mercoledì 23 febbraio 2022

Presentato ‘La patria perduta’ e assegnato a Elio Varutti il sigillo della città di Udine

È stato Pietro Fontanini, sindaco di Udine, a consegnare il sigillo della città nelle mani di Elio Varutti. L’evento si è svolto nel pomeriggio in sala Ajace il giorno 11 febbraio 2022 nell’ambito delle cerimonie per il Giorno del Ricordo, organizzate dall’Assessorato alla cultura con l’assessore Fabrizio Cigolot, con la collaborazione del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD). Cigolot ha aperto l’incontro, accennando all’importanza di parlare del Giorno del Ricordo e delle pubblicazioni come quella che si presenta sulla vita quotidiana nel Centro raccolta profughi di Laterina, in provincia di Arezzo, dopo la seconda guerra mondiale per gli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati.

La professoressa Elisabetta Marioni, assessore comunale all’Istruzione e socia dell’ANVGD, dopo aver partecipato all’intitolazione del piazzale Norma Cossetto al mattino, nella stessa serata ha detto che: “con l’amico e collega Elio Varutti per molti anni ho collaborato in studi e ricerche sulla cultura materiale e immateriale del Friuli, nonché sugli eccidi delle foibe e sul dramma dell’esodo giuliano dalmata all’Istituto ‘B. Stringher’. Il sigillo della città conferitogli è un’onorificenza meritatissima anche perché il professor Varutti ha coinvolto il mondo della scuola nella divulgazione e nell’approfondimento di queste tematiche ancor prima dell’istituzione del Giorno del Ricordo”. La Marioni ha voluto citare i libri sul tema dell’esodo giuliano dalmata da Varutti, come Il campo profughi di via Pradamano e l’associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo 1945-2007, edito dal Comitato di Udine dell’ANVGD nel 2007. Poi c’è il volume scritto con Roberto Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina, edito nel 2015 dall’Istituto Stringher di Udine col titolo: Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960. Infine c’è il testo edito dalla Provincia di Udine / Provincie di Udin nel 2017: Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni, disponibile anche nel web dal 2018.

Elisabetta Marioni, Pietro Fontanini e Elio Varutti. Foto di Leoleo Lulu

Ecco la motivazione ufficiale del riconoscimento letta dal sindaco Fontanini: “per la costante e proficua opera di studio, ricerca e diffusione delle vicende storiche di Udine e del Friuli e, in particolare delle tragedie legate all’esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati nel secondo dopoguerra”.

Ha poi avuto la parola Elio Varutti. “Per questo libro – ha detto l’autore - devo ringraziare Claudio Ausilio, esule di Fiume e delegato provinciale dell’ANVGD di Arezzo, per le articolate e pazienti ricerche da lui svolte sul territorio; le fotografie che vedete sono state reperite da lui con una serie attenta di contatti con centinaia di profughi e loro discendenti in Italia e all’estero, come Australia, Canada, USA, Brasile, Francia”.

È così che si è venuti a sapere che il Campo profughi di Laterina (AR), dal 1946 al 1963, per ben diciassette anni, funziona come Campo profughi per italiani in fuga dall’Istria, Fiume e Dalmazia (per oltre 10mila persone), terre assegnate alla Jugoslavia col trattato di pace del 10 febbraio 1947. Sono italiani della patria perduta. Nelle baracche patiscono il freddo e la fame. Tra i più anziani di loro ci fu un alto tasso di suicidi. A Laterina giungono pure alcuni sfollati dalle ex colonie italiane. “Con questo libro – ha concluso Varutti – si è analizzata la vita quotidiana degli esuli e l’incontro-scontro con la popolazione locale, fino alla completa integrazione sociale, mediante qualche matrimonio misto (toscani e giuliano dalmati) e, soprattutto, col lavoro, la scuola e con l’assegnazione delle case popolari ai profughi. Quasi tutti gli esuli destinati al Crp di Laterina sono transitati per Trieste e per il Centro smistamento profughi di Udine di via Pradamano, che ospitò oltre 100mila persone”.

“Voglio infine ringraziare l’editore che ha creduto in questa tematica – ha concluso Varutti – oltre a Guido Giacometti, dell’ANVGD della Toscana, a Bruna Zuccolin, dell’ANVGD di Udine e Renzo Codarin, presidente nazionale dello stesso sodalizio degli esuli, oltre a Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo”.

