mercoledì 31 agosto 2016

Udine, Memorial Nazario Sauro

Il 9 settembre 2016, dopo cento anni dall’uccisione sulla forca austriaca di Nazario Sauro il Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) organizza una pubblica manifestazione al Palazzo della Provincia di Udine. Lo ha annunciato l’ingegnere Silvio Cattalini, presidente del sodalizio degli esuli giuliano dalmati di Udine dal 1972. «Vogliamo ricordare un nostro grande eroe istriano – ha detto Cattalini – immolatosi cento anni or sono per l’italianità delle nostre terre».
L’evento si terrà venerdì 9 settembre 2016, dalle ore 17,00 alle 19,00 presso la Sala Consiliare della Provincia di Udine, a Palazzo Belgrado, in Piazza Patriarcato 3. Il programma dell’incontro prevede il saluto del presidente Cattalini e delle autorità presenti. Seguirà la relazione ufficiale dell’avvocato Piero Sardos Alberini, del Comitato Onoranze a Nazario Sauro.
Il Memorial Nazario Sauro di Udine avviene dopo una analoga e articolata iniziativa svoltasi a Trieste, proprio nel centenario della sua tragica morte, il 10 agosto 2016, sempre a cura del locale comitato dell’ANVGD.


La statua di Nazario Sauro a Trieste

Il fatto storico
Il 10 agosto 1916 veniva impiccato per "alto tradimento" a Pola dalle autorità austriache Nazario Sauro, nato a Capodistria il 20 settembre 1880. Egli, padre di famiglia e marinaio, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale invece di indossare la divisa dell’impero austro-ungarico esfiltrò verso la sua patria, l’Italia. Seguace delle idee di Giuseppe Mazzini che parlavano di uguaglianza sociale, libertà dei popoli e unità d’Italia, frequentò i circoli istriani irredentisti, che auspicavano cioè l’annessione al Regno d’Italia di quelle terre non ancora liberate dalla dominazione dell’impero asburgico, contro il quale l’Italia si era già cimentata con alterne vicende nelle tre Guerre d’Indipendenza risorgimentali.
Il perfezionamento del percorso unitario e dell’edificazione morale degli italiani ancora difettava: l’ingresso in guerra il 24 maggio 1915 sarebbe stato decisivo in tal senso e, tra gli esempi di patrioti e martiri dell’italianità, Nazario Sauro conquistò un ruolo di primo piano per la fermezza dimostrata durante il processo che lo condannò a morte e per l’audacia con cui in precedenza aveva guidato incursioni della marina da guerra italiana sulla costa dell’Adriatico orientale. 
Con l’entrata in guerra dell'Italia, Sauro, esperto marinaio mercantile, si arruolò volontario nella Regia Marina Italiana, dove ottenne il grado di tenente di vascello di complemento (23 maggio 1915). Fu destinato alla Piazza Militare Marittima di Venezia e nelle missioni operò spesso con il nome di copertura di Nicolò Sambo allo scopo di eludere eventuali sospetti della sua reale identità in caso di cattura.


Le sue operazioni militari
In 14 mesi di attività Sauro compì oltre sessanta missioni. All'inizio del conflitto fu impiegato come pilota pratico a bordo di piccole siluranti e torpediniere in azioni e missioni lungo le coste istriane e nei canali della Dalmazia per la posa di mine per creare sbarramenti davanti ai porti austriaci o lungo le rotte costiere istriane e dalmate che utilizzavano le navi austro-ungariche quando dovevano affrontare il mare aperto.

Il 30 luglio 1916 si imbarcò a Venezia sul sommergibile “Giacinto Pullino”, al comando del tenente di vascello Ubaldo Degli Uberti, con il quale avrebbe dovuto effettuare un’incursione su Fiume, ma l’imbarcazione, spostata improvvisamente dalla corrente, andò ad incagliarsi sullo scoglio della Galiola, all’imbocco del golfo del Quarnero. Risultati vani tutti i tentativi di disincaglio, distrutti i cifrari di bordo oltre alle apparecchiature e, predisposta per l’autoaffondamento, l’unità fu abbandonata dall’equipaggio e Sauro, allontanatosi volontariamente da solo su un battellino, venne intercettato dal cacciatorpediniere austriaco “Satellit” e fatto prigioniero. Alla cattura seguì il processo nel tribunale della Marina austriaca di Pola e la condanna a morte, dopo averlo crudelmente messo a confronto con la madre, fatta venire apposta dai campi di internamento dell’Austria interna, dove i sudditi italiani dell’Istria vennero deportati dagli austriaci.
Il sommergibile "Giacinto Pullino"Per la fotografia si ringrazia il sito http://www.sommergibili.com/pullino.htm

