lunedì 2 marzo 2015

Parla Sara, nipote di Arnaldo Harzarich, che scoprì le foibe d’Istria

“Sono la nipote del maresciallo dei pompieri di Pola, Arnaldo Harzarich”.  Esordisce così il racconto della signora Sara Harzarich, nata a Pola nel 1931 ed oggi esule a Pagnacco, in provincia di Udine. Lo zio di cui fa cenno è Arnaldo Harzarich, nato a Pola il 3 maggio 1903 e deceduto a Merano il 22 aprile 1973. Su di lui i titini iugoslavi, nel mese di settembre del 1944, misero addirittura una taglia di 50 mila lire, pur di catturarlo e farlo fuori, senza riuscire nel losco intento.

Pagnacco, provincia di Udine, 26 agosto 2012 - Inaugurazione del Monumento ai Martiri delle foibe, la benedizione del parroco, don Sergio De Cecco (Collezione Sara Harzarich, Pagnacco).

Dopo che alcuni bambini trovarono vicino alla voragine della foiba di Vines, in Istria, gli occhiali rotti del loro babbo e alcuni bottoni strappati dagli abiti, furono chiamati i compaesani e i pompieri di Pola, per capire cosa poteva essere successo. C'era pure un forte odore acre che usciva dalla voragine carsica. I colombi non si aggiravano più come invece facevano normalmente. La foiba è detta "dei colombi". Poi il maresciallo Harzarich, coi pompieri e i volontari, cominciò a riesumare corpi su corpi. Fu così che si scoprirono le prime foibe. Il maresciallo Harzarich, dall’ottobre 1943 al mese di febbraio 1945, riesumò 250 salme, delle quali 204 furono identificate.
Nel luglio del 1945 il maresciallo Harzarich "rilasciò ai servizi d'informazione angloamericani una circostanziata deposizione - come hanno scritto R. Pupo e R. Spazzali nel 2003, accompagnata da una ricca documentazione, anche fotografica [con fotografie di Sivilotti, di Pola]". Parte di tale rapporto sul recupero delle vittime dalla foiba istriana è contenuta in: Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, Milano, Bruno Mondadori, 2003, pagg. 52-58. Tutto il materiale è consultabile presso l'archivio dell'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste.

Il maresciallo Arnaldo Harzarich, dei pompieri di Pola, che iniziò dal 16 ottobre del 1943 a recuperare le salme degli italiani ed altri gettati nelle foibe dell'Istria dai titini. 