Parla il sindaco Pietro Fontanini

Ha chiuso l’incontro Bruno Bonetti, vicepresidente dell’ANVGD di Udine, portando il saluto di Bruna Zuccolin, presidente assente per infortunio. Bonetti ha ricordato la grande accoglienza del volume ‘La patria perduta’ tra il pubblico e le autorità registratasi sia nelle presentazioni pubbliche di Trieste, il 26 settembre 2021, che in quella di Laterina del 2 ottobre 2021 e all’Università della Terza Età di Udine il 20 gennaio 2022”.

Il libro presentato – Elio Varutti, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Aska edizioni, Firenze, 2021.

Parla Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine

Note – Progetto e attività di ricerca di: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Con la collaborazione di: Claudio Ausilio, ANVGD di Arezzo. Networking di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio Bruno Bonetti, Rosalba Meneghini. Adesioni al progetto: ANVGD di Arezzo e Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie di Daniela Conighi, Leoleo Lulu, Giorgio Gorlato  e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

Elio Varutti. Foto di Leoleo Lulu


Dal "Messaggero Veneto", Cronaca di Udine, del 16 febbraio 2022

Il diploma che accompagna il sigillo in bronzo della città

martedì 15 febbraio 2022

La bambina con la valigia, Egea Haffner. Una vicenda umana nella tragedia dell’Istria (1943-1947)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo nel blog un articolo di Laura Brussi, esule di Pola. La ringraziamo per le significative parole dedicate all’esodo giuliano dalmata e all’icona di quel fatto storico: Egea, la bambina con la valigia. La congiura del silenzio si sta sfaldando e dalla legge istitutiva del Giorno del Ricordo del 2004 sempre più esuli e loro discendenti  hanno il coraggio di raccontare in pubblico la propria struggente testimonianza. Siamo convinti che così si recupera un pezzo di storia d’Italia negata per troppo tempo. Ecco il commovente testo di Laura Brussi. 

(a cura di Elio Varutti)

La grande storia non è fatta soltanto dal pensiero umano e dagli eventi che ne sono scaturiti, né tanto meno dalle ideologie susseguitesi nel corso dei tempi. Al contrario, si compone anche di un’immensa cifra delle storie personali che, alla fine, hanno contribuito a determinare lo svolgimento di quella generale, e con essa, dei grandi valori umani e civili, in lotta perenne con ricorrenti iniquità.

In queste storie personali s’inserisce a buon diritto quella di Egea Haffner, la discreta “Esule Giuliana 30001” che è diventata un simbolo della tragedia di Pola, trovando spazio anche in un volume di  riferimento che la stessa Egea ha scritto assieme a Gigliola Alvisi, con il decisivo supporto di “un importante Maestro”, il marito Gianni (La Bambina con la valigia: il mio viaggio tra i ricordi di esule al tempo delle foibe, Edizioni Piemme, Milano 2022, pagg. 206) e che si legge davvero di getto, a conferma di interesse e partecipazione coinvolgenti.

Nel tenebroso maggio del 1945, mentre altrove trionfava la pace, una Pola atterrita assisteva con  sgomento alle violenze indiscriminate del nuovo padrone, a cominciare da quelle che ebbero per involontarie protagoniste le tante foibe del territorio circostante. In una di queste voragini scomparve anche l’amato buon padre di Egea, persona integerrima di soli ventisei anni, ucciso proditoriamente dai partigiani slavi, come tanti altri, per la “sola colpa di essere italiano”.

Papà Kurt fu catturato a tre giorni dalla “conquista” titina del capoluogo istriano, presenti i familiari, con la consueta scusa di un semplice “controllo”. Purtroppo non sarebbe più tornato, e la prova del suo infame destino sarebbe giunta dopo qualche giorno, quando uno degli aguzzini fu visto in città con la sciarpa che papà aveva indossato al momento dell’arresto. Per Egea, che aveva appena tre anni, quella fu una tragedia tanto improvvisa quanto traumatica, seguita a breve dal dramma dell’esodo, dapprima per la Sardegna e poi per l’Alto Adige.

Nonostante l’età infantile, la “bambina con la valigia” comprese subito che avrebbe dovuto “abbandonare la riva sicura dell’amore per un mare ignoto” incontrando tutto lo strazio di “quel dolore segreto che solo i bambini sanno provare”. Il resto diventa un corollario: le incomprensioni di un popolo che usciva dalla grande tragedia collettiva della guerra, delle distruzioni e della morte; il trattamento non troppo cristiano ricevuto da qualche Suora del Collegio alto-atesino dove avrebbe frequentato i primi due anni di scuola elementare, prima che la zia Ilse la trasferisse in quella pubblica; i disagi rivenienti dalle abitazioni precarie e dalle pesanti ristrettezze economiche.

