Rovigno, giugno 1951- classe IV Elementare. Collez. Simoni
Io
lascio Rovigno in una sera del 18 luglio del 1951 assieme a mio padre Cesare,
la mamma Concetta Viscovich e i fratelli Vincenzo e Tullio, anche nel dolore di
dover lasciare l'amata gatta Fiorella. Ricordo che mio nonno materno Vincenzo Viscovich, con un
carretto per i nostri pochi bagagli, ci accompagnò alla Stazione ferroviaria. Il
treno dopo un lungo viaggio ci portò finalmente in territorio italiano vicino a
Trieste, credo a Opicina, dove fummo accolti dalle dame della Croce Rossa che
ci offrirono una tazza di latte e dei
fagioli lessi che pare ci piacessero. Nei giorni successivi fummo ospitati preso i vari parenti paterni a Trieste e
potei rivedere alcuni cari amici partiti durante la prima opzione e potei
gironzolare con loro. Ricordo di aver letto, per la prima, volta un fumetto di
Tex Willer. Nei pressi di Via Cavana ho gustato una pallina di gelato. Poi
siamo partiti per Udine, in un Centro smistamento profughi, buio e triste, dove
avrebbero deciso quale Centro raccolta profughi ci avrebbe accolto”.
Perché siete venuti
via?
“Fondamentalmente per una mancanza di libertà – replica il dottor Simoni - accentuata negli anni successivi al 1945 e con un aggravamento durante e dopo le vicende fratricide tra comunisti cominformisti, fedeli a Stalin, e con spirito internazionalista, e comunisti fedeli a Tito sempre più succubi al nazionalismo filo slavo”.
“Fondamentalmente per una mancanza di libertà – replica il dottor Simoni - accentuata negli anni successivi al 1945 e con un aggravamento durante e dopo le vicende fratricide tra comunisti cominformisti, fedeli a Stalin, e con spirito internazionalista, e comunisti fedeli a Tito sempre più succubi al nazionalismo filo slavo”.
Si deve sapere che
Rovigno era considerata zona rossa, con molti partigiani, ma dopo la rottura di
Tito con Stalin, del 1948, iniziano in tutta la Jugoslavia le purghe titine
contro ogni sorta di dissidente dalla linea del partito.
“Rovigno
era una cittadina con componenti nella sua popolazione di idee molto variegate –
spiega
Simoni – i contadini erano in genere
molto attaccati alla religione, mentre pescatori e marinai lo erano meno. C'erano
infine oltre un migliaio di operai nella
locale Manifattura Tabacchi [le
operaie erano dette: le tabacchine] e in altre aziende con uno spirito molto aperto
alle idee libertarie dell'inizio del Novecento. Mia nonna in fabbrica cantava
canzoni anarchiche tipo ‘Addio Lugano Bella’. Il Partito comunista nel primo
dopoguerra assorbì gran parte dei socialisti ed ebbe le sue vittime al sorgere
del fascismo, i suoi carcerati o al confino, o combattenti in Spagna e nella
Resistenza Francese. Rovigno ha avuto, infine, oltre un centinaio di morti nei
lager nazisti o nella lotta partigiana. Questi comunisti durante il Ventennio
in città organizzavano il ‘Soccorso Rosso’ avendo continui contatti con
importanti esponenti del PCI nazionale. Tutti avevano una ideologia fortemente
internazionalista che si sarebbe scontrata con l'evidente strategia nazionalista e annessionistica dei
comunisti croati.
I fratelli Simoni al CRP di Laterina, anni '50. Collez. Simoni
La resa dei conti avvenne con la rottura tra Tito e Stalin e
così si creò finalmente l'occasione per decapitare in tutta l'Istria e a
Rovigno questa generazione di comunisti ormai ‘anomali’. Ricordo che nella casa
accanto alla mia, tra Via Daveggia e l'inizio della Carrera, c'era la sede
della Polizia popolare. Dalla finestra del 3° piano potevamo sentire le urla
dei comunisti cominformisti pestati a sangue. Uno di questi, Quarantotto,
Capitano della resistenza francese, per queste sevizie morirà poco dopo a GoliOtok-l'Isola Calva. E noi spesso chiudevamo le finestre e cantavamo ‘Fratelli d'Italia’.
