I racconti dell’esodo giuliano dalmata sono spesso carichi di problemi familiari e sociali se non,
addirittura, di tragedie. Talvolta, invece, fanno venire in mente alle persone
certi aspetti simpatici ed affettuosi dei propri avi. Ricordare fatti belli, un
po’ ridicoli ed affettuosi, sprigiona ancor oggi una grande tensione riguardo
ai valori familiari e della comunità di appartenenza. Mi sembra che sia questo
il caso della seguente intervista.
Domanda: Che cosa
ricorda dell’esodo giuliano dalmata vissuto dai suoi familiari?
Risposta: «Ricordo che
c’erano alcuni parenti a Pola – dice Paola Barbanti – considerati dalla mia
nonna materna Norma Visintin, venuta via da Zara nel 1943, con tanto affetto
perché si erano conosciuti sin da bambini. Ad esempio ricordo la zia Ida
Clagnan, nata a Pola nel 1904, di lei la nonna Norma diceva ‘semo come sorele’.
Ida Clagnan lavorava alla Manifattura Tabacchi di Pola, aveva un fratello di
nome Ruggero, nato nel 1909 a Pola, che era pretore nel tribunale istriano».
D.: Queste famiglie
fuggono dall’Istria nel 1943 e fino dove arrivano?
R.: «So che i fratelli
Ida e Ruggero Clagnan, assieme alla loro mamma Emma Visintin – replica la
professoressa Barbanti, grazie ai ricordi di sua madre Zeni T. – con la moglie
di Ruggero e i loro due figli, Bruno e Mariuccia, scappano da Pola fino a
Rovigno e, con l’aiuto della famiglia Benussi, arrivano a Trieste. Lì stanno al
Silos, uno dei Campi Profughi di Trieste, poi trascorrono un po’ di tempo, nel
mese di ottobre, a Romans d’Isonzo, in provincia di Gorizia, presso parenti.
Poi Ida Clagnan va al Campo Profughi di Firenze, alla Vecchia Manifattura
Tabacchi e, infine, abita nel Villaggio degli esuli di Peretola, vicino a
Firenze, fino a quando muore negli anni ’80 del Novecento. Oggi non ci sono
suoi discendenti».
Ida Clagnan e Norma Visintin nel 1979
D.: Chi erano gli altri
parenti o amici di Pola? Sono fuggiti anche essi dall’Istria per gli stessi
motivi dei Visintin e Tomasin?
R.: «Sì ovvio, i motivi
sono sempre quelli: la guerra e le uccisioni di italiani d’Istria da parte dei
partigiani di Tito – spiega la Barbanti – Intanto dico che la famiglia di
Ruggero Clagnan, dopo di Romans si sposta a Vicenza e con quel parentado non
abbiamo avuto più contatti. Mia madre, Zeni T., dopo il 1945, va al Collegio
delle Orsoline di Gorizia per studiare e vedeva i genitori una volta ogni 15
giorni, perciò molte vicende dell’esodo non le ha mai sapute in modo diretto e
continuo. Poi ricordo che la famiglia Bruno Gruppi, per l’esodo fugge da
Rovigno, per giungere a Romans d’Isonzo e poi si stabilisce a Monfalcone, in
provincia di Gorizia».
D.: L’esodo porta tutte
queste famiglie a Trieste, Romans d’Isonzo, Firenze, Vicenza, Monfalcone. E i
Visintin Tomasin dove arrivano? Per caso, qualcuno se ne va all’estero?
R.: «Siamo dispersi in
giro per il mondo – è l’amara considerazione – Antea Visintin, sorella di mia
nonna Norma è a Trieste, si sposa con Luigi Vecchiet, professore del Liceo
Petrarca. So che Vilfrido Visintin, fratello di mia nonna andò in Australia.
Invece Fosca e Armanda, sorelle di Norma Visintin, vanno a Parigi, ma con i
discendenti non abbiamo più contatti».
D.: Avrà sicuramente
altri ricordi della nonna Norma? Qualche modo di dire? Qualche lettera o un
monile?
R.: «Ricordo che la nonna Norma mi diceva –
risponde la Barbanti – ‘Alo, alo movite, che il sol magna le ore!’, oppure in
riferimento al bucato delle maglie di lana: ‘Ogni lavada xe una frugada’. Mi
viene in mente che Ida Clagnan, Emma Visintin e la mia nonna Norma stavano a
Romans d’Isonzo fino al 1945 e si aiutavano tanto nei lavori di sartoria,
oppure di ricamo, una competenza diffusa tra le donne istriane di un tempo. Poi
ricordo che mia nonna aveva gli orecchini moretti fabbricati a Fiume. Me li
sono fatti regalare pochi anni prima che lei mancasse».