Eppure, la vita doveva continuare. Egea, diventata improvvisamente ben più matura della sua età anagrafica, fu capace di reagire in maniera costruttiva alla sventura da cui era stata colpita, al pari del “vir bonus” di Seneca posto davanti alla “mala fortuna”. Di qui, la sua capacità di apprezzare quanto poteva esserle offerto, come le limpide acque di un mare che ricordava tanto quello della sua Istria; la “fortuna” di avere evitato i disagi e le promiscuità dei tristissimi campi profughi; e più tardi, la scoperta di valide e serie attitudini professionali, come accadde con la prima vendita “senza sconto” di un piccolo gioiello nel negozio dello zio.  Egea avrebbe progredito bene anche nello studio, e non appena giunta in età idonea, fu subito assunta dall’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Statali. Mantenne un buon rapporto con la mamma che era rimasta a Cagliari dove, in seguito, aveva costruito una nuova famiglia, ma volle rimanere a Bolzano con lo zio Alfonso e con Ilse, che ebbe il dolore di perdere quando la zia era in età ancora giovane.

Poi, ci fu l’incontro con Gianni, che sarebbe diventato l’uomo della sua vita e padre delle sue figlie Roberta e Ilse, e che dopo la laurea in Ingegneria avrebbe assunto posizioni di crescente rilievo professionale, fissando la residenza familiare nella bella casa di Rovereto, non lontano dalla Campana dei Caduti. L’Ing. Giovanni Tomazzoni, uomo giusto, coniuge e padre esemplare, è appena scomparso, ma Egea ha affrontato il dolore nella consapevolezza che, al pari del papà, è sempre accanto a lei, con una sommessa, costante, protettiva Presenza.

Oggi, Egea dedica molto tempo al Ricordo, compreso quello istituzionale di cui alla Legge 30 marzo 2004 n. 92, che ha voluto onorare i venti mila Martiri delle foibe o altrimenti massacrati dai partigiani di Tito, e con essi, i 350 mila Esuli da Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, facendo contestualmente conoscere le “complesse vicende del confine orientale”. In questa prospettiva si deve inquadrare, fra l’altro, l’attività di Egea - con il cuore italiano sempre a Pola - nell’ambito delle più recenti iniziative per onorare la memoria delle Vittime e il dramma degli Esuli.

In tale ambito, una realizzazione di alto spessore mediatico e simbolico è costituita dal Museo “Egea” sorto a Fertilia dei Giuliani (Sassari) proprio nel suo Nome, e in omaggio ai tanti profughi che costituirono il primo nucleo di un nuovo aggregato comunitario programmato all’insegna della speranza e della fede nei valori “non negoziabili”: per l’appunto, quelli della Bambina con la valigia.

Un contributo fondamentale all’iniziativa sarda è stato conferito da Egea e da Gianni Tomazzoni. Il Museo, voluto dalla Giunta Regionale nel complesso delle ex Officine EGAS  per onorare gli Esuli, a cominciare dai pescatori dalmati che approdarono in Sardegna dopo avere circumnavigato l’Italia, vide la  posa della prima pietra il 1° febbraio 2020 con l’intervento dell’Assessore Quirico Sanna e della stessa Egea col marito,  mentre l’inaugurazione ha fatto seguito nel breve volgere di un anno, e più precisamente nella primavera del 2021, grazie al solerte impegno dei promotori.

Il Museo, dovuto al progetto degli Architetti Govoni, Polese e Masala, è diventato realtà nel corso di una concorde dimostrazione di patriottismo, con l’intervento del Presidente della Giunta regionale Christian Solinas,  dello stesso Assessore Sanna e del Sindaco di Alghero Mario Conoci, insieme al Presidente del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia Piero Mauro Zanin, testimoni di una comune volontà politica e morale. Ciò, come da elette parole dello stesso Assessore Sanna, secondo cui il Museo “restituisce dignità e memoria a un popolo involontario protagonista di una vicenda che lo ha costretto a dividersi in tutto il mondo nell’indifferenza dei governanti” e rimuove “un velo di omertà” non più accettabile nella realtà contemporanea.