Il Comitato Onoranze a Nazario Sauro
Il Comitato Onoranze a Nazario Sauro, di cui l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia figura tra i fondatori e promotori, svolge per questo ogni anno una commemorazione in memoria dell’illustre capodistriano nel giorno della sua impiccagione. Ricorrendo il centenario dell’evento, la consueta manifestazione presenta stavolta un programma più ampio, nobilitato da prestigiosi patrocini (Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Stato Maggiore della Difesa, Comune di Trieste, Comune di Trento, Comune di Gorizia, Provincia di Trieste, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Prefettura di Trieste, Questura di Trieste) e da un Comitato d’Onore con illustri adesioni. La giornata del 10 agosto segna solamente l’inizio di un calendario di iniziative in tutta Italia che dopo il periodo estivo si rivolgeranno alle scuole intitolate a Nazario Sauro, ai Comuni che lo ricordano nella toponomastica e alle istituzioni militari per onorare le caserme a lui dedicate.

I componenti del Comitato Onoranze a Nazario Sauro
Attualmente nel Comitato d’Onore figurano le seguenti autorità: professoressa Ester Capuzzo (Università La Sapienza di Roma). Mons. Giampaolo Crepaldi (Vescovo di Trieste). Professor Giuseppe de Vergottini (professore emerito Alma Mater Studiorum - Università di Bologna). Commendator Roberto Dipiazza (Sindaco di Trieste). Prof. Maurizio Fermeglia (Magnifico Rettore dell'Università degli Studi di Trieste). Avvocato Carlo Giovanardi (Senatore Emilia-Romagna). Senatore Pietro Grasso (Presidente del Senato della Repubblica). Generale Claudio Graziano (Capo di Stato Maggiore). Dott. Franco Iacop (Presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia). Bruno Marini (consigliere regionale Friuli Venezia Giulia). Prof. Giuseppe Parlato (Università Internazionale di Roma). Prof. Stefano Pilotto (MIB School of  Management - Trieste). Onorevole Emanuele Prataviera (Deputato Veneto). Prof. Gaetano Quagliariello (Senatore Abruzzo). On. Ettore Rosato (Deputato Friuli Venezia Giulia). Prof. Fabio Todero (Istitituto regionale per la Storia del Movimento di Liberazione – Trieste). Prof. Stefano Zecchi (Università degli Studi di Milano). Cavaliere Rodolfo Ziberna (consigliere regionale Friuli Venezia Giulia). Dott. Umberto Zuballi (Presidente del TAR Friuli Venezia Giulia).

Nota
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su infofvg.it il 31 agosto 2016, col titolo: “Memorial Nazario Sauro a Udine, 9 settembre 2016”.

Suggerimento di lettura:



