lunedì 28 marzo 2016

Mostra Storie di donne, 1915-'18 allo Stringher di Udine

Si è aperta ufficialmente giovedì 17 marzo 2016 presso la sede centrale dell’Istituto "Bonaldo Stringher" di Viale Monsignor Nogara la mostra Storie di donne… Aspetti della condizione femminile nella prima Guerra Mondiale, inaugurata dal prefetto di Udine Vittorio Zappalorto, dall’ex prefetto di Udine Provvidenza Delfina Raimondo e dalla Dirigente Scolastica dottoressa Anna Maria Zilli.
Una stupenda opera del maestro Michele Ugo Galliussi

La mostra, realizzata grazie all’impegno del professor Giancarlo Martina, che ha svolto ricerche approfondite e raccolto e riorganizzato il materiale esposto, è stata resa possibile dal sostegno  della Fondazione CRUP e dal contributo di numerosi istituti storici e museali non solo italiani. A tal proposito si ricordano i numerosi materiali pervenuti in particolar modo dall’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano di Roma, dal Museo Civico del Risorgimento di Bologna e dall’Archivio Storico Fotografico della biblioteca di Moggio Udinese, solo per ricordarne alcuni. Fattiva anche la collaborazione di istituti ed associazioni slovene ed austriache, tra cui il Tolminzkj Muzej e il Museum 1915-18 vom Ortker bis zur Adria Kötschach-Mauten.

Udine - Atrio dell'Istituto Stringher, Una sezione della mostra Storie di donne… Aspetti della condizione femminile nella prima Guerra Mondiale,a disposizione del pubblico fino al 30 maggio 2016, presso la sede centrale dell’Istituto Stringher negli orari di apertura della scuola, Via Monsignor Giuseppe Nogara
L’esposizione, per il suo elevato contenuto informativo e didattico, ha inoltre ottenuto il prestigioso patrocinio da parte del Dipartimento delle Pari Opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri, della della Provincia e del Comune di Udine, dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione e della Società Italiana delle Storiche.
La mostra, che conta l’esposizione di una ventina di pannelli fotografici, ha lo scopo di illustrare la condizione femminile durante gli anni del primo conflitto mondiale, le dure condizioni di vita e come la figura della donna sia stata utilizzata per la propaganda.
A tal proposito sono presenti riproduzioni di rare cartoline di propaganda dove la figura della donna è associata a quella della Patria, violata, se non addirittura violentata, dopo la rotta di Caporetto. Ma anche come Madre amorevole dei propri soldati che in quegli anni hanno donato per lei la vita sul fronte italo-austriaco.
La mostra tocca diversi punti, oggi di grande interesse storico, come quello dei diversi compiti assegnati alle donne durante gli anni della Prima Guerra Mondiale, come ausiliarie dell’immenso sforzo bellico italiano. Sono qui raccolte rare immagini, di grande bellezza e profondo significato, di donne operaie, agricoltrici, lavandaie, portatrici, infermiere - crocerossine, manovali, madrine di case e ospizi per soldati e mutilati e perfino costruttrici di parapetti per trincee e ricoveri militari.
La donna, quindi, non solo come sposa e madre, in attesa del ritorno del marito o dei figli dalla guerra, ma elemento anch’esso coinvolto nella scrittura della grande storia d’Italia, elemento che fu basilare specialmente nelle fabbriche, rimaste senza operai in quanto richiamati al servizio militare, per la produzione di materiale bellico di tutti i tipi.
Una portatrice carnica del 1915 nella splendida rivisitazione del maestro Michele Ugo Galliussi, docente dell'Istituto Stringher

Figura, poi, poco nota della donna durante la Grande Guerra è stata quello della portatrice. Le donne della Carnia, della Benecja, del Bellunese e del Trentino, infatti vennero arruolate ed inquadrate nei ranghi ausiliari del Regio Esercito per portare in alta montagna materiale bellico con l’ausilio delle tradizionali gerle di vimini tipiche di tutto l’arco alpino. In montagna le donne condivisero coi soldati le fatiche, le manchevolezze dell’organizzazione militare, nonché la stessa fragilità della vita di fronte agli eventi storici in corso in quel momento. Proprio su questo particolare aspetto l’allestimento della mostra ha portato ad una piccola scoperta che dovrebbe portare ad una ricerca più approfondita.
Un documento del Battaglione Gemona inquadrato nell’Ottavo Reggimento Alpini, fornito dall’Archivio Storico Fotografico di Moggio Udinese grazie al responsabile Domenico Segala, datato al 22 febbraio 1914, attesta la richiesta statistica del comandante del reggimento al sindaco di Moggio sul numero di donne valide a portare 25 chilogrammi di materiale militare in caso di “passaggio” di truppe per quel territorio comunale. Il documento, che colpisce per la sua brevità e perentorietà nei tempi in cui era imposta la trasmissione dei dati richiesti, dimostra che già ben prima dell’attentato di Sarajevo, da cui si fa per convenzione risalire l’inizio della Grande Guerra, il Regio Esercito italiano, prevedeva di impiegare personale femminile sulle montagne, anche se in riferimento solo a esercitazioni estive, in un settore prossimo al confine con l’Impero Asburgico.
La partecipazione attiva di diverse studentesse ha reso possibile la realizzazione di brevi riassunti su Storie di donne raccontate da donne, attraverso diari e testimonianze le allievi hanno colto gli aspetti più significativi dell’esperienza di quelle donne.

