martedì 28 febbraio 2017

Da Valle d’Istria a Laterina. I Druzi ne gà lassà in mudande

Presento ora la testimonianza di una esule che visse al Centro Raccolta Profughi di Laterina, in provincia di Arezzo nel 1958-1959. 

"Quell’anno, alla festa della Consolata, le suore avevano regalato ad ogni bimbo un biscotto wafer – ha riferito Pastrovicchio – e, una volta avuto il biscotto in mano, siamo stati immortalati in una fotografia, dopo di che ciò che restava fu fatto sparire".

È Luisa Pastrovicchio, nata a Valle d’Istria, provincia di Pola, il 16 maggio 1952. Fu immatricolata al CRP di Laterina il 25 giugno 1958 col n. 5377, come emerge dalla sua scheda di registrazione. Ecco la sua storia dell’esodo giuliano dalmata, con una valigina di cartone. Al confine di Divaccia la famiglia Pastrovicchio subì una indegna perquisizione da guerra fredda. I profughi furono fatti tutti spogliare, rimanendo in mutande, davanti ai Druzi. Con le Druze intente a ispezionare le parti intime delle profughe, in cerca di dinari. Cose dell’altro mondo!
Col termine di “Druzi” gli italiani d’Istria, di Fiume e Dalmazia indicano i partigiani comunisti jugoslavi. Deriva dallo storpiamento della parola serbo-croata “drug”, che significa “compagno”. Un altro dato informativo è che il cappellano del Campo Profughi di Laterina era don Bruno Bernini. Egli si adoperò affinché, nel 1955, il Corso per carpentieri e muratori attivato per i profughi portasse alla costruzione delle scuole elementari del paese, in località Casanuova, dietro il finanziamento di 900 mila lire da parte del Comune. Ma, ecco la incredibile avventura di Luisa Pastrovicchio. (Elio Varutti)
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Luisa Pastrovicchio alla colonia della FIAT di Marina di Massa

Domanda: Quando siete venuti via? Quanti eravate?
Risposta: «Era l’anno 1958 – ha detto Luisa Pastrovicchio – e siamo stati tra gli ultimi profughi a partire da Valle d’Istria. Eravamo mamma Virginia Silvi Zilovich, papà Gaudenzio, nonno Giorgio Pastrovicchio ed io. Avevo cinque anni. Siamo partiti in una gelida mattina di gennaio dell’inverno più freddo che io abbia mai visto. 
C’era tanta neve, la strada era ghiacciata ed ognuno di noi portava una valigia, io ne avevo una piccola di cartone. Anch’io volevo essere utile a portare via le poche cose permesse. Per avere quella valigetta avevo fatto uno scambio, con la mia bambolina di stoffa più un passeggino fatto di legno, cosa assai povera, ma che era il desiderio di un’altra bimba ed io mi sentivo già grande».
D.: Come siete partiti e cosa avete lasciato?
R.: «Prima di partire il babbo e la mamma avevano donato tutti i pochi averi ai parenti che restavano – ha risposto – e mi ricordo che li avevo aiutati a rompere i vetri della vetrina a muro e i vetri delle finestre. Il babbo aveva tolto tutte le prese elettriche di ceramica dicendo: Queste mi sono costate ed ai Druzi non le lascio. Nella mia testa mi domandavo chi erano i Druzi e perché rompere quello che tanto mi avevano raccomandato di non rompere tempo prima».
Virginia Silvi Zilovich col marito Gaudenzio Pastrovicchio e i figli Luisa e Giuliano sulle sponde dell'Arno, verso il 1958

D.: Signora Luisa Pastrovicchio, posso chiederle da dove siete partiti?
R.: «Ebbene eccoci al giorno della partenza – è la replica – da Rovigno eravamo saliti in treno e tutti ci salutavano. I nonni materni, Antonia Vidotto e Giovanni Silvi Zilovich, erano con le lacrime agli occhi, la mamma piangeva ed io non capivo. Salutavo, andavo in treno. Ma dove? – mi chiedevo. Mi rispondevano in un paese che ha tante giostre. Adesso avrei qualcosa da obiettare. Ogni cosa che abbiamo avuto, dal lavoro alla casa, è stata duramente conquistata ed il paese dei balocchi non è mai esistito».
D.: Da quale valico confinario siete passati?
R.: «Quando siamo arrivati al confine di Divaccia, il treno si è fermato – ha precisato la Pastrovicchio – sono saliti i Druzi. Che paura avevamo! Ci hanno divisi: donne da una parte e uomini dall’altra. In uno scompartimento ai loro ordini ci siamo spogliate. Mamma era in attesa di mio fratello Giuliano. Era  all’ottavo mese di gravidanza. Era partita prima di farlo nascere in Istria, sennò bisognava aspettare altri anni per avere il visto anche per lui. 
I Druzi non volevano che papà partisse perché era un elettricista specializzato ed era l’unico che sapeva far funzionare i proiettori del cinema di Valle e Dignano. A quei tempi uno dei primi divertimenti del dopoguerra».


Scheda di registrazione di Luisa Pastrovicchio al Centro Raccolta Profughi di Laterina, provincia di Arezzo

D.: Ci sarà stato anche personale femminile per la perquisizione delle donne profughe, oppure c’erano solo maschi?
R.: «Sì. Ritornando a raccontare del confine – ha puntualizzato la testimone – le Druze, ossia le doganiere donne, ci hanno fatto spogliare e siamo rimaste solo con le mutande. Faceva tanto freddo e siamo state tanto tempo nude. Le Druse non credevano che mia mamma fosse incinta. Erano convinte che sotto quel pancione nascondesse indumenti e soldi. Prese dalla rabbia l’hanno visitata davanti a me, bimba, anche nei posti che pudicamente ognuno di noi nasconde. 
La vedevo così pudica, così piena di vergogna, povera mamma! Alla fine, visto che non avevamo valuta, ci hanno fatto rivestire».
D.: Che tristezza, cara signora mia. Ma è giusto raccontare anche questi particolari intimi per far capire a tutti come siete stati trattati. È successo dell’altro?
R.: «Insieme a noi c’era una signora che aveva nascosto dei soldi nell’imbottitura del reggiseno – ha risposto – allora la Druza si è messa ad urlare e, fatta rivestire la malcapitata, fu fatta scendere dal treno e accompagnata da due soldati. L’hanno portata lontana, in una giornata fredda, con tanta neve. Dove sarà andata? In prigione – hanno detto – per almeno dieci anni. Oddio, che paura avevo. 
E se a papà avessero trovato i soldi che aveva addosso. Io rimanevo senza papà. Dio, che angoscia, ma per fortuna presi da questo trambusto non se ne sono accorti. Già, allora mi domandai che male facevamo a portare via le cose che erano nostre».
Ricordo della cresima della signora Virginia Pastrovicchio