Ricordo anche i nostri pianti quando, alla radio, sentimmo nel 1949 della tragedia di Superga, dove morì tutta la
squadra di calcio del Torino. In seconda elementare mi pare di aver avuto una
ventina di maestri, quasi tutti cominformisti. Vedevo le maestre umiliate a
spazzare le strade, mentre i maestri semplicemente sparivano”.
Nella sua famiglia si
parlava della vicenda delle foibe?
“Forse
ero troppo piccolo e ne sono venuto a conoscenza più tardi – risponde
il testimone - mio fratello, del 1937, mi
dice che lui ne aveva sentito parlare. A Rovigno ci furono due periodi di
infoibamenti, nell'autunno 1943 e dopo il maggio 1945. In entrambi i casi è ora
documentato che le esecuzioni avvenivano solo per espliciti ordini della
polizia segreta, l'Ozna. Nel 1943 oltre trenta rovignesi vennero consegnati al
Tribunale Popolare di Pisino e poi infoibati. Il tutto avvenne sotto il comando
di Ivan Motika ‘Franic’, responsabile per l'Istria dell'Ozna da una lista di
nomi fatta da un gruppo di giovani esaltati di Rovigno, ‘quelli della Ceka' [la
Ceka era il servizio segreto dell’Urss dal 1917 al 1922]. Essi
emarginarono da ogni decisione i dirigenti comunisti ‘storici’. Ormai i loro
nomi sono quasi tutti conosciuti e sono ora
tutti deceduti con i loro segreti. Uno di loro era Paolo Poduie,
divenuto dopo l'ottobre 1943 partigiano
nel Veneto e poi Capitano del SOE, futura Intelligence Service inglese. Si possono
trovare notizie esaurienti in Internet. Poduie è morto tanti anni dopo, in
silenzio, a Milano. Tutti, anche i bambini, sapevano che l'Ozna controllava tutto.
Dal maggio 1945 avvenne a Rovigno
un'altra serie di infoibamenti con il carattere peculiare che i cadaveri
degli uccisi nella grande maggioranza non vennero mai più trovati e questo
atroce segreto permane. Nel 1943 venne infoibato il padre del mio caro amico,
recentemente deceduto, Nino Maressi, che ben sapeva il nome di chi l'aveva
fatto arrestare, rivisto poi profugo a Monfalcone. Nel 1945 scomparvero il
padre e il giovane fratello della mia cara amica Bianca Benussi. Lei ricorda ancora
con strazio quella vicenda”.
Nel
libro di Flaminio Rocchi non compaiono, tra gli italiani eliminati nelle foibe,
né un Maressi, né un Benussi. Ben quattro Benussi di Rovigno compaiono, invece,
tra gli eliminati dai titini nel 1943-1945 e un Andrea Maressi, guardia
notturna, nato a Rovigno nel 1904 e ammazzato il 30 settembre 1943, in base all’Elenco
“Livio Valentini”. Tra
l’altro, l’Ozna, secondo un rapporto segreto del Ministero dell’Interno
italiano, del 1946, era “già riuscita ad infiltrare molti elementi nelle file
dei cetnici [monarchici serbi], specie tra i profughi giuliani che si trovano a
Roma nei campi profughi di Forte Aurelio e Cinecittà”. La stessa organizzazione
segreta iugoslava, in base al citato rapporto, ha stretti contatti con i
sovietici (vedi in: Sitologia).
Riccardo Simoni in un'immagine recente della collezione familiare
Ho letto su
«Chiantisette» che suo suocero e suo padre Cesare erano partigiani?
“Mio
suocero era partigiano nei boschi attorno a Rovigno – aggiunge
Simoni – dove avvenivano continui rastrellamenti.