La mostra, che rimarrà a disposizione del pubblico fino al 30 maggio 2016 presso l’atrio della sede centrale dell’Istituto Stringher negli orari di apertura della scuola, è arricchita dalla presenza di 7 eccezionali opere del maestro Michele Ugo Galliussi che raffigurano donne al lavoro e che si riallacciano alle tematiche della mostra. Le opere sono realizzate con colori acrilici e gessi su tele di cotone ignifugo montate su strutture in cartone.

servizio giornalistico e fotografico di Cristiano Meneghel
networking di Elio Varutti
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Leggi un articolo con tutto il progetto didattico pubblicato in un blog il 02.10.2015, con alcune originali fotografie di collezioni friulane - clicca qui di seguito: Storie di donne nel ‘900 - Un percorso di genere nel Friuli Venezia Giulia.

lunedì 21 marzo 2016

Ciceroni dello Stringher al top col FAI 2016, Udine

Le Giornate di primavera sono ormai un tradizionale appuntamento del Fondo per l’Ambiente Italiano (FAI). È una bella iniziativa su scala nazionale.
Nei giorni 19 e 20 marzo gli studenti apprendisti ciceroni dell’Istituto “B. Stringher” di Udine hanno ottenuto un positivo successo. Oltre 1.200 sono stati i visitatori al Rifugio Antiaereo, situato nel Giardino del Torso, aperto solo per questa occasione dal Comune di Udine.
 Studentesse dell'Istituto "B. Stringher", ciceroni del FAI, assieme a Laura Stringari, capo-delegazione del FAI, provincia di Udine e a Federico Pirone, assessore alla Cultura del Comune di Udine
Gli studenti, sabato mattina, hanno servito una specie di menu di guerra. Si tratta di una suggestione dei tempi in cui Udine era bombardata dagli aerei anglo-americani e poi occupata dalle truppe alleate. Gli ospiti hanno potuto assaggiare le gallette militari, il caffè autarchico (misto di cicoria ed altro) e le prugne secche (che venivano offerte ai bambini di Udine dai soldati USA nel 1945-1946).
Il coordinamento delle attività di Laboratorio di cucina è stato affidato al professore Biagio Nappi, mentre l’attività di Laboratorio di sala bar è stata sviluppata sotto la guida del professore Alessandro Pareschi, su indicazioni e ricerche storiche di Elio Varutti e la conduzione didattico disciplinare di Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dell’Istituto Stringher. 
 Visitatori FAI all'assaggio del menu del 1945-1946 davanti al rifugio antiaereo del Giardino del Torso
L’originale menu è stato offerto ai visitatori tra cui la presidente della delegazione FAI della Provincia di Udine, Laura Cominotti Stringari, nonché all’assessore alla Cultura del Comune di Udine, Federico Pirone, che hanno apprezzato i gusti sicuramente fuori moda. Nella stessa mattinata Giulia Michelini, studentessa apprendista cicerone del settore tecnico turistico, ha partecipato alla trasmissione in diretta di Radio Onde Furlane, spiegando in marilenghe le caratteristiche del rifugio antiaereo del Giardino Del Torso.
 Paolo Cantarutti, presidente di Informazione Friulana, la cooperativa che gestisce l'emittente Radio Onde Furlane. mentre intervista in diretta Giulia Michelini, ottimo cicerone FAI in lingua friulana
È stata molto apprezzata la capacità di tutti i ciceroni dello Stringher dal Sindaco di Udine, Furio Honsell, e dall’assessore alla Cultura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Gianni Torrenti, che hanno entrambi sottolineato la competenza tecnica e professionale degli studenti impegnati a condurre le visite guidate con il folto pubblico. 
L’Assessore all’Istruzione del Comune di Udine, Raffaella Basana, anch’essa in visita al rifugio ha dato disponibilità, come il suo collega Federico Pirone, a contribuire dal punto di vista organizzativo alla realizzazione del documentario sui bombardamenti a Udine, che alcuni allievi e docenti dell’Istituto andranno a realizzare con le interviste raccolte durante queste interessanti giornate e con le riprese realizzate all’interno dei rifugi udinesi. Questo è un modo innovativo di fare storia, secondo il parere dei professori del Laboratorio di Storia dell'Istituto alberghiero, commerciale e turistico di Udine 
 Ecco l'invasione del pubblico udinese al rifugio antiaereo del Giardino Del Torso, aperto in via straordinaria per le Giornate del FAI di primavera, un successo per i ragazzi dello Stringher
Il complesso lavoro  organizzativo di questo innovativo modo di fare storia è stato curato dai professori Gina Bastianutti, Martina Bragagnini, Maria Grazia Piovesan, Mara Viel e Giancarlo Martina, presenti nei vari turni di sabato 19 marzo e domenica 20 marzo 2016 al rifugio antiaereo del Giardino del Torso. 
Quest’anno, oltre agli allievi delle classi 3^ A e B, 4^ A, B, C e D, 5^ A, B e C Tecnico Turistico e della classe 5^ B dell’Accoglienza Turistica si sono aggiunti i loro colleghi del settore Ristorazione con  le classi 4^ B e 4^ H enogastronomia.
 Pubblico in coda fino in piazza Garibaldi, per entrare al rifugio antiaereo di Giardino del Torso. Grande successo per i Ciceroni dello Stringher

La Brigata di sala bar con le classi 4^ B e 4^ H enogastronomia dello Stringher col professor Giancarlo Martina al Rifugio Antiaereo del Giardino del Torso, Udine