D.: Siete per caso transitati per il Centro di Smistamento Profughi di Udine, in via Pradamano, prima di giungere al CRP di Laterina?
R.: «Sì. Dopo una settimana che eravamo ad Udine, nel nostro primo centro di accoglienza profughi, nacque mio fratello. Era il 7 febbraio 1958. Dopo tre mesi siamo stati destinati al campo profughi di Laterina. 
Altro treno, altro viaggio e sempre con la mia valigetta. Siamo arrivati in questo campo costruito nella campagna toscana, con 22 baracconi lunghi circa 60 metri, per tenervi i prigionieri Americani ed Inglesi. Questi poi, nel dopoguerra, avevano rinchiuso i prigionieri Italiani e Tedeschi. La prima volta che è stata alzata la sbarra d’ingresso era il 19 agosto del 1948, per far entrare duemila profughi istriani».
Baracca n. 6 del CRP di Laterina, Arezzo. Collezione Claudio Ausilio, delegato provinciale ANVGD Arezzo

D.: Come era la vita tra le baracche del CRP di Laterina?
R.: Lì arrivammo noi il 25 giugno 1958 – ha detto Pastrovicchio – eravamo partiti in quattro e ora eravamo in cinque bocche da sfamare, mentre i fiori cominciavano a colorare un mondo per noi, sotto molti aspetti, ancora freddo, grigio ed ostile. Le baracche erano divise da pareti di cartone e di tavole o con tende appese a un filo. Quattro metri per quattro per ogni famiglia».


La classe 2^ elementare con Luisa Pastrovicchio

D.: Come erano gli arredi del CRP di Laterina? Camera e cucina tutto insieme?
R.: «Avevamo in dotazione una brandina di ferro, un pagliericcio e due coperte militari. Il nonno ed io avevamo un letto a castello. Mamma e papà, con il mio fratellino, avevano il pagliericcio. La mamma cucinava su un fornello improvvisato a legna. Il governo italiano ci dava un sussidio giornaliero più una razione di legna per scaldarci che, ricordo, non bastava mai. 
Allora gli uomini andavano a prestare la loro manodopera preso i contadini dei casolari. Le donne raccoglievano lattughe selvatiche, castagne e gli scarti dell’unico negozio presente al Campo profughi, quando andava bene. Anche noi ragazzini andavamo nel bosco a raccogliere i rami secchi. Poche cose potevamo portare, ma servivano ad accendere il fuoco».
D.: Quali attrezzature aveva il Campo Profughi di Laterina? C’era la scuola?
R.: «Tutto intorno al Campo c’era il filo spinato – ha risposto la testimone – mi sembrava di essere in prigione. I carabinieri venivano con la loro camionetta a fare i giri di ispezione affinché tutto filasse liscio. 
Qui incominciai la scuola. In una baracca mal riscaldata ho incominciato a fare le prime aste su un quaderno nero con le righe rosse. Non ne facevo una dritta di asta e la maestra mi metteva sempre in castigo. Per qualsiasi ragione tutti i bimbi finivano in castigo dietro la lavagna e saltavano la merenda. Ma, chi aveva la merenda? I più fortunati mangiavano castagne secche, quelle che eravamo riusciti a procurarci».
Amiche al CRP di Laterina, 1958-1959

D.: Ricorda, per caso, un fatto bello, magari con un cibo particolare?
R.: «Quell’anno, alla festa della Consolata, le suore avevano regalato ad ogni bimbo un biscotto wafer – ha riferito Pastrovicchio – e, una volta avuto il biscotto in mano, siamo stati immortalati in una fotografia, dopo di che ciò che restava fu fatto sparire. 
Che voglia di mangiare ancora una volta quella dolcezza! Quando ho potuto, mi sono mangiata da sola una scatola di wafer. Sembra stupido,  ma una roba da poco può rivelarsi una grande conquista per chi ha vissuto nelle privazioni».
D.: Dove lavoravano i profughi? C’era lavoro nella zona?
R.: «Siamo stati due anni in questo campo ha detto – e papà nel frattempo era partito alla volta della Francia per trovare lavoro. Aveva resistito sei mesi, poi passando da Torino, in visita ad alcuni parenti, aveva trovato lavoro là e ci siamo trasferiti in una vera casa, un piccolo alloggio tutto per noi. Era l’anno 1960. L’alba di una nuova vita scacciava le tenebre di un periodo non voluto, né  cercato.
Parenti dei Pastrovicchio al CRP di Laterina

D.: Ricorda qualche altro fatto, una curiosità?
R.: «Una piccola curiosità è rinvenuta dagli archivi del Campo Profughi – ha concluso Luisa Pastrovicchio – in cui emerge la collaborazione da parte degli esuli verso questa nuova nazione, ma fatta poi subito eliminare. I profughi istriani del campo di Laterina hanno contribuito all’elezione di Amintore Fanfani, poi divenuto ministro. 
Si è trovato nell’album della direzione, datato 1956, un telegramma del Ministro dell’interno Fanfani, collegio elettorale di Arezzo, che ringrazia i profughi perché su 519 votanti del Campo Profughi ben 462 avevano votato per il suo partito, togliendo ai comunisti l’amministrazione del Comune di Laterina. I profughi trasferiti in un altro campo, dopo il 1958, furono invitati a non trasferire l’iscrizione anagrafica, per non ripetere lo stesso scherzo di Laterina, nelle successive elezioni».
Luisa e Giuliano Pastrovicchio