I nomi degli italiani infoibati furono pubblicati nel 1943 su Il Piccolo di Trieste, con le fotografie di Giacomo Greatti “cartolaio emerito di Parenzo”, morto esule a Fagagna, in provincia di Udine. “Davanti alla sua cartoleria erano esposte le foto degli infoibati, per darne notizia a tutti, altrimenti non si sapeva niente, i titini cercavano di fare tutto di nascosto” – mi riferisce un’altra esule istriana, la signora Marisa Roman di Parenzo, classe 1929, da me intervistata il 26 gennaio 2015. 
La testimonianza di Sara Harzarich, da me intervistata il 13 febbraio 2015, prosegue così: “Avevo tredici anni quando zio Arnaldo è scappato da Pola, perché i titini lo cercavano per eliminarlo”. E la testimonianza continua: “Ricordo che la nonna non si dava pace e ogni sera voleva sapere se suo figlio Arnaldo era tornato a casa sano e salvo, così venne da me e mi chiese di accompagnarla fino a casa dello zio, per verificare il suo ritorno a casa. Noi si abitava vicino all’Arena”.
Signora Harzarich, poi cosa successe? “Appena arrivati nella sua casa, ci siamo accorti che la porta era aperta, tutto era in disordine, non c’era più nessuno, erano venuti i titini per arrestarlo, ma lui era riuscito a fuggire con una scala dalla finestra”.
Allora riuscì a salvarsi in modo fortunoso? “Sì, lui scappò e andò esule a Merano, in provincia di Bolzano, ma le spie dell’OZNA lo trovarono anche là e gli fecero un attentato”.
La “Odeljenje za Zaštitu Naroda” (OZNA) è la sigla che significa: Dipartimento per la Sicurezza del Popolo. C’è una seconda versione che così spiega la sigla: “Oddelek za zaščito naroda”; letteralmente: Dipartimento per la  protezione del popolo. Era parte dei servizi segreti militari iugoslavi. L'organizzazione era dotata di carceri proprie. Il maresciallo Harzarich operò anche al Brennero.
Cosa accadde a Merano in quell’attentato? “Un tizio uscì da un cespuglio vicino a casa sparando con una pistola, ma lo zio si salvò perché si era girato verso casa, dato che la moglie Stefania lo aveva richiamato per un ultimo bacio. Ecco, fu quel bacio a salvargli la vita ancora una volta”.
Ha qualche altro ricordo particolare? “Eravamo a Gallesano, vicino a Pola – continua la signora Sara Harzarich – il 4 maggio 1945 e vediamo mio padre Bruno Harzarich che era stato messo al muro per la fucilazione, perché i titini l’avevano scambiato per suo fratello Arnaldo Harzarich, così abbiamo gridato, le donne di casa che sapevano il croato glielo hanno spiegato nella loro lingua ai titini, così che non lo passarono per le armi”.
Nel 1946 a Pola c’erano tensioni e tumulti. È vero? “Era febbraio del 1946 e chi era di sentimenti italiani mostrava con orgoglio un nastrino tricolore, ce lo avevo anch’io sulla giacca. Passo vicino al porto e certi ragazzi di Pola filo-titini mi rincorsero con l’intenzione di gettarmi in mare, per dispetto, col rischio di morire annegata per l’acqua gelida. Ebbene sì, c’erano tensioni continue con gli italiani simpatizzanti comunisti”.
Quando siete venuti via da Pola? “Io, con la mia famiglia, siamo fuggiti nel 1947, col piroscafo Pola che ci portò a Trieste. Siamo passati per il Campo Profughi del Silos, poi mio padre trovò lavoro alla cartiera Dolinar di Basaldella di Campoformido, così ci siamo trasferiti in provincia di Udine. Negli anni cinquanta abbiamo abitato nelle casette del Villaggio Giuliano di Udine, dove oggi c’è un mio nipote”.
Ci sono altre storie dell’esodo? “Mi ricordo che mia zia Amelia Harzarich in Soffici, sorella di mio papà, che aveva appena avuto da un mese due gemelli, essendo nella lista dei "partenti", è dovuta partire col piroscafo Toscana con i neonati; a causa della fame e del freddo ha perso i gemelli. Erano un maschietto e una femminuccia, sono morti tutti e due a Venezia, dove era sbarcata la famiglia Soffici”.
Poi da Venezia i suoi zii Soffici dove andarono? “Zio Mario e zia Amelia Soffici, dopo aver perso i bambini, si spostarono col treno fino a Genova, in un Campo Profughi vicino a Genova; infine, emigrarono a Bueons Aires e là, in Argentina, si ripresero ed hanno avuto altri due figli maschi”.


Pagnacco, provincia di Udine, il Monumento ai Martiri delle foibe, scultura in ferro di Renato Picilli (2012), su masso in pietra e basamento in acciottolato (foto di Elio Varutti)

Lei, esule a Pagnacco, si è fatta promotrice di vari fatti per ricordare le vittime delle foibe? “Certo, nel 2001 c’è stata l’intitolazione di una piazza ai “Martiri delle foibe”, poi abbiamo fatto erigere un monumento nella stessa area, vicino alle scuole, con una scultura in ferro di Renato Picilli, inaugurata il 26 agosto 2012, in collaborazione con il Comune”. Il telaio della scultura, a forma di imbuto rovesciato – come ha detto Monica Lavarone, critico d’arte, il giorno dell’inaugurazione – ricorda  l’abisso naturale della foiba del Carso, con corde, mani rivolte verso l’alto e filo spinato, con il quale venivano legati i prigionieri, prima di gettarli, dopo un colpo alla nuca, nell’inghiottitoio.
Qual è la cosa più triste dell’esodo che ricorda, signora Harzarich? “Dopo l’esodo, ho patito tanto la fame… da mastegar il lenziol la sera”.

