venerdì 28 febbraio 2020

Le Case Penso e Unione dei costruttori Conighi di Fiume, 1908

Che emozione vedere le vecchie fotografie delle case edificate nel 1908 a Fiume. È la signora Marinella Bolzon a mostrarmele, perché un avo di suo marito lavorava a Fiume nei primi anni del Novecento. Fanno parte dell’Archivio Pietro Fabbro, esule da Fiume a Udine. L’impresario edile Pietro Fabbro, originario di Majano (UD), lavora per l’impresa Carlo Conighi di Fiume e Abbazia nel 1908-1909 nei cantieri di Casa Penso e Casa Unione (1^ casa). Il momento dell’archiviazione fotografica da parte della ditta Fabbro deve essere successivo ai tumultuosi momenti della Marcia su Fiume, poiché Casa Penso viene segnata in via G. D’Annunzio, mentre prima del 1919 era via del Municipio.
Fiume, Particolare di Casa Unione (1^ casa), in via Buonarroti, dell'Impresa C. Conighi, 1908. Archivio Pietro Fabbro, di Fiume esule a Udine
In un altro archivio familiare si sono trovati documenti esclusivi riguardo al sodalizio lavorativo tra la ditta Fabbro e i costruttori Conighi di Fiume. In una dichiarazione, datata 30 giugno 1909, dell’ingegnere Carlo Alessandro Conighi di Fiume (Trieste 1853-Udine 1950), ingegnere e presidente della Camera di commercio e industria di Fiume, confermata dal locale Civico Ufficio Tecnico, sezione Pubbliche costruzioni, infatti, risulta che i lavori di “costruzione di una casa del signor Luciano Penso, in via del Municipio” sono iniziati il 1° ottobre 1906. Il direttore dei lavori in cantiere è il figlio, ossia l’architetto Carlo Leopoldo Conighi (Trieste 1884–Udine 1972), architetto ed esponente, col padre ed altri costruttori, della Sezession a Fiume, legionario dannunziano e dirigente, dopo il 1946, dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine (Collez. Famiglia Conighi esule da Fiume, Udine, ms).
La fotografia della Casa Unione (1^ casa) è riferibile al 1908-1909, intendendo così l’apertura del cantiere, mentre lo scatto fotografico, pure in questo caso come per Casa Penso, deve essere degli anni ’20 inoltrati. I costruttori Conighi operano anche negli anni ’20, ma le imprese regnicole sanno farsi sempre più strada, mettendo in crisi l’impresa familiare locale. Nel 1928 i Conighi si iscrivono all’Albo degli Ingegneri provinciale. Col n. d’ordine 14 risulta iscritto “Conighi Carlo comm., di Carlo” come ingegnere civile (Sindacato Provinciale, p. 12-3). Nello stesso Albo, compare nell’Elenco speciale degli Architetti al n. d’ordine 2 “Conighi Carlo jun., di Carlo”, che di professione dichiara “impiegato FF.SS.”, ciò che rese incompatibile la sua ulteriore libera professione (Sindacato Provinciale, p. 28-9).
Fiume, Casa Penso, in via G. D'Annunzio, dell'Impresa C. Conighi, 1908. Archivio Pietro Fabbro, di Fiume esule a Udine