Messaggi dal mondo a questo blog
Le storie che racconto in queste pagine web raggiungono gli esuli in Italia, Europa e nei luoghi più lontani. Il signor Gianni Marchiori il 24 febbraio 2017, dalla città di Tigre, in Argentina, mi ha scritto nel profilo di Google il seguente messaggio: «Molto interessanti queste informazioni per me che sono figlio e nipote da parte materna di esuli polesani. Grazie per la diffusione della storia delle nostre radici. Cari saluti».
Il signor Enzo Bertolissi, nato nel 1937 a Prosecco, in provincia di Trieste, mi ha riferito che la sua famiglia fu costretta a sfollare in Friuli, in seguito ad episodi di prelevamento di persone amiche da parte dei partigiani titini, mai più viste e, probabilmente, uccise nelle foibe.
La signora Lorena Lizzul, da Bollate, Milano, mi ha scritto il 6 febbraio 2017, in riferimento al Centro di Smistamento Profughi di Udine, che: «Anche i miei genitori sono passati da Udine nel 1958». Ecco, nel 1958, come la famiglia Pastrovicchio di Valle d’Istria.

Comunione e cresima al CRP di Laterina, 1959
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Fonti e ringraziamenti
L’autore desidera ringraziare le seguenti persone per la condivisione dei racconti sull’esodo giuliano dalmata e per le riflessioni su detto fenomeno. Prima di tutti  ringrazio la signora Luisa Pastrovicchio, esule a Pessinetto, città metropolitana di Torino, per il memoriale dattiloscritto, i documenti personali e le fotografie messe a disposizione per il presente articolo. Per la collaborazione alla ricerca sono riconoscente a Claudio Ausilio, delegato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) di Arezzo, perché ha facilitato gentilmente il contatto con la signora Pastrovicchio.
- Lorena Lizzul, nata a Chiari nel 1961, in provincia di Brescia, ora vive a Bollate, Milano, messaggio in Facebook del 6 febbraio 2017.
- Enzo Bertolissi, Prosecco 1937, provincia di Trieste, esule a Tarvisio, provincia di Udine, intervista del 20 e 22 febbraio 2017 a Udine a cura di E. Varutti.
- Gianni Marchiori, Tigre, Argentina, con avi di Pola, messaggio nel profilo di Google del 24 febbraio 2017.
Campo Profughi di Laterina, Corso muratori e carpentieri, disteso a terra in primo piano, Gaudenzio Pastrovicchio, esule da Valle d'Istria

Collezioni private
- Collezione Claudio Ausilio, delegato provinciale ANVGD di Arezzo, informazioni, piante, prospetti e planimetrie progettuali del CRP di Laterina.
- Collezione famiglia Pastrovicchio, Pessinetto, città metropolitana di Torino, fotografie, documenti e memoriale dattiloscritto.
- Collezione Enzo Bertolissi, Tarvisio, provincia di Udine, memoriale dattiloscritto
- Collezione Giuliana Filipovich, Torino, certificati.

Interessante documento d'identità dell'International Refugees Organization (IRO)di Fiorito Filipovich, nato a Udine e registrato a Laterina il 20 settembre 1949. Ringrazio la figlia Giuliana Filipovich, di Torino che, in un messaggio in Facebook del 1° marzo 2017, mostrando questo documento, ha spiegato l'esodo del babbo così: "Da Fiume a Laterina".

Un altro raro documento che esce dagli archivi familiari. Si tratta di un "Foglio di ricognizione per le persone della gente di mare di seconda categoria", emesso dal Compartimento marittimo di Livorno il 4 ottobre 1949, che iscrive una persona in qualità di "pescatore". L'intestatario è Fiorito Filipovich, nato a Udine il 16 novembre 1921, che poi lavorò a Fiume quando, col Trattato di pace del 1947, scelse l'Italia. La matrigna Italia lo alloggiò nelle baracche del Centro Raccolta Profughi di Laterina, Arezzo. Curioso che gli diano un documento "Valevole per il solo imbarco su navi battenti bandiera estera" a lui che è italiano per scelta. Collezione Giuliana Filipovich,  Torino.

Riferimenti bibliografici e del web

E. Varutti, Esodo disgraziato dei Tardivelli, da Fiume a Laterina 1948, articolo pubblicato nel 2017.


Virginia Silvi Zilovich col marito Gaudenzio Pastrovicchio, nel 2016, a Torino

Luisa Pastrovicchio con la mamma nel 2016 a Torino

Planimetria del CRP di Laterina. Collezione Claudio Ausilio, delegato provinciale ANVGD Arezzo

Udine, Via Pradamano 21 - Collegio convitto Opera Nazionale Balilla, poi GIL, progetto di Ermes Midena. Fotografia del 1938, quando fu inaugurato da Mussolini. Dal 1947 al 1960 questo impianto divenne il Centro di Smistamento Profughi, da dove transitarono oltre centomila italiani esuli d'Istria, Fiume e Dalmazia, come recita la lapide posta dal Comune di Udine nel 2007, nel 60° anniversario dell'apertura ai profughi giuliano dalmati
Gli edifici di Via Pradamano a Udine oggi ospitano la scuola media "E. Fermi", una biblioteca, un ambulatorio ed altri uffici. Fotografie di Elio Varutti 2017

