mercoledì 27 giugno 2018

Le nostre radici a tavola, libro della Regione Friuli Venezia Giulia


Edito a maggio del 2018, è uscito un volume sui prodotti e sulla cucina friulana, giuliana e slovena. 

C’è pure un bel po’ di cucina del vecchio mondo asburgico: strudel, torta Sacher, goulasch, spätzli, gnochi de susini, chifeleti de patate e così via. C’è pure una capatina sulla gastronomia dei discendenti degli emigrati o sulle cucine degli emigranti dal Friuli Venezia Giulia verso Montréal (Canada) con la signora Mirella Predan, con polenta e costicine di maiale al vin blanc. Attenzione perché non si scherza coi macarons (gnocchi) di Lione (Francia), preparati dallo chef Michel Troisgros, nipote della nonna Anute Forte di Buja. È tutto merito dei Fogolârs Furlans sparsi nel mondo se si riesce a tenere i fili di tale collegamento con le varie realtà del globo. Chi se lo immaginerebbe mai che a Saigon (Vietnam) c’è un manipolo di friulani, che guidati da Daniele D’Odorico, organizza niente meno che la Sagra del frico, dove si può gustare anche il salam tal asêt (salame all’aceto). Vedi a pag. 37 del bel libricino culinario.
Non si possono scordare poi le ricette friulano-argentine, come il frico croccante di Luciana Bellina, oppure Los Crustulus (i crostoli) di Lucia Pergolesi di Reconquista, Santa Fe, o la gubana di Stefano Brumat di Buenos Aires.
 Il volume si intitola: Le nostre radici a tavola. La cultura del cibo legame con la terra d’origine. I prodotti e la cucina friulana, giuliana e slovena. È stato edito dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Direzione Cultura, Sport e solidarietà, Servizio corregionali all’estero. È stato prodotto in collaborazione con l’ERSA, Agenzia regionale per lo sviluppo rurale e con la partecipazione dell’Ente Friuli nel Mondo, l’Associazione Giuliani nel Mondo, l’Associazione Lavoratori Emigrati del Friuli Venezia Giulia (ALEF) ed altre consimili. L’elaborazione grafica è di Vittorio Regattin, art director del settimanale «Il Friuli». La pubblicazione è stata curata dall’editoriale “Il Friuli srl”, con sede a Tavagnacco (UD).
Gnochi de susine verti, riceta de Fiume

Molto interessanti sono le fotografie a colori e in bianco e nero, dotate di buoni riferimenti cronologici e topografici, assieme ad una breve bibliografia. In copertina spicca un’eccezionale fotografia di una festa paesana a Ialmicco di Palmanova, del 1946, con tutto il paese schierato attorno al tavolo del pranzo.
Come si legge nella Prefazione non firmata, il libro è “destinato ai nostri corregionali emigrati ai quali vogliamo far ricordare o riscoprire le ricette della tradizione friulana, giuliana e slovena. Dispiace che non ci sia un indice. Anzi, io avrei predisposto pure un indice per argomenti per questo gioiellino della gastronomia regionale, che contiene una scheda di un’illustre serie di prodotti locali nelle sue 152 pagine. Però devo confessare che, come sostiene mia moglie, a volte è meglio “tacere o scrivere di meno”.
Da ultimo si può rilevare come vi siano dei forti legami con la cucina dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, ma questo potrebbe essere il tema di un altro volume. In ogni caso, a mio parere, questo libro dovrebbe essere presente nelle biblioteche della regione e pure in quelle istriane, dalmate e del Quarnero.
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografia di G. A. Monti, che si ringrazia per la diffusione e pubblicazione in questo blog.
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Suggerimenti nel web

- Elio Varutti, Gnochi de susini de Fiume e de Veglia, on-line dal 22 agosto 2017.

- Gabriele Anelli Monti (Leo), Cucina d'Istria, Fiume e Dalmazia. Storia e ricette della tradizione culinaria istro-veneta, on-line dal 12 agosto 2017.

martedì 26 giugno 2018

Celje, città principesca della Slovenia, gita con l’ANVGD di Udine


La gita si è svolta domenica 24 giugno 2018 con vari soci dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine

Questo sodalizio è presieduto da Bruna Zuccolin. Tra i partecipanti alla gita c’era pure Bruno Bonetti, segretario dell’ANVGD di Udine. La bella gita, molto partecipata, è stata organizzata dall’ANVGD di Udine in collaborazione con l’Associazione Allergie e Pneumopatie Infantili (ALPI).
Celje è la terza città della Slovenia. E’ situata alla confluenza di 2 fiumi (Voglajna e Savinja), in magnifica posizione ai piedi delle colline. La città era nota in epoca celtica come Kelea, durante l’Impero romano come Civitas e poi Claudia Celeia. Per la sua bellezza e ricchezza fu chiamata “Seconda Troia”. Il castello racconta l'epopea dei potenti Principi, che portarono i loro domini fino a Belgrado. È stato esaminato in particolare il ruolo di Barbara von Cilli, una delle prime donne europee a gestire il principato alla morte del marito. La Stara Grofija o palazzo dei Conti, di impronta rinascimentale, è famoso per il soffitto, prima pittura laica slovena.

Sono stati poi visitati la piazza principesca (Trg Celjskih knezov), la chiesa gotica di S. Daniele, e altri palazzi interessanti. Il Museo della città e dei dintorni (Pokrarijnki Muzej) racconta la vita della città, dall’epoca preistorica a quella attuale. Il passo di Trojane sorge al passaggio dalla conca di Lubiana a quella del fiume Savinja ed è stato fin dall’antichità un importante stazione di transito e postale, testimoniata dai numerosi reperti archeologici.
Secondo la tradizione, qui sono stati “inventati” i krapfen, che vengono prodotti in milioni di pezzi ogni anno e diffusi in tutto il mondo; oltre che assaggiarli, si è potuto portarli a casa, in confezioni da asporto sottovuoto per mantenere l’originale fragranza.
Nel corso della gita sono state percorse alcune delle regioni più belle della Slovenia: Primorska, Kras, Gorenjska, Stajerska. Ci si è soffermati sulle loro caratteristiche e sui legami con il Friuli. Le “Alpi di Marmo” di Kamnik e le numerose colture di luppolo ci accompagneranno per buona parte del viaggio.