La Banca d’Italia, filiale di Fiume
I costruttori Conighi, verso il 1912, aprono il cantiere per edificare il palazzo che sarà della Banca d’Italia, in via G. Ciotta. Il direttore dei lavori è sempre l’architetto Carlo Leopoldo Conighi, con l’impresa del babbo suo, come emerge dalle carte familiari.
Cito studi recenti in merito, anche se contenenti analisi economiche e territoriali discutibili: “Il 1° dicembre 1921, dopo che il Trattato di Rapallo aveva istituito lo Stato Libero di Fiume, su invito del commissario governativo fu aperta una dipendenza della Banca d’Italia con la formula dell’ordinamento speciale, come “filiale a Fiume”. La filiale assunse anche le operazioni dell’Istituto di Credito del Consiglio Nazionale, che, diretto da Ettore Rosboch, aveva svolto le funzioni di “banca centrale” durante la reggenza dannunziana. Lo stesso Rosboch fu assunto presso la nuova filiale.
A Tolmino il 30.1.1922 è istituita un’agenzia funzionante dal 25.9.1922 e cessata il 1.3.1934. Analogamente a Postumia, un’agenzia, deliberata nel 1923, fu aperta solo nel 1927. Tre delle agenzie chiuse, Bressanone, Tolmino e Postumia, si trovavano nelle “terre redente” dove la Banca era stata sollecita a insediarsi secondo le direttive del governo, e dove era rimasta per “spirito di italianità”, pur sopportando perdite economiche, dal momento che si doveva ammettere l’assoluta inattività di quelle dipendenze poste agli estremi confini del Regno, in zone alpestri dove né agricoltura né commercio avrebbero potuto allignare” (Battilocchi e Melini).
Fiume, sede della Banca d'Italia in via G. Ciotta, opera dell'impresa C. Conighi di Fiume e Abbazia in stile neogotico. Cartolina dal web

La fattura dell’esodo
Nel dopoguerra i Conighi si arrabattano tra problemi dell’esodo, qualche lutto e gli indennizzi dei beni persi. Le carte che ho rintracciato nella medesima collezione familiare, infatti, ci fanno fare un salto nel tempo. Si passa al 1945 e al periodo del dopoguerra, quando da Fiume c’è l’esodo di oltre 30 mila italiani. Funziona il Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara, con sede a Roma. A maggio del 1948 detto Comitato dà consigli per il diritto d’opzione, previsto dal Trattato di Pace.
Gli esuli cercano di recuperare qualcosa dai danni di guerra e per i beni abbandonati e sequestrati dal governo iugoslavo. Il giorno 11 marzo 1959 in una lettera rivolta al Ministero del Tesoro i tre fratelli Calo Leopoldo, Giorgio e Cesare Augusto Conighi riguardo alla richiesta dei danni di guerra della casa paterna sita in via Tiziano 29 a Fiume, colpita dai bombardamenti angloamericani, menzionano i lavori di ristrutturazione effettuati dal 25 settembre 1945 al 20 agosto 1946 e saldati per una somma di 140 mila lire proprio alla ditta Pietro Fabbro di Fiume. Coincidenza vuole che pure l’impresario Pietro Fabbro sia esule a Udine, come il vecchio commendatore Conighi e il figlio, l’architetto Carlo Leopoldo Conighi, mentre Giorgio è a Trento e Cesare Augusto a Roma. Alla documentazione per il Ministero, oltre alla perizia dell’ingegnere Pietro Bacci, del Comune di Fiume, datata 31 luglio 1946, c’è la fattura dell’Impresa di costruzioni di Pietro Fabbro, con sede a Fiume, in piazza Dante (dicitura annullata con segno dattilografico) e nuova sede a Udine in via Grazzano, 79. È la fattura dell’esodo. Lascio intendere al lettore quanto hanno ricevuto i Conighi per tali danni bellici, considerato che gli indennizzi, come hanno raccontato vari esuli e i loro discendenti, sono stati pari al 7 fino al 14 per cento del valore del bene abbandonato o perso.
La fattura dell'esodo. Prima di abbandonare Fiume Carlo Alessandro Conighi fa riparare casa sua, dopo i bombardamenti angloamericani. Collezione Famiglia Conighi, esule da Fiume, Udine, dattiloscr.

Certi Conighi sono profughi a Trieste, poi Belluno, Forlì, Modena e Ferrara. Alcuni gruppi di loro affini si sparpagliano tra Udine, Trento, Firenze, Roma, Norimberga, Klagenfurt, Zagabria e in Svizzera, mentre certi cari amici di famiglia riparano a Bolzano. La situazione di tale clan familiare è emblematica. Rappresenta il vissuto delle genti di frontiera, nel significato dato dallo scrittore Fulvio Tomizza, letto e apprezzato più volte nelle famiglie stesse. Di recente un altro giovane romanziere ha descritto con grande intensità l’epopea delle famiglie italofone e slavofile al confine orientale tra le due guerre del Novecento; si tratta di Maurizio Mattiuzza.