 Servizio giornalistico e fotografico a cura di Giancarlo Martina
Networking di Elio Varutti

domenica 20 marzo 2016

Il lavatoio del roiello di Baldasseria, Udine

L’antico lavatoio di Via Baldasseria Media è stato ripulito dai rovi, messo in sicurezza e restituito alla vista dei cittadini con un’inaugurazione pubblica. È un sito di interesse turistico, dato che è un piccolo capolavoro in cemento. Si trova vicino alla chiesa di Baldasseria.
Elio Varutti legge il testo scritto dal maestro Alfredo Orzan sull'antico lavatoio di Baldasseria

I lavori di riatto sono terminati il 7 marzo 2016, per l’interessamento dell'Associazione Insieme con Noi onlus, con il contributo dell'impresa Staffetta srl e dell’azienda Offram di Chiappa Paolo e C. sas di Udine.
«Questo lavatoio – ha detto il maestro Alfredo Orzan, storico del rione – è uno dei due superstiti rimasti integri dagli anni Trenta del Novecento. L’altro sorge in fondo alla via Baldasseria Media, presso i Casali Franzolini. Era in uso quando in questa via, lungo il lato sinistro, scorreva il roiello derivato dal canale Ledra e nel quale, dopo il suo percorso, vi si rigettava».
Il lavatoio fu dismesso e abbandonato con l’avvento in casa dell’acqua potabile e della lavatrice verso il 1965. In quel tempo il roiello fu interrato per allargare la strada. Merita un rispettoso ricordo il lavatoio perché su questa spianatoia si sono rattrappite le mani delle nostre ave. Le nostre nonne vi risciacquavano il bucato, allora fatto a mano in casa con sapone, soda e acqua filtrata nella cenere, nota per il suo contenuto potassico sgrassante.
«Portavano i panni al lavatoio con il mastello sulla carriola o con il cesto sulla testa posato sul cercine, mostrando elementi di Storia delle Tradizioni popolari – ha aggiunto il professor Elio Varutti, sociologo – il lavatoio era anche un luogo di incontri e di innamoramenti, oggi diremmo: di socializzazione».
Il sindaco Honsell legge la tabella turistica sul lavatoio. Il testo è in tre lingue: italiano, friulano e inglese, visti i numerosi turisti di varie nazionalità che passano sulla pista ciclabile da queste parti

Nel loro improbo lavoro d’inverno le donne erano rincuorate da qualche bevanda calda e dalla compagnia dei corteggiatori, che approfittavano di questa occasione per i loro approcci amorosi perché le donne, allora, conducevano una vita quasi monastica (casa, chiesa e lavoro).
Comunque la presenza di questi spasimanti era provvidenziale perché aiutavano le lavandaie a strizzare i panni soprattutto quelli più grandi, come le lenzuola, ripagati dalla bella con un sorriso o qualche soffusa promessa, manifestata sempre con un certo velato pudore.
Oltre alle periodiche risciacquature del bucato una volta all’anno (Settimana Santa), le donne portavano ai lavatoi a lavare e lucidare il pentolame di rame con strofinate di aceto, farina e cenere. In quei giorni si traeva dai ripostigli anche la biancheria delle grandi occasioni, poco usata e ingiallita, per ravvivarla e imbiancarla con ripetute sciacquature.

Il lavoro più ingrato, però, era la sfilacciatura (giugno-luglio) e il lavaggio (dopo cottura) dei bozzoli, scarti e invenduti, del baco da seta per confezionare imbottite. Il tanfo che emanavano le crisalidi sprigionate mozzava il fiato e ammorbava l’aria per giorni. Allora era una cosa usuale e nessuno si turava il naso. Ora possiamo ammirare il lavatoio nella sua geniale e funzionale architettura.
L’inaugurazione si è svolta il 13 marzo 2016. Erano presenti Furio Honsell, sindaco di Udine, assieme a Federico Pirone, assessore comunale alla Cultura e Enrico Pizza, assessore comunale alla Mobilità e all’Ambiente. Don Paolo Scapin, parroco di San Pio X, ha benedetto l’opera restaurata. 

Il taglio del nastro tricolore è stato effettuato dal sindaco di Udine assieme a Mafalda Basaldella, di 92 anni, abitante in Baldasseria. Da giovane e fino agli anni 1960-1965 la signora Mafalda era una delle lavandaie del borgo.
Tra il numeroso pubblico si sono notati anche Carlo Giacomello, vice sindaco di Udine, vari alpini del Gruppo ANA di Udine Sud e Marino Visintini, di Lega Ambiente.

Servizio fotografico a cura della Associazione Insieme con noi di Udine


Il libro del maestro Alfredo Orzan su Baldasseria è andato a ruba anche in questa occasione

Per chi fosse interessato alla storia delle bande giovanili di Via Baldasseria e Via delle Fornaci clicchi su questo articolo: Le bande di Via Fornaci a Udine, 1960.
Alcuni autori locali si sono cimentati con racconti e romanzi sugli anni 1950-1960 a Udine e dintorni, oltre a Lino Leggio, con la sua Banda delle cataste. Penso al romanzo di Daniele Murello, oppure alla banda di Chei dal ueli (Quelli dell’olio), cui faceva parte Fausto Deganutti. Erano ragazzi di Via dei Medici e di Via del Vascello, oltre il Viale Palmanova. Avevano tutti una spilletta di un distributore di benzina di Piazzale D’Annunzio, dove sta la stupenda Porta Aquileia (riprodotta qui sotto in un'immagine degli anni 1930-1940 trovata in Facebook).


mercoledì 16 marzo 2016

Corso di Formazione dei Lavoratori, Udine - Istituto Stringher

Si è svolto in due giornate l’oramai tradizionale Corso di Formazione Generale e Specifica dei Lavoratori. Azioni educative di tale natura rientrano nella struttura didattica del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), formulato dal collegio docenti secondo la recente normativa, sotto la guida di Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dell’Istituto “B. Stringher” di Udine.