Programma del viaggio
ore 7.00 partenza da Udine, parcheggio via Chiusaforte , ex chiesa dei Cappuccini (dietro ospedale)
ore 10.00 arrivo a Celje, pausa per caffè, incontro con la guida, illustrazione del programma
ore 10.00 visita del museo della città e dei dintorni
ore 13.00 pranzo a base di cibi tipici
ore 15.00  visita del castello, con riferimento alla storia dei Conti di Celje e al primo nucleo statuale
sloveno
ore 16.30 passeggiata nel parco e nel laghetto di S. Martino
ore 17.30 partenza per Udine con sosta al luogo di produzione dei tipici krapfen
ore 20.30 arrivo a Udine.
Dal Museo della città

Alla gita hanno partecipato vari soci dell’ANVGD di Udine, come accennato. Del Consiglio Esecutivo, oltre al segretario Bruno Bonetti era presente anche Barbara Rossi (delegata amministrativa) e Gilberto De Randich, revisore del conto. Poi c’erano Giorgio Gorlato, esule da Dignno d'Istria, Renzo Piccoli (Fiume), Celso Giuriceo (Veglia), Laura Modesto Paulon (Fiume) e una decina di altri soci. Alcuni di essi erano i più anziani del gruppo, ma per energia e resistenza non temevano confronti, come ha ricordato Bruno Bonetti.
Celje è interessante, al di là di alcuni pregevoli edifici, per la bellezza del paesaggio (il verde tipico della Slovenia, lo sfondo delle Alpi di Kamnik, i caratteristici campi di luppolo), per i ricchi resti romani, per le vicende dei conti di Celje che hanno rappresentato la prima forma di unità statuale slovena, tanto che hanno lasciato le tre stelle in eredità alla bandiera dell’attuale Stato.
Bonetti ha aggiunto che: “Siamo stati meravigliosamente guidati dal dottor Mario Canciani, che oltre ad essere un famoso pneumologo, è anche un uomo di grande cultura e di notevole capacità divulgativa. Da vero mitteleuropeo, parla correntemente, oltre all'inglese, il tedesco e lo sloveno, e comprende pure il croato. Canciani è uno che non ha solo letto la storia sui libri, ma ha viaggiato, ha incontrato molti popoli, ha praticato alpinismo, per cui le sue spiegazioni non sono fredda erudizione ma assai vive”.
Ecco il gruppo di 48 gitanti dell'ANVGD di Udine al castello di Celje. Fotografia Gorlato

Si ricorda che Mario Canciani è nato a San Canzian d’Isonzo (GO), con avi di Dignano d’Istria. Poiché a Celje si sono incontrate/scontrate le culture tedesca e slovena, i nostri soci hanno particolarmente apprezzato i richiami storici, ritrovando molte similitudini con l’incontro/scontro tra italiani e croati in Istria, Fiume e Dalmazia.

Ottimo è stato il pranzo sull’alto di una collina che dominava la città e posta di fronte al castello; dolce il finale con la scorpacciata dei krapfen giganti di Trojane, il paese posto sul valico che porta da Celje a Lubiana.
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti, con appunti di Bruno Bonetti. Fotografie di Bruno Bonetti e di Giorgio Gorlato, che si ringraziano per la diffusione e pubblicazione in questo blog.

lunedì 25 giugno 2018

Civiltà Contadina in una Casa Museo a Sappada


È un museo originale e affascinante, sulla destra del fiume Piave.
In questa casa, del 1850 circa, hanno vissuto due fratelli di Sappada, ormai scomparsi: Antonio e Marianna Puicher (Puichar, in lingua locale). Il tetto è in scandole di legno. Le pareti sono in legno e con poca muratura a nord. La stalla, per una mucca, ed il fienile sono nello stesso corpo di fabbrica dell’abitazione. Le stufe in muratura sono senza il camino, perciò le stanze sono annerite dalla caligine. C’è la stanza per l’affumicatura di prodotti caseari e per i salumi. Il gabinetto cabinato è sul poggiolo all’aperto, con lo scarico a caduta libera.
Nell’interno dell’abitazione-museo si trovano interessanti suppellettili ben spiegate dal custode, con pittoreschi aneddoti. Il museo è proprio un punto di forza etno-antropologico di Sappada. Si trova nella Borgata di Cretta, all’estremità est del paese. È la prima borgata che si incontra arrivando da Cima Sappada e dal resto del Friuli. Il sentierino erboso per arrivare al museo a piedi è quasi di fronte alla Cappella della Santa Trinità. C’è un limitato parcheggio automobili vicino alla statale 355. Provenendo dal centro di Sappada, il museo è sulla sinistra, come detto in Borgata Cretta, a 100 metri dalla ex Caserma Fasil.

1.   Storia del paese tedescofono
L’origine di Sappada, secondo il sito web del Comune, è da risalire in base all’ipotesi più accreditata, ad alcune famiglie partite dall’Austria, per insediarsi nella vallata, probabilmente chiamate dai governanti del Patriarcato di Aquileia, che concessero l’autorizzazione all’insediamento. La datazione è incerta (X-XI secolo): la valle allora era disabitata, le famiglie iniziarono così opere di disboscamento e di coltivazione. Lentamente il paese prese forma: le quindici famiglie originarie andarono a formare le altrettante borgate che ancora oggi costituiscono Sappada. Nel 1500, ad affiancarsi all’agricoltura e alla pastorizia, arriva il commercio del legname, principalmente con la Repubblica di Venezia. La nascita delle prime opere pubbliche e delle scuole è da attribuire alla dominazione austriaca nel 1800. L’annessione al Regno d’Italia è del 1866.

