Presento ora la
testimonianza di una esule che visse al Centro Raccolta Profughi di Laterina,
in provincia di Arezzo nel 1958-1959.
"Quell’anno, alla festa della Consolata, le suore
avevano regalato ad ogni bimbo un biscotto wafer – ha riferito Pastrovicchio –
e, una volta avuto il biscotto in mano, siamo stati immortalati in una fotografia,
dopo di che ciò che restava fu fatto sparire".
È Luisa Pastrovicchio, nata a Valle d’Istria, provincia di Pola, il 16 maggio 1952. Fu immatricolata al CRP di
Laterina il 25 giugno 1958 col n. 5377, come emerge dalla sua scheda di
registrazione. Ecco la sua storia dell’esodo giuliano dalmata, con una valigina
di cartone. Al confine di Divaccia la famiglia Pastrovicchio subì una indegna perquisizione
da guerra fredda. I profughi furono fatti tutti spogliare, rimanendo in
mutande, davanti ai Druzi. Con le Druze intente a ispezionare le parti intime
delle profughe, in cerca di dinari. Cose dell’altro mondo!
Col termine di “Druzi” gli
italiani d’Istria, di Fiume e Dalmazia indicano i partigiani comunisti
jugoslavi. Deriva dallo storpiamento della parola serbo-croata “drug”, che
significa “compagno”. Un altro dato informativo è che il cappellano del Campo
Profughi di Laterina era don Bruno Bernini. Egli si adoperò affinché, nel 1955,
il Corso per carpentieri e muratori attivato per i profughi portasse alla
costruzione delle scuole elementari del paese, in località Casanuova, dietro il finanziamento di 900
mila lire da parte del Comune. Ma, ecco la incredibile avventura di Luisa
Pastrovicchio. (Elio Varutti)
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Domanda: Quando siete venuti
via? Quanti eravate?
Risposta: «Era l’anno 1958 – ha detto Luisa Pastrovicchio – e siamo
stati tra gli ultimi profughi a partire da Valle d’Istria. Eravamo mamma
Virginia Silvi Zilovich, papà Gaudenzio, nonno Giorgio Pastrovicchio ed io. Avevo
cinque anni. Siamo partiti in una gelida mattina di gennaio dell’inverno più
freddo che io abbia mai visto.
C’era tanta neve, la strada era ghiacciata ed ognuno di noi portava una valigia, io ne avevo una piccola di cartone. Anch’io volevo essere utile a portare via le poche cose permesse. Per avere quella valigetta avevo fatto uno scambio, con la mia bambolina di stoffa più un passeggino fatto di legno, cosa assai povera, ma che era il desiderio di un’altra bimba ed io mi sentivo già grande».
C’era tanta neve, la strada era ghiacciata ed ognuno di noi portava una valigia, io ne avevo una piccola di cartone. Anch’io volevo essere utile a portare via le poche cose permesse. Per avere quella valigetta avevo fatto uno scambio, con la mia bambolina di stoffa più un passeggino fatto di legno, cosa assai povera, ma che era il desiderio di un’altra bimba ed io mi sentivo già grande».
D.: Come siete partiti e
cosa avete lasciato?
R.: «Prima di partire il babbo e la mamma avevano donato tutti i pochi
averi ai parenti che restavano – ha risposto – e mi ricordo che li avevo
aiutati a rompere i vetri della vetrina a muro e i vetri delle finestre. Il
babbo aveva tolto tutte le prese elettriche di ceramica dicendo: Queste mi sono
costate ed ai Druzi non le lascio. Nella mia testa mi domandavo chi erano i Druzi
e perché rompere quello che tanto mi avevano raccomandato di non rompere tempo
prima».
Virginia Silvi Zilovich col marito Gaudenzio Pastrovicchio e i figli Luisa e Giuliano sulle sponde dell'Arno, verso il 1958
D.: Signora Luisa Pastrovicchio,
posso chiederle da dove siete partiti?