Documenti originali
- Archivio Pietro Fabbro, esule da Fiume a Udine, fotografie 1908-1909. Collezione privata, Udine.
- Dichiarazione dell’ingegnere Carlo Alessandro Conighi di Fiume sull’attività professionale del figlio Carlo Leopoldo Conighi, 30 giugno 1909, Collez. Famiglia Conighi esule da Fiume, Udine, ms.

Fonte orale
- Marinella Bolzon, intervista di E. Varutti del 20 gennaio 2020, Udine.

Cenni bibliografici
- Angelo Battilocchi e Marco Melini, “La banca centrale e il territorio. Le strutture periferiche della Banca d’Italia”, «Quaderni dell’Archivio storico», n. 3, 2017. Anche nel web.
- G.P., “Chiudiamo la partita dei profughi”, «Tempo», 8 giugno 1958.
- Maurizio Mattiuzza, Malaluna, Milano, Solferino, 2020.
- Sindacato Provinciale Fascista Ingegneri di Fiume, Albo degli Ingegneri della provincia di Fiume, Arti Grafiche Ad. Kirchhofer, Fiume, 1932, X.
- Fulvio Tomizza, La miglior vita, Milano, Rizzoli, 1977.
Lettera del giorno 11 marzo 1959 al Ministero del Tesoro dei tre fratelli Calo Leopoldo, Giorgio e Cesare Augusto Conighi riguardo alla richiesta dei danni di guerra della casa paterna sita in via Tiziano 29 a Fiume. Collezione Famiglia Conighi, esule da Fiume, Udine, dattiloscr.
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Servizio giornalistico di Elio Varutti; ricerche storiche e Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine.– orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
Modello del Comitato per Venezia Giulia e Zara, sede di Roma per il Diritto d'opzione dei profughi giuliano dalmati. Collezione Famiglia Conighi, esule da Fiume, Udine, stampato

Intestazione dell'Impresa Conighi, da una carpetta della ditta. Collezione Famiglia Conighi, esule da Fiume, Udine, stampato

Fiume, Casa Unione (1^ casa), in via Buonarroti, dell'Impresa C. Conighi, 1908. Archivio Pietro Fabbro, di Fiume esule a Udine

Carlo Alessandro Conighi, foto da un disegno di Gino Leoni, del 1926, firmato a sinistra. Collezione Famiglia Conighi, esule da Fiume, Udine

Pola, giugno 1916, Carlo Leopoldo Conighi in divisa da artigliere austriaco. Collezione Famiglia Conighi, esule da Fiume, Udine

giovedì 27 febbraio 2020

Luigi Del Vita, bersagliere da Montevarchi ucciso nell’eccidio di Tolmino, 1945


I massacri dei titini, dopo il 1945, anche in Toscana come in altre parti d’Italia hanno lasciato qualche famiglia che non si dà pace per la perdita di un proprio parente. C’è da dire che l’Italia di Mussolini, con Hitler e soci, aveva invaso la Jugoslavia nel 1941. Poi mutarono le sorti del conflitto.