Durante la Prima guerra mondiale molte battaglie furono combattute sulle vette sappadine: a testimonianza ci sono i fortini e i reperti risalenti all'epoca. Fra il 1916 e il 1917 Sappada fu evacuata per sospetti di simpatia filotedesca a causa del dialetto locale: la popolazione fu indirizzata verso la Sicilia, la Campania, le Marche e la Toscana.
Durante la Seconda guerra mondiale il paese fece parte della Repubblica libera della Carnia: molti furono gli scontri fra partigiani e tedeschi nella valle e qualche sappadino fu deportato nei campi di concentramento. Una volta terminato il conflitto, la situazione lavorativa costrinse molti abitanti di Sappada a cercare fortuna all’estero, soprattutto in Germania e in Svizzera. Il successivo sviluppo del turismo fece sì che la situazione cambiò e che molti potessero ritornare per dedicarsi al settore terziario.

Particolari costruttivi con la tecnica blockbau, con legno di conifere, ad incastro.

2.   Casa Puicher con altre informazioni dal web
La casa museo è stata abitata senza alterazioni sostanziali del suo assetto fino agli anni 1980-1985. È stata rilevata dal Comune di Sappada nel 1995. Poi è stata recuperata nel pieno rispetto dei principi del restauro filologico conservativo, per adibirle a Casa-Museo della Civiltà contadina della vallata. Qui i visitatori possono compiere un salto nel tempo e fare esperienza diretta dei luoghi, delle abitudini domestiche e dello stile di vita delle famiglie sappadine, a completamento della visita al Museo Etnografico di Cima Sappada, molto istruttivo. Il complesso di casa Puicher, “s’Kottlars”, è un interessante esemplare di abitazione a modulo semplice con annessa stalla-fienile, riferibile al secondo quarto dell’Ottocento.
Ecco altre spiegazioni con qualche parola in tedesco-sappadino. Entrati in corridoio (labe), che secondo l’impianto tradizionale attraversa da est a ovest l’edificio, al primo piano si trova la cucina (kuchl), annerita dal fumo del focolare aperto (heart o offns vair) che affumicava le vivande appese sull’affumicatoio (eisn) al soffitto. Tutt’altra atmosfera si respira nel tinello (kòschtibe), dove il rivestimento in legno isolava il calore della stufa in muratura a volta (kòchlouvn), posta nell’angolo e alimentata attraverso un’apposita apertura con portella in corridoio (ouvnloch).
Dopo aver visitato la camera da letto (kommer) al piano terra, si raggiunge il secondo piano attraverso la ripida scala del corridoio: qui si trova una seconda camera da letto e una cameretta (kemmerle) adibita a piccolo laboratorio per i lavori manuali, dove si possono osservare numerosi attrezzi in legno. Il ballatoio (pirl) corre su tre lati del secondo piano ed ospita, sul lato orientale, il piccolo gabinetto (gònk) a caduta libera. Il tetto conserva l’originaria copertura a scandole in legno di larice. A differenza della maggior parte delle abitazioni a Sappada, la stalla (schtòl) si trova qui accorpata all’edificio, al piano terra, non come fabbricato indipendente vicino alla casa. Al piano superiore, sul retro, ha posto il fienile (dille), in cui veniva conservato il fieno per il lungo inverno.
Vista da est, dal sentiero erboso che parte dalla statale 355

Accanto alla casa, in un orto (gòrte) vengono coltivate le verdure ed i cereali che potevano crescere in passato nella valle. Vicino alle patate (eapfl), che si raccolgono in autunno, vi sono i cappucci (kobaskepfe) utilizzati per preparare i crauti, le fave (poan), i piselli (orbasn) e diversi tipi di rape, come i ravanelli gialli (ravaneis), le rape rosse (roata ruibm) e bianche, rape per il bestiame (vihronkle). Il ciuffo del rafano (krean) troneggia sull’erba cipollina (schnittlaat), sulle cipolle (zbival), aglio (knouval), carote (moarn), bieta (piessl) e crescione (kresse), che si mangiava insieme all’insalata (solat). Tra i cereali, un tempo coltivati in campi interi, si possono riconoscere le spighe baffute dell’orzo (gèrschte) con cui si preparavano le minestre, la segale (rokke) che giunge a maturazione solo se seminata in autunno, l’avena (hober) data in pasto ai cavalli. I fiori azzurri del lino (hoor) ondeggiano in estate accanto ad altri fiori. come le calendule e ricordano gli ampi fazzoletti di terra a ridosso del paese.
Il lino veniva lavorato e tessuto in casa per confezionare biancheria e abiti. Nell’orto non mancano le erbe officinali e aromatiche (kraiter), come la menta (minzn), la malva (malva), la camomilla (komildn), l’assenzio (bermant) e il dragoncello (pèrschtròmm) con cui si condiva la ricotta acida (saurnschotte). Orto ricco di un insieme eterogeneo di varietà, che grazie al contributo delle signore sappadine ogni anno si arricchisce di nuove piante.
Finestra con scuretti chiusi, notare il fermascuretti in legno