R.: «Ebbene eccoci al giorno della partenza – è la replica – da
Rovigno eravamo saliti in treno e tutti ci salutavano. I nonni materni, Antonia
Vidotto e Giovanni Silvi Zilovich, erano con le lacrime agli occhi, la mamma
piangeva ed io non capivo. Salutavo, andavo in treno. Ma dove? – mi chiedevo. Mi
rispondevano in un paese che ha tante giostre. Adesso avrei qualcosa da
obiettare. Ogni cosa che abbiamo avuto, dal lavoro alla casa, è stata duramente
conquistata ed il paese dei balocchi non è mai esistito».
D.: Da quale valico
confinario siete passati?
R.: «Quando siamo
arrivati al confine di Divaccia, il treno si è fermato – ha precisato la
Pastrovicchio – sono saliti i Druzi. Che paura avevamo! Ci hanno divisi: donne
da una parte e uomini dall’altra. In uno scompartimento ai loro ordini ci siamo
spogliate. Mamma era in attesa di mio fratello Giuliano. Era all’ottavo mese di gravidanza. Era partita
prima di farlo nascere in Istria, sennò bisognava aspettare altri anni per avere
il visto anche per lui.
I Druzi non volevano che papà partisse perché era un elettricista specializzato ed era l’unico che sapeva far funzionare i proiettori del cinema di Valle e Dignano. A quei tempi uno dei primi divertimenti del dopoguerra».
I Druzi non volevano che papà partisse perché era un elettricista specializzato ed era l’unico che sapeva far funzionare i proiettori del cinema di Valle e Dignano. A quei tempi uno dei primi divertimenti del dopoguerra».
Scheda di registrazione di Luisa Pastrovicchio al Centro Raccolta Profughi di Laterina, provincia di Arezzo
D.: Ci sarà stato anche
personale femminile per la perquisizione delle donne profughe, oppure c’erano
solo maschi?
R.: «Sì. Ritornando a raccontare del confine – ha puntualizzato la
testimone – le Druze, ossia le doganiere donne, ci hanno fatto spogliare e
siamo rimaste solo con le mutande. Faceva tanto freddo e siamo state tanto
tempo nude. Le Druse non credevano che mia mamma fosse incinta. Erano convinte
che sotto quel pancione nascondesse indumenti e soldi. Prese dalla rabbia l’hanno
visitata davanti a me, bimba, anche nei posti che pudicamente ognuno di noi
nasconde.
La vedevo così pudica, così piena di vergogna, povera mamma! Alla fine, visto che non avevamo valuta, ci hanno fatto rivestire».
La vedevo così pudica, così piena di vergogna, povera mamma! Alla fine, visto che non avevamo valuta, ci hanno fatto rivestire».
D.: Che tristezza, cara
signora mia. Ma è giusto raccontare anche questi particolari intimi per far
capire a tutti come siete stati trattati. È successo dell’altro?
R.: «Insieme a noi c’era una signora che aveva nascosto dei soldi
nell’imbottitura del reggiseno – ha risposto – allora la Druza si è messa ad
urlare e, fatta rivestire la malcapitata, fu fatta scendere dal treno e accompagnata
da due soldati. L’hanno portata lontana, in una giornata fredda, con tanta neve.
Dove sarà andata? In prigione – hanno detto – per almeno dieci anni. Oddio, che
paura avevo.
E se a papà avessero trovato i soldi che aveva addosso. Io rimanevo senza papà. Dio, che angoscia, ma per fortuna presi da questo trambusto non se ne sono accorti. Già, allora mi domandai che male facevamo a portare via le cose che erano nostre».
E se a papà avessero trovato i soldi che aveva addosso. Io rimanevo senza papà. Dio, che angoscia, ma per fortuna presi da questo trambusto non se ne sono accorti. Già, allora mi domandai che male facevamo a portare via le cose che erano nostre».
Ricordo della cresima della signora Virginia Pastrovicchio
D.: Siete per caso
transitati per il Centro di Smistamento Profughi di Udine, in via Pradamano,
prima di giungere al CRP di Laterina?
R.: «Sì. Dopo una settimana che eravamo ad Udine, nel nostro primo
centro di accoglienza profughi, nacque mio fratello. Era il 7 febbraio 1958. Dopo
tre mesi siamo stati destinati al campo profughi di Laterina.