Succede a Montevarchi, in provincia di Arezzo, un comune italiano di 24.481 abitanti. È il caso di Luigi Del Vita, un bersagliere diciannovenne del Reggimento Volontari “L. Manara”, I Battaglione “B. Mussolini”. È figlio di Mario, nato a Montevarchi (AR) il 14/09/1926. La data della sua scomparsa o uccisione è fissata al mese di maggio 1945 in località “Tolmino-Santa Lucia”, nella provincia di Gorizia del Regno d’Italia, oggi Slovenia. Questi sono dati contenuti nell’Elenco “Livio Valentini”, Caduti Repubblica Sociale Italiana, disponibile in Internet. Del Vita stava nello stesso reparto del tenente Oscar Busatti, di Ferrara, di cui il redattore del blog presente ha già scritto qualche giorno fa.
In una fotografia della collezione familiare Luigi Del Vita si è fatto ritrarre in sella ad una bicicletta, con la sigaretta in mano, forse per mostrare qualcosa di più dell’età che aveva e la dedica è tutta per la “mamma Pasqualina”. La famiglia Del Vita era molto nota a Montevarchi, tanto che si ricorda il nonno Giustino, perché sin dal 1902 aveva aperto un’edicola cartolibreria, che divenne un punto di riferimento in paese (Vezzosi; vedi in Bibliografia). Nonno Giusto in effetti è citato, a pag. 1626, come “cartolaio” del mandamento di Montevarchi nell’Annuario d’Italia, Guida generale del Regno, Roma, Bontempelli, anno XIV, disponibile alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.
Il bersagliere Del Vita Luigi di Montevarchi, classe 1926, della 3^ compagnia è fra i 79 uccisi, dopo la fine della guerra, nella caverna a Tolmino. Poi i titini minano l’ingresso della grotta e fanno saltare in aria il varco, per cancellare le prove dell’orribile strage. Il suo nominativo sta nella lista ufficiale alla quale fa riferimento Onorcaduti Italia per il recupero delle salme, in collaborazione con la corrispondente Onorcaduti della Slovenia. Nel 2018 Onorcaduti della Croazia ha collaborato fattivamente per l’esumazione di nove resti umani nella fossa comune di Castua, presso Fiume, eliminati dai titini il 4 maggio 1945, tra i quali sono state identificate le spoglie del senatore Riccardo Gigante e del vicebrigadiere dei Carabinieri Alberto Diana. Alcuni di tali resti ossei, oggi, riposano nel Tempio Ossario di Udine.
Sebastiano Pio Zucchiatti, 79 bersaglieri uccisi dai titini nella caverna di Tolmino, pastelli su cartoncino, cm 21 x 29, 2020 (courtesy dell’Artista)

Anche in base alle ricerche di Luigi Papo: “Del Vita Luigi, nato nel 1926 a Montevarchi, bersagliere [risulta] prigioniero nella ‘gabbia’ di Tolmino, ucciso nei primi del maggio 1945”. Si allude, forse, ad una cancellata che chiudeva l’ingresso della caverna. È menzionato dal Ministero degli Esteri Sloveno lo stesso Del Vita Luigi, secondo Nataša Nemec, ricercatrice di Nova Gorica (Slovenia) con la seguente dicitura, mostrando un lieve errore nel cognome: “De Vita Luigi, bersagliere”.
Alcune notizie sono emerse da una comunicazione e-mail a Claudio Ausilio, del 20 febbraio 2012, di Francesca-Paola Montagni Marchiori, che gestisce l’archivio storico del battaglione ed è responsabile del gruppo famigliari dei caduti e assassinati del Battaglione presso I Battaglione Bersaglieri Volontari. “Gli artefici del ritrovamento – ha scritto Francesca-Paola Montagni Marchiori – sono stati i reduci con l’aiuto dell’esule da Tolmino Dott. Liberini che da bambino fu testimone dei fatti [allora egli] ha steso una accurata perizia consegnata dai reduci a Onorcaduti del Ministero della Difesa e che è il documento che identifica i siti e sul quale si sono basate le indagini geofisiche dei periti geologi. Inoltre il battaglione fu fondato e aveva il suo comando a Verona e nacque dalle ceneri dell’8 Reggimento”.
Luigi Del Vita, in abiti borghesi, in una fotografia della collezione familiare, con tenera dedica alla mamma Pasqualina