Mio padre, autodidatta plurilingue, durante l'occupazione nazista era
interprete del Comune e quindi anche nei rapporti con l'attiguo Comando tedesco,
ma facente parte dell'intelligence partigiana
cui comunicava, per sicuri tramiti, le preziose informazioni che
riusciva a captare, catturandi, rastrellamenti ed altro. Un giorno vidi mio
padre con la faccia tumefatta e piena di sangue. Ci disse che era caduto di
bici. Dopo la sua morte nel 1997 abbiamo trovato un suo prezioso memoriale su
tutte le sue vicende dall'armistizio del 8 settembre 1943 al 1946, dove racconta
di essere stato pestato a sangue dalle Waffen SS che gli comunicarono i
sospetti verso di lui ordinando di dire alla famiglia di essere semplicemente
caduto. Ma tempo dopo venne smascherato e ricordo la sua cattura in una notte
dell'autunno 1944. Il comandante tedesco
lo salvò scrivendo soltanto ‘sospetto partigiano’ nella sua scheda. Da Pola
finì al Coroneo di Trieste e quindi con un convoglio deportato nella stazione
di Dachau, dove veniva la scelta di ‘arbeiter schiavi’ da parte di vari
industriali. Venne inviato in un lager di Sweinfurt, città dove si produceva
oltre l'80% dei cuscinetti a sfera della Germania, con bombardamenti a tappeto
quasi quotidiani. Tornò magro ma vivo nell'estate del 1945 e, pur non essendo
comunista, venne apprezzato come amministratore tanto da divenire, sino alle
opzioni, Direttore della Impresa edile locale. Optando, come tanti rovignesi,
finì, prima alla miniera dell'Arsia e poi nella costruenda ferrovia Lupogliano-Stallie.
Ho recentemente raccontato che in guerra i bimbi crescono alla svelta e quindi
ricordo un pomeriggio soleggiato del 10 ottobre 1943. Non avevo ancora 3 anni,
accompagnato da mia zia Nina, quando venimmo circondati da soldati tedeschi e
obbligati ad assistere alla impiccagione di un giovanissimo partigiano slavo,
pieno di bende insanguinate, su un lampione delle rive del porto. Ora c'è il
suo ricordo su una pietra accanto al ‘molo piccolo’ che serve solo per sedersi
e mangiucchiare un panino. Ma esistono di quegli anni tanti altri ricordi
vivissimi. Persone amiche di famiglia aderirono alle formazioni fasciste, un
cugino di mio padre, mezzo boemo del Sudeti, finì la guerra nelle Waffen SS, un
altro faceva parte del SIM della RSI. Un illustre chirurgo di Rovigno Chiurco,
podestà della RSI di Siena e storico della Rivoluzione Fascista dopo la liberazione di Siena nell'estate del 1944 ebbe , per qualche
merito verso i senesi , solo un blando e provvisorio atto di epurazione. Ricordo,
poco prima di essere ucciso, il capo dei fascisti Steno Ravegnani, a casa di
nonno addetto alle Pompe Funebri, ordinare una ghirlanda per un milite e dire
che sarebbe andato con i partigiani se l'Istria fosse rimasta italiana: mah! [Nell’Elenco
“Livio Valentini” c’è uno Stefano Ravegnani di Rovigno, della Milizia Difesa Territoriale.
- 2° Rgt. "Istria", eliminato il 13 aprile 1945]. Ho
sempre pensato che le nostre terre sarebbero, alla fine della guerra, comunque perdute, chiunque avesse vinto”.
Riccardo Simoni a dieci anni, fotografia dal passaporto, quando arriva al CRP di Laterina. Collez. Simoni
Cosa ricorda del Centro
raccolta profughi di Laterina?
“Siamo partiti di notte da Udine in treno – dice Simoni – e solo nella mattinata siamo scesi a
Laterina Scalo, dove ci attendeva un camion scoperto che ci ha portato al CRP
di Laterina, già Campo di concentramento
di prigionieri inglesi, poi lager
tedesco e quindi per prigionieri fascisti della RSI trasferiti dal campo di
concentramento di Coltano (PI). Dopo le prime opzioni di profughi giuliani,
fiumani, dalmati e dalla Grecia. Insomma in questa pianura piena di baracche erano
ospitate oltre duemila persone. Una di queste baracche era adibita a scuola
elementare, un’altra per una chiesetta, una per la direzione e poi tante
baracche in fila per le tante famiglie. Esse erano divise da fili di ferro con
appese delle coperte, con piccole stufette e letti a castello militari. L'unico
gabinetto alla turca stava ovviamente all'aperto. Ogni famiglia riceveva un sussidio
in denaro di circa 100 lire a testa al dì. Eppur durante l'alluvione del
Polesine, di mesi dopo, i profughi fecero una gran colletta per i nostri
fratelli sfortunati. A Laterina siamo rimasti sino al 1955, nel frattempo io
finivo la V elementare e iniziavo poi una lunga storia di Collegi di Stato. Tre
anni al Collegio Raffaello di Urbino e cinque a Carrara. Mio padre aveva
trovato un lavoro presso il Comando Alleato del Sud Europa a Firenze e quindi assunto come guida turistica dalla
CIT in Svizzera e poi a Firenze. Finalmente, dopo anni di stenti, a Firenze
potevamo avere un appartamento INA Casa, con un affitto molto modesto, che ha
permesso una ascesa scolastica a tutti i tre fratelli Simoni. Durante la
permanenza a Laterina non abbiamo mai manifestato pentimenti per la scelta fatta optando. La
libertà faceva la differenza.