D.: C’è qualche altro
ricordo dell’esodo a Romans d’Isonzo?
R.: «Zeni ci raccontava
dell’aereo Pippo, che era degli inglesi – aggiunge l’intervistata – e a Romans
mitragliava la sera nelle case che avevano lasciato qualche luce, nonostante
l’oscuramento imposto dai nazi-fascisti. Il rombo di Pippo le faceva venire mal
di pancia e non riusciva neanche a mangiare quel poco che c’era, come ad
esempio polenta e latte, oppure un uovo… che simpatica la zia Ida, mangiava un
uovo tutto intero, ‘perché così sento qualcossa sotto dei denti’, diceva in
dialetto».
D.: Avete mai sentito
parlare dei massacri nelle foibe?
R.: «Mi ricordo che zia
Tea, ossia Antea Visintin, zia di mia madre – conclude Paola Barbanti – che
stava a Trieste, ci portava da ragazzi, negli anni ’60, a vedere la foiba di
Monrupino e ci spiegava la fine che avevano fatto fare i titini agli italiani
d’Istria, diceva ‘un colpo al primo prigioniero e giù tutta la fila, legadi fra
de loro, nella foiba. Era davvero terribile. Avevamo tanta paura».
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1. Dignità istriana
Ho raccolto oltre 236 interviste,
testimonianze e notizie personali sull’esodo giuliano dalmata fino alla
primavera del 2016, in Friuli Venezia Giulia, nel Lazio, in Toscana, in Emilia
Romagna, in Trentino Alto Adige e in Veneto. Mi sono sempre chiesto se tale
esperienza mi abbia dato qualcosa dal punto di vista umano. Direi di sì. Penso
di aver colto nelle interviste agli esuli italiani dell’Istria un grande senso
di dignità, che si riverbera pure nei loro discendenti.
La riservatezza e la dignità
talvolta fanno tenere le bocche cucite. Gli intervistati non raccontano. O
raccontano poco, autocensurandosi. Hanno paura di non essere creduti. Si parla
del
silenzio dei profughi e dello scarso ascolto dei discendenti, ma il
clima generale durante la
guerra fredda non consentiva loro di
raccontare liberamente ciò che era accaduto. Molte nonne e zie dell’Istria, di
Fiume e della Dalmazia mi hanno detto: «No se gà de contar cosse brute ai
pici». Penso a Elvira Dudech, per esempio. Così era chiuso l’argomento. La
tragedia era tutta individuale. Eppure anche quello è un pezzo di storia d’Italia.
Oppure le vecchie dicevano di
dimenticare le cose tristi.
A questo punto mi permetto di
citare un brano scritto da Anna Maria Fiorentin, ripreso dal suo libro Nel
Carnaro un’isola. Racconti, del 1997. C’è la conferma, anche in letteratura
di ciò che dicevano le vecchie istriane ai giovani dell’esodo giuliano dalmata.
Questa parte del racconto è ambientata nel 1948-1949 con tutta probabilità nel
Centro Raccolta Profughi di Migliarino Pisano, in provincia di Pisa, dopo la
fuga dall’Isola di Veglia avvenuta nel 1943, in seguito al ribalton.
«Ritrovai in quel campo – scrive
la Fiorentin – parte della gente di Veglia, spogliata dell’antico orgoglio, ma
decisa a vivere.
– A ottant’anni ho lasciato tutto alle spalle
– disse una donna piccola e smunta, senza ombra di rimpianto negli occhi
piccoli e freddi.
– Non piangere picola, siediti,
impara a dimenticare. Devi distruggere tutti i ricordi – ».
Manifattura Tabacchi di Firenze, qui furono trasferite varie "tabacchine" della Manifattura Tabacchi di Pola. Alloggiavano alla ex Manifattura Tabacchi di Via Guelfa. Lì c'era il Campo
Profughi Istriani e Dalmati a Firenze, nell'abitato compreso tra la via Guelfa, via Panicale e via Taddea, nell'area dell'antico
Monastero di Sant’Orsola. Il Campo Profughi operò dal 1945 al 1968, quando alla
fine accoglieva anche sfrattati o senza tetto. Anche Maria Zanetti, di Pola, lavorava alla
Nuova Manifattura Tabacchi di Firenze, situata in via delle Cascine, 33-35, a
pochi passi da piazza Puccini. Inaugurata nel 1940, la struttura ha
un’attribuzione critica, ma diversi autori concordano sia di Pierluigi Nervi. Essa si è mantenuta nella sua interezza, secondo Italia Nostra.