Altro treno, altro viaggio e sempre con la mia valigetta. Siamo arrivati in questo campo costruito nella campagna toscana, con 22 baracconi lunghi circa 60 metri, per tenervi i prigionieri Americani ed Inglesi. Questi poi, nel dopoguerra, avevano rinchiuso i prigionieri Italiani e Tedeschi. La prima volta che è stata alzata la sbarra d’ingresso era il 19 agosto del 1948, per far entrare duemila profughi istriani».
Altro treno, altro viaggio e sempre con la mia valigetta. Siamo arrivati in questo campo costruito nella campagna toscana, con 22 baracconi lunghi circa 60 metri, per tenervi i prigionieri Americani ed Inglesi. Questi poi, nel dopoguerra, avevano rinchiuso i prigionieri Italiani e Tedeschi. La prima volta che è stata alzata la sbarra d’ingresso era il 19 agosto del 1948, per far entrare duemila profughi istriani».
Baracca n. 6 del CRP di Laterina, Arezzo. Collezione Claudio Ausilio, delegato provinciale ANVGD Arezzo
D.: Come era la vita tra le
baracche del CRP di Laterina?
R.: Lì arrivammo noi il 25 giugno 1958 – ha detto Pastrovicchio – eravamo
partiti in quattro e ora eravamo in cinque bocche da sfamare, mentre i fiori
cominciavano a colorare un mondo per noi, sotto molti aspetti, ancora freddo,
grigio ed ostile. Le baracche erano divise da pareti di cartone e di tavole o
con tende appese a un filo. Quattro metri per quattro per ogni famiglia».
La classe 2^ elementare con Luisa Pastrovicchio
D.: Come erano gli arredi
del CRP di Laterina? Camera e cucina tutto insieme?
R.: «Avevamo in dotazione una brandina di ferro, un pagliericcio e
due coperte militari. Il nonno ed io avevamo un letto a castello. Mamma e papà,
con il mio fratellino, avevano il pagliericcio. La mamma cucinava su un
fornello improvvisato a legna. Il governo italiano ci dava un sussidio
giornaliero più una razione di legna per scaldarci che, ricordo, non bastava mai.
Allora gli uomini andavano a prestare la loro manodopera preso i contadini dei casolari. Le donne raccoglievano lattughe selvatiche, castagne e gli scarti dell’unico negozio presente al Campo profughi, quando andava bene. Anche noi ragazzini andavamo nel bosco a raccogliere i rami secchi. Poche cose potevamo portare, ma servivano ad accendere il fuoco».
Allora gli uomini andavano a prestare la loro manodopera preso i contadini dei casolari. Le donne raccoglievano lattughe selvatiche, castagne e gli scarti dell’unico negozio presente al Campo profughi, quando andava bene. Anche noi ragazzini andavamo nel bosco a raccogliere i rami secchi. Poche cose potevamo portare, ma servivano ad accendere il fuoco».
D.: Quali attrezzature aveva
il Campo Profughi di Laterina? C’era la scuola?
R.: «Tutto intorno al Campo c’era il filo spinato – ha risposto la
testimone – mi sembrava di essere in prigione. I carabinieri venivano con la
loro camionetta a fare i giri di ispezione affinché tutto filasse liscio.
Qui incominciai la scuola. In una baracca mal riscaldata ho incominciato a fare le prime aste su un quaderno nero con le righe rosse. Non ne facevo una dritta di asta e la maestra mi metteva sempre in castigo. Per qualsiasi ragione tutti i bimbi finivano in castigo dietro la lavagna e saltavano la merenda. Ma, chi aveva la merenda? I più fortunati mangiavano castagne secche, quelle che eravamo riusciti a procurarci».
Qui incominciai la scuola. In una baracca mal riscaldata ho incominciato a fare le prime aste su un quaderno nero con le righe rosse. Non ne facevo una dritta di asta e la maestra mi metteva sempre in castigo. Per qualsiasi ragione tutti i bimbi finivano in castigo dietro la lavagna e saltavano la merenda. Ma, chi aveva la merenda? I più fortunati mangiavano castagne secche, quelle che eravamo riusciti a procurarci».
Amiche al CRP di Laterina, 1958-1959
D.: Ricorda, per caso, un
fatto bello, magari con un cibo particolare?