Mercoledì 16 e giovedì 17 marzo 2016 il geometra Massimo Zucchiatti, Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) dell’ISIS “B. Stringher” ha formato gli allievi delle classi  3^ A Commerciale, 3^ A Tecnico Turistico, 3^ B Tecnico Turistico e 2^ B Commerciale, per un totale di circa 120 studenti, accompagnati dai loro professori. La finalità del corso è di informare i giovani sui rischi che inavvertitamente si possono correre nei disparati ambienti lavorativi e come tali rischi possano essere evitati attraverso accorgimenti e procedure semplici o complesse a seconda del loro grado di pericolosità.
Zucchiatti ha usato una dialettica tendente al coinvolgimento diretto dei ragazzi nelle tematiche trattate, oltre a una presentazione in Power Point, arricchita di filmati riportanti casi reali di incidenti accorsi in diversi ambiti lavorativi.  Ha poi spiegato come i lavoratori debbano comportarsi nei posti di lavoro e quali siano le responsabilità oggettive e legali in caso di sinistro. Con una chiara esposizione sono state sfiorate e commentate in maniera approfondita tutte le norme in materia di sicurezza dei lavoratori e quali sono le persone giuridiche e soggettive coinvolte nella realizzazione di piani e mantenimento della sicurezza  nei posti di lavoro.

Alla fine del corso, della durata di 8 ore complessive, è stato rilasciato agli studenti il certificato del suddetto Corso di Formazione Generale e Specifica dei Lavoratori – basso rischio, spendibile in tutti gli ambienti lavorativi. Questa attività riconferma ancora una volta l’impegno dell’ISIS  “Bonaldo Stringher” nella formazione continua degli allievi frequentanti, al fine di consegnarli alle sfide del mondo del lavoro preparati e consci delle proprie responsabilità.
Servizio giornalistico e fotografico di Cristiano Meneghel.
Networking di Elio Varutti

domenica 13 marzo 2016

Scappare dall’Istria via pel mondo, 1943

I racconti dell’esodo giuliano dalmata sono spesso carichi di problemi familiari e sociali se non, addirittura, di tragedie. Talvolta, invece, fanno venire in mente alle persone certi aspetti simpatici ed affettuosi dei propri avi. Ricordare fatti belli, un po’ ridicoli ed affettuosi, sprigiona ancor oggi una grande tensione riguardo ai valori familiari e della comunità di appartenenza. Mi sembra che sia questo il caso della seguente intervista.

Domanda: Che cosa ricorda dell’esodo giuliano dalmata vissuto dai suoi familiari?
Risposta: «Ricordo che c’erano alcuni parenti a Pola – dice Paola Barbanti – considerati dalla mia nonna materna Norma Visintin, venuta via da Zara nel 1943, con tanto affetto perché si erano conosciuti sin da bambini. Ad esempio ricordo la zia Ida Clagnan, nata a Pola nel 1904, di lei la nonna Norma diceva ‘semo come sorele’. Ida Clagnan lavorava alla Manifattura Tabacchi di Pola, aveva un fratello di nome Ruggero, nato nel 1909 a Pola, che era pretore nel tribunale istriano».
D.: Queste famiglie fuggono dall’Istria nel 1943 e fino dove arrivano?
R.: «So che i fratelli Ida e Ruggero Clagnan, assieme alla loro mamma Emma Visintin – replica la professoressa Barbanti, grazie ai ricordi di sua madre Zeni T. – con la moglie di Ruggero e i loro due figli, Bruno e Mariuccia, scappano da Pola fino a Rovigno e, con l’aiuto della famiglia Benussi, arrivano a Trieste. Lì stanno al Silos, uno dei Campi Profughi di Trieste, poi trascorrono un po’ di tempo, nel mese di ottobre, a Romans d’Isonzo, in provincia di Gorizia, presso parenti. Poi Ida Clagnan va al Campo Profughi di Firenze, alla Vecchia Manifattura Tabacchi e, infine, abita nel Villaggio degli esuli di Peretola, vicino a Firenze, fino a quando muore negli anni ’80 del Novecento. Oggi non ci sono suoi discendenti».
Ida Clagnan e Norma Visintin nel 1979

D.: Chi erano gli altri parenti o amici di Pola? Sono fuggiti anche essi dall’Istria per gli stessi motivi dei Visintin e Tomasin?
R.: «Sì ovvio, i motivi sono sempre quelli: la guerra e le uccisioni di italiani d’Istria da parte dei partigiani di Tito – spiega la Barbanti – Intanto dico che la famiglia di Ruggero Clagnan, dopo di Romans si sposta a Vicenza e con quel parentado non abbiamo avuto più contatti. Mia madre, Zeni T., dopo il 1945, va al Collegio delle Orsoline di Gorizia per studiare e vedeva i genitori una volta ogni 15 giorni, perciò molte vicende dell’esodo non le ha mai sapute in modo diretto e continuo. Poi ricordo che la famiglia Bruno Gruppi, per l’esodo fugge da Rovigno, per giungere a Romans d’Isonzo e poi si stabilisce a Monfalcone, in provincia di Gorizia».
D.: L’esodo porta tutte queste famiglie a Trieste, Romans d’Isonzo, Firenze, Vicenza, Monfalcone. E i Visintin Tomasin dove arrivano? Per caso, qualcuno se ne va all’estero?
R.: «Siamo dispersi in giro per il mondo – è l’amara considerazione – Antea Visintin, sorella di mia nonna Norma è a Trieste, si sposa con Luigi Vecchiet, professore del Liceo Petrarca. So che Vilfrido Visintin, fratello di mia nonna andò in Australia. Invece Fosca e Armanda, sorelle di Norma Visintin, vanno a Parigi, ma con i discendenti non abbiamo più contatti».
D.: Avrà sicuramente altri ricordi della nonna Norma? Qualche modo di dire? Qualche lettera o un monile?
R.:  «Ricordo che la nonna Norma mi diceva – risponde la Barbanti – ‘Alo, alo movite, che il sol magna le ore!’, oppure in riferimento al bucato delle maglie di lana: ‘Ogni lavada xe una frugada’. Mi viene in mente che Ida Clagnan, Emma Visintin e la mia nonna Norma stavano a Romans d’Isonzo fino al 1945 e si aiutavano tanto nei lavori di sartoria, oppure di ricamo, una competenza diffusa tra le donne istriane di un tempo. Poi ricordo che mia nonna aveva gli orecchini moretti fabbricati a Fiume. Me li sono fatti regalare pochi anni prima che lei mancasse».
Gli orecchini moretti di Fiume di nonna Norma Visintin, esule da Zara, dopo il 1943