Firenze aprile 2016 - Via Guelfa, foto sotto, l'ingresso all'ex Centro Raccolta Profughi istriani e dalmati attivo dal 1945 al 1968. Nella foto sopra un altro scorcio del grande complesso della ex Manifattura Tabacchi e, prima ancora, Monastero di Sant'Orsola, in fase di ristrutturazione.
Fotografie di Elio Varutti
2. Una famiglia, sette infoibati
Passiamo a sentire qualche fonte
orale. «Noi istriani parliamo poco – mi ha detto Anna Maria L., nata a Tolmezzo
nel 1963 da genitori di Pola – lavoriamo duro e in silenzio, abbiamo la nostra
dignità e un forte affetto per il territorio».
Da questa testimonianza sono
venuto a sapere che in famiglia ci sono stati ben sette infoibati. «I
partigiani titini, dopo il 1943 – ha riferito Anna Maria L., secondo i racconti
dei suoi familiari – sopra Dignano
d’Istria hanno preso tre zii di mia mamma, uno era farmacista, un medico e un
notaio, poi li hanno portati in una piazza e tutti hanno visto, li hanno
costretti a bere del gasolio e se cadevano a terra saltavano sulle loro pance,
oppure avvicinavano loro una fiamma, infine li hanno condotti sull’altipiano,
legati polso a polso e, con la pistola alla tempia, al primo dicevano di buttarsi
giù nella foiba così cadevano tutti nella voragine, mi hanno detto che sono
rimasti vivi nella cavità per giorni perché si sentivano i loro lamenti».
In altri momenti dell’intervista
lessi alla signora Anna Maria L.
istriana, il brano di padre Flaminio
Rocchi, nel suo libro intitolato
L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e
dalmati, Roma, Difesa Adriatica, 1990. Rocchi descrive le vittime uccise
nella foiba di
Terli. I corpi furono recuperati dai pompieri il 1° novembre
1943. Le salme esumate furono 55, estratte a gruppi di tre-quattro legati
assieme. Tra questi sequestrati e torturati c’è “Martino, di Martino Chiali, di
anni 55, da Marzana”.
A quel punto della testimonianza
la signora Anna Maria L. ha esclamato: «Ah, zio Martìn». Poi si è chiusa in se
stessa.
Il Centro Raccolta Profughi istriani, fiumani e dalmati di Migliarino Pisano, 1949
Il caso volle che proprio tra i
miei primi intervistati, per il libro che ho pubblicato nel 2007 sul Campo
Profughi di Udine, ci fosse una parente di Anna Maria L., che acconsentì alla
pubblicazione per esteso di nome e cognome, ma non mi rivelò nulla circa il
numero di uccisioni nella foiba subìto dalla sua famiglia. La fonte orale era
Maria Chialich vedova Pustetto, nata a Dignano d’Istria nel 1919 e morta a
Udine il 2 settembre 2010. Fu per autocensura? Fu per il silenzio degli esuli?
Non lo saprò mai.
Maria Chialich vedova Pustetto mi
raccontò di essere venuta in questa parte d’Italia nel 1957, passando per il
Campo Profughi di Via Pradamano a Udine. «C’era anche mio zio Giuseppe Gonan –
mi raccontò Maria Chialich – poi lui con la famiglia è andato a Imperia. Sono
stati cacciati via nel 1953 dai titini».
Ogni tanto l’intervistata
intercalava le risposte in dialetto istriano: «I Gonan se gà fermadi in campo
poco tempo, pochi giorni, perché dopo i xe andadi da parenti. Iera tanta gente
in campo, quando son andada da zio Giuseppe lui iera in ciesa de campo. Iera
profuga anche mia sorela Caterina Chialich».