sabato 20 agosto 2016

Strage di Vergarolla, memorial a Pola e Trieste, 18 agosto 1946-2016

«È prezioso il lavoro di quanti continuano a cercare la verità – ha detto Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia – a svelare anche minuti episodi di quel tragico giorno sulla spiaggia di Pola, a ricostruire un mosaico ormai sempre più leggibile nella sua nefandezza. Fu strage etnica e ideologica, fu un massacro di innocenti, fu la follia premeditata di uomini non sazi di sangue. La Regione Friuli Venezia Giulia anche quest’anno sarà presente».
Il giorno prima della cerimonia commemorativa di Pola, in Istria, la presidente Serracchiani ha comunicato la sua riflessione sulla strage di Vergarolla, a 70 anni dal tragico fatto. Accadde il 18 agosto 1946, quando sulla spiaggia della città portuale istriana, affollata per la popolare manifestazione di nuoto della “Pietas Julia”, lo scoppio di un grosso arsenale di esplosivo uccise oltre 80 perone.
«La visione dei corpi di donne e bambini che giacciono a terra, in questa nostra Europa oggi come allora, ci torturi a fondo e a lungo - ha concluso la Serracchiani - e sia l’immagine di un orrore che non siamo più disposti a rivivere».
La catastrofe è stata rievocata a Pola insieme al centenario del martirio di Nazario Sauro (10 agosto 1916) nelle cerimonie organizzate dalla locale Comunità degli Italiani e dal Libero Comune di Pola in Esilio, in collaborazione con il Consolato generale d’Italia a Fiume.
 La commemorazione, cui la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia è stata presente con l’assessore Francesco Peroni, ha avuto inizio alle 10,30 nel Duomo di Pola, per proseguire in largo “Vittime di Vergarolla”. Si è conclusa in quella che fu la tomba della Medaglia d’oro al valor militare Nazario Sauro. Ecco le parole di Francesco Peroni, assessore del Friuli Venezia Giulia al Coordinamento e Programmazione delle politiche economiche e comunitarie.
«Vergarolla settant’anni dopo ripropone, ancora più acuta, l’urgenza di rendere giustizia a tutte quelle vittime innocenti – ha detto Peroni – anzitutto a coloro che persero la vita in quel tragico 18 agosto, ma anche alle migliaia di superstiti, poi costretti a una sopravvivenza privata delle libertà fondamentali, oppure indotti a un doloroso esodo dalle proprie terre».
Trieste - Colle di San Giusto, autorità civili e militari al Parco Rimembranza in ricordo delle vittime della strage di Vergarolla. Fotografia di Laura Brussi 2016.

«Ricordare la strage di Vergarolla - ha aggiunto Peroni, nella cerimonia di Pola, oggi Croazia - non sia solo esercizio riparatorio di memoria collettiva, ma anche occasione di rinnovata coesione nei valori di convivenza democratica e di tolleranza". Secondo l’assessore regionale, quella tragedia rappresenta «un monito tanto più attuale in tempi come i nostri, nei quali forme di terrorismo sempre più agguerrite insanguinano, con la stessa violenza cieca degli assassini di Vergarolla, l’Europa pacifica e civile che vorremmo consegnare alle future generazioni».

Alle affollate cerimonie di Pola del 18 agosto 2016 hanno preso parte, tra gli altri, il vicesindaco e presidente della Comunità degli Italiani di Pola Fabrizio Radin, il sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio Tullio Canevari, il console generale d’Italia a Fiume Paolo Palminteri, il rappresentante dell’ambasciatore d'Italia a Zagabria Mattia Mazza e il presidente della Giunta esecutiva dell’Unione italiana Maurizio Tremul.
Trieste - Colle di San Giusto, il picchetto d'onore del Comune di Trieste, in tenuta storica con gonfalone, in ricordo delle vittime della strage di Vergarolla.  Fotografia di Laura Brussi 2016.

Networking & redactional di Elio Varutti
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Presento qui di seguito il Comunicato stampa emesso da Laura Brussi, autrice delle fotografie in questo servizio giornalistico su un'altra cerimonia commemorativa dell'eccido svoltasi a Trieste.