In tutta sintesi, Egea, anche attraverso il “suo” Museo, è diventata testimone perenne di una storia finalmente conosciuta, e nello stesso tempo, di “egregie cose” finalizzate a tradurla in impegni di  fede, e di umana civiltà. Conviene aggiungere che durante le interviste concesse alla RAI-TV e alla stampa in occasione del “Giorno del Ricordo” (10 febbraio 2022) Egea ha ulteriormente testimoniato il suo dramma di orfana e di esule, con qualche aggiunta eticamente ragguardevole: ad esempio raccontando che quando tornò a Pola per visitare il luogo in cui era stata scattata la celebre fotografia, e per rivedere la casa dell’infanzia, venne ad aprire una donna, alla quale disse che sarebbe stata lieta di dare uno sguardo alla sua cameretta di quel tempo lontano. Per tutta risposta fu cacciata via, in omaggio al verbo collettivista della nuova Jugoslavia!

Nell’epoca plumbea delle foibe, il grande Vescovo di Trieste e Capodistria, Mons. Antonio Santin, esortava a non disperare perché “le vie dell’iniquità non possono essere eterne”. Purtroppo, il cammino è ancora lungo, ma la “linea del possibile” di cui al pensiero di Benedetto Croce potrà avvicinarsi tangibilmente grazie a chi, come Egea, onora un grande impegno di memoria civile, e con esso, un’indomita speranza.

Laura Brussi, Esule da Pola

Fotografia dal sito web di federesuli.org  che si ringrazia per la diffusione nel blog 

Note – Autrice principale: Laura Brussi. Progetto e attività di ricerca: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Tulia Hannah Tiervo e E. Varutti. Lettori: Laura Brussi e Sebastiano Pio Zucchiatti. Adesioni al progetto: ANVGD di Arezzo e Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie da collezioni private e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

domenica 13 febbraio 2022

L’Olocausto degli Ebrei di Bosnia, da una tesi di laurea dell’Università di Udine

La presente ricerca si basa su una tesi di laurea di Marica Dukic, dal titolo Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX secolo, discussa all’ateneo friulano nell’anno accademico 2014-2015. Relatrice di tale originale indagine è stata la professoressa Natka Badurina, dell’Università degli studi di Udine, Corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere. La laureanda si è avvalsa della recente letteratura sul campo in lingua bosniaca, come è per l’autore Jakov Danon, col suo: Memoari na holokaust Jevreja Bosanske Krajine, del 2010.

Siamo onorati di pubblicare nel blog, con qualche integrazione, la parte riferita alla Shoah della sua tesi. La pubblicazione in anteprima di queste interessanti pagine è frutto dello studio attento di Marica Dukic, che ringraziamo per averci messo a disposizione generosamente la sua opera per il presente articolo (a cura di Elio Varutti).

                                                                               

Gli ebrei giungono sul territorio della Bosnia ed Erzegovina nel 1541, passando per la Turchia, l’Albania, la Grecia, oppure per l’Italia, o per la Repubblica di Ragusa. I primi documenti scritti sugli ebrei risalgono al 1565, gli scritti di Sidžila, ossia le fonti ufficiali della corte di Sarajevo. I primi monumenti ebraici in Bosnia risalgono al 1551. La maggior parte degli ebrei che arrivano in quel periodo sono sefarditi, espulsi dai Paesi Iberici, ma c’è anche un gruppo di ebrei autoctoni di ascendenza askenazita, originario dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa.

Gli ebrei, dopo esser giunti in Bosnia-Erzegovina e fino ad oggi, a differenza di tutte le altre religioni, non hanno mai come scopo la sottomissione degli altri. Nel passato cercavano di andare d’accordo con tutti i popoli e con tutte le religioni del luogo. I sefarditi usano il ladino come lingua, invece gli askenaziti usano lo yiddish. Si stabiliscono maggiormente nelle città bosniache, concentrandosi intorno a quattro grandi centri urbani: Sarajevo, Travnik, Banja Luka e Bijeljina. Prima arrivano in piccoli gruppi o singoli individui per verificare le condizioni di vita, conoscere meglio il posto e la gente. Quando sono sicuri che non c’è il rischio di essere perseguitati o allontanati, comunicano alle famiglie e ai parenti di raggiungerli. Dalle quattro città più grandi si trasferiscono a Gradiška, Prijedor, Bosanski Novi, Kostajnica, Derventa, Bihać, Sanski Most, Foča, Višegrad, Zenica, Jajce ed altre località (Marica Dukic, Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX secolo, pag. 10).