Maria Chialich, come ho scritto,
è mancata ai vivi nel 2010. Nell’elogio funebre a lei dedicato l’ingegnere
Silvio Cattalini, presidente dell’ANVGD di Udine, disse, tra l’altro: «Era di
famiglia molto facoltosa, grande proprietaria terriera, che produceva molto;
dalla coltivazione del frumento, alla produzione e vendita di pane, paste e
alimentari, dalla coltivazione dell’ulivo alla produzione e vendita dell’olio
e, infine, al nolo di cavalli allo stato. I Chialich non stettero mai con le
mani in mano, ebbero molto denaro, ma non furono mai avidi, tanto che
preferirono aiutare i paesani con sacchi di farina qua e là piuttosto che fare
la borsa nera. Però, tanta generosità non fu certo premiata dai titini, tra i
quali molti beneficiati, i quali, una volta impossessatisi del paese, non
esitarono a sterminare gran parte della famiglia: sette persone infoibate,
tutti familiari stretti. La povera Maria fuggì in Carnia, assieme alle sorelle,
una delle quali vedova di un infoibato e madre di un bambino di soli due mesi,
fu impossibilitata di allattarlo per aver perduto il latte a causa di una
intera giornata di tortura nelle prigioni di Albona. Il sindaco di Paluzza,
conosciute le condizioni di indigenza dei profughi Chialich e in osservanza
alle disposizioni in vigore, la convocò per offrirle un sussidio, ma lei, ligia
ai principi di altruismo e di solidarietà trasmessi dai genitori, rispose: La
ringrazio signor sindaco, ma io non voglio sfruttare la mia bella Italia! Maria
Chialich preferì guadagnarsi da vivere ricamando giorno e notte, con grave
compromissione alla vista».
3. La tortura del tronco a Albona
Anna Chialich “Aniza” è la vedova
di un infoibato. Sorella di Maria e di Caterina citate poco sopra. Dopo che i
titini imprigionarono il marito di Anna Chialich, ella andò a chiedere notizie
in varie caserme e comandi partigiani. Ad Albona i miliziani la fecero entrare,
chiusero il cancello e la obbligarono a delle terribili torture. Le parole che
seguono sono di Savina Fabiani, segretaria dell’ANVGD di Udine. «Mi raccontava
Maria Chialich che sua sorella Anna – riferisce la signora Fabiani – ad Albona
fu torturata dai titini, perché chiedeva notizie del marito da loro stessi
fatto prigioniero. Fu torturata su un tronco tagliato a cuneo. Fu legata e
costretta a stare in piedi su tale oggetto appuntito per un giorno intero.
Madre di un bimbo di soli due mesi, in seguito al supplizio del tronco a cuneo
perse il latte e non poté più allattare il piccolo».
Istituto Stringher, Udine - Il giorno 3 dicembre
2011 è venuta a parlarci in classe per quanto riguarda il 10 febbraio, Giorno
del ricordo, la signora Rosalba Meneghini, in Capoluongo, figlia di una esule
da Rovigno…
4. L’esodo raccontato nelle
scuole
Ho anche operato all’interno
delle scuole, con i relativi permessi e con la collaborazione di presidi e
insegnanti. È del 2005 la prima intervista strutturata ad una esule istriana
effettuata all’Istituto “B. Stringher” di Udine, con l’ausilio della
professoressa Elisabetta Marioni. Abbiamo raccolto il caso di una incredibile
fuga in barca dall’Istria alla costa delle Marche. L’indagine è stata condotta
dall’allieva Monica C.; era l’anno scolastico 2004-2005. L’intervistata è
Narcisa D., nata a Lussingrande, provincia di Pola nel 1928, detta “Cisa”.
In seguito ci siamo resi conto di
aver raccolto le preziose testimonianze dei discendenti di Monsignor Giulio
Vidulich, nato a Lussinpiccolo nel 1927 e morto a Percoto, provincia di Udine,
nel 2003. Egli fu una straordinaria figura di religioso molto vicino agli
esuli.
Nel 2011 la signora Rosalba
Meneghini, discendente di profughi istriani, ha iniziato a partecipare alle
attività sul
Giorno del Ricordo all’Istituto Stringher di Udine,
raccontando della dignità e del riserbo dei suoi nonni di Rovigno e di sua
madre. Ha sempre portato anche libri, fotografie, materiali vari e piccoli
cimeli dell’esodo istriano da mostrare agli studenti e agli insegnanti. Ad
esempio il nonno che era fabbro a Rovigno, nel dopo guerra a Udine costruì una
paletta con la latta dei barattoli del formaggio olandese ricevuto come
sussidio alimentare. Domenico Millia, detto “Mimi” morì a Udine nel 1981. Con
la moglie Anna Sciolis fu accolto al Campo Profughi di Udine nel 1947, poi
vissero nel quartiere di Udine sud.
Paletta per il pattume, fabbricata a Udine da Domenico Millia, fabbro di Rovigno. Collezione Rosalba Meneghini, Udine. Fotografia di Luca Meneguzzi, classe 5^ D Dolciaria, anno scolastico 2015-2016, coordinamento didattico professor Francesco Di Lorenzo, Istituto Stringher, Udine. Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico
Al Centro di Smistamento Profughi
di Udine passarono oltre cento mila istriani, fiumani e dalmati, come Lidia
Illusigh e parenti, esuli da Pola col piroscafo Toscana.