VERGAROLLA : UN GIUDIZIO STORICO E MORALE
NEL LXX ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO

La strage del 18 agosto 1946: un delitto contro l’umanità nel quadro della pulizia etnica dell’Istria. Vibrante ricordo patriottico nella commemorazione di Trieste. L’eccidio compiuto settant’anni orsono sulla spiaggia di Vergarolla, nei pressi di Pola, mentre era in corso una grande manifestazione sportiva, è passato alla storia come la massima strage di civili compiuta in Italia durante il Novecento, in periodo di pace: una   mano   criminale   fece   esplodere   circa   trenta   bombe   di   profondità   ad   alto potenziale, residuo bellico accatastato nelle vicinanze, il cui contenuto era pari a dieci tonnellate di tritolo.
Gli ordigni erano stati opportunamente disinnescati, ma qualcuno accese proditoriamente una miccia: le Vittime si contarono, secondo la testimonianza storica di Padre Flaminio Rocchi, in oltre cento, ma quelle che si riuscì a identificare furono solo 64: gli effetti della deflagrazione erano stati sconvolgenti ed allucinanti, come attestano le cronache del tempo. Non  si  debbono dimenticare   i   feriti, in numero   ancora   maggiore,   ed   a   più   forte ragione, coloro che rimasero mutilati e parzialmente invalidi; tanto meno, l’eroico Dottor Giuseppe Micheletti, rimasto ad operare nell’ospedale cittadino sino all’indomani, pur essendo stato informato che i suoi due bambini erano scomparsi a Vergarolla. Pola visse quella tragedia come l’atto finale di un’ingiustizia epocale che si sarebbe completata qualche mese più tardi con la firma del trattato di pace (10 febbraio 1947) e la perdita italiana della Dalmazia, di Fiume e di massima parte dell’Istria.
In effetti, fu a seguito dell’eccidio che caddero le ultime speranze, e che quella di scegliere l’Esilio, abbandonando tutto, divenne una decisione plebiscitaria, condivisa dal 92 per cento della cittadinanza (con un’incidenza analoga a quelle di tutta la Venezia Giulia trasferita sotto la sovranità dell’usurpatore).
L’Esodo fu un giudizio etico e politico, tanto definitivo quanto irreversibile, che il tempo e la storiografia hanno consolidato, ma che è bene confermare e ribadire: se non altro, perché non mancano voci, sia pure largamente minoritarie, che interpretano Vergarolla alla stregua di un fatto accidentale, se non addirittura di matrice Alleata, mentre è stato confermato, in specie dopo l’apertura degli Archivi britannici di Kew Gardens,   quello   che   tutti   avevano   compreso   immediatamente,   non   solo   a   Pola, ravvisando nella strage la lunga mano della polizia politica di Tito.
In questa ottica si colloca, lungi da una pur doverosa ritualità ripetitiva, la forte e sentita partecipazione alle iniziative che ogni 18 agosto ricordano quella sanguinosa pagina di storia, in cui caddero, a sedici mesi dalla fine della guerra, tante ulteriori Vittime innocenti della “pulizia etnica” (in maggioranza donne e bambini, per un’età media di 26 anni). Non poteva essere diversamente, e così è stato, per la celebrazione del settantennio, svoltasi a Trieste - ad iniziativa della Federazione Grigioverde e della Famiglia Polesana in Esilio -  davanti alla stele in pietra del Carso che, innanzi alla Cattedrale di San Giusto, affida i nomi dei Caduti alla “pietas” dei superstiti e dei posteri: una stele, giova ricordarlo, fortemente voluta dal compianto Generale Riccardo Basile, che per tanti anni aveva retto, e stretto in un unico abbraccio, Federazione e Famiglia.
Alla presenza delle Autorità civili e militari e del Gonfalone di Trieste decorato di Medaglia   d’Oro   al   Valor   Militare,   le   Vittime   di   Vergarolla,   dopo   l’allocuzione pronunciata con brevi e sentite parole dal Presidente della Federazione, sono state onorate con la Benedizione, con la recita delle preghiere di rito, e con la deposizione di omaggi floreali sulle note del Silenzio, seguita da quelle dell’Inno nazionale.
Oltre ai labari delle decine di Associazioni d’Arma riunite nella Grigioverde, ed a quelli   di   Lega   Nazionale,   Unione   degli   Istriani,   Famiglia   Polesana,   ed   altre Organizzazioni Esuli, è da sottolineare la commossa partecipazione di tanti cittadini, compresi   non   pochi   turisti   presenti   nella   Zona   Sacra   di   San   Giusto,   spesso inconsapevoli   della   tragedia   di   Vergarolla,   stante   la   colpevole   disinformazione perseguita per troppo tempo dall’Italia ufficiale.
In   buona   sostanza,   la   strage   del   18   agosto   1946   è   assurta   a   testimonianza emblematica della tragedia di un intero popolo: quello giuliano, istriano e dalmata, che aveva avuto il solo torto, per dirla con le parole di Maria Pasquinelli, di amare incommensurabilmente la sua Patria.
Ebbene, questa testimonianza è rivissuta nella celebrazione del settantennio, nell’omaggio perenne alle Vittime, e nel segno della speranza proposto dalla partecipazione dei giovani e dei bambini, quasi a sottolineare che da Vergarolla non scaturisce soltanto il pur commendevole e necessariamente commosso Ricordo, ma nello stesso tempo, un impegno di vita a lungo termine, in senso nobilmente patriottico, e quindi etico. I Caduti di Vergarolla sono presenti attivamente nelle menti e nei cuori di tutti gli Italiani di buona volontà, e lo saranno sempre.
                                                                                                                  Laura Brussi