D.: C’è qualche altro ricordo dell’esodo a Romans d’Isonzo?
R.: «Zeni ci raccontava dell’aereo Pippo, che era degli inglesi – aggiunge l’intervistata – e a Romans mitragliava la sera nelle case che avevano lasciato qualche luce, nonostante l’oscuramento imposto dai nazi-fascisti. Il rombo di Pippo le faceva venire mal di pancia e non riusciva neanche a mangiare quel poco che c’era, come ad esempio polenta e latte, oppure un uovo… che simpatica la zia Ida, mangiava un uovo tutto intero, ‘perché così sento qualcossa sotto dei denti’, diceva in dialetto».
D.: Avete mai sentito parlare dei massacri nelle foibe?
R.: «Mi ricordo che zia Tea, ossia Antea Visintin, zia di mia madre – conclude Paola Barbanti – che stava a Trieste, ci portava da ragazzi, negli anni ’60, a vedere la foiba di Monrupino e ci spiegava la fine che avevano fatto fare i titini agli italiani d’Istria, diceva ‘un colpo al primo prigioniero e giù tutta la fila, legadi fra de loro, nella foiba. Era davvero terribile. Avevamo tanta paura».
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Una versione dell’articolo soprastante è stata pubblicata nel web su info.fvg.it col titolo “Sacappare dall’Istria, andare nel mondo, 1943”.


1. Dignità istriana

Ho raccolto oltre 236 interviste, testimonianze e notizie personali sull’esodo giuliano dalmata fino alla primavera del 2016, in Friuli Venezia Giulia, nel Lazio, in Toscana, in Emilia Romagna, in Trentino Alto Adige e in Veneto. Mi sono sempre chiesto se tale esperienza mi abbia dato qualcosa dal punto di vista umano. Direi di sì. Penso di aver colto nelle interviste agli esuli italiani dell’Istria un grande senso di dignità, che si riverbera pure nei loro discendenti.
La riservatezza e la dignità talvolta fanno tenere le bocche cucite. Gli intervistati non raccontano. O raccontano poco, autocensurandosi. Hanno paura di non essere creduti. Si parla del silenzio dei profughi e dello scarso ascolto dei discendenti, ma il clima generale durante la guerra fredda non consentiva loro di raccontare liberamente ciò che era accaduto. Molte nonne e zie dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia mi hanno detto: «No se gà de contar cosse brute ai pici». Penso a Elvira Dudech, per esempio. Così era chiuso l’argomento. La tragedia era tutta individuale. Eppure anche quello è un pezzo di storia d’Italia. Oppure le vecchie dicevano di dimenticare le cose tristi.
A questo punto mi permetto di citare un brano scritto da Anna Maria Fiorentin, ripreso dal suo libro Nel Carnaro un’isola. Racconti, del 1997. C’è la conferma, anche in letteratura di ciò che dicevano le vecchie istriane ai giovani dell’esodo giuliano dalmata. Questa parte del racconto è ambientata nel 1948-1949 con tutta probabilità nel Centro Raccolta Profughi di Migliarino Pisano, in provincia di Pisa, dopo la fuga dall’Isola di Veglia avvenuta nel 1943, in seguito al ribalton.
«Ritrovai in quel campo – scrive la Fiorentin – parte della gente di Veglia, spogliata dell’antico orgoglio, ma decisa a vivere.
 – A ottant’anni ho lasciato tutto alle spalle – disse una donna piccola e smunta, senza ombra di rimpianto negli occhi piccoli e freddi.
– Non piangere picola, siediti, impara a dimenticare. Devi distruggere tutti i ricordi – ».

Manifattura Tabacchi di Firenze, qui furono trasferite varie "tabacchine" della Manifattura Tabacchi di Pola. Alloggiavano alla ex Manifattura Tabacchi di Via Guelfa. Lì c'era il Campo Profughi Istriani e Dalmati a Firenze, nell'abitato compreso tra la via Guelfa, via Panicale e via Taddea, nell'area dell'antico Monastero di Sant’Orsola. Il Campo Profughi operò dal 1945 al 1968, quando alla fine accoglieva anche sfrattati o senza tetto. Anche Maria Zanetti, di Pola, lavorava alla Nuova Manifattura Tabacchi di Firenze, situata in via delle Cascine, 33-35, a pochi passi da piazza Puccini. Inaugurata nel 1940, la struttura ha un’attribuzione critica, ma diversi autori concordano sia di Pierluigi Nervi. Essa si è mantenuta nella sua interezza, secondo Italia Nostra.