Il Monumento ai Martiri delle Foibe di Pagnacco ha tre targhe di ricordo. La prima di esse, posta sulla parte anteriore recita: "Ai nostri fratelli giuliani, istriani, fiumani e dalmati morti nelle foibe nel mare per testimoniare l'italianità delle loro terre - il Comune di Pagnacco - Agosto 2012". Quella posizionata sul lato dice: "Agli eroici Vigili del Fuoco del 41° Corpo di Pola: maresciallo Arnaldo Harzarich capo squadra ed ai suoi valorosi commilitoni per la loro preziosa opera di recupero, a rischio della vita, delle vittime delle foibe per una loro cristiana sepoltura - la nipote Sara Harzarich Pesle - Agosto 2012". La terza targa dedicatoria, posta sul retro, accenna alla famiglia Costantino Tonutti, che ha donato il masso su cui si erge la scultura in ferro.

ALTRE VIOLENZE TITINE

Cambiamo zona. Siamo in provincia di Gorizia, sul confine odierno tra Italia e Slovenia. Questa è un'altra vicenda sulle violenze titine, emersa nel 2015, pubblicata su "Il Friuli" del 27 marzo 2015. Giugno 1944: nel cuore del Collio, famoso per i suoi vini, tre giovani fratelli Mrak (Andrej, 30 anni, Alojz, 23 anni e Alojza, 17 anni), dei quali una minorenne, vengono catturati dalla polizia politica titina, portati in un bosco e fucilati. La madre (Katarina Mrak 1889-1944), appresa la sconvolgente notizia, muore di crepacuore.
Questa vicenda drammatica nell’anno più buio della Seconda Guerra mondiale è riemersa soltanto pochi mesi fa, quando Bruno Mrak, un parente della famiglia ha voluto conoscere la verità. La gente del paese, di Mossa, provincia di Gorizia, gli ha detto di cercare "dove si trova una parte della sua famiglia". Allora si è recato di là del confine, in Slovenia, nel cimitero di Cerò di Sotto (in sloveno Dolnje Cerovo). Così ha scoperto la tomba con tutti i Mrak fucilati o morti di dolore nel 1944. Motivo della fucilazione: un furto di patate. Peccato che a giugno lì non sono mature. Altri del paese allora gli hanno detto che i giovani maschi non volevano arruolarsi nelle formazioni partigiane iugoslave. Di qui la liquidazione.
Da varie fonti si sa che era praticato con il ricatto l'arruolamento nelle file del movimento partigiano di Tito. Come scrive Frediano Sessi, a pag. 101 del suo volume Foibe rosse, pure a Norma Cossetto, di Visinada, e a sua sorella Licia fu chiesto a forza di schierarsi con i partigiani comunisti in Istria. Al rifiuto netto di Norma, ella fu torturata, seviziata, stuprata da un gruppo di diciassette titini e gettata, ancora viva, nella foiba di Villa Surani. A novembre del 1943 i vigili del fuoco di Pola comandati dal maresciallo Arnaldo Harzarich, impegnati a recuperare corpi dalla foiba profonda 136 metri, estrassero anche quello di Norma Cossetto, il cui cadavere si trovava in cima alla catasta di corpi lì gettati. Fu riconosciuto dalla sorella 
I ricatti dei militi titini sul reclutamento dei giovani per il movimento partigiano gettano una cattiva luce su tutta la Resistenza. Altri si rifiutano di passare coi titini e furono uccisi. “A Sarezzo di Pisino il 26 giugno 1943 – ha scritto Luigi Papo de Montona nel suo L’Istria e le sue foibe. Storia e tragedia senza la parola fine, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1999, pag. 44 – fu ucciso l’agricoltore Giuseppe Ghersetti di Giuseppe, nato nel 1892, non iscritto al P.N.F. (Partito Nazionale Fascista), reo di essersi rifiutato di entrare a far parte del movimento partigiano slavo”.
Lo stesso Luigi Papo de Montona, alle pagg. 120-121, racconta anche di “Mario Braico, anni 26, di Villanova di Parenzo, Sottobrigadiere Mare (3971-CREM) della Brigata di Civitavecchia della Guardia di Finanza. Dalla relazione ufficiale del Comando Circolo R.(eale) G.(uardia) Finanza di Pola: Durante l’occupazione partigiana di Villanova di Parenzo (circa 7 km da Parenzo), il nostro sottufficiale, perché nativo del posto, venne invitato a prendere parte al movimento slavo-comunista, ma egli ha rifiutato decisamente di aderire. Il giorno 26 settembre 1943, alle ore 22,30, venne portato via dai partigiani e non si ebbero sue notizie sino al giorno 10 dicembre 1943, data in cui venne trovato e riconosciuto dai propri familiari, assassinato nella foiba di Surani (Antignana)”.