Trieste - Colle di San Giusto, labari dell'associazionismo degli esuli presso la lapide con i nomi delle vittime della strage di Vergarolla.  Fotografia di Laura Brussi 2016.


L’opinione di Italo Gabrielli
Per descrivere il clima generale di vita degli italiani dell’Istria dopo l’8 settembre 1943 e anche dopo la Seconda guerra mondiale, sotto l’occupazione dei partigiani di Tito, cito l’intervento del professor Italo Gabrielli, esule da Pirano d’Istria, in merito al Giorno del Ricordo 2016. Avverto che il professore Gabrielli usa il termine di “genocidio” per le violenze perpetrate dai titini nei confronti degli italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia. Ciò in base alla prima definizione di “genocidio” data dal giurista polacco Raphael Lemkin, nel 1943. Tale approccio, tuttavia, non è condiviso da certi storici. 
«Quando si parla con gli anziani, le loro sofferenze vengono di nuovo alla luce come un fiume carsico. Alcuni ricordano le grida dei morituri sull’orlo dell’abisso o le testimonianze di un’agonia talvolta impietosamente lunga, mentre altri rammentano la perquisizione e l’arresto, spesso notturno, di cui i loro congiunti od amici furono angosciati ed atterriti protagonisti. Come dimenticare il vicino che non ritorna, le fughe in preda al terrore, le urla di una madre nell’apprendere che il figlio era stato vittima innocente del genocidio?
Come rimuovere lo sconforto derivante dall’ateismo di stato che si sarebbe voluto imporre, costringendo i sacerdoti a svolgere clandestinamente la propria missione, ed in tanti terribili casi a conoscere il dramma dell’estremo sacrificio non privo di agghiaccianti sevizie in odium fidei?
Tutto questo è scolpito a lettere indelebili nell’animo del popolo istriano, fiumano e dalmata, che invita tutti gli italiani di buona volontà a non dimenticare le enormi ingiustizie subite, tanto da costringere una grande comunità di 350 mila persone ad abbandonare la propria terra e quanto avevano di più caro, a cominciare dalle tombe sparse in almeno 300 cimiteri e lasciate alla protervia dell’usurpatore.

Nondimeno, si sappia che quel popolo non rinuncia alla propria fede ed alla propria speranza. Come il Vescovo di Trieste e Capodistria Mons. Antonio Santin ebbe ad affermare nella toccante Preghiera dell’Infoibato composta nel 1959, le vie dell’iniquità non possono essere eterne. In Croazia, in Slovenia, In Italia, nel mondo».
Trieste - Colle di San Giusto, esuli di Fiume (con bandiera) e di Pola alla cerimonia commemorativa per le vittime della strage di Vergarolla. Fotografia di Laura Brussi 2016.

Il commento di Carlo Cesare Montani
Mi sia consentito di aggiungere un commento del 2012 sulla strage di Vergarolla, scritto da Carlo Cesare Montani, esule da Fiume.
«La vigilia dell’esodo da Pola fu resa più drammatica dal citato eccidio di Vergarolla de 18 agosto 1946, in cui persero la vita oltre cento vittime, in maggioranza donne, madri di famiglia e bambini (l’età media dei Caduti che fu possibile identificare fu calcolata in 26 anni). Fu la strage più cruenta mai accaduta in Italia nel tempo di pace, per cause non naturali: in quella domenica di agosto tanti polesi si erano concessi una gita al mare in concomitanza con le gare di nuoto della Coppa Scarioni, ma andarono incontro ad un destino davvero tragico. Ventotto bombe di profondità, residuato bellico posto in prossimità della spiaggia previa opera di sicuro disinnesco, venero fatte scoppiare proditoriamente dando luogo ad una vera e propri ecatombe. Tutti percepirono subito quale fosse stata la matrice del delitto nell’intento di spingere all’esodo coloro che non si erano ancora rassegnati: ebbene, dopo 60 anni, l’apertura degli archivi inglesi di Kew Gardens (Foreign Office) ha confermato che la strage fu opera dell’OZNA, la polizia politica jugoslava, ed ha affidato i nomi di cinque responsabili alla memoria ed al giudizio dei posteri».
Trieste - Colle di San Giusto, autorità con esuli e i loro discendenti alla cerimonia per le vittime della strage di Vergarolla.  Fotografia di Laura Brussi 2016.