lunedì 27 febbraio 2017

Giallo di Bellandi ambientato a Gorizia nel 1946

Fin dalle prime pagine di questo libro giallo troviamo due carte topografiche del confine orientale italiano. Sono le aree dove si svolge la spy story, come non esita a chiamarla lo stesso autore, Riccardo Bellandi, in copertina. 
Notiamo che la precisione temporale delle mappe non è facile da trovare nemmeno in taluni ordinari libri di storia. Una di esse è del confine orientale italiano dal giugno 1945 a settembre 1947 con la cosiddetta linea Morgan, che lasciava più terre all’Italia, Pola inclusa. L’altra mappa è sull’occupazione della Jugoslavia da parte dell’Asse, dall’aprile 1941 a settembre 1943.
Pure con il titolo, “Lo spettro greco”, l’autore dà per scontata una conoscenza della storia europea di quel momento: il 1946. Tutto sommato, non è un prerequisito, perché ci sono le spiegazioni nel prosieguo del romanzo. Si riferisce, in sostanza, allo stato di rivoluzione mista alla guerra civile che, in Grecia, i comunisti locali stavano per attuare, nei postumi della seconda guerra mondiale. Un fatto analogo poteva accadere nell’Italia sconfitta dalla seconda guerra mondiale e sull’orlo di una guerra civile con l’Armata jugoslava, che alitava sui confini orientali. La missione di spionaggio descritta nel volume mira a svigorire la componente filo-jugoslava e rivoluzionaria del PCI, per evitare lo stato di guerra civile come in Grecia.
Gli avvenimenti descritti in queste avvincenti pagine sono ambientati a Gorizia, ma possiamo trovare dei flash-back riferiti alla costa dalmata, con la città di Zara ed al territorio interno dei Balcani. Già perché dall’aprile del 1941 al settembre 1943, come si legge in modo quasi asettico, nei libri di storia ci fu l’occupazione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse. Pochi storici hanno il coraggio di scrivere che l’Italia fascista, in combutta con Hitler e l’aiutino dello stato fantoccio fascista ungherese, invade ed occupa la Jugoslavia. Ecco perché Tito, secondo certi storici, alla fine del secondo conflitto mondiale chiese il conto all’Italia, volendo annettersi dopo l’Istria, Zara, le isole di Cherso e Lussino, anche Gorizia, Trieste e Tarvisio. 
La Linea Morgan, in rosso, da wikipedia

Torniamo al giallo di Bellandi. L’autore si premura di porre all’inizio del testo pure una legenda delle sigle utilizzare nel corso degli eventi. Scopriamo così che i Badogliani, in senso spregiativo, erano definiti i militi italiani che avevano seguito l’armistizio e il cambio di alleanze deciso dal re e dal governo Badoglio. Per l’autore i repubblichini o quegli italiani che addirittura entrano come volontari nelle Waffen SS per portare a termine la follia hitleriana sono semplicemente dei soldati fedeli.
Poi spiega chi sono i Bisiacchi, ovvero gli abitanti della zona di Monfalcone. I Četnici sono quei nazionalisti serbi monarchici, che prima parteggiavano per gli alleati, poi stanno coi repubblichini e coi fascisti croati di Pavelić, in funzione anticomunista. Come a dire che i cambi di casacca nel Novecento erano di moda. Si pensi ai francesi. Del resto, anche nelle pagine di questo giallo troverete spie col doppio gioco e addirittura al soldo di servizi segreti dei fautori della guerra fredda (USA e URSS), appunto sempre riferendosi al cambio di casacca.
Interessante poi è sapere che tra il 1946 e 1947 c’è la “Central Intelligence Group” degli Stati Uniti d’America, antesignana della arcinota CIA. Ci sono tante formazioni militari che se la facevano più o meno coi nazifascisti. C’è la famigerata  OZNA di Tito, ossia i servizi segreti partigiani e polizia politica dei comunisti jugoslavi, divenuta UBDA nel 1946 fino al 1992, quando la Jugoslavia si scioglie come la margarina al sole. C’è la droga (Pervitin, una metanfetamina) che i nazisti assumevano prima delle loro splendide azioni militari e così via.
The nazi drug, by wikipedia

Ci sono molti personaggi storici realmente esistiti a dare man forte politica alle pagine piene di violenza macabra (stupri, squartamenti, evirazioni, fosse comuni, foibe), di suspense, di nazionalismi esacerbati per un’epoca instabile, imbarbarita e selvaggia.
Il personaggio centrale del volume è lo zaratino Aldo Ganz, con mamma italiana e padre di Klagenfurt. Data la sua carriera militare, che il lettore avrà il piacere di scoprire leggendo il testo, diviene una spietata spia con capello Fedora (o Borsalino) quasi sempre in testa e una cicca tra le labbra.
Qui ci sono i Centri Raccolta Profughi per gli istriani e dalmati, penserei come quello di Firenze, forse in Via Guelfa, dove c’erano le pareti di cartone nei box adattati ai nuclei familiari di rifugiati (p. 31).
Poi l’autore mette in bocca a certi figuri titini, alla ricerca di spie occidentali, le parole che sono diventate un refrain nel dopoguerra, riprese e criticate perfino dal cantautore Simone Cristicchi nel suo spettacolo “Magazzino 18”:  «Speriamo che non ci sfuggano. Gorizia è piena di profughi fascisti che scappano dall’Istria e dalla Dalmazia» (p. 59). Il mondo degli esuli cerca di spiegare, da decenni, che fuggivano con l’esodo giuliano dalmata molti degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, al di là delle opinioni politiche. Nella stessa pagina è menzionata persino la strage di Vergarolla del 18 agosto 1946, che provocò oltre 80 morti, bambini, donne e vecchi di Pola. Guarda caso tutti italiani. Il massacro fece da volano all’esodo da Pola.
È un volume ricco di colpi di scena, come si addice alle trame gialle più classiche. Per ovvi motivi non si può svelare il finale, ma devo dire, in conclusione, che può dar grande soddisfazione al lettore.

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Riccardo Bellandi, Lo spettro greco. Una spy story della guerra fredda al confine orientale italiano, Tricase (LE), Youcanprint, 2015, p. 286 + 2 carte geografiche, euro 15.

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Cenno bibliografico
Un’opera che si avvicina alla tematica trattata da Riccardo Bellandi, pur in veste romanzata, è un piccolo saggio, apparso nel 1982, nella letteratura dell’esodo giuliano dalmata. Siccome è ricco di organizzazioni segrete (Mano Nera, Mano Bianca, spie russe, controspionaggio, attentati, partigiani della Osoppo ed altro…), mi sento di segnalare il seguente volume:

Paolo Venanzi, Conflitto di spie e terroristi a Fiume e nella Venezia Giulia, Edizioni de L’Esule, Milano, 1982, pp. 164..

domenica 26 febbraio 2017

Bombardieri dell’aeroporto di Gonars, 1915-1917

Fresco di stampa è uscito un libro sul campo di aviazione di Gonars della Grande guerra. Si tratta di una seconda edizione aggiornata ed ampliata con l’apporto di inedito materiale iconografico.
Copertina del volume. Un Caudron G3 con motore acceso e siccome privo di freni, trattenuto a mano dal personale della 44^ Squadriglia. Era giusto dire che erano dei Temerari sulle Macchine Volanti...