3.   Informazioni su orari di visita
BORGATA CRETTA, 17 - 33012 SAPPADA (UD). Regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
Orario Museo dal 25 giugno al 14 settembre 2018: Lunedì, ore 17:00-19:00. Mercoledì   17:00-19:00. Venerdì 17:00-19:00.
Orario di agosto 2018: tutti i giorni (escluso la domenica) dalle ore 17.00 alle ore 19.00.
Ogni mercoledì (a luglio e agosto): Visita guidata con presentazione di prodotti tipici locali.
Biglietti: EURO 1,50 (BAMBINI FINO A 14 ANNI GRATIS) / GRUPPI EURO 1,50
Apertura su richiesta (solo per gruppi - numero minimo 10 persone) nei mesi di maggio e giugno - settembre e ottobre. Chiuso da novembre a maggio.
Telefono: 0435469126
Fax: 0435469107
Email:  info@plodn.info
CASA MUSEO DELLA CIVILTA' CONTADINA
Per altre informazioni sugli orari di apertura ed altro, contattare l’Ufficio Turistico locale: 0435 / 469131.
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4.  House Museum of the Peasant Civilization of Sappada
In Cretta township there is the ancient home Puicher s’Kottlars: the building, inhabited without substantial alterations of its structure until the eighties, was regained by the Municipality of Sappada in 1995 and recovered in full respect of the principles of philological conservative restoration and it has been used as a House-Museum of Farming.
Here visitors can take a leap in time and have direct experience of places, domestic habits and lifestyle of Sappada families, to complete the visit to the Museum of Ethnography. The complex home Puicher s’Kottlars is an interesting example of a simple form home with attached stable-barn, datable to the second quarter of the 19th century.
After entering the hallway (labe), which according to the traditional system crosses from east to west the building, on the first floor there is the kitchen (kuchl), blackened by the smoke of the open fireplace (heart or offns vair) that fumigated food hanging on the smokehouse (eisn) to the ceiling; a completely different atmosphere reigns in the dining room (kòschtibe), where the wooden coating isolated the heat of the masonry vault stove (kòchlouvn), located in the corner and fed through a special opening in the corridor (ouvnloch). After visiting the bedroom (kommer), from the ground floor you can reach the second floor through the steep stairs of the hallway: here is a second bedroom and a small bedroom (kemmerle) used as a small workshop for manual works, where you can see many wooden tools. The gallery runs on three sides of the second floor and hosts, on the eastern side, the small toilet (gònk) in free fall. The roof is covered with shingles made of larch. Unlike most homes in Sappada, the stable (schtòl) is merged into the building, on the ground floor, not as a separate building near the house. Upstairs, on the back, there is the barn (dille), in which hay was stored for the long winter.
Next to the house, in a garden (gòrte) vegetables and cereals are cultivated which could grow in the past in the valley: a heterogeneous set that, with the help of Sappada ladies, is enriched with new plants every year.
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Pochi metri a sinistra dalla Cappella della Santa Trinità, opera del 1727, sul lato opposto, c'è il sentiero erboso che porta alla Casa Puicher Museo di Sappada. Qui siamo sulla strada statale n. 355

5.  Museumshaus der bäuerlichen Kultur
Puicher s’Kottlars haus / schtòl
Das antike, von seiner Errichtung bis ins späte 19. Jahrhundert praktisch durchgehend bewohnte Puicher s’Kottlars Haus im Weiler Cretta, ist 1990 von der Gemeinde Sappada aufgekauft und nach strengen Denkmalschutzauflagen restauriert worden, um es als Museumshaus der bäuerlichen Kultur zu nutzen.
Der typisch bäuerliche Baustil und die Vielfalt der im angrenzenden Garten angebauten alpinen Nutzpflanzen lassen den Familienalltag vergangener Zeiten wiederaufleben und geben Besuchern die Möglichkeit, sich vor Ort mit den Gebräuchen und dem Lebensstil der früheren Einwohner Sappadas vertraut zu machen.
Die Anlage des Puicher s’Kottlars Hauses ist ein interessantes Beispiel für ein einfach konzipiertes Wohnmodul mit angeschlossenem Stall und Scheune aus dem zweiten Viertel des 19. Jahrhunderts.
An den traditionell in Ost-West-Richtung verlaufenden Flur (labe) im Erdgeschoss schließt sich die von der offenen Feuerstelle (offns vair) rußgeschwärzte Küche (kuchl) an, die auch zum Räuchern der Speisen im Rauchfang (eesn) diente; eine ganz andere Atmosphäre herrscht in der holzvertäfelten Wohnküche (kòschtibe) mit dem großen Kachelofen (kòchlouvn) im Eck, der über eine eigene Öffnung im Flur beschickt wurde. Der letzte Raum im Erdgeschoss ist das Schlafzimmer (kommer). Eine steile Stiege führt vom Flur in den zweiten Stock hinauf, wo sich ein zweites Schlafzimmer und eine als Werkstatt genutzte kleine Kammer (kemmerle) mit allerlei Werkzeug befinden. Ein Balkon läuft um drei Seiten des Obergeschosses; an der Ostseite befindet sich dort ein kleines Plumpsklo (gònk). Das Dach ist mit Schindeln aus Lärchenholz gedeckt. Im Unterschied zu den meisten anderen Wohnhäusern in Sappada / Plodn liegen Stall (schtòl) und Scheune (dille) hier direkt im Haus und bilden somit keine eigenen Gebäude.
Im Garten (gòrte) neben dem Haus werden Gemüse und Getreide angebaut, wie sie früher im Tal gediehen.
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Un suggestivo scorcio della Casa Puicher Museo di Sappada, in alto a destra, vista dal sentiero erboso che parte dalla statale 355
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Elio Varutti. Le versioni in lingua inglese (paragrafo 4) e tedesca (paragrafo 5) sono state riprese dai siti web del Comune di Sappada e da altri di interesse turistico, che si ringraziano per la diffusione e pubblicazione in questo blog.

giovedì 21 giugno 2018

Assemblea dell'ANVGD di Udine, 2018. Grande richiesta del sodalizio degli esuli giuliano dalmati


A Udine si è tenuta l’assemblea annuale dei Soci dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD). Era il giorno di mercoledì 13 giugno 2018, alle ore 11.00 presso la Sala "San Cristoforo" in Vicolo Sillio n. 4/B.
Udine, assemblea ANVGD - Donatella Modeo, Bruna Zuccolin e Elio Varutti. Fotografia Gorlato