Trieste - Colle di San Giusto, il momento religioso in ricordo delle vittime della strage di Vergarolla. Fotografia di Laura Brussi 2016.

Cenni bibliografici e sitologici

- Italo Gabrielli, Dal ricordo alla fede ed alla speranza. Qualche riflessione nell’anniversario del Ricordo (10 febbraio 1016), Trieste, 2016, pag. 2, dattiloscritto.
- Italo Gabrielli, Istria Fiume Dalmazia. Diritti negati genocidio programmato, Trieste, 2011 (stampato da Lithostampa, Pasian di Prato, Udine), pag. 160.
- Carlo Cesare Montani, Esodo e foibe, Consiglio Regionale della Toscana, Firenze, Seduta solenne del 10 febbraio 2012 per il Giorno del Ricordo, pag. 6, dattiloscritto.
“La strage di Vergarolla”, «Difesa Adriatica», IV, 12 agosto 1950, p. 3.

mercoledì 17 agosto 2016

La stravagante arte di Lunazzi, Udine

Ancorata al Magic bus dei The Who, la vivacissima opera artistica di Luciano Lunazzi è il riflesso della sua filosofia del viaggio. Nato nel 1952 a Ovaro, in provincia di Udine, Lunazzi a sette anni si ritrova in Svizzera, frutto di quell’emigrazione friulana che si arresta solo nel 1967, secondo la sociologa Elena Saraceno
Luciano Lunazzi, "Afghan Truck", 2009, tecnica mista su cartone, cm 95 x 138.

Nel 1968 Lunazzi abbraccia la tendenza degli Hippies, i figli dei fiori, mossi dagli ingenui, ma sinceri slogan di pace, amore e libertà. Nel 1973 lascia la Svizzera per l’India, l’Afghanistan, il Pakistan, Grecia, Turchia e Iran.
Dopo tre anni rientra in Italia e, per problemi familiari, lavora come panettiere e pasticcere a Buja, in provincia di Udine, fino al 1979, vicino al padre e al fratello. Col 1980 è in Messico e poi in California, a Berkley, dove si ferma per otto anni.
Inizia a dipingere, da autodidatta, verso la metà degli anni Novanta, mentre si trova in Germania, per lavoro. Sperimenta tecniche pittoriche miste, soprattutto con colori acrilici, pennarelli su carta e collage. In Spagna decide di fare l’artista di strada e di vivere così. Si appassiona sempre di più al cartone come supporto delle sue pitture un po’ stralunate, che sembrano copertine di dischi, intendiamoci: di Long Plaing.
Sempre negli anni Novanta viaggia tra Colonia, Ibiza, Tenerife, Barcellona, San Firmino di Pamplona, Saragozza. Crea anche T-Shirt, vendute come le sue pitture al pubblico di strada fino al 2004.
Ritorna in Friuli e, trovando alcuni interessati alla sua arte, espone per la prima volta nel 2007 al caffé Caucigh di Udine. Collabora con varie associazioni culturali come “Venti d’Arte” e “Vicino / Lontano”. Inventa e dipinge la copertina del CD per i trent’anni di attività di Radio Onde Furlane.
Luciano Lunazzi. Fotgrafia dal sito web topartist.it

La sua forma artistica
Artista diretto e ironico, se non provocatorio. Egli utilizza vari segni tribali per i suoi stralunati disegni, come nella serie dei “Bamboccioni”, dei “Cagnolini nervosi” e degli innumerevoli “Magic bus”, con quelle assurde ruote fatte con i vecchi vinili. Qualche critico l’ha avvicinato a Richard Hamilton, uno dei promotori della Pop Art.
Lunazzi propone delle immagini surreali, impossibili, al limite della stravaganza, ma a modo loro esse paiono molto legate al vivere contemporaneo. Le sue opere, anzi i suoi cartoni “underground” sono un grido contro la violenza, sono un inno alla creatività esuberante, sono un Manifesto politico a riutilizzare materiali di scarto per dare loro la dignità, anche se effimera, di coloratissima ed ingegnosa opera d’arte.
È morto a Udine per un malore, a 65 anni, Luciano Lunazzi nella sua abitazione di via Albona, il 3 ottobre 2017.