La precedente edizione era del 2007, per l’editore Saisera, di Malborghetto Valbruna, provincia di Udine. È la storia di un piccolo aeroporto di superficie, che fu operativo dal 2 ottobre 1915 al 28 ottobre 1917. Nel 1915 a Gonars si insediò la 4^ Squadriglia di artiglieria e, dopo la rotta di Caporetto, l’impianto fu distrutto dagli stessi militari italiani in ritirata oltre il Piave.
L’autore è Fabio Franz, con un curriculum incentrato sul tema del volo. Dal diploma in Costruzioni aereonautiche conseguito all’Istituto Tecnico Industriale “Arturo Malignani” di Udine, sino al lavoro che svolge in veste di sottufficiale addetto alla manutenzione dei velivoli e propulsori presso il 313° Gruppo Addestramento Acrobatico “Frecce Tricolori” di Rivolto, in provincia di Udine.
A volte un autore appassionato, un editore di periferia e un pugno di piccoli comuni riescono a favorire la pubblicazione di un gioiello di conoscenza storica. È successo così a Marino Del Frate, sindaco di Gonars e a Giovanni Battista Bossi, sindaco di Bicinicco, i quali firmano i saluti introduttivi al volume, edito in una splendida forma da Aviani & Aviani. Il testo è corredato dalla documentata Prefazione di Bruno Polese, professore di Storia Economica e Storia Economica dell’Europa all’Università degli Studi di Udine.

Cancello d'ingresso del campo di aviazione di Gonars, sulla strada che dal paese friulano porta a Gris. Sulla sinistra, due delle cinque aviorimesse in legno, con torretta di osservazione e automezzo del personale 

Il primo capitolo è dedicato all’aviazione militare italiana nella Grande guerra, quando le prime “macchine volanti” erano utili solo all’osservazione per migliorare il tiro l’artiglieria da terra.
Nel 1912 l’aviazione italiana fu presente alla guerra italo-turca. Si iniziava a comprendere l’importanza dell’aeroplano per scopi bellici. Scoppiato il primo conflitto mondiale, l’aviazione fu chiamata a partecipare. Anche l’idroaviazione, che aveva avuto in Mario Calderara il suo pioniere, si affiancò a quella terrestre svolgendo la funzione di complemento naturale della Marina da guerra. Nacque in seguito la fotografia aerea, utilizzata per vari scopi militari.
Nel secondo capitolo c’è la storia del campo di aviazione di Gonars, sorto sulla zona dei “Vieris” con la 43^ e la  44^ Squadriglia. Interessante, alla fine del pezzo, è la serie di biografie dei personaggi storici di rilievo per l’aviazione italiana. Si va da Mario Giovanni Beltrami a Costantino Cattoi, passando per Giulio Cesare Costanzi, Lutalto Galetto, Pio Ladelci, Ferruccio Ranzaù, Fulco Ruffo di Calabria, Silvio Scaroni, Vito Simoncelli e Filippo Volonté. Sono poi descritti i velivoli, come il Caudron G3 e il Caudron G4.
Il terzo capitolo è dedicato ad Oreste Salomone, protagonista del celebre raid su Lubiana del 18 febbraio 1916. Per quella ardimentosa azione militare egli fu onorato della prima medaglia d’oro al Valor Militare dell’Aviazione italiana. Gabriele D’Annunzio dedicò alla sua figura il romanzo “Notturno”, dove il campo di volo di Gonars e l’attacco dei bombardieri di Gonars su Lubiana sono citati più volte dal poeta vate, come pure il bombardiere Caproni Ca 478 denominato “Aquila romana” su cui viaggiava Salomone. Anche agli altri protagonisti di quell’impresa di volo da bombardamento su Lubiana l’autore dedica alcune pagine biografiche: Alfredo Barbieri, Luigi Bailo, Tullio Carlo Visconti (morti nel giorno del raid) e Gaetano Turilli (abbattuto, catturato e imprigionato in vari campi di concentramento come Mauthausen e Sigmundsterberg).
L’ultimo capitolo di questo originale, documentato ed interessante volume contiene la storia del Monumento in bronzo a Oreste Salomone, inaugurato a Gonars il 15 dicembre 1968 ed arricchito da un cippo, del 2013, con scultura in marmo e targa con la motivazione del conferimento di Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Copertina della "Domenica del Corriere" del 5-12 marzo 1916, disegno di Achille Beltrame, dedicato alla missione su Lubiana di Oreste Salomone e dei suoi due colleghi, morti in battaglia
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Fabio Franz, Il campo di aviazione di Gonars 1915-17, Udine, Aviani & Aviani, 2017, numerose fotografie b/n, p. 176, euro 24.




mercoledì 22 febbraio 2017

Storia ebraica in Friuli Venezia Giulia, un libro a Udine

È stato presentato in sala Aiace a Udine un volume miscellaneo edito nel 2016 a cura di Miriam Davide e Pietro Ioly Zorattini. 
Andrea Zannini, Maddalena Del Bianco e Michele Sarfatti

L’evento si è tenuto il 21 febbraio 2017 ed è stato aperto da Alberto Buvoli, presidente dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione (Ifsml) di Udine. Buvoli ha voluto ricordare l’impegno editoriale dell’Ifsml nel settore della storia dell’ebraismo nella regione.
Ha parlato anche Federico Pirone, assessore alla Cultura del Comune di Udine, per portare il saluto del sindaco Furio Honsell, accennando ai vari appuntamenti che caratterizzano in città a Giornata della Memoria, articolata nel 2017 in numerosi appuntamenti lungo un lasso di tempo di ben dieci giorni.
Maddalena Del Bianco, professore ordinario di Storia delle Religioni all’Università di Udine, ha svolto il ruolo di moderatore nella presentazione del volume intitolato “Gli ebrei nella storia del Friuli Venezia Giulia. Una vicenda di lunga durata”. «Questo libro contiene gli atti del convegno internazionale col il titolo omonimo, svoltosi a Ferrara dal 12 al 14 ottobre 2015, promosso dalla Fondazione Meis, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara a 26 anni di distanza dal convengo internazionale “Il mondo ebraico”, organizzato dalle Università di Trieste e di Udine e tenutosi a Trieste dal 19 al 23 giugno 1989».
Maddalena Del Bianco, Michele Sarfatti, Federico Pirone e Alberto Buvoli, in piedi