Vengono accolti bene dal sultano turco Bayezid e ciò è confermato dalla costruzione della sinagoga nel 1581 a Sarajevo. Con il passare degli anni, tuttavia, gli ebrei perdono il loro status di privilegiati a causa dei corrotti detentori del potere ottomano, bramosi di arricchirsi chiedendo imposte e regali. Tale negativa situazione cambia durante la seconda metà del XIX secolo, quando Abdul Medžida, o Abdülmecid I, nel 1840 proclama il decreto per dare a tutti gli ebrei della Bosnia-Erzegovina la piena autonomia, riconoscimento dei diritti civili, la libertà religiosa e il permesso per la costruzione delle sinagoghe.

L’esercito dell’Impero Austro-ungarico, alla fine di giugno del 1878, invade la Bosnia-Erzegovina, instaurando una nuova amministrazione nella regione fino al 1918, provocando l’esodo di vari musulmani. L’area è pretesa dalle Autorità Austro-ungariche a seguito del Congresso di Berlino del 1878, sebbene continuasse a far parte dell’Impero ottomano. Nel 1908 l’Austria-Ungheria annette la Bosnia-Erzegovina ai propri domini, ponendoli sotto il proprio comando.

In tale periodo si nota un consistente sviluppo demografico della comunità giudaica. Si va dai 3.300 ebrei del 1878, dei quali 3.000 sono sefarditi, agli 11.868 individui del 1910, dei quali i sefarditi sono 8.219 e il resto sono askenaziti. Gli ebrei sono lo 0,62 per cento della popolazione bosniaca nel 1910, che non arriva a sfiorare i 2 milioni di abitanti (Marica Dukic, p. 11).

C’è la creazione di due distinte comunità ebraiche, una sefardita e l’altra askenazita a Sarajevo e Banja Luka. Sono stati scelti due rabbini e si sono diffuse due lingue diverse. Solo il 10 per cento della popolazione di fede ebraica vive in stato di povertà, mentre il resto degli individui è suddiviso egualmente tra chi vive in ottime, medie e modeste condizioni di vita (p. 12).

Alla fine della Grande guerra la Bosnia-Erzegovina fa parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni,  abbreviato in Regno di SHS. È uno Stato dell’Europa, riconosciuto dopo la Conferenza di pace di Parigi del 1919. Tale stato cambia nome alla creazione del Regno di Jugoslavia nel 1929.

Con l'inizio del 1940 pian piano si inizia a sentire che la guerra e il crollo del Regno di Jugoslavia si stanno avvicinando, ma nessuno sospettava che potesse creare danni così grandi e prendere così tante vite. Il periodo di terrore inizia con le leggi antisemite, emanate sotto il governo fascista dello Stato indipendente della Croazia-NDH (Stato indipendente di Croazia-Nezavisna Drzava Hrvatska), comandato da Ante Pavelić, che ha considerato gli ebrei come “elementi indesiderabili”, o “di poco valore”. Queste leggi hanno impedito agli ebrei di lavorare, di studiare, di andare a scuola, all’università, di utilizzare trasporti pubblici, di andare al cinema o a teatro. Tutto questo, giorno dopo giorno, porta alla persecuzione e al genocidio. La propaganda antisemitica, presente su tutto il territorio bosniaco, è stata fatta con tutti i mezzi a disposizione: mediante i giornali, riviste, volantini, radiotrasmissioni, film documentari, mostrando gli avanzamenti del potere tedesco e la liquidazione degli ebrei.

Con la creazione della NDH, che era uno stato satellite della Germania nazista, la Bosnia fu sottomessa al nuovo potere. La politica di Hitler consisteva nel risolvere “la questione ebraica” tramite la loro liquidazione dalla faccia della terra. I fascisti di Bosnia, affermando che il loro scopo era giustificato, cominciano a torturare, rubare, uccidere e rapinare la popolazione ebraica senza alcuna compassione. Il giorno d’inizio dell’Olocausto è il 10 aprile 1941, che è anche la data della creazione del governo NDH. È pure la data nella quale gli ustascia (ustaša) decidono di risolvere la questione ebraica, come avevano fatto i tedeschi. Il 1° agosto 1941 furono fucilati i primi ebrei a Vrace, vicino a Sarajevo. Alcuni ebrei sono riusciti a salvarsi, comprando i documenti falsi, e scappando verso Spalato (3.000 persone) e altri 3.500 ebrei si rifugiano a Ragusa (Marica Dukic, p. 13). Altre centinaia di loro trovano la salvezza essendo internati da Mostar al Campo di concentramento di Arbe, sotto il controllo dell’Esercito Italiano (Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra l’Esercito Italiano e gli Ebrei in Dalmazia (1941-1943), ristampa anastatica della I edizione – Roma 1991, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, 2009).