Vediamo altri casi ancora sugli arruolamenti forzosi nei partigiani titini. Non volontari, né liberi. Tali arruolati finiscono sempre male: eliminati. Seguiamo sempre le parole di Luigi Papo de Montona, nel suo L’Istria e le sue foibe, del 1999, alle pagine 211 e 212: «In località Sovischine (Montona) il 24 dicembre 1943 i partigiani decisero di arruolare un giovane contadino, Romano Corti – originariamente Chert – il ragazzo rispose che non ne aveva nessuna voglia e la madre, Maria Corti, si schierò dalla parte del figlio, quasi a proteggerlo. I partigiani uccisero tutti e due (…).
Giuseppe Iurincich, di Giuseppe, da Boste (Maresego) fu arruolato forzatamente, una notte tra il 1943-1944; si seppe che era deceduto in bosco.
Francesco Chermaz da Centora Valle (Maresego) fu arruolato forzatamente nel marzo 1944, di notte. Fu ucciso poco lontano dal suo paese; dissero “perché non riusciva a mantenere il passo con la colonna”.
Saulo Dobrigna di Giuseppe, da Sabadini (Maresego) fu del pari arruolato forzatamente e ucciso poco dopo mentre cercava di disertare».

La bocca della foiba di Villa Surani in cui venne gettata Norma Cossetto assieme ad altri 25 sventurati.

Un altro caso di ricatto titino, tratto dal già citato libro di Luigi Papo de Montona, L’Istria e le sue foibe. “Umberto Cova, da San Pancrazio (Montona) nel febbraio 1945 si rifiutò di arruolarsi nelle file partigiane – scrive Luigi Papo a pag. 145 –; fatto prigioniero ad Arsia, fu ucciso nei presi di Fiume”. 

Altri casi citati da Luigi Papo de Montona: «I metodi di propaganda usati dai Croati per indurre gli Italiani ad arruolarsi, indipendentemente dalla loro nazionalità, non erano altro che intimidatori; non pochi rifiuti erano pagati con la morte, mentre agli arruolati il trattamento riservato non era tra i più cordiali. È noto il caso del partigiano Pietro Maresi abitante a Pola in Via Giovia 11: le insolenze erano all’ordine del giorno e concludevano con un ‘No, tu non sei italiano, sei croato, non ti chiami Maresi, ma Maressich; è impossibile che tu non sappia il croato, impara! » (a pag. 209).
Altro autore, stesso ricatto titino. Questa volta il soggetto in questione (tale Giacomo “cognato” dell’autore, che è Gianni Giuricin, da Rovigno) non viene infoibato o ammazzato, ma “viene rilasciato con l’impegno segreto di fare la spia per conto della polizia politica – è scritto a pag. 108 – una ragione di per sé sufficiente, questa, anche se non ve ne fossero state delle altre per inventare subito una scusa e lasciare seduta stante la città per rifugiarsi nelle zone limitrofe occupate dagli angloamericani” (Gianni Giuricin, Istria, momenti dell’esodo, Trento, Luigi Reverdito Editore, 1985).