Laterina, squadra di
calcio profughi giuliano dalmati, anni ’50. Collez. Ireneo Giorgini
A
Laterina c'era una comunità di rovignesi legati dal comune affetto, da vecchie
e nuove amicizie e dall'amore per il paese lasciato. Nel 1960 mi iscrissi alla
Facoltà di Medicina a Firenze vivendo da protagonista le vicende associative
universitarie e anche politiche. Solo nel 1963 sono tornato a Rovigno
abbracciando i nonni materni che pochi anni dopo sarebbero scomparsi. Nel 1966 ho conosciuto la mia futura moglie
Luisa, rovignese, allora in vacanza. Ogni estate, quando posso, torno a Rovigno,
nella vecchia casa dei nonni vedo le foto orgogliose di Vincenzo Viscovich in
splendide divise di Ulano di Sua Maestà Imperiale per cui ha combattuto dal
1914 sino al 1918 e di cui nel suo intimo è sempre rimasto fedele. In questa
casa d'estate posso dormire nella camera dove sono nato quasi ottanta anni fa e
in altre stanze ci guardano le vecchie
foto dei nonni, zii, con quadri di amici, di mio padre Cesare e miei, del
fratello Vincenzo, del fratello Tullio recentemente scomparso. Da qualche estate esiste una calda comunanza
con ‘amici degli anni Trenta’ quelli ‘rimasti’,
scanzonati ‘amici miei’ con aggregati altri leggermente più giovani con
qualcuno anche croato dei dintorni che però si appassiona del nostro dialetto e
canta nel coro della nostra Comunità degli Italiani di Rovigno. Da qualche anno
si sono infittiti i rapporti tra gli esuli della ‘Famìa Ruvignisa’ con la
locale Comunità di Rovigno sino a celebrare insieme, nel 2020, il Giorno del
Ricordo, cantando finalmente anche l'Inno all’Istria”.
Mi pare che lei vada
nelle scuole a parlare del Giorno del Ricordo?
“Da
oltre dieci anni partecipo come testimone alle cerimonie che il Comune di San Casciano
(FI ), dove abito, promuove per il Giorno del Ricordo – conclude Simoni – anche
nelle scuole medie di vario grado. Talvolta ho parlato a Firenze in Palazzo
Vecchio a delle scolaresche. Tempo fa ho partecipato come docente a due seminari
agli insegnanti della Scuola Media locale, con
assegnazione di crediti, offrendo documentazioni scritte di studiosi e anche
di mie modeste ricerche. La passione per la storia contemporanea in me
ha origini antiche anche per il
desiderio di capire le cause che hanno portato alla quasi scomparsa della
nostra etnia dalle terre ormai perdute. Ho sempre cercato fonti diverse,
scartando quelle in palese malafede o di grave ignoranza, ascoltando sempre le
sofferenze di chi ha subito, di qualsia etnia si trattasse, le violenze del Novecento, il terribile ‘Secolo
breve’ con i suoi variegati totalitarismi”.