Titini a Gorizia coi consiglieri sovietici
È risaputo che l’occupazione di Gorizia da parte dei miliziani di Tito, assistiti da consiglieri sovietici, durò 40 giorni, durante i quali furono arrestati centinaia di italiani. Gli artificieri iugoslavi fecero persino saltare i ponti sull’Isonzo, rallentando così l’arrivo delle truppe alleate, per procedere meglio alla caccia degli italiani, innalzando i cartelli "Gorica je naša" (Gorizia è nostra). Poi puntarono sul Tagliamento. Esiste un elenco di 651 civili e militari arrestati a Gorizia e deportati dai titini fra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 che, pur necessitando di ovvi aggiornamenti, rappresenta il teatro delle eliminazioni al confine orientale. In ogni pattuglia titina aggirantesi per la città con tanto di elenco, durante la cattura, partecipa pure un partigiano garibaldino italiano, per individuare meglio i potenziali catturandi (Scomparsi Da Gorizia, pag. 18).
Riguardo alla presenza di consiglieri russi Antonio Zappador, esule istriano, ha riferito che a Verteneglio due militari ucraini, in veste di consiglieri sovietici, avendo riconosciuto sua madre Olga Alexsandrovna Rackowsckij, della nobiltà ucraina, le si sono inginocchiati accanto baciandole la veste, alla faccia dell’uguaglianza socialista.
Luigi Del Vita, foto dal giornale "La Nazione", Cronaca di Arezzo del 1° agosto 1995, che si ringrazia per la pubblicazione e diffusione nel blog

Fonti orali e del web
- Comunicazione e-mail a Claudio Ausilio, di Montevarchi (AR) del 20 febbraio 2012, di Francesca-Paola Montagni Marchiori sull’eccidio della caverna di Tolmino.
- Antonio Zappador, Verteneglio 1939. Intervista di Elio Varutti del 23 febbraio 2020 a Fossoli di Carpi (MO).

Ringraziamenti
Per il presente articolo la redazione del blog è riconoscente al signor Claudio Ausilio, esule da Fiume e socio dell’ANVGD di Arezzo, che ha fornito gentilmente i materiali di ricerca, nonché la fotografia del bersagliere scomparso, contattandone i suoi familiari e proseguendo una tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine. Si ringrazia Giovanni Doronzo per la fotografia di Dignano d'Istria. Grazie a Daniela Zatta, discendente di Del Vita per l'immagine del suo caro parente.

Collezione familiare
Daniela Zatta, nipote di Luigi Del Vita, Montevarchi (AR), fotografia.

Cenni bibliografici
- Annuario d’Italia, Guida generale del Regno, Roma, Bontempelli, anno XIV.
- Associazione Congiunti dei Deportati in Jugoslavia, Gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945, a cura del Comune di Gorizia, Gorizia, 1980.
- Guglielmo Vezzosi, “Massacrato. A guerra finita”, «La Nazione», Cronaca di Arezzo, 1 agosto 1995 (o 1° settembre).

Sitologia
Giovanni Doronzo, Muro di Dignano d'Istria con storiche pitture, febbraio 2020 (courtesy dell'Autore)
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Testi e ricerche di Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo che si ringraziano per la cortese concessione alla diffusione e pubblicazione nel blog presente e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine.– orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