Poi è intervenuto Andrea Zannini, docente di Storia moderna nello stesso ateneo friulano, oltre che Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale. Egli ha illustrato il contenuto dei numerosi autori del volume secondo l’ottica dei filoni di ricerca dal XII al XXI secolo. Si è soffermato sul sistema di banchi di prestito ebraici, sul ruolo della donna, sulla rilevanza economica e sulla integrazione sociale. Il professore si è pure domandato se basarsi soprattutto sui documenti notarili sia un metodo sufficiente a descrivere gli aspetti storico sociali dell’ebraismo in Friuli e a Trieste. «Le leggi razziali volute da Mussolini e firmate dal re sono un atto antinazionale – ha aggiunto Zannini – perché gli ebrei erano così integrati con il paese che avevano partecipato al Risorgimento, alla Grande guerra ed alcuni di loro si erano persino tesserati al fascismo».
Ha concluso gli interventi della serata Michele Sarfatti, dal 2002 al 2016 direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC, di Milano. «Interrogarsi sulle minoranze – ha detto il noto studioso della persecuzione antiebraica e della storia degli ebrei in Italia nel XX secolo – serve a capire meglio la storia della maggioranza e questo libro eccellente mostra come la vita ebraica sia prorompente rispetto alla persecuzione».
Gli autori presenti nel testo, oltre ai curatori, sono: Dario Disegni, Laura Casella, Francesca Tamburlini, Pier Cesare Ioly Zorattini, Emanuele D’Antonio, Milena Maniago, Paolo Goi, Valerio Marchi, Lois C. Dubin, Anna Millo, Marco Bencich, René Robert Moehrle, Maddalena Del Bianco Cotrozzi, Marco Grusovin, Fulvio Salimbeni, Mauro Perani, Livio Vasieri, Mauro Tabor, oltre a Giovanni e Silvia Tomasi.
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Servizio giornalistico, fotografico e di networking di Elio Varutti
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Miriam Davide, Pietro Ioly Zorattini (a cura di), Gli ebrei nella storia del Friuli Venezia Giulia. Una vicenda di lunga durata, Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, Firenze, Giuntina, 2016, pp. 372, 50 fotografie b/n, euro 35.

ISBN 978-88-8057-648-8

martedì 21 febbraio 2017

Tabacchine istriane esuli a Firenze, conferenza a Udine

L’esodo giuliano dalmata è stato al centro di un incontro pubblico realizzato per il Giorno del Ricordo.. Il 20 febbraio 2017, ore 17,30, il professore Elio Varutti, componente del Consiglio Esecutivo dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) Comitato Provinciale di Udine, ha presentato la conferenza intitolata “Le Tabacchine istriane esuli alla Manifattura Tabacchi di Firenze”.
Udine, Elio Varutti alla conferenza. Fotografia di LL

L’evento si è potuto svolgere grazie alla collaborazione con l’ANVGD di Arezzo, dato che il suo delegato provinciale, Claudio Ausilio, ha fornito allo studioso friulano fotografie e notizie sulle operaie della Manifattura Tabacchi di Pola. L’organizzazione dell’evento è stata curata da Angelo Rossi, presidente dell’Associazione Toscani in Friuli Venezia Giulia, presso l’aula T5 del Palazzo di Toppo Wassermann in Via Gemona 92, nella Scuola Superiore dell’Università degli Studi di Udine.
«Sin dalle mie prime interviste sull’esodo istriano, da Fiume e da Zara – ha detto Elio Varutti – mi sono accorto che i racconti avevano qualcosa di incredibile, come si faceva a dare ascolto a certe notizie? Sembravano delle esagerazioni, come quella di vivere tra le pareti di cartone nel Centro Raccolta Profughi di Via Guelfa a Firenze».
Udine, Elio Varutti e Angelo Rossi. Fotografia di LL

Varutti ha riportato la «testimonianza di Miranda Brussich vedova Conighi (Pola 1919-Ferrara 2013), intervistata a Ferrara il 29.12.2003 e il 2.01.2004. Ecco le sue parole: a Firenze da Pola, dove iera i inglesi, xe rivada Zia Maria Zanetti, perché trasferida nella Manifattura Tabacchi. Iera un vecio fabricado vodo adibido ai profughi. Gaveva fato i divisori coi cartoni. Le gà abitado lì per qualche anno».
Poi si è scoperto che molti altri profughi raccontavano questi fatti e allora erano veri. Myriam Andreatini Sfilli proprio sulla vita tra i cartoni ha scritto un libro nel 2000.
Perché i profughi scappavano o si trasferivano dall’Istria, Fiume e Dalmazia?  C’è l’esodo per evitare le violenze degli iugoslavi, come l’uccisione nelle foibe (voragini del Carso). Gli iugoslavi sono spinti dal sentimento di vendetta per le atrocità patite nella guerra fascista e per la pulizia etnica voluta da Tito.
Fotografia di EV