Rovigno, nonno Vincenzo Viscovich, ulano di Sua Maestà Imperiale d'Austria, 1914-1918. Collez. Simoni
Finisce così
l’intervista al signor Riccardo Simoni, geriatra, psichiatra, fisiatra,
medico ospedaliero in pensione, docente universitario, ma soprattutto sempre curioso nelle sue letture, nei piccoli
disegni, collages, foto, poesiole e nei
rapporti con gli amici sempre più radi, allegri, invecchiati, o scomparsi e con nuovi che spera arrivino ancora. Egli ricorda
cose orribili dell’Istria, oppure il buon odore di un pacco giunto da Trieste
con delle arance e lui si è tenuto in tasca per due mesi le scorze per il
profumo delizioso di agrumi. Alla fine degli anni ’40 la gente mangiava la
carne solo una volta. Poi subentrò molta paura e la totale mancanza di libertà.
Riccardo Simoni ricorda soddisfatto che a Rovigno, il 95% dei cittadini era
italofono e ancora nel 1951 non c’era il bilinguismo italiano-croato. Tutto era
in italiano, le scuole e le strade. Gli slavi avevano solo tre classi con
elementari, medie e superiori. Poi la snazionalizzazione titina ebbe il
sopravvento. L’interno e il contado erano per lo più slavofoni, ma Rovigno no,
come molti centri costieri istriani. Nell’intervista ha ripetuto più volte: “Siamo andati via perché non c’era la
libertà, avevamo la sensazione di essere continuamente osservati, spiati dalla
polizia”.
Come mai diversi ragazzi
in Istria, dopo l’8 settembre 1943, si lasciano ammaliare dal movimento
partigiano iugoslavo? Forse ci aiuta a capire lo scrittore Fulvio Tomizza.
“Nell’indecisione, nella confusione e nell’euforia, alcuni reduci con
fazzoletti rossi al collo piegarono la resistenza del loro ex educatore e si
cacciarono in scuola. Erano ragazzi sospesi fra un fascismo autocritico e un
vago comunismo, in attesa del precipitare degli eventi; si erano procurati un
timbro con la stella rossa e la scritta bilingue. Li rifornivano
contemporaneamente di cibo e bevanda Ludovico e Gabriele Pavlovich da una
parte, il barba Ive Stocavaz e i suoi primi croati dall’altra” (La miglior vita, p. 160).
Il Centro raccolta profughi di Laterina, anni '50. Collez. Giorgini
Il
Centro raccolta profughi di Laterina tra dati veri e falsi
Sono 4.693 i nominativi
riportati nell’Elenco alfabetico profughi
giuliani, custodito nell’Archivio del Comune di Laterina. La lista si apre
col nome di Abba Lucia, che reca queste indicazioni: “n° 167 del fascicolo,
data di eliminazione [dalla residenza] 4.6.1957; Comune di nuova residenza:
Roma”. Si chiude con: “Zonca Silvana, n° 1428 del fascicolo, data di
eliminazione non nota, irreperibile”. Certo, è una rubrica con poche
indicazioni. Non si sanno, infatti, la data e il luogo di nascita, ma è assai
utile a definire il numero di persone transitate per il CRP di Laterina, che
per uscirne fornivano il luogo della nuova residenza, anche all’estero
(Francia, Svezia, Brasile, Argentina, Australia, USA). Il numero potrebbe
essere più alto di 4.693 individui, dato che le ultime registrazioni manuali si
riferiscono al 1961, mentre si sa che il CRP chiuse nel 1963. Mancano, quindi,
almeno due anni di registrazioni, con le ultime uscite di persone dal Campo.
Di un’inaudita violenza
morale è la vicenda riferita da Luisa Pastrovicchio, nata a Valle d’Istria, il
16 maggio 1952. Fu immatricolata al CRP di Laterina il 25 giugno 1958 col n. 5.377,
come emerge dalla sua scheda di registrazione. Gli schedati al Campo, dunque,
sono più di 5mila. Al confine slavo di Divaccia la famiglia Pastrovicchio subì
una indegna perquisizione da guerra fredda. I profughi furono fatti tutti
spogliare, rimanendo in mutande, davanti ai Druzi.
Col
termine di “Druzi” gli italiani d’Istria, di Fiume e Dalmazia indicano i partigiani
comunisti iugoslavi. Deriva dallo storpiamento della parola serbo-croata
“drug”, che significa “compagno”. Tutti e cinque i Pastrovicchio sono
registrati nel suddetto Elenco
alfabetico profughi giuliani.
.
Mappa
del Centro Raccolta Profughi di Laterina. Planimetria riferita a dopo il 1950.