Anche monsignore Stefani è una
figura di alta dignità istriana secondo l’ingegnere Silvio Cattalini, presidente
del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia
Dalmazia (ANVGD). Monsignore Cornelio Stefani, Steffich, nato a Lussingrande
nel 1924 e morto il 3 settembre 2015 a Pordenone, si dedicò moltissimo al suo
borgo natio.
Bibliografia
-
Myriam
Andreatini Sfilli, Flash di una
giovinezza vissuta tra i cartoni, Trieste, Alcione, 2000. Racconto nel Campo Profughi di Firenze,
allestito alla ex Manifattura Tabacchi.
- Silvio Cattalini,
Elogio funebre di Maria Chialich
vedova Pustetto, Chiesa di S. Giuseppe, Udine, 7 settembre 2010,
dattiloscritto.
- Anna Maria Fiorentin, Nel Carnaro un’isola. Racconti,
Pisa, Edizioni ETS,1997, pp. 41-42.
- Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani
fiumani e dalmati, Roma, Difesa Adriatica, 1990, pp. 26 e 538.
- Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e
l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la
gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine,
Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di
Udine, 2007, pp. 394 (esaurito nel 2012).
Fonti orali
Ringrazio sentitamente
la professoressa Paola Barbanti, per le informazioni raccolte con dovizia e
grande interesse sui propri familiari, per renderle pubbliche, nello spirito
del Giorno del Ricordo. Le immagini qui riprodotte su Rovigno fanno parte della Collezione
Paola Barbanti di Cervignano del Friuli. Fotografie di Elio Varutti.
Ringrazio e ricordo con piacere le persone sotto elencate per la loro cortese disponibilità a riferire fatti dell’esodo giuliano dalmata. Le interviste sono state condotte a Udine da E. Varutti, con taccuino e penna, se non altrimenti indicato.
- Paola Barbanti,
Cervignano del Friuli, provincia di Udine (1960), intervista del 3, 4 e 7 marzo
2016, a cura di E. Varutti.
- Silvio Cattalini, Zara 1927, intervista del 10.02.2016.
- Maria Chialich vedova Pustetto, nata a Dignano d’Istria il 31 ottobre 1919 e morta a Udine il 2 settembre 2010, int. del 27.01.2004.
- Narcisa D., nata a Lussingrande, provincia di Pola nel 1928, “Cisa”, int. del 01.06.2005 di Monica C., a cura di Elisabetta Marioni.
- Sergio D’Ecclesiis, Pasian di Prato (UD), int. del 17 dicembre 2011 a cura di Massimiliano Rosso sulla vicenda di Lidia Illusigh, esule da Pola (1927–2006), Martignacco, provincia di Udine, con la collaborazione della professoressa Maria Pacelli.
- Elvira Dudech, Zara 1930 – Udine 2008, int. del 28.01.2004.
- Savina Fabiani, Ravenna 1933, ha vissuto in provincia di Gorizia, int. del 08.01.2011.
- Anna Maria L., Tolmezzo 1963, int. del 15.12.2010 e del 10.01.2011.
- Rosalba Meneghini Capoluongo, Udine 1951, int. del 10.02.2016.
- Maria Millia vedova Meneghini, Rovigno 1920 – Udine 2009, int. del 11.05.2004.
- Zeni T., Romans
d’Isonzo, provincia di Gorizia (1936), int. del 4 marzo 2016, con la
collaborazione di Paola Barbanti, a cura di E. Varutti.
Sitologia e cenni bibliografici
Da alcune ricerche nel
web emerge che alcuni Clagnan, nel 2006, sono presenti in Brasile, ma sono
discendenti dell’emigrazione da Staranzano, provincia di Gorizia, avvenuta nel
1894.
Vedi: l’Archivio
Multimediale della Memoria dell’Emigrazione Regionale (AMMER), Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
Poi, come accade in tutte le guerre civili, c'è un tale Giuseppe Clagnan, da Ronchi dei Legionari, partigiano titino ricoverato, dopo il 1943, all'ospedale di "
Bolnica Pavla", presso
Idria, come ha scritto:
Federico Vincenti,
Partigiani friulani e giuliani all'estero, Udine, ANPI, 2005, pag. 170, nota 16.
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Questo articolo rientra
nelle attività del Centro
di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata,
per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari
momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di
storia dell’Istituto
Stringher di Udine, di cui è
referente il professor Giancarlo Martina. È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie
di donne del ‘900”, che ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio
di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana,
ANED,
ANVGD di Udine.