Oltre alle comunicazioni della presidente Bruna Zuccolin, si è votato il bilancio consuntivo 2017 con la relazione delle attività svolte di tipo religioso, patriottico, culturale e ricreativo.
A titolo di esempio si riporta quanto è accaduto per le gite sociali. Sono state effettuate due gite con i soci, scelte in quanto prevedevano visite nei luoghi dell'Istria e perché proposte in collaborazione con i Comitati Provinciali di Gorizia e Pordenone. Parenzo, Pirano e Isola d'Istria, il 30 settembre 2017, c’è stato un viaggio di istruzione, di cultura e di incontro con le Comunità di italiani di Croazia e di Slovenia in dimensione europea. Promosso dalla Commissione Beato Odorico per la canonizzazione e il culto (di Udine e Pordenone) assieme ai Comitati Provinciali di Gorizia, Pordenone e Udine dell’ANVGD e dall’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste, l'escursione ha registrato addirittura 163 partecipanti.
La seconda gita ha avuto come meta Cittanova e Livade, il 15 di ottobre 2017. Cittanova, antica Neapolis, piccolo borgo di pescatori, dove accompagnati dalla guida d’eccezione Tullio Svettini abbiamo visitato la Loggia, l'antica basilica di San Pelagio e di San Massimo (VI sec.), con la sua cripta costruita sul modello di quella di Aquileia, il vicino Museo Lapidarium, dove si trova la collezione permanente delle lapidi antiche e medievali, ed Museo Gallerion, con la mostra dedicata alla storia della Marina da guerra austroungarica. Al termine c'è stato l'incontro con la locale comunità italiana. Si è poi andati a Livade, minuscolo centro di soli 200 abitanti, ma famoso per ospitare l’annuale festa del tartufo: un'occasione per degustare e acquistare specialità gastronomiche a base di tartufo, ma anche olio d'oliva, vino, miele, prosciutto, grappe locali.

Proprio nelle comunicazioni riguardo all’attività svolta nel 2018 la presidente Zuccolin ha riferito con orgoglio che: “solo per il Giorno del Ricordo 2018 l’ANVGD di Udine ha dovuto far fronte a 22 eventi richiesti dalla Provincia, dai Comuni, dalle scuole, dalle parrocchie e da circoli culturali”. Poi ha snocciolato i numerosi altri impegni istituzionali cui ha partecipato l’ANVGD coi i massimi dirigenti: presidente, vice presidente, segretario e delegata amministrativa.
All’assemblea hanno partecipato vari soci di persona e molti a mezzo delega. Si ricorda, per chi non l'avesse ancora fatto, di rinnovare l'iscrizione per l'anno in corso all’ANVGD di Udine.
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Sede dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD)
Comitato Provinciale di Udine:
Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine
telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 10-12
e-mail: anvgd.udine@gmail.com
Udine, assemblea ANVGD - Una parte del pubblico in sala
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Servizio redazionale e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria, che si ringrazia per la diffusione e pubblicazione.

domenica 17 giugno 2018

Foresti, libro di Silvia Zetto Cassano, di Capodistria, presentato a Udine


Alla Libreria Friuli sabato 16 giugno, alle ore 18, si è svolta la presentazione a Udine del libro di Silvia Zetto Cassano. Il volume, edito nel 2016, si intitola Foresti, ovvero: stranieri. L’autrice, nata a Capodistria nel 1945, ha vissuto l’esodo istriano il 16 agosto 1955 in camion con la nonna e la mamma. “È una saga familiare – ha esordito così Luciano Santin, pure lui istriano – incentrata sulle vicende di cinque donne, autrice inclusa e le sue ave del ramo genealogico”. Il romanzo è dunque storia veramente accaduta, con tanto di verifiche negli archivi, come precisa l’autrice a pag. 151, nelle note.
Silvia Zetto Cassano e Luciano Santin alla Libreria Friuli di Udine

La loro fuga è dovuta alle pressioni titine. Come si legge nel capitolo 14 alla madre Gemma, giovane vedova e maestra a Capodistria, verso il 1955, fu imposto un appuntamento pernicioso della sua ispettrice, con la scusa di bere un caffè. All’incontro si presenta anche un mellifluo addetto alle “relazioni tra la Zona A e la Zona B per favorire i rapporti con la minoranza italiana”. Il losco figuro propone alla maestra Gemma di fare la spia per i titini a pagamento. Ci sarebbe da controllare a Trieste la sede del CLN dell’Istria. “Senta un po’ – risponde Gemma – non so chi le ha parlato di me e cosa le abbia raccontato. Io la spiona non l’ho fatta mai, si figuri lei se posso cominciare adesso” (p. 134). È così che gli slavi buttavano fuori gli italiani dall’Istria durante la guerra fredda.
Nonna, madre e figlia sono esuli a Trieste alle baracche del campo di San Sabba, poi in quello di Santa Croce, un’area periferica con una forte presenza slovena. Così le donne si sentono foreste nella patria che tanto avevano anelato. Non solo, quando riescono ad uscire dalle baracche per un’abitazione decente, viene loro assegnata una casa nello steso rione a maggioranza slovena, il cui cimitero ha il memoriale con stella rossa dei partigiani caduti inquadrati nell’Esercito di Liberazione Jugoslavo. Dalla padella alla brace.
Silvia Zetto Cassano

Luciano Santin, nato a Pola nel 1947, esule a Lucca e Trieste, oltre che nipote del celebre monsignor Antonio Santin, vescovo di Trieste e Capodistria, ha fatto notare ai pochi ma attenti presenti che “in questo libro non c’è traccia di vittimismo autocompiaciuto, non c’è rancore, non c’è odio”. Sulla copertina del romanzo fa la sua bella mostra una stella rossa, un disegno di partigiani in battaglia, oltre alla fotografia dei genitori dell’autrice con una gruppo di amiche in una gita in bicicletta nel 1942. “Il disegno dei partigiani era nel mio libro di scuola – ha detto Silvia Zetto Cassano – mi ricordo ero in classe quarta ed era la prima volta che c’era un libro in italiano, era  di carta gialletta scadente, con figure in bianco e nero, in una si vedevano i partigiani col mitra a tracolla nascosti dietro un cespuglio; il titolo del brano di lettura era: Colpisci fratello i cani fascisti”.
L’istriana Silvia, sposata con due figli, oggi vive a Trieste. Con questo volume, molto curato nelle immagini da album familiare, ha aperto al pubblico il cassetto dei suoi ricordi e dei suoi affetti. È una testimonianza toccante, di forte coinvolgimento psicologico. Non è solo letteratura avvicinabile, per certi aspetti, a La miglior vita di Fulvio Tomizza, come ha riferito Santin. Foresti è opera di alto profilo morale e civile. Non a caso il volume nel 2017 ha ottenuto il premio Giacomo Matteotti, della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nel dibattito apertosi al termine delle relazioni, è intervenuto l’ingegnere Sergio Satti, decano del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), portando il saluto del sodalizio presieduto da Bruna Zuccolin. “Io ho apprezzato questa presentazione – ha detto Satti – mi ci riconosco, perché io sono di Pola e quando ero profugo a Umago, andavo a scuola con la coccarda tricolore e i miei compagni di classe mi picchiavano, ecco cosa c’era per gli italiani nel dopoguerra. Nonostante ciò ho capito che questo libro esprime serenità, non c’è odio, né rancore”. Al che Silvia Zetto Cassano ha accennato alla numerose presentazioni che va a fare nelle scuole sul tema dell’esodo istriano “come a San Vito al Tagliamento o al Liceo “Dante Alighieri” di Buie, portando un messaggio di convivenza di stampo europeo”.  