Disegno di Tommaso Ricci e Claudio Ausilio, ANVGD di Arezzo. Riproduzione per
gentile concessione di Claudio Ausilio
Allora pare molto sottostimato
il numero di profughi giuliano dalmati di Laterina riportato da Laura
Benedettelli nel suo pur documentato studio intitolato I profughi giuliani, istriani, fiumani e dalmati in provincia di
Grosseto, del 2017. Scrive la Benedettelli che “Nella provincia di Arezzo i
588 profughi che arrivarono nei vari anni vennero accolti nel CRP di Laterina (…)
che poteva contenere fino a 12.000 persone” (p. 48). Dalle schede Pastrovicchio
e da altri studi si deduce invece che i profughi giuliani accolti a Laterina
sono oltre 5mila; altro che 588.
Racconta il signor
Claudio Ausilio, esule da Fiume: “Son
venuto via che avevo due anni nel 1950 – dice – e ci trasferimmo a Montevarchi, provincia di Arezzo, perché mio padre
lavorava alla 'Voplin' Azienda Cittadina Gas - Acqua di Fiume, chiese in
seguito ad opzione di essere riassunto in servizio presso una Azienda similare
in Italia e gli diedero un posto al Comune di Montevarchi, provincia di Arezzo.
Noi non siamo passati dai campi profughi. Mi sono interessato alle questioni
dell’esodo giuliano dalmata solo da quando sono in pensione”.
Nel 1963 la Jugoslavia
di Tito introdusse il principio dell’autogestione delle imprese, che fu
perfezionato nel 1964-1965 e nel resto degli anni sessanta. Divenne oggetto di
studi, addirittura, alla facoltà di Economia e commercio di Trieste, negli anni
1972-1975, poi finì nell'oblio, soprattutto dopo la Caduta del Muro di Berlino
(1989) e la crisi delle ideologie. Il fenomeno dell’autogestione, in realtà,
provocò l’ennesima spinta all’esodo di altri italiani dell’Istria, espulsi per
primi dalle strutture produttive “autogestite”. Come ha raccontato Eda Flego,
di Pinguente d’Istria (Buzet, in croato), che riporta i ricordi del babbo
Viecoslav Luigi Flego e della mamma Emma Micolausich: “Mio padre era infermiere e fu il primo ad essere licenziato dopo la
novità dell’autogestione, così siamo dovuti venire via dall’Istria, per
giungere in Friuli da esuli.”.
Cartolina di Rovigno
del 1906, con le famose “tabacchine”
Un fuga piena di paura
è quella avvenuta nel 1963, come nel caso di Pietro Palaziol, di Valle
d’Istria, scappato di notte con altri ragazzi, correndo gravi rischi; infatti,
morì un suo amico falciato da una raffica di mitragliatrice “perché i Graniciari meteva le trappole con
filo lezero; ti te tiravi per sbaglio el filo, alora sciopava un bengala, che
faceva luce e i slavi i te tirava contro coi mitra”. I Graniciari erano guardie confinarie iugoslave, di etnia bosniaca o
serba, non sloveni, per evitare che si lasciassero intenerire dagli italiani
dell’Istria che se la svignavano. Una compagna di fuga impazzì di dolore per la
morte di quel ragazzo istriano. Era il 1963, ma certi storici sentenziano che
l’esodo giuliano sia terminato nel 1956 senza spiegare, tuttavia, come mai
l’ultimo Centro raccolta profughi di Trieste abbia chiuso i battenti nel 1972. Certi
ricercatori hanno notizia di fughe di italiani dalla Jugoslavia pure dopo il
Trattato di Osimo, del 1975.
Chiudiamo questo
racconto intervista sull’esodo giuliano dalmata con le parole di un esclusivo
scrittore, Antonio Zappador, esule istriano a Carpi (MO) pure lui fuggito
bambino dai titini. “Ho visto la
delusione, le lacrime e la rassegnazione della sconfitta della mia gente
d’Istria. Ho subito la persecuzione a privarmi della libertà nelle mie prime
stagioni. Eppure qualcuno mi ha
suggerito di non farmi condizionare dalla ragnatela della vita. Superare i
timori, qualche volta paga bene” (p. 14).