Studi sociologici del 2008 hanno dimostrato che a spingere all’esodo la gente italiana d’Istria, di Fiume, di Zara, della Dalmazia e della Valle d’Isonzo ci furono i soprusi subiti dai titini, oltre agli espropri, alla statalizzazione, alla confisca dei beni patrimoniali da parte delle autorità iugoslave, alla miseria e alla paura del comunismo. Gli studiosi, come Antonella Pocecco e lo staff dell’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia (ISIG) restano sorpresi della motivazione dei “soprusi subiti” (pag. 28). Essi vengono suddivisi in quelli di tipo fisico, come: incarcerazioni, uccisioni, infoibamenti, lavori forzati, maltrattamenti e torture. Poi ci sono i soprusi di genere psicologico, come: intimidazioni, minacce, angherie e ritorsioni. Ecco i soprusi di tipo morale: obbligo di frequentare la scuola iugoslava (solo con lingua serbocroata o slovena), obbligo di cantare “Evviva Tito”. Naturalmente non potevano mancare i soprusi di tipo economico: confische, espropriazioni, licenziamenti, tangenti da pagare. L’indagine è rivolta agli esuli di prima generazione (205 intervistati, femmine 43%), esuli di seconda generazione (154 individui, femmine 46,8%) ed esuli di terza generazione (55 casi, femmine 52,7%).

Cenni bibliografici
- Dall'abisso dell'odio autunno 1943. Le cronache giornalistiche di Manlio Granbassi sulle foibe in Istria, con scritti di Fulvio Salimbeni e Roberto Spazzali, Famiglia Pisinota, Trieste, 2006.
Alberto Gasparini, Maura Del Zotto, Antonella Pocecco, Esuli in Italia. Ricordi, valori, futuro per le generazioni di esuli dell’Istria-Dalmazia-Quarnero, Gorizia, Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia (ISIG), Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), 2008.
ISBN 978-88-89825-20-4
- Pagnacco: inaugurato il monumento ai Martiri delle Foibe, «L'Arena di Pola», n. 8, 28 agosto 2012.

Sulla questione delle foibe istriane e su altri eccidi si veda:
- Rossano Cattivello, Eccidio sul Collio scoperto dopo 70 anni, «Il Friuli», 27 marzo 2015, n. 12, pag. 26.
- Marco Girardo, Sopravvissuti e dimenticati. Il dramma delle foibe e l'esodo dei giuliano-dalmati, Milano, Paoline, 2006.
- Gianni Giuricin, Istria, momenti dell’esodo, Trento, Luigi Reverdito Editore, 1985.
- Pierluigi Pallante, La tragedia delle foibe, Roma Editori Riuniti, 2006.
- Luigi Papo de Montona, L'Istria e le sue foibe. Storia e tragedia senza la parola fine, vol. 1°, Unione degli Istriani Trieste, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1999.
- Raoul Pupo, Roberto  Spazzali, Foibe, Milano, Bruno Mondadori, 2003, pagg. 52-58.
- Michele Zacchigna, Piccolo elogio della non appartenenza. Una storia istriana, Trieste, Nonostante edizioni, 2013. 
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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Il secolo Breve in Friuli Venezia Giulia”, che  ha ottenuto il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD e del Comune di Martignacco, nel cui ambito territoriale sorge Villa Italia, che fu residenza del re Vittorio Emanuele III dal 1915 al 1917.


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