Firenze aprile 2016 - Via Guelfa, foto sotto, l'ingresso all'ex Centro Raccolta Profughi istriani e dalmati attivo dal 1945 al 1968. Nella foto sopra un altro scorcio del grande complesso della ex Manifattura Tabacchi e, prima ancora, Monastero di Sant'Orsola, in fase di ristrutturazione. 
Fotografie di Elio Varutti

2. Una famiglia, sette infoibati
Passiamo a sentire qualche fonte orale. «Noi istriani parliamo poco – mi ha detto Anna Maria L., nata a Tolmezzo nel 1963 da genitori di Pola – lavoriamo duro e in silenzio, abbiamo la nostra dignità e un forte affetto per il territorio».
Da questa testimonianza sono venuto a sapere che in famiglia ci sono stati ben sette infoibati. «I partigiani titini, dopo il 1943 – ha riferito Anna Maria L., secondo i racconti dei suoi familiari – sopra  Dignano d’Istria hanno preso tre zii di mia mamma, uno era farmacista, un medico e un notaio, poi li hanno portati in una piazza e tutti hanno visto, li hanno costretti a bere del gasolio e se cadevano a terra saltavano sulle loro pance, oppure avvicinavano loro una fiamma, infine li hanno condotti sull’altipiano, legati polso a polso e, con la pistola alla tempia, al primo dicevano di buttarsi giù nella foiba così cadevano tutti nella voragine, mi hanno detto che sono rimasti vivi nella cavità per giorni perché si sentivano i loro lamenti».
In altri momenti dell’intervista lessi alla signora Anna Maria L. istriana, il brano di padre Flaminio Rocchi, nel suo libro intitolato L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Difesa Adriatica, 1990. Rocchi descrive le vittime uccise nella foiba di Terli. I corpi furono recuperati dai pompieri il 1° novembre 1943. Le salme esumate furono 55, estratte a gruppi di tre-quattro legati assieme. Tra questi sequestrati e torturati c’è “Martino, di Martino Chiali, di anni 55, da Marzana”.
A quel punto della testimonianza la signora Anna Maria L. ha esclamato: «Ah, zio Martìn». Poi si è chiusa in se stessa.
Il Centro Raccolta Profughi istriani, fiumani e dalmati di Migliarino Pisano, 1949

Il caso volle che proprio tra i miei primi intervistati, per il libro che ho pubblicato nel 2007 sul Campo Profughi di Udine, ci fosse una parente di Anna Maria L., che acconsentì alla pubblicazione per esteso di nome e cognome, ma non mi rivelò nulla circa il numero di uccisioni nella foiba subìto dalla sua famiglia. La fonte orale era Maria Chialich vedova Pustetto, nata a Dignano d’Istria nel 1919 e morta a Udine il 2 settembre 2010. Fu per autocensura? Fu per il silenzio degli esuli? Non lo saprò mai.
Maria Chialich vedova Pustetto mi raccontò di essere venuta in questa parte d’Italia nel 1957, passando per il Campo Profughi di Via Pradamano a Udine. «C’era anche mio zio Giuseppe Gonan – mi raccontò Maria Chialich – poi lui con la famiglia è andato a Imperia. Sono stati cacciati via nel 1953 dai titini».
Ogni tanto l’intervistata intercalava le risposte in dialetto istriano: «I Gonan se gà fermadi in campo poco tempo, pochi giorni, perché dopo i xe andadi da parenti. Iera tanta gente in campo, quando son andada da zio Giuseppe lui iera in ciesa de campo. Iera profuga anche mia sorela Caterina Chialich».
Maria Chialich, come ho scritto, è mancata ai vivi nel 2010. Nell’elogio funebre a lei dedicato l’ingegnere Silvio Cattalini, presidente dell’ANVGD di Udine, disse, tra l’altro: «Era di famiglia molto facoltosa, grande proprietaria terriera, che produceva molto; dalla coltivazione del frumento, alla produzione e vendita di pane, paste e alimentari, dalla coltivazione dell’ulivo alla produzione e vendita dell’olio e, infine, al nolo di cavalli allo stato. I Chialich non stettero mai con le mani in mano, ebbero molto denaro, ma non furono mai avidi, tanto che preferirono aiutare i paesani con sacchi di farina qua e là piuttosto che fare la borsa nera. Però, tanta generosità non fu certo premiata dai titini, tra i quali molti beneficiati, i quali, una volta impossessatisi del paese, non esitarono a sterminare gran parte della famiglia: sette persone infoibate, tutti familiari stretti. La povera Maria fuggì in Carnia, assieme alle sorelle, una delle quali vedova di un infoibato e madre di un bambino di soli due mesi, fu impossibilitata di allattarlo per aver perduto il latte a causa di una intera giornata di tortura nelle prigioni di Albona. Il sindaco di Paluzza, conosciute le condizioni di indigenza dei profughi Chialich e in osservanza alle disposizioni in vigore, la convocò per offrirle un sussidio, ma lei, ligia ai principi di altruismo e di solidarietà trasmessi dai genitori, rispose: La ringrazio signor sindaco, ma io non voglio sfruttare la mia bella Italia! Maria Chialich preferì guadagnarsi da vivere ricamando giorno e notte, con grave compromissione alla vista».