Scheda
di registrazione n. 5.375 del 26 giugno 1958 al Centro raccolta profughi di
Laterina, intestata a Gaudenzio Pastrovicchio, di Valle
d’Istria, assistito fino al 24 gennaio 1963. Collez. Pastrovicchio, stampato e
ms.
Fonti
orali e del web
Si
precisa che le seguenti fonti orali, selezionate da oltre 456 interviste, si
sono avvalse, in qualche caso, di dati e notizie riferite da familiari e da
conoscenti anziani, ormai scomparsi. Le interviste (int.) sono state condotte a
Udine con taccuino, penna e macchina fotografica da Elio Varutti, se non
altrimenti indicato. Si è cercato di confrontare le dichiarazioni degli
intervistati con i documenti e con gli studi in letteratura. È condiviso da
molti ricercatori che la testimonianza di una famiglia sul 1943-1945 e sul
dopoguerra, sia prima di tutto atroce, poi singola e senza eguali.
Claudio Ausilio, Fiume
1948, esule a Montevarchi, provincia di Arezzo, int. del 16-17 aprile 2018 a
Montevarchi, al telefono del 20 marzo 2020 e messaggi e-mail del 22 marzo 2020.
Eda Flego, Pinguente/Buzet
(Jugoslavia) 1950, int. del 31 dicembre 2005 e 19 febbraio 2020.
Pietro Palaziol, 1945,
Valle d’Istria, int. del 18 marzo 2008 in collaborazione con Ferruccio Pittia.
Luisa Pastrovicchio, Valle
d’Istria, 1952, esule a Pessinetto, città metropolitana di Torino, int. al
telefono del 28 febbraio 2017.
Riccardo Simoni,
Rovigno 1940, int. telefonica del 23-25 marzo 2020
e messaggi e-mail del 27 marzo 2020.
Antonio Zappador,
Verteneglio 1939, int. del 23 febbraio 2020 a Fossoli di Carpi (MO).
Lettera
del Prefetto di Arezzo del 5 ottobre 1948 al Ministro dell’Interno
con cui si comunica un “aggravio finanziario” in seguito alla costituzione di
un Campo profughi giuliani per 5.000 posti nel Comune di Laterina. Notare la
carta intestata con clamoroso refuso tipografico (“Aezzzo”). Archivio del
Comune di Laterina, dattiloscr.
Ringraziamenti
Per il presente
articolo la redazione del blog è riconoscente al signor Claudio Ausilio, esule
da Fiume e socio dell’ANVGD di Arezzo, che ha fornito con la solita cortesia i contatti
per la ricerca presso il dottor Riccardo Simoni, andando a incrementare una
tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine. L’Autore rivolge
i più sentiti ringraziamenti al sindaco e gli operatori del Comune di Laterina
Pergine Valdarno, per la disponibilità riservata al signor Claudio Ausilio nella ricerca
di documenti e registri sul Campo profughi. Si ringraziano, infine, gli esuli
intervistati e i collezionisti per i vari materiali messi a disposizione della
ricerca, come fotografie, cartoline, memoriali, documenti privati e cimeli
dell’esodo.
Stoviglie in alluminio in uso ai profughi giuliani a Bari, dove opera il Centro raccolta profughi delle “Baracche”, chiuso nel 1956. Collez. Sergio
Servi
Collezioni
familiari
Claudio
Ausilio, disegni, relazioni scolastiche e documenti.
Ireneo
Giorgini, esule da Fiume a Torino, fotografie.
Luisa
Pastrovicchio, esule da Valle d’Istria, vive a Pessinetto, città metropolitana
di Torino, documenti stampati, fotografie e memoriale dattiloscr.
Sergio
Servi, esule da Parenzo a Bari, stoviglie fotografate.
Riccardo
Simoni, esule da Rovigno a San Casciano Val di Pesa (FI), testi videoscritti e
fotografie.
Documenti
originali
Elenco
alfabetico profughi giuliani, Archivio del Comune
di Laterina, 1949-1961, ms.
Lettera
del Prefetto di Arezzo del 5 ottobre 1948 al Ministro dell’Interno
con cui si comunica un “aggravio finanziario” in seguito alla costituzione di
un Campo profughi giuliani per 5.000 posti nel Comune di Laterina. Con
carta intestata recante un clamoroso refuso tipografico (“Aezzzo”). Archivio del
Comune di Laterina, dattiloscr.