R.: «Quell’anno, alla festa della Consolata, le suore avevano regalato
ad ogni bimbo un biscotto wafer – ha riferito Pastrovicchio – e, una volta avuto
il biscotto in mano, siamo stati immortalati in una fotografia, dopo di che ciò
che restava fu fatto sparire.
Che voglia di mangiare ancora una volta quella dolcezza! Quando ho potuto, mi sono mangiata da sola una scatola di wafer. Sembra stupido, ma una roba da poco può rivelarsi una grande conquista per chi ha vissuto nelle privazioni».
Che voglia di mangiare ancora una volta quella dolcezza! Quando ho potuto, mi sono mangiata da sola una scatola di wafer. Sembra stupido, ma una roba da poco può rivelarsi una grande conquista per chi ha vissuto nelle privazioni».
D.: Dove lavoravano i profughi?
C’era lavoro nella zona?
R.: «Siamo stati due anni in questo campo ha detto – e papà nel
frattempo era partito alla volta della Francia per trovare lavoro. Aveva resistito
sei mesi, poi passando da Torino, in visita ad alcuni parenti, aveva trovato
lavoro là e ci siamo trasferiti in una vera casa, un piccolo alloggio tutto per
noi. Era l’anno 1960. L’alba di una nuova vita scacciava le tenebre di un
periodo non voluto, né cercato.
Parenti dei Pastrovicchio al CRP di Laterina
D.: Ricorda qualche altro
fatto, una curiosità?
R.: «Una piccola curiosità è rinvenuta dagli archivi del Campo
Profughi – ha concluso Luisa Pastrovicchio – in cui emerge la collaborazione da
parte degli esuli verso questa nuova nazione, ma fatta poi subito eliminare. I
profughi istriani del campo di Laterina hanno contribuito all’elezione di
Amintore Fanfani, poi divenuto ministro.
Si è trovato nell’album della direzione, datato 1956, un telegramma del Ministro dell’interno Fanfani, collegio elettorale di Arezzo, che ringrazia i profughi perché su 519 votanti del Campo Profughi ben 462 avevano votato per il suo partito, togliendo ai comunisti l’amministrazione del Comune di Laterina. I profughi trasferiti in un altro campo, dopo il 1958, furono invitati a non trasferire l’iscrizione anagrafica, per non ripetere lo stesso scherzo di Laterina, nelle successive elezioni».
Si è trovato nell’album della direzione, datato 1956, un telegramma del Ministro dell’interno Fanfani, collegio elettorale di Arezzo, che ringrazia i profughi perché su 519 votanti del Campo Profughi ben 462 avevano votato per il suo partito, togliendo ai comunisti l’amministrazione del Comune di Laterina. I profughi trasferiti in un altro campo, dopo il 1958, furono invitati a non trasferire l’iscrizione anagrafica, per non ripetere lo stesso scherzo di Laterina, nelle successive elezioni».
Messaggi dal mondo a questo
blog
Le storie che racconto in queste pagine web raggiungono gli esuli
in Italia, Europa e nei luoghi più lontani. Il signor Gianni Marchiori il 24
febbraio 2017, dalla città di Tigre, in Argentina, mi ha scritto nel profilo di
Google il seguente messaggio: «Molto interessanti queste informazioni per me
che sono figlio e nipote da parte materna di esuli polesani. Grazie per la
diffusione della storia delle nostre radici. Cari saluti».
Il signor Enzo Bertolissi, nato nel 1937 a Prosecco, in provincia
di Trieste, mi ha riferito che la sua famiglia fu costretta a sfollare in
Friuli, in seguito ad episodi di prelevamento di persone amiche da parte dei
partigiani titini, mai più viste e, probabilmente, uccise nelle foibe.
La signora Lorena Lizzul, da Bollate, Milano, mi ha scritto il 6
febbraio 2017, in riferimento al Centro di Smistamento Profughi di Udine, che: «Anche
i miei genitori sono passati da Udine nel 1958». Ecco, nel 1958, come la
famiglia Pastrovicchio di Valle d’Istria.