Quanti sono i profughi italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia? Secondo il libro del 1990 di padre Flaminio Rocchi sono 350 mila. Il professor Raoul Pupo, dell’Università di Trieste, nel 2005, fissa la cifra a 250 mila, in base ai dati dell’Opera Profughi. Ma il balletto delle cifre continua. Sono 230 mila, secondo Amedeo Colella, nella sua relazione del 24.02.1956. Egli ritiene che il 15% della popolazione sfugga al censimento stimando in 270 mila i profughi istriani e dalmati, sempre coi documenti dell’Opera Assistenza  Profughi Giuliani e Dalmati. Vedi: Roberta Fidanzia e Angelo Gambella, 2013. A questi dati, pur raccolti con criterio scientifico, sfuggono coloro che non si sono fatti annotare nei servizi dell’Opera Profughi e tutti coloro che, per orgoglio o per altri motivi, non hanno richiesto il riconoscimento di profugo. E non sono pochi. Quindi la cifra di F. Rocchi torna di attualità.
Quante sono le vittime delle foibe? Nel 2010 secondo un libro di Guido Rumici il massacro è di 4-5 mila italiani, donne, vecchi e bambini inclusi. Giuseppina Mellace, nel 2014, scrive che nel periodo 1943-1945 «ben 10.137 persone [sono] mancanti in seguito a deportazioni, eccidi ed infoibamenti per mano jugoslava» (pag. 236).
L'ingegnere Sergio Satti, per 40 anni vice presidente dell'ANVGD di Udine, racconta che un suo zio si salvò dalla foiba perché un conoscente di Barbana disse che parlava con lui in  croato.
 Fotografia di LL

Ecco altre testimonianze raccolte da Varutti. Armando Delzotto, esule da Dignano d’Istria, ha raccontato a Nicolò Giraldi (vedi il «Messaggero Veneto» 5.2.2017): «Da Dignano partiva il treno denominato delle Tabacchine, visto l’alto numero di donne che di mattina andavano a lavorare alla fabbrica Tabacchi di Pola».
Poi ancora: «Giorgio Gorlato, esule da Dignano, ha detto: Mia Zia Domenica Bilucaglia, detta Minina, era caporeparto alla Manifattura Tabacchi di Pola e fu trasferita a Lucca, dove lavoravano fino a 600 dipendenti nel 1947. Zia Minina aveva queste qualifiche in Manifattura: maestra, ricevitrice al controllo e ispettrice».
Si deve sapere che in Toscana funzionarono 14 Centri Raccolta Profughi (CRP) dei 140 aperti in tutta Italia. Erano attivi in queste località. A Marina di Massa, dal 1947, contro gli istriani ci furono delle fucilate degli anarchici e una sommossa femminile. «Siamo arrivati a Marina di Massa – ha detto Franco S. – e ci han messo in un angolino con tre materassi distesi per terra». I profughi di Migliarino Pisano, visto il rischio inondazione alle tende, furono evacuati a Tirrenia.
Altri CRP erano a Marina di Carrara, Forte dei Marmi (provincia di Lucca), Tirrenia (Pisa), Calambrone (Pisa), Carrara, Coltano (Pisa), Arena Pisana, San Giuliano Terme (Pisa), Livorno, Laterina (Arezzo) e Siena.
Udine, pubblico attento sul tema delle Tabacchine istriane. Fotografia di GG

Il CRP di Lucca, si riempie anche di sfollati garfagnini e versiliesi; chiude nel 1956. A Firenze era attivo un CRP nella vecchia Manifattura Tabacchi di Via Guelfa. «Al campo di Firenze – ha detto Luigi P. – c ‘era la mensa... Si andava con una pignatta e si prendeva: eri in quattro in famiglia, e ti davano quattro porzioni, quattro panini, quattro mele. E questo era così a Firenze. Che a Firenze siamo stati tre o quattro mesi».
C’è da dire, inoltre, che la Toscana che accolse i profughi friulani e giuliani nel 1917, dopo la rotta di Caporetto.
Angelo Rossi e Sergio Satti. Fotografia di EV

Le Tabacchine istriane in Toscana
Le Tabacchine di Pola e di Rovigno furono spostate soprattutto a Firenze e Lucca. Relativamente ai provvedimenti emanati in favore dei profughi che hanno riflessi sul loro inserimento lavorativo, occorre citare il decreto legge n. 520 del 23 dicembre 1946, rivolto agli impiegati e ai lavoratori statali per i quali il Governo italiano predispone - come recita il documento - il riassorbimento lavorativo, con le stesse mansioni, “nei corrispondenti uffici sparsi per l'Italia” (E. Miletto, 2012).
Emblematico in tal senso appare quanto avviene per i lavoratori dei Monopoli di Stato, in favore dei quali il 30 agosto 1948 viene promulgata una circolare che garantisce il reintegro nelle Manifatture Tabacchi italiane di tutto il personale che, come recita il testo del documento, “si sia trasferito nel territorio nazionale durante il periodo di assestamento della zona giuliana” (E. Miletto, 2005). Tali ricerche sono state diffuse dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti" (Istoreto) di Torino.
Fotografia di GG

La documentazione conservata presso l’Archivio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Zone di Confine - contiene importanti riferimenti al trasferimento dei lavoratori dalla Manifattura Tabacchi di Pola ad altre Manifatture attive sul territorio italiano. Personale che - come si legge in una nota di servizio redatta dal direttore generale dei Monopoli di Stato il 15 gennaio 1947 e inviata al Ministero dell'Interno - sarà trasferito “verso le fabbriche di Firenze, Lucca e Sestri Ponente in forti nuclei, e verso altri opifici in gruppi di piccola entità”. Si tratta - continua il documento - di circa 2.000 unità, delle quali “580 confluiranno a Firenze, 400 a Lucca e 420 a Sestri Ponente”, mentre le altre saranno “inviate in centri minori” (PCM, Archivio UZC).
Dopo aver informato del prossimo arrivo dei lavoratori, il direttore dei Monopoli di Stato invita il Ministero a “interessare i prefetti delle Province di Firenze, Lucca e Genova”, al fine di poter “assicurare ai profughi la migliore possibile assistenza onde permettere loro una prima sistemazione di fortuna.” (PCM, Archivio UZC). Un passaggio, quello della sistemazione dei nuovi arrivati, che non sembra essere però di semplice attuazione. Si veda, ad esempio, in senso negativo quanto avvenuto a Genova, Verona e Milano.
 Elio Varutti. Fotografia di LL