Giada Manistu, Visita al Centro Raccolta Profughi di
Laterina (AR), Classe 3^ Tecnico Industria Fotografica ISIS “Leonardo da
Vinci”, insegnante accompagnatore professor Girolamo Dell’Olio, Firenze, 20
dicembre 2013, dattiloscr.
Mappa
del Centro Raccolta Profughi di Laterina. Planimetria riferita a dopo il 1950.
Disegno di Tommaso Ricci e Claudio Ausilio, ANVGD di Arezzo. Riproduzione per
gentile concessione di Claudio Ausilio.
Giovanni Nocentini, Quindicimila gavette nel Campo di concentramento 82, testo
videoscritto in WORD, 2007 ca., pp. 1-5.
Luisa Pastrovicchio, Campo profughi di Laterina (Arezzo),
testo videoscritto in PDF, 2017, pp. 1-5.
Cenni
di bibliografia e sitologia
Associazione Nazionale Partigiani
d’Italia (ANPI), Il confine
italo-sloveno. Analisi e riflessioni, Milano, 2016, nel web.
Associazione Congiunti
dei Deportati in Jugoslavia, Gli
scomparsi da Gorizia nel maggio 1945, a cura del Comune di Gorizia,
Gorizia, 1980.
Laura Benedettelli, I profughi giuliani, istriani, fiumani e
dalmati in provincia di Grosseto, Istituto Storico Grossetano della
Resistenza e dell’Età Contemporanea (ISGREC), on-line dal giorno 8 febbraio
2017
Elenco “Livio Valentini”, Caduti Repubblica Sociale Italiana, disponibile in Internet.
Elenco “Livio Valentini”, Caduti Repubblica Sociale Italiana, disponibile in Internet.
P.C.H., “Laterina, quelle
lontane memorie del campo profughi”, «Difesa Adriatica», n. 10, ottobre 2013,
pp. 6-7.
S.D., “Sempre peggio a
Laterina” «Difesa Adriatica», n. 5, 5 febbraio 1949
Edlira Mamutaj, “Da
Rovigno a Laterina. ‘Siamo venuti via per la libertà’. Riccardo Simoni racconta
l’esodo, «Chiantisette Val d'Elsasette», 21 febbraio 2020.
O.Z.N.A.:
La mano segreta di Tito, Ministero dell’Interno, Direzione
Generale Della P.S. – Divisione S.I.S., Roma, 19 novembre 1946, consulenza di Aldo Giannuli, Università di
Milano; nel sito web storiaveneta.it
Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 1990.
Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 1990.
Fulvio Tomizza, La miglior vita, Milano, Rizzoli, 4.a
ediz., 1977.
Elio Varutti, Ricordo di Guerrino Benussi, da Rovigno, con l’ANVGD di Udine, on line dal 2 ottobre 2017.
E. Varutti, Le Tabacchine istriane esuli al Centro Profughi di Firenze, on line dal 24 febbraio 2017.
Fulvio Tomizza, La miglior vita, Milano, Rizzoli, 4.a
ediz., 1977.
E. Varutti, Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni,
Provincia di Udine / Provincie di Udin, 2017. La 2.a ediz. è nel web dal mese
di aprile 2018 col medesimo titolo.
E. Varutti, Baracche dell’esodo istriano. Visita all’ex Campo profughi di Laterina, Arezzo, on line dal 19 aprile 2018.
E. Varutti, Oltre 4 mila ospiti al Centro Raccolta Profughi di Laterina, Arezzo, 1948-1963, on line dal 9 marzo 2018.
Antonio Zappador, 29.200 giorni. Una vita piena di tutto… di
più, Carpi (MO), stampato in proprio, 2019.
Crp Laterina, anni '50
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Servizio giornalistico
e di Networking a cura di Girolamo Jacobson e Elio Varutti. Contatti e ricerche
di Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo. Fotografie da collezioni private
citate nell’articolo che si ringraziano per la cortese concessione alla
diffusione e pubblicazione nel blog presente e dall’archivio dell’Associazione
Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che
ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. –
orario: da lunedì a venerdì ore
9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
Il borgo di Laterina; foto E. Varutti 2018
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