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Fonti e ringraziamenti
L’autore desidera ringraziare le seguenti persone per la condivisione
dei racconti sull’esodo giuliano dalmata e per le riflessioni su detto fenomeno.
Prima di tutti ringrazio la signora
Luisa Pastrovicchio, esule a Pessinetto, città metropolitana di Torino, per il memoriale
dattiloscritto, i documenti personali e le fotografie messe a disposizione per
il presente articolo. Per la collaborazione alla ricerca sono riconoscente a
Claudio Ausilio, delegato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) di Arezzo, perché ha facilitato gentilmente il contatto
con la signora Pastrovicchio.
- Lorena Lizzul, nata a Chiari nel 1961, in provincia di Brescia, ora
vive a Bollate, Milano, messaggio in Facebook del 6 febbraio 2017.
- Enzo Bertolissi, Prosecco 1937, provincia di Trieste, esule a
Tarvisio, provincia di Udine, intervista del 20 e 22 febbraio 2017 a Udine a
cura di E. Varutti.
- Gianni Marchiori, Tigre, Argentina, con avi di Pola, messaggio nel
profilo di Google del 24 febbraio 2017.
Campo Profughi di Laterina, Corso muratori e carpentieri, disteso a terra in primo piano, Gaudenzio Pastrovicchio, esule da Valle d'Istria
Collezioni private
- Collezione Claudio Ausilio, delegato provinciale ANVGD di Arezzo,
informazioni, piante, prospetti e planimetrie progettuali del CRP di Laterina.
- Collezione famiglia Pastrovicchio, Pessinetto, città metropolitana di Torino, fotografie,
documenti e memoriale dattiloscritto.
- Collezione Enzo Bertolissi, Tarvisio, provincia di Udine,
memoriale dattiloscritto
- Collezione Giuliana Filipovich, Torino, certificati.
- Collezione Giuliana Filipovich, Torino, certificati.
Interessante documento d'identità dell'International Refugees Organization (IRO)di Fiorito Filipovich, nato a Udine e registrato a Laterina il 20 settembre 1949. Ringrazio la figlia Giuliana Filipovich, di Torino che, in un messaggio in Facebook del 1° marzo 2017, mostrando questo documento, ha spiegato l'esodo del babbo così: "Da Fiume a Laterina".
Un altro raro documento che esce dagli archivi familiari. Si tratta di un "Foglio di ricognizione per le persone della gente di mare di seconda categoria", emesso dal Compartimento marittimo di Livorno il 4 ottobre 1949, che iscrive una persona in qualità di "pescatore". L'intestatario è Fiorito Filipovich, nato a Udine il 16 novembre 1921, che poi lavorò a Fiume quando, col Trattato di pace del 1947, scelse l'Italia. La matrigna Italia lo alloggiò nelle baracche del Centro Raccolta Profughi di Laterina, Arezzo. Curioso che gli diano un documento "Valevole per il solo imbarco su navi battenti bandiera estera" a lui che è italiano per scelta. Collezione Giuliana Filipovich, Torino.
Riferimenti bibliografici e
del web
E. Varutti, Esodo disgraziato dei Tardivelli, da Fiume a Laterina 1948, articolo pubblicato
nel 2017.
Virginia Silvi Zilovich col marito Gaudenzio Pastrovicchio, nel 2016, a Torino
Luisa Pastrovicchio con la mamma nel 2016 a Torino
Planimetria del CRP di Laterina. Collezione Claudio Ausilio, delegato provinciale ANVGD Arezzo
Udine, Via Pradamano 21 - Collegio convitto Opera Nazionale Balilla, poi GIL, progetto di Ermes Midena. Fotografia del 1938, quando fu inaugurato da Mussolini. Dal 1947 al 1960 questo impianto divenne il Centro di Smistamento Profughi, da dove transitarono oltre centomila italiani esuli d'Istria, Fiume e Dalmazia, come recita la lapide posta dal Comune di Udine nel 2007, nel 60° anniversario dell'apertura ai profughi giuliano dalmati
Gli edifici di Via Pradamano a Udine oggi ospitano la scuola media "E. Fermi", una biblioteca, un ambulatorio ed altri uffici. Fotografie di Elio Varutti 2017