È intervenuto poi Gianni Busechian, nato a Capodistria nel 1948. “Siamo venuti via in sette familiari con la nonna – ha detto Busechian – era il 29 febbraio 1956 siamo fuggiti in camion con le mucche per continuare a fare i contadini in provincia di Trieste, pensate che mia zia con le amiche sono state pestate dai slavi perché parlavano italiano, son qua perché mia zia Idalia è nella fotografia sulla copertina de questo libro, è la terza da destra”.
Poi ci sono state tante altre domande e chiarimenti. Tra il pubblico si è notata la presenza del professor Angelo Viscovich, esule da Albona e di Elio Varutti, vice presidente dell’ANVGD di Udine, con parenti di Fiume e di Pola.
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Il termine foresti oggi nessuno usa lo più ma, nel secolo scorso, era ancora un termine ricorrente nelle terre tra Veneto e Istria, come si legge nelle alette di copertina. Dire foresti, dire ‘quei là’ era uno dei modi per ribadire il ‘noi’, per escludere gli intrusi, per marcare limiti non oltrepassabili. Probabilmente parole così esistono in ogni parte del mondo in cui i confini sono o sono stati ballerini, zone di blocchi, frontiere, sbarramenti, chek point, fili spinati, alt, di qua non passi, chi sei, da dove vieni, torna da dove sei venuto, resta a casa tua, non ti vogliamo, non vi vogliamo, vattene via. Frasi che per gli istriani, nel passato, si sono tradotte in tragiche ferite, a volte rimarginate, a volte no. Parole che ognuno dei protagonisti di questo libro, in un modo o nell’altro, prima o poi, nel corso della sua esistenza ha sentito pronunciare o, a sua volta, ha pronunciato.
Silvia Zetto Cassano in questo libro racconta storie di famiglia: è sempre un problema metterci mano, lo sa bene chiunque abbia provato a orientarsi su e giù per i rami del proprio albero genealogico. Sono grovigli, ma un groviglio è anche la Storia, quella con la maiuscola, lo sa bene chi se ne occupa per mestiere e con onestà intellettuale.

Storia e storie sono entrambe complicate, dovunque e in ogni caso. Ma lo sono e lo sono state di più in una terra da sempre in bilico come l’Istria, da sempre oppressa dalla continua necessità di definire e ridefinire identità miste, mescolamenti, imbastardimenti di lingue e dialetti e dalla conseguente di cambiare nomi, cognomi, toponimi.
Foresti racconta di persone semplici: contadini, pescatori, impiegati asburgici costretti a diventare soldati, serve, fioi de nissun, sartine, uomini che sposano donne foreste, donne che cercano l’Amore e trovano invece soltanto un marito, uomini che sanno da che parte stare quand’è il momento di scegliere, uomini che non lo sanno e si spezzano e non riescono a reggere gli urti troppo violenti delle guerre, donne che invece quegli urti li sanno reggere e procedono coraggiose finché hanno forza nella loro ostinata ricerca della felicità per sé e per i propri figli. Come ha fatto e fa ognuno di noi, con più o meno energia, con più o meno fortuna. Come continuano a fare anche oggi tutti i foresti che si spostano perché non hanno altra scelta, come accadde un tempo e come sempre accadrà.
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Gemma, la terza da sinistra e Sergio, genitori dell'autrice nel 1942 durante una gita in bicicletta nei dintorni di Capodistria. Si riconosce anche Idalia, la terza da destra. Archivio Silvia Zetto Cassano

Biografia dell’autrice
Silvia Zetto Cassano, è nata e vissuta a Capodistria fino all’età di dieci anni. «In una zona» – spiega a chi glielo chiede – «zona B, un posto in sospeso, non più Italia, non ancora Jugoslavia». Nel 1955, assieme a molte famiglie istriane, ha lasciato l’Istria. Si è stabilita a Trieste, si è sposata, ha avuto due figli. Ha cominciato a insegnare a diciott’anni; nel 1998 si è laureata in lettere con una tesi di storia del cinema. Ha organizzato laboratori, lezioni, interventi rivolti a scuole e associazioni sui temi della ricerca storica e del linguaggio delle immagini. Collabora da vari anni con la sede RAI del Friuli Venezia Giulia come autrice di trasmissioni e sceneggiati. Oltre a vari articoli su periodici, ha pubblicato nel 2003 “La casalinga inadeguata” per le Edizioni Biblioteca dell’Immagine. Nel 2017 per “Foresti” ha vinto il premio Giacomo Matteotti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
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Silvia Zetto Cassano, Foresti, Trieste, Comunicarte, 2016, pp. 180, fotografie in b/n, euro 19.
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Servizio redazionale e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Elio Varutti.

lunedì 11 giugno 2018

Fuga da Isola d’Istria nel 1953, perché papà è “nemico del popolo”


Arduino Coppettari mi racconta della sua vita al Centro smistamento profughi di Udine. “Siamo stati lì per un mese – ha detto – dove i bambini e le donne venivano separati dagli uomini nelle camerate; per mangiare si doveva andare alla mensa della Pontificia Opera Assistenza (POA) coi piatti de latta”.
Arduino Coppettari, in seconda fila con la camicia grigia, a un recente incontro dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD)



