


Il messaggio di Bruna Zuccolin

La presente ricerca si è svolta nello spirito della Legge 30 marzo 2004 n. 92 sul Giorno del Ricordo, per diffondere la conoscenza dei tragici eventi del confine orientale che nel secondo dopoguerra colpirono gli italiani vittime delle foibe, nonché gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia, preservando le tradizioni di quelle comunità. “È importante ricordare in un clima di collaborazione e di pace tra i popoli in dimensione europea – ha detto Bruna Zuccolin, presidente dell’ANVGD di Udine – perché così i giovani vengono a sapere di fatti tragici che non dovrebbero più ripetersi”.

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Fonti orali e digitali

- Maurizio Daici, nato in Friuli nel 1956, vive ad Artegna (UD), int. del 20 gennaio e del 28 giugno 2022.

- Silvio Dobri, Santa Lucia di Albona 1946, vive a Edmonton, Alberta, Canada; email allo scrivente del 16-23 giugno 2022.

- Sergio Satti, Pola 1934, esule a Udine, int. del 23 giugno 2022.

Documenti originali

Silvio Dobri, Dobri memories Laterina refugee centre, testo in RTF, 2022, pp. 3. Collezione E. Varutti.

Fonti archivistiche

Premesso che potrebbero esserci alcuni errori materiali di scrittura nei manoscritti consultati, la presente ricerca è frutto della collaborazione fra l’ANVGD di Arezzo e il Comitato Provinciale dell’ANVGD di Udine. La consultazione e la digitalizzazione dei materiali di studio presso l’Archivio Parrocchiale (APLa) e quello Comunale di Laterina, oltre che all’Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR) è stata effettuata dal 2015 a cura di Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo.

- Archivio di Stato di Gorizia (ASGo), Provveditorato agli studi di Pola (1923-1951), b. 153, fascicolo “Maria Scopas Potnik”.

- Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, ms.

- Parrocchia dei Santi Ippolito e Cassiano, Laterina (APLa), Laterina CRP Cresimati dal 1950 al 1962, Attestati di cresima vari 1949-1957, Lettere, dattiloscr., stampati e ms.

- Provveditorato agli studi di Arezzo, Comune di Laterina, Scuole elementari, Circolo Didattico di Montevarchi, Scuola Elementare C.R.P., Registro della classe 3^ mista, insegnante Giuliana Stoppielli, anno scolastico [1956-1957], pp. 30, stampato e ms.

Dettato di Dobri Silvio, classe III, Laterina Crp, 14 giugno 1957. Archivio Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR)


Cenni bibliografici e del web

Giuliana Pesca – Serena Domenici – Giovanni Ruggiero, Tracce d’esilio. Il C.R.P. di Laterina 1948-1963. Tra esuli istriano-giuliano-dalmati, rimpatriati e profuganze d’Africa, Città di Castello, Biblioteca del Centro Studi “Mario Pancrazi”, Edizioni NuovaPrhomos, 2021, pp. 224.

E. Varutti, Istriani esuli in Ontario, Canada. La lista di quelli passati prima al Campo profughi di Laterina, on line dal 19 maggio 2022 su   evarutti.wixsite.com

Ringraziamenti - La redazione del blog per l’articolo presente è riconoscente al signor Silvio Dobri, esule da Albona in Canada e al signor Claudio Ausilio, esule da Fiume a Montevarchi (AR), socio dell’ANVGD provinciale di Arezzo. In particolare Claudio Ausilio ha fornito con la consueta cortesia i materiali per la ricerca presso l’Archivio Parrocchiale e del Comune di Laterina, oltre a quello scolastico di Levane (AR), secondo la tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine. Oltre alle fonti orali, si ringraziano gli operatori e le autorità del Comune di Laterina e dell’Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR), per la collaborazione riservata all’indagine storica. Si è grati pure a don Mario Ghinassi, parroco di Laterina nel 2015 e agli operatori dell’ASGo. Grazie per la traduzione dall’inglese alla professoressa Patrizia Pireni, di Udine.

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Autore principale Silvio Dobri. Altri testi di Elio Varutti. Ricerche di Claudio Ausilio e E. Varutti. Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Lettori: Silvio Dobri, Patrizia Pireni, Sergio Satti, Annalisa Vucusa (ANVGD di Udine), Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo) e il professor Enrico Modotti. Copertina: Laterina, Crp, 19 maggio 1957 – Prima Comunione di Silvio Dobri, col papà Giuseppe e il signor Ricco, a destra.

Altre fotografie da collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/