3. La tortura del tronco a Albona
Anna Chialich “Aniza” è la vedova di un infoibato. Sorella di Maria e di Caterina citate poco sopra. Dopo che i titini imprigionarono il marito di Anna Chialich, ella andò a chiedere notizie in varie caserme e comandi partigiani. Ad Albona i miliziani la fecero entrare, chiusero il cancello e la obbligarono a delle terribili torture. Le parole che seguono sono di Savina Fabiani, segretaria dell’ANVGD di Udine. «Mi raccontava Maria Chialich che sua sorella Anna – riferisce la signora Fabiani – ad Albona fu torturata dai titini, perché chiedeva notizie del marito da loro stessi fatto prigioniero. Fu torturata su un tronco tagliato a cuneo. Fu legata e costretta a stare in piedi su tale oggetto appuntito per un giorno intero. Madre di un bimbo di soli due mesi, in seguito al supplizio del tronco a cuneo perse il latte e non poté più allattare il piccolo».

Istituto Stringher, Udine - Il giorno 3 dicembre 2011 è venuta a parlarci in classe per quanto riguarda il 10 febbraio, Giorno del ricordo, la signora Rosalba Meneghini, in Capoluongo, figlia di una esule da Rovigno…

4. L’esodo raccontato nelle scuole
Ho anche operato all’interno delle scuole, con i relativi permessi e con la collaborazione di presidi e insegnanti. È del 2005 la prima intervista strutturata ad una esule istriana effettuata all’Istituto “B. Stringher” di Udine, con l’ausilio della professoressa Elisabetta Marioni. Abbiamo raccolto il caso di una incredibile fuga in barca dall’Istria alla costa delle Marche. L’indagine è stata condotta dall’allieva Monica C.; era l’anno scolastico 2004-2005. L’intervistata è Narcisa D., nata a Lussingrande, provincia di Pola nel 1928, detta “Cisa”.
In seguito ci siamo resi conto di aver raccolto le preziose testimonianze dei discendenti di Monsignor Giulio Vidulich, nato a Lussinpiccolo nel 1927 e morto a Percoto, provincia di Udine, nel 2003. Egli fu una straordinaria figura di religioso molto vicino agli esuli.
Nel 2011 la signora Rosalba Meneghini, discendente di profughi istriani, ha iniziato a partecipare alle attività sul Giorno del Ricordo all’Istituto Stringher di Udine, raccontando della dignità e del riserbo dei suoi nonni di Rovigno e di sua madre. Ha sempre portato anche libri, fotografie, materiali vari e piccoli cimeli dell’esodo istriano da mostrare agli studenti e agli insegnanti. Ad esempio il nonno che era fabbro a Rovigno, nel dopo guerra a Udine costruì una paletta con la latta dei barattoli del formaggio olandese ricevuto come sussidio alimentare. Domenico Millia, detto “Mimi” morì a Udine nel 1981. Con la moglie Anna Sciolis fu accolto al Campo Profughi di Udine nel 1947, poi vissero nel quartiere di Udine sud.
Paletta per il pattume, fabbricata a Udine da Domenico Millia, fabbro di Rovigno. Collezione Rosalba Meneghini, Udine. Fotografia di Luca Meneguzzi, classe 5^ D Dolciaria, anno scolastico 2015-2016, coordinamento didattico professor Francesco Di Lorenzo, Istituto Stringher, Udine. Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico

Al Centro di Smistamento Profughi di Udine passarono oltre cento mila istriani, fiumani e dalmati, come Lidia Illusigh e parenti, esuli da Pola col piroscafo Toscana.
Anche monsignore Stefani è una figura di alta dignità istriana secondo l’ingegnere Silvio Cattalini, presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). Monsignore Cornelio Stefani, Steffich, nato a Lussingrande nel 1924 e morto il 3 settembre 2015 a Pordenone, si dedicò moltissimo al suo borgo natio.

Bibliografia

-              Myriam Andreatini Sfilli, Flash di una giovinezza vissuta tra i cartoni, Trieste, Alcione, 2000.  Racconto nel Campo Profughi di Firenze, allestito alla ex Manifattura Tabacchi.
-       Silvio Cattalini, Elogio funebre di Maria Chialich vedova Pustetto, Chiesa di S. Giuseppe, Udine, 7 settembre 2010, dattiloscritto.
-                  Anna Maria Fiorentin, Nel Carnaro un’isola. Racconti, Pisa, Edizioni ETS,1997, pp. 41-42.
-                   Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Difesa Adriatica, 1990, pp. 26 e 538.
-                   Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007, pp. 394 (esaurito nel 2012).
-        Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960”, Istituto Stringher, Udine, 2015, scritto da Roberto Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina e Elio Varutti.

Fonti orali
Ringrazio sentitamente la professoressa Paola Barbanti, per le informazioni raccolte con dovizia e grande interesse sui propri familiari, per renderle pubbliche, nello spirito del Giorno del Ricordo. Le immagini qui riprodotte su Rovigno fanno parte della Collezione Paola Barbanti di Cervignano del Friuli. Fotografie di Elio Varutti.
Ringrazio e ricordo con piacere le persone sotto elencate per la loro cortese disponibilità a riferire fatti dell’esodo giuliano dalmata. Le interviste sono state condotte a Udine da E. Varutti, con taccuino e penna, se non altrimenti indicato.