Bibliografia
Raffaella Ferrari, Il meraviglioso magic bus si è fermato allagalleria d’arte La Piazzetta, Udine, cartoncino di sala, s.a.

Sitologia

lunedì 15 agosto 2016

Estetica del vecchio cane, disegni e testi di Giovanna Durì



L’autrice è un grafico editoriale dal 1979. Ha curato cataloghi e rassegne espositive per i primari illustratori della scena internazionale. Qualche nome fra i tanti: Lorenzo Mattotti, Gabriella Giandelli, Roland Topor, José Muñoz, Gianluigi Toccafondo, GuidoScarabattolo, Franco Matticchio, Giorgio Maria Griffa, Pia Valentinis, Stefano Ricci.
 
Giovanna Durì, Cani di strada, 2012

Ad un certo punto ha voluto cimentarsi lei, in prima persona, con il pubblico delle gallerie d’arte e col pubblico dei lettori. Sostenere che il risultato sia originale è dire poco. Il risultato è di una bellezza esclusiva. Certo “Vecchi cani”, opera del 2012, non è un prodotto per le grandi masse. Anzi il target è proprio limitato, selezionato o addirittura per certi intenditori.
Scrivere dei racconti e disegnare dei cani di razza non è cosa rara ed ha un certo target. Addirittura alcune stampe e disegni discreti possono essere visti nella sala d’aspetto di qualche studio veterinario. Scrivere delle storie e disegnare cani meticci comincia ad essere un fenomeno ristretto, con scarso target. Scrivere brevi brani e disegnare cani non di razza, per giunta vecchi, se non malandati, è un fatto raro, che farebbe ridere qualsiasi esperto di marketing delle vendite. Eppure Giovanna Durì ha scelto quest’ultimo settore di mercato. Anzi ci si è buttata a capofitto! Questo suo volumetto potrebbe essere un Manifesto in difesa della vecchiaia canina…
La sua non è una scelta per simpatia, per amore del più antico amico dell’uomo, debordante in qualche riflessione sdolcinata sulle care bestiole. La sua scelta di campo ha del rivoluzionario, nel senso che dal punto di vista etico e, persino, estetico tenta di rovesciare l’immagine collettiva che si ha del cane anziano, da compatire. Qui vengono enfatizzati nelle parole (poche) e nel disegno a matita – probabilmente con qualche sapiente tocco di pennello di china nera – la postura anomala, lo sguardo depresso e il non-sguardo (a titolo di sfida) di certi quadrupedi del genere canino. Più o meno claudicanti… C’è un forte senso di realtà in queste opere d’arte.
 Giovanna Durì, Felicita, 2012

Non sto a tediarvi sul ruolo del cane nella storia dell’arte. Ci sarebbero una quantità di citazioni da fare fino a domani mattina. Mi sovviene però una stampa di Rembrandt, perché si differenzia dal solito genere. Nel disegno in questione -“The Good Samaritan” è il titolo - e il delizioso quadrupede è stato riprodotto dal sommo maestro nella posizione più sconveniente che si possa immaginare, cioè mentre assolve alle sue necessità fisiologiche. In mezzo alla strada e dove sennò! Questa sequenza artistica è assai originale, poiché senza precedenti. Oggi i padroni educati, girano con paletta e sacchetto e raccattano le deiezioni canine. Purtroppo ci sono molti maleducati che si sono fermati ai secoli scorsi. E lasciano tutto lì sulla strada.