sabato 22 febbraio 2020

Oscar Busatti, bersagliere ucciso nella caverna a Tolmino dai titini, 1945

“È preso prigioniero assieme ad altri italiani dai titini il 5 maggio 1945 un mio parente, il tenente dei bersaglieri Oscar Busatti, nato a Ferrara il 6 o 7 febbraio 1918, reggente di Tolmino, come si diceva in famiglia, ma non abbiamo trovato fonti in merito”. Comincia così il racconto di Giordana Marzullo alla fine del Giorno del Ricordo 2020 in una scuola udinese, mentre gli oltre 200 attenti studenti delle classi quinte dell’Istituto alberghiero, commerciale e turistico della città, accompagnati dai rispettivi professori, se ne vanno dall’Auditorium a fare ricreazione.
Le notizie sono scarne. Tolmino era in provincia di Gorizia, oggi è Tolmin, un paesino della Slovenia. Si sa che questi militari italiani vengono rinchiusi in una grotta dai titini, che poi fanno saltare l’ingresso con l’esplosivo. “Mi piacerebbe capire di più di quel massacro – ha aggiunto la professoressa Marzullo – per ricordare la morte di mio zio, neanche trentenne”. Signora, ricorda qualcosa d’altro?
“Era tenente comandante della V Compagnia Bersaglieri volontari di stanza a Tolmino, IV reggimento – prosegue la testimonianza – ci hanno detto che fu arrestato (o è caduto in un tranello?) alla fine di aprile, forse il giorno 29, del 1945 a Santa Lucia; non si hanno più notizie dal 5 maggio, giorno in cui fu, quindi, probabilmente giustiziato, io sapevo infoibato, ma da una pagina Facebook ho appreso, invece, della sua possibile morte in una grotta fatta saltare”. È disponibile a diffondere queste notizie riguardo a questo suo pro-zio?
“Non è un mio zio – ha concluso Giordana Marzullo – ma un cugino diretto di mio nonno che è stato cresciuto insieme ad Oscar dalla di lui famiglia; sono felice che finalmente questa parte della storia della mia famiglia venga alla luce”.
Da altre fonti si sa che Oscar Busatti, figlio di Mario, nato a Ferrara il 6 febbraio 1918, ivi residente, è un tenente del Reggimento Volontari Bersaglieri “L. Manara”, del I Battaglione  “B. Mussolini”. La sua data di dispersione è fissata al 31 maggio 1945 a Santa Lucia d’Isonzo (GO). Santa Lucia d’Isonzo (in sloveno: Most na Soči) è una frazione del comune sloveno di Tolmino. Tali dati sono contenuti nell’Elenco “Livio Valentini”, Caduti Repubblica Sociale Italiana, disponibile in Internet. Il nome di “Oscar Busatti, comandante della 5^ Compagnia” compare tra gli uccisi dai titini anche nel libro di Gianni Barral, del 2007, a pag. 135.
Il tenente Oscar Busatti è citato anche nell’Albo d’oro dei caduti ferraresi, 1940-1946, pubblicato nel web a cura di Gian Paolo Bertelli, nel 2012. Detto studioso scrive che Busatti viene “fucilato il 31.5.1945 a Santa Lucia” (Bertelli, pag. 17, vedi: Sitologia). In altre pagine dello studio di Bertelli è segnato che “Il tenente Busatti venne arrestato nei pressi di Gorizia a S. Lucia, portato nei pressi di una caverna a Tolmino e lì ucciso, era il 31/5/1945, la guerra era finita da oltre un mese. Secondo fonti di archivio i ‘giustiziati’ insieme a Busatti sono 79, furono chiamati per nome ad uno ad uno e quindi uccisi, l’entrata della caverna fu fatta saltare, nella stessa sarebbero inumati 40 cadaveri, gli altri 39 sarebbero stati sepolti in una fossa comune nei pressi”. Il 24/7/1950 viene redatto l’atto di morte, che riporta testualmente (Bertelli, 75) :

“Dichiara che il giorno 31 del mese di maggio dell’anno millenovecento quarantacinque è deceduto in Tolmino alle ore non accertate in età di anni ventisette il Busatti Oscar appartenente alla 5^ cp Btr Bersaglieri nato il 6/2/1918 a Ferrara residente a Ferrara figlio di – e di – celibe. Il suddetto Busatti Oscar è morto in seguito a fucilazione da parte dei Partigiani di Tito ed è stato sepolto non si conosce”.

Cartolina di Gorizia viaggiata e timbrata il 9 dicembre 1949. Collez. Barbarino

Gorica je naša
È noto che l’occupazione di Gorizia da parte dei miliziani di Tito, assistiti da consiglieri sovietici, durò 40 giorni, durante i quali furono arrestati centinaia di italiani. Gli artificieri iugoslavi fecero persino saltare i ponti sull’Isonzo, rallentando così l’arrivo delle truppe alleate, per procedere meglio alla caccia degli italiani, innalzando i cartelli "Gorica je naša" (Gorizia è nostra). 
Esiste un elenco di 651 civili e militari arrestati a Gorizia e deportati dai titini fra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 che, pur necessitando di aggiornamenti, rappresenta il teatro delle eliminazioni al confine orientale. In ogni pattuglia titina aggirantesi per la città con tanto di elenco, durante la cattura, partecipa pure un partigiano garibaldino italiano, per individuare meglio i potenziali prigionieri (Scomparsi Da Gorizia, pag. 18; vedi in Bibliografia).Vero è che, dai lager iugoslavi