- Paola Barbanti, Cervignano del Friuli, provincia di Udine (1960), intervista del 3, 4 e 7 marzo 2016, a cura di E. Varutti.
 Silvio Cattalini, Zara 1927, intervista del 10.02.2016.
- Maria Chialich vedova Pustetto, nata a Dignano d’Istria il 31 ottobre 1919 e morta a Udine il 2 settembre 2010, int. del 27.01.2004.
- Narcisa D., nata a Lussingrande, provincia di Pola nel 1928, “Cisa”, int. del 01.06.2005 di Monica C., a cura di Elisabetta Marioni.
Sergio D’Ecclesiis, Pasian di Prato (UD), int. del 17 dicembre 2011 a cura di Massimiliano Rosso sulla vicenda di Lidia Illusigh, esule da Pola (1927–2006), Martignacco, provincia di Udine, con la collaborazione della professoressa Maria Pacelli. 
- Elvira Dudech, Zara 1930 – Udine 2008, int. del 28.01.2004.
-  Savina Fabiani, Ravenna 1933, ha vissuto in provincia di Gorizia, int. del 08.01.2011.
 Anna Maria L., Tolmezzo 1963, int. del 15.12.2010 e del 10.01.2011.
- Rosalba Meneghini Capoluongo, Udine 1951, int. del 10.02.2016.
 Maria Millia vedova Meneghini, Rovigno 1920 – Udine 2009, int. del 11.05.2004.
Zeni T., Romans d’Isonzo, provincia di Gorizia (1936), int. del 4 marzo 2016, con la collaborazione di Paola Barbanti, a cura di E. Varutti.

Sitologia e cenni bibliografici
Da alcune ricerche nel web emerge che alcuni Clagnan, nel 2006, sono presenti in Brasile, ma sono discendenti dell’emigrazione da Staranzano, provincia di Gorizia, avvenuta nel 1894.

Vedi: l’Archivio Multimediale della Memoria dell’Emigrazione Regionale (AMMER), Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

Poi, come accade in tutte le guerre civili, c'è un tale Giuseppe Clagnan, da Ronchi dei Legionari, partigiano titino ricoverato, dopo il 1943, all'ospedale di "Bolnica Pavla", presso Idria, come ha scritto: Federico VincentiPartigiani friulani e giuliani all'estero, Udine, ANPI, 2005, pag. 170, nota 16.

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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che  ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD di Udine.


domenica 6 marzo 2016

Vini in rosa a Clauiano, Friuli

Trascorrere alcune ore in un agriristoro può essere rilassante. Fuocherello acceso nel caminetto, passeggiata nel giardino e per le vigne... Aspetti culturali e artistici di tutto rispetto. È sicuramente ritemprante, se il posto è tutto all’aria aperta, in mezzo al verde e al silenzio. Anzi tra il canto degli uccelli del bosco. Meglio ancora se in uno dei villaggi più belli d’Italia. Clauiano è così. È un paese del Comune di Trivignano Udinese, in provincia di Udine. È una delle eccellenze del Friuli Venezia Giulia sotto tanti punti di vista.
Il giardino dell'azienda agricola Foffani. Sulla destra si intravedono i due totem di mosaico del maestro Giulio Candussio, dedicati al vino bianco e a quello rosso

L'azienda agricola Foffani, il B&B “Casa Antica Mosaici” e l'Agriristoro Antico Cantinone, formano un complesso architettonico di tutto rispetto. Infatti risulta protetto dalla Sovrintendenza alle Belle Arti. Siamo all'interno del centro medioevale di Clauiano, uno dei borghi più belli d'Italia. I vini sono acquistabili in azienda, disponibili in molti mercati mondiali ed anche via e-commerce.
La proprietà risale fin dal 1600 alla famiglia di Maria Teresa Calligaris, mamma di Giovanni Foffani, ora unico proprietario e conduttore dell’azienda vinicola, che produceva vino fin dal 1789.
Il vasto parco con le sculture delle pecore

La casa padronale, nella piazza del borgo medioevale di Clauiano, è riconosciuta come esempio di architettura pre-veneziana in Friuli. La costruzione rurale prosegue con gli annessi edifici agricoli ed il parco verso il vigneto nella campagna retrostante.
Giovanni Foffani, ingegnere, è oggi totalmente dedicato all’agricoltura e prende direttamente tutte le decisioni riguardanti la produzione. La moglie Elisabetta Missoni, Donna del Vino, segue le Pubbliche Relazioni e l’accoglienza turistica. La signora Elisabetta possiede una "ciacola tutta dalmata", nel senso che ama discorrere, mostrare, illustrare, viste le origini del babbo, proveniente da Sebenico, città natale di Niccolò Tommaseo, in Dalmazia. I figli Guglielmo e Lorenzo Foffani collaborano nel lato tecnico e nella comunicazione.

Domenica 6 marzo 2016, dalle ore 11:00 alle ore 19:00 nell'Antico Cantinone Foffani in Piazza Giulia, al civico numero 13, di Clauiano si è tenuto un evento molto interessante di gran convivialità. Le produttrici Antonella Cantarutti, di San Giovanni al Natisone ed Elisabetta Foffani con la sommelier professionista Donatella Briosi e con la partecipazione dell’azienda Carniagricola di Giuseppe Rugo, di Enemonzo, provincia di Udine, assistito da Rocco Liggieri, hanno illustrato le loro eccellenze enogastronomiche.
La cantina

Un'occasione imperdibile per incontrare tre Donne del Vino e degustare tre declinazioni di vini in "rosa". È stato proprio un giorno speciale per condividere ed assaporare le specialità enogastronomiche di alta qualità.
Il pubblico, diviso in piccoli gruppi, è stato guidato alla scoperta di un sorprendente spumante metodo classico da Pinot nero, uno strepitoso vino fermo da vitigno autoctono ed un magnifico moscato rosa...tutti da abbinare a scelta.

I salumi e formaggi, tra cui il famoso “formadi frant” con l’uvetta sultanina, presidio Slow food di Carniagricola, hanno  accompagnato e pennellato il palato dei clienti curiosi durante questo percorso rurale-enoico di assoluta qualità e di consumata gentilezza.
Servizio fotografico di D&C.
Il cjôt, costruzion rurâl par arlevâ o tignî i purcits (friulano), il porcile antico