Allora molti pittori hanno ritratto cani di razza alle corti imperiali. Li si vede tutti belli e snelli sui divani, oppure rampanti nei boschi per la caccia, nei manieri, nelle case signorili, ma decisamente nessuno (che io sappia) si è mai sognato di ritrarre un vecchio cane malconcio.
Ecco dove sta la genialità di Giovanna Durì. Si è scelta i soggetti, col permesso dei loro padroni. Li ha anche fotografati, per poter disegnare poi con più materiali di lavoro, grazie alle immagini fotografiche. Per ogni ritratto ha scritto poche, ma centrate parole. Sono dei mini-racconti ambientati in città italiane. Si tratta di piccole storie di grande senso. Dicono tutto sul soggetto ritratto, sul suo carattere, sulla salute, sul muso, sulle orecchie, sul pelo, sulle zampe… Sono pure dei testi autoironici ed autocritici. Oddio, il volumetto è monotematico, però ha una sua forza estetica, non c’è dubbio.
L’autrice è riuscita a reperire persino una mini-bibliografia sul tema, riportata in fondo al libro. Dal punto di vista iconografico, penso che debba essere lei la prima al mondo che disegna certi cani vecchi bacucchi. Lo fa con una grande tenerezza, mostrando la dignità dell’essere peloso e rotondetto. Un essere che ha saputo dare un affetto inestimabile al proprio padrone.
 Giovanna Durì, Cani che non ti guardano, 2012

Il volumetto della Durì fungeva da catalogo per la mostra d’arte intitolata appunto “Vecchi cani, disegni di Giovanna Durì”, che si tenne nel mese di ottobre 2012 presso la Galleria Nuages, di Milano. Visto il successo e l’interesse riscontrato, l’esposizione fu replicata nel mese di aprile 2013 a Napoli, a cura dell’Associazione Culturale Hde e a Firenze, presso la Galleria Babele.
Non male per una principiante, nel senso che era la sua prima mostra d’arte in assoluto. Giovanna Durì ha scritto e disegnato anche sul tema del viaggio in treno. Anche in questo caso con grande scrupolo monotematico. Per chi fosse interessato, le sue composizioni sui passeggeri del treno sono presenti nel blog artistico “Doppiozero” sotto il seguente titolo della rubrica: “Per brevi tratti”.
Col volume “Vecchi cani” l’autrice ha inteso contribuire alla sensibilizzazione – così si legge nell’ultima pagina del testo – nei confronti dei vecchi cani abbandonati o rimasti soli. Parte del ricavato delle vendite è andato per beneficenza al Rifugio del cane delle città ospitanti la mostra: Milano, Napoli e Firenze.
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Commiato sui generis
Faccio una parentesi finale. Non c’entra coi cani, lo dico subito. Nemmeno coi cani invecchiati, però è collegabile con un altro animale. Di quelli con la ali. Mi ha colpito un recente romanzo di una scrittrice USA. È incentrato sul dipinto antico di un uccello variopinto. Quindi l’estetica dell’animale ha la sua importanza e il diritto di cittadinanza.
Il nome dell’autrice è Donna Tartt. È riuscita a scrivere 896 pagine (nell’edizione italiana) intorno al tema del cardellino. Punta tutto sulla quotidianità, sui fatti della vita, non pare irreale o esagerato. Ok, il tutto si svolge tra attentati molto attuali, droga, il Metropolitan Museum di New York, la desolazione delle informi periferie di Las Vegas e i placidi canali di Amsterdam, però con la “fissa” di quel pennuto pitturato nel ‘600. Vero è che si tratta de Il Cardellino di Carel Fabritius (1622-1654) dipinto a olio su tela nello stesso anno della sua morte. È una pittura minuscola: 34 x 23 cm. (Vedi: Donna Tartt, The Goldfinch, New York, Little, Brown and Company, 2013. Edizione italiana: D. Tartt, Il cardellino, Milano, Rizzoli, 2014).
Siccome la Tartt è proprio brava, le hanno assegnato il premio Pulitzer per la letteratura nel 2014. Tutto qui. È allora vero che alcuni animali (o la loro rappresentazione) sanno stupirci.
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La presente recensione è riferita a:
Giovanna Durì, Vecchi cani, Milano, Nuages, (1.a edizione: 2012), ristampa 2013, pp. 64 (non numerate, con 30 disegni b/n), euro 12.