Si ricorda che il generale del Regio esercito italiano Vittorio Ambrosio, nel mese di aprile 1941, conquista in pochi giorni tutta la costa adriatica della Jugoslavia, entrando a Spalato accolto felicemente dai diversi cittadini di etnia italiana, coinvolti nel 1920 nei sanguinosi incidenti provocati dai nazionalisti croati. Un mese dopo Mussolini annette la nuova provincia al Regno d’Italia, istituendo il Governatorato italiano della Dalmazia. Migliaia di ebrei croati, allora cercano rifugio nel Governatorato stesso, trasferendosi a Spalato, specialmente nel 1942 (vedi: Spencer Tucker, Who's Who in Twentieth Century Warfare, Taylor & Francis, 14 dicembre 2003).

Il fascista croato Ante Pavelić, con i suoi ustascia, fa costruire decine di campi di concentramento, dove raccogliere dissidenti, serbi, ebrei, rom e antifascisti, soggetti a torture e lavori massacranti fino allo sterminio nei forni crematori.

Al Campo di concentramento di Jasenovac – spiega Marica Dukic – sono stati uccisi 20.000 bambini di nazionalità ebrea, serba e rom. Le donne sopravvissute e i loro figli sono stati uccisi il 20 aprile 1945. Per nascondere i loro crimini, gli ustaša hanno deciso di liquidare quelli che erano rimasti ancora in vita, anche se si trattava solo di un piccolo gruppo. Essi hanno provato a fuggire, ma la maggior parte non è riuscita nemmeno a uscire dalla porta, sono stati uccisi subito, e un piccolo numero di sopravvissuti (90 persone) si è avviato verso il fiume Sava. Le truppe partigiane jugoslave sono entrate nel campo Stara Gradiška il 23 aprile 1945 e a Jasenovac il 2 maggio 1945, senza però trovare anima viva, ma solamente cadaveri e rovine dei campi distrutti, le uniche testimonianze del crimine avvenuto. Il numero delle persone uccise non è mai stato stabilito con precisione: si parla all’incirca di 700.000 persone, e tra questi 33.000 ebrei, che rappresentano l'80% di tutta la popolazione ebraica presente sul territorio bosniaco in quel periodo (pp. 15-16).

Lo sterminio delle comunità ebraiche in Bosnia, dal punto di vista quantitativo, è illustrato nella tabella n. 1, che considera anche i pochi cambiamenti dopo il 1945 e le guerre sorte allo scioglimento della Jugoslavia, avvenuto dal 1991.

Tab. n. 1 – La Shoah in Bosnia-Erzegovina

Città

Ebrei nel 1941

Nel 2009

Banja Luka

480

92

Bihać

168

-

Sanski Most

79

-

Prijedor

47

-

Derventa

136

-

Doboj

105

Morti il 93%

Sarajevo

7.065 circa

1.413 nel 1946

750 nel 2014

Fonte: Nostra elaborazione su dati di Marica Dukic, Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX secolo, tesi di laurea, Relatrice prof.ssa Natka Badurina, Università degli studi di Udine, Corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere, Anno accademico 2014-2015.

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L’opera inedita analizzata - Marica Dukic, Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX secolo, tesi di laurea, Relatrice prof.ssa Natka Badurina, Università degli studi di Udine, Corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere, Anno accademico 2014/’15, pp. 106.

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Cenni bibliografici e sitologici – E. Varutti, “Libro di Menachem Shelah sugli ebrei jugoslavi salvati al Campo di Arbe (Rab)”, on line dal 10 luglio 2018 su   eliovarutti.blogspot.com/

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Note - Autore di riferimento: Marica Dukic. Altri testi a cura di Elio Varutti, per il Circolo culturale della Parrocchia di San Pio X, Udine. Networking a cura di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Tiziana Menotti, Gregorio Zamò, Marco Balestra e il professor Stefano Meroi. Copertina: cartolina di Sarajevo; collez. privata. Si ringrazia Silvia Fina, assessore alle Politiche inerenti al turismo, alla promozione dei siti storici e naturalistici e alla Biblioteca del Comune di Tarcento (UD) che in occasione del Giorno della Memoria 2022 ha messo in contatto Marica Dukic con l’Autore dei testi. Aderiscono: il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’Associazione Nazionale Ex Deportati politici (ANED) di Udine.