Manifatture Tabacchi in Istria
La Manifattura Tabacchi di Rovigno è del 1872. Sull’isola di Sant’Andrea, infatti, sorse la fabbrica Tabacchi. Era  il 16 agosto, presente il podestà Campitelli, il primo reparto per la lavorazione del tabacco viene aperto nella vecchia caserma, adattata allo scopo, di Via San Damiano.
Maria Grisanaz era la mamma di Francesco Tromba, esule da Rovigno d’Istria e autore di un libro premiato a Firenze nel 2016. Grisanaz lavorava alla Manifattura Tabacchi di Rovigno; fu poi trasferita a Bari e Mestre. Il padre dell’autore era Antonio Giuseppe Tromba, nato a Rovigno d’Istria il 26 giugno 1899. Dalla “cardensia” alla foiba. Sette partigiani titini prelevarono Antonio Tromba il 16 settembre 1943. Il tale Abbà, aprendo uno sportello della “cardensia” (mobile della cucina) disse: «El xe qua, el xe qua, vien fora merlo». Fu ucciso e gettato nella foiba di Vines, come indicarono le donne del paese, sia al tempo che nel 2003. Anche lui lavorava alla Manifattura Tabacchi di Rovigno.
Un’altra fonte delle ricerche di Varutti è stata Maria Millia, esule a Udine, pure lei lavorava alla Manifattura Tabacchi di Rovigno.
Fotografia ripresa da Facebook nel gruppo "Essere italofoni TM" e postata da Ellis Tommaseo, di New York, che ringrazio per la riproduzione

L’ingegnere Sergio Satti, vice presidente dell’ANVGD di Udine per 40 anni fino al 2016, ha ricordato che una sua zia lavorava alla Manifattura Tabacchi di Pola. Una notizia curiosa, infine, è che esisteva, nel 1922 a Pola, il giornale umoristico «La Tabacchina», come ha scritto Giusto Mainardis nel 1972.
Fondata il 30 maggio 1920, la Manifattura Tabacchi di Pola fu inaugurata il 3 luglio 1923, come ha scritto Raul Marsetič. La manifattura fu collocata nell’imponente immobile dell’ex caserma di fanteria dell’esercito austriaco sulla Riva a cui, un decennio dopo, fu affiancato un nuovo edificio sull’area dell’ex autoparco militare. Si trattò di un’attività produttiva di grande rilevanza per la città, dato l’elevato numero di maestranze impiegate, in gran parte femminili. Le attività produttive continuarono, con delle interruzioni per danni di guerra in seguito ai bombardamenti del 1944, fino all’inverno del 1947, e lo stabilimento fu definitivamente chiuso dalla nuova amministrazione jugoslava il 16 settembre 1947.
Elio Varutti. Fotografia di LL

A Zara operano 7 manifatture tabacchi
L’industria Tabacchi V. Caravassilis produceva sigarette della marca stessa. La Fabbrica Sigarette Diadora produceva sigarette delle marche "Diadora" e "Radio". Fu assorbita dalla Manifattura Zaratina Sigarette. Poi si ricorda la Manifattura Sigarette e Tabacchi Grima, che produceva sigarette della marca "Grima".
La Manifattura Zaratina Tabacchi e Sigarette N. Peristeridis produceva sigarette delle marche "Calypso" e "Samos". Nel 1922 cambiò nome e divenne “Manifattura Zaratina Sigarette" e nel 1928 fu acquistata dall’industriale zaratino Antonio Zerauschek.
La quinta industria da ricordare era la Manifattura Tabacchi C. P. Pavlidis, che produceva sigarette delle marche "Brillante", "Capriccio", "Omega", "C. Pavlidis", "Extra Fine", "Super Extra". Il 27 Novembre 1945 il tribunale del popolo del distretto di Zara decretò la confisca della manifattura tabacchi e di tutti i beni dei 3 comproprietari (Ivano, Costantino e Ljubica Pavlidis), giudicati colpevoli di collaborazionismo.
La Società Italiana Tabacchi, poi confluita nel dicembre 1926 nella Manifattura Tabacchi Orientali,  produceva sigarette delle marche "Milano", "Roma" e "Venezia". Ecco, infine, la Manifattura Tabacchi Orientali, che era direttamente controllata dallo stato italiano con una quota di maggioranza.
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Redactional e networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti, in collaborazione con E. Varutti. Fotografie di Leoleo Lulu (LL), E. Varutti (EV), Angelo Rossi (AR) e Giorgio Gorlato (GG).
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Parte del pubblico in aula T5. Fotografia di AR

Riferimenti bibliografici e ringraziamenti

- Myriam Andreatini Sfilli, Flash di una giovinezza vissuta tra i cartoni, Trieste Alcione, 2000.
- Roberta Fidanzia, Angelo Gambella, Il censimento dei profughi adriatici nelle carte dell’Opera Assistenza  Profughi Giuliani e Dalmati, «Rivista di Storia e Cultura del Mediterraneo», 2, 2013.
- Nicolò Girladi, “Il richiamo dell’Istria diventa forte col tempo anche se vivi lontano”, «Messaggero Veneto» 5 febbraio 2017, p. 47.
- Giusto Mainardis, "Il carattere italiano del giornalismo in Istria", in Lucio De Panzera (redattore), Histria, Numero unico dedicato ala civiltà istriana e dalmata, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Comitato Provinciale di Trieste, Trieste, 1972, pp. 589-594.
- Raul Marsetič, “La Regia Manifattura Tabacchi a Pola”, «Quaderni», XXVII, Centro di ricerche storiche – Rovigno, 2016, p. 81-139.
- Giuseppina Mellace, Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe, Roma, Newton Compton, 2014.
- Guido Rumici, Infoibati. I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Mursia, Milano (prima edizione: 2002), 2010.
- Francesco Tromba, Pola cara, Istria terra nostra, Storia di uno di noi esuli istriani, Trieste, 2013, 7.a edizione, premio Firenze 2016.


Udine, Università, Elio Varutti. Fotografia di AR


Sitologia




 Udine, Università, Elio Varutti. Fotografia di GG


Udine, Università, Elio Varutti. Fotografia di GG

Fotografia ripresa da Facebook nel gruppo "Essere italofoni TM" e postata da Ellis Tommaseo, di New York, che ringrazio per la riproduzione