È uno dei tanti ricordi dell’esodo giuliano dalmata, quello di Arduino Coppettari, nato a Isola d’Istria nel 1950. Ora vive a Nogarole Rocca, in provincia di Verona. Ha un modo di parlare un po’ ridicolo. Mi perdonerà il signor Arduino se scrivo così, ma egli parla in dialetto istriano con un forte accento romanesco. Ecco perché fa un po’ sorridere. Anche questi sono gli esiti della profuganza. 
“Dopo de Udine – ha continua Arduino – ci hanno messo nel Centro raccolta profughi (CRP) de Latina per tre anni, là è poi sorto il Villaggio Trieste, per dare una sistemazione abitativa ai profughi e se fazeva ‘na coda per magnar dalla mattina alle 10, perché se zera in 3.000, compresi i senza tetto de Montecassino”.
Allora domando quando sono fuggiti sotto la pressione e le violenze titine. “Siamo venuti via nel 1953 – ha replicato il signor Coppettari – perché mio papà, nativo de Rovigno, era stato dichiarato nemico del popolo. Cattivi, ci hanno inculcato il terrore di essere fascisti”. Fanno dispiacere certe etichette, così tanto che “ancor oggi, da pensionato, viene un po’ di emozione” – mi dice Arduino, col groppo in gola. È il tipo di fuga che hanno dovuto attuare che lo fa star male. Io non voglio andare avanti con l’intervista. Il signor Arduino si rimette in sesto, così decidiamo che non c’è tempo per andare a fondo su questa parte dell’accaduto.
“Al CRP de Latina – ha aggiunto il signor Coppettari – i omini uscivano alle 6 per andare al lavoro e si doveva rientrare entro le ore 19 al corpo di guardia, ci presero le impronte digitali, eravamo nella vecchia caserma dell’82° Reggimento Fanteria, c’erano tanti de Rovigno, oggi lì c’è l’università”.
Ci sono altri ricordi? “Ricordo che una mia bisnonna era Francesca Fabris – ha spiegato Arduino – e  un nonno bis lavorava alle poste tra Canfanaro e Rovigno sotto l’Austria, eh! Mi raccontavano che è stata proprio l’Austria dopo il 1848 a slavizzare tutto in funzione anti-italiana in un’Istria che era italiana al 95 per cento. La gente di Latina diceva che eravamo slavi e al lavoro a Udine in ferrovia, siccome provenivo da Latina, i colleghi si dicevano tra loro: Viôt che chel li al è teron (Attento che quello lì è terrone)”. Per la cronaca, Arduino Coppettari è l’intervistato n. 363 del mio archivio.
Cartolina da Neresine. Foto da Internet

Altri racconti del popolo in fuga
“Io sono esule da Pirano, Zona B, siamo fuggiti tra il 1958 e il 1959” – ha esordito così il signor Claudio Apollonio, cresciuto a Bertocchi, frazione di Capodistria, fino al 1953. “Ci siamo dovuti dividere in famiglia – ha spiegato il signor Apollonio – siamo venuti via un po’ per mare e un po’ per terra, così non ci hanno presi e siamo riusciti ad arrivare a Trieste, dove siamo stati ospiti del Campo profughi della Risiera di San Sabba per sette giorni”.
Poi cos’è successo? “Poi siamo stati al Centro smistamento profughi di via Pradamano a Udine, mi ricordo che da bambino mi piacevano tanto i reni ed andavo a guardarli allo scalo vicino al campo profughi, poi la mia famiglia ha avuto la casa a Busto Arsizio, lì i giovani si sono sposati e si è messo su famiglia”.
Vi hanno mandato in qualche altro Centro raccolta profughi? “Sì – ha concluso il signor Apollonio – abbiamo vissuto per sette anni al Villaggio San Marco di Fossoli di Carpi, in provincia di Modena, mi ricordo di quel posto perché i miei genitori facevano l’albero di Natale e per addobbarlo usavano delle semplici arance, era bellissimo”.
Un altro intervistato ricorda un battesimo del 1959 a Dignano d’Istria, in pieno regime jugoslavo di Tito. “Metà della mia famiglia è esule e l’altra metà è rimasta – ha detto Livio Sessa – così in estate negli anni 1950-1960 andavo dagli zii a Dignano e lavoravo con loro nei campi, se parlava istrian e croato. Per passare i confini c’erano dei severi controlli da parte dei graniciari, che temevano fughe di giovani verso Trieste e mi ricordo il battesimo di un mio parente, io facevo da santolo, era il 1959, non si poteva andare dai preti secondo i titini, così si esce di sera tardi e si va in chiesa a Dignano per battezzare il piccolo, poi si rientra a piccoli gruppi per non dare nell’occhio, è andato tutto bene”.
Ho trovato dei discendenti di esuli istriani persino tra i tecnici di Telefriuli, dove sono stato invitato per una trasmissione sui temi storici. “Sa che i miei nonni e i miei bisnonni erano di Pola – mi dice il signor Gabriele Gustin, mentre mi sistema il microfono per la diretta sui temi dell’esodo giuliano dalmata – pensi che ho parenti nell’Indiana (USA) e in Australia”. Posso raccontare anche di lei? “Sì, ma adesso devo andar nell’altra sala”.
Tessera dell'ANVGD del 1959. Coll. privata Udine
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Fonti orali
L’autore desidera ringraziare gli intervistati, che hanno accettato di raccontare la propria esperienza di fuga dalla Jugoslavia, anche se tragica e disorientante. L’intervista a cura dello scrivente si è svolta a Udine con penna, taccuino e macchina fotografica, se non altrimenti indicato.
- Claudio Apollonio, Capodistria 1947, esule a Busto Arsizio (VA), int. telefonica del 2 giugno 2018.
- Arduino Coppettari, Isola d’Istria 1950, esule a Nogarole Rocca (VR), intervistato a Padova il 9 giugno 2018.
- Gabriele Gustin, trentenne, tecnico audio di Telefriuli, int. a Tavagnacco (UD) del 9 febbraio 2018.
- Livio Sessa, Trieste 1942, int. del 19 maggio 2018, con ricordi su Pola e Dignano d’Istria.

Bibliografia ragionata
- Elio Varutti, Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni, Udine, Provincia di Udine / Provincie di Udin, 2017. Anche nel web.

- Esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia fino in Sicilia? Ebbene sì, ben tre erano i Centri Raccolta Profughi (CRP) attivati nell’isola: a Termini Imerese, provincia di Palermo, a Cibali, quartiere di Catania e a Siracusa. Vedi l’interessante libro di Fabio Lo Bono, Popolo in fuga. Sicilia terra d’accoglienza. L’esodo degli italiani del confine orientale a Termini Imerese, Lo Bono editore, Termini Imerese (PA) prima edizione 2016, seconda edizione 2018.


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Servizio redazionale, di fotografia e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti.

domenica 10 giugno 2018

Stati d’animo nella pittura di Previati e Boccioni, Ferrara, Palazzo dei Diamanti


Gioia, felicità, estasi, ansia, depressione, melanconia. Le condizioni della vita umana possono essere trasposte in pittura? Ci ha provato a dimostrarlo la mostra d’arte a Palazzo dei Diamanti di Ferrara. In funzione dal 3 marzo al 10 giugno 2018, il titolo della rassegna era “Stati d’animo. Arte e psiche tra Previati e Boccioni”.
Giovanni Segantini, L’amore alla fonte della vita, 1896, Galleria d'Arte Moderna di Milano, olio su tela, 72 x 100 cm. Fotografia di E. Varutti

Diciamo subito uno dei meriti di questa rassegna era l’utilissima audioguida. Vi chiederete come può un banale aggeggio di comunicazione essere così determinante nel valutare in modo alto il livello di questa esposizione. Erano proprio i testi, pronunciati in fine modo, ad essere ben predisposti. Chiarissimi, non lunghi, ma soprattutto raggruppati per sala. Nel senso che pigiavi il tasto 1 e ti venivano fornite le informazioni su  tutte le opere della sala 1. Sarà l’uovo di Colombo, ma molte altre mostre recavano la numerazione per opera singola, cosicché i visitatori erano costretti a fare delle acrobazie dell’occhio occhialuto per diteggiare bene il 168, per esempio, nelle sale con fioca luce, quella per non rovinare le stampe. Il contenuto dei testi, poi, era facile da seguire. Era senza sbavature o altisonanti vocaboli utili a mandare in visibilio solo gli storici dell’arte. 
Umberto Boccioni, Autoritratto, 1909. Carboncino, tempera e pastello su carta. Fotografia di E. Varutti
  
L’esposizione portava l’ospite tra gli imperscrutabili spazi dell’anima alla fine dell’Ottocento. Il mondo era in pieno positivismo. Scienziati, ricercatori e letterati facevano a gara per analizzare i più nascosti ripari della psiche. C’è chi usava persino droghe o l’alcol per far accrescere le potenzialità artistiche. Qualcuno, tra i più visionari, sperimentava linguaggi visivi mai visti. Sperava così di aprire gli spazi dell’immaginazione dando forme agli stati d’animo.
Tra le più notevoli figure artistiche presenti nell’originale rassegna si poteva trovare, tra divisionismo e simbolismo Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli e Medardo Rosso. Con le loro opere più spinte entrarono a gamba tesa nel dibattito artistico europeo. Un ruolo del tutto significativo ebbe il divisionista ferrarese Previati. Egli è considerato – come si legge nel sito web della mostra – uno dei principali interpreti della poetica degli “stati d’animo” per la sua attitudine a esplorare l’universo delle emozioni umane e trasporle in immagini fortemente coinvolgenti e al tempo stesso evanescenti e fluttuanti come vibrazioni emotive.
Una suggestiva pittura di Angelo Morbelli, intitolata "Era già l'ora che volge il desio", 1910-13; olio su tela, 104 x 175 cm. Collezione privata, courtesy Studio Paul Nicholls . Fotografia di E. Varutti

“L’esposizione Stati d’animo. Arte e psiche tra Previati e Boccioni è frutto di un lavoro di scavo delle fonti e di revisione critica condotto dai curatori della mostra e da un comitato scientifico composto da studiosi di fama internazionale, affiancati dagli autorevoli specialisti che collaborano al catalogo – così prosegue il comunicato stampa –. Grazie al sostegno di grandi musei europei e americani e collezionisti privati è stato possibile ottenere prestiti del tutto eccezionali, dalla Beata Beatrix di Dante Gabriel Rossetti delle National Galleries of Scotland al Fugit Amor del Musée Rodin, dal pellizziano Ricordo di un dolore dell’Accademia Carrara alla Risata di Boccioni proveniente dal MoMA, e raggiungere l’obiettivo ambizioso di rileggere da un punto di vista inedito quel cruciale passaggio di secolo”.
Max Klinger, Brahmsphantasie, Opus XII, 1894, Accordi, Calcografia, acquaforte e mezzatinta. Fotografia di E. Varutti

In conclusione: finalmente una mostra con un capo e una coda. Non con titoli suadenti e delusioni sul piano estetico, come capita in un certo ambiente veneto. Là troviamo alle pareti una secondaria opera di un grande nome assieme a 200 croste o quasi. Là c’è un forte impegno pubblicitario per attirare tanti polli da spennare, apparati critici di secondo livello, code interminabili anche sotto il sole, per via degli sconti ai gruppi e un’esteticaccia di cassetta.

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STATI D’ANIMO. Arte e psiche tra Previati e Boccioni. Ferrara, Palazzo dei Diamanti. 3 marzo – 10 giugno 2018.
Organizzatori: Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara.
A cura di Chiara Vorrasi, Fernando Mazzocca, Maria Grazia Messina. Allestimento: Antonio Ravalli Architetti.
Umberto Boccioni, La risata, olio su tela, 1911, 100,2 x 145 cm., Museum of Modern Arts di New York. Fotografia di E. Varutti
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Servizio redazionale, di fotografia e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Le riproduzioni fotografiche potrebbero non essere conformi agli originali colori dell'opera.
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Riferimenti personali  nel web sul futurismo


- Giacomo Varutti, Convegno futurista del 1938 a Milano ed altri cinque racconti. Convegno futurista con Marinetti, on line dal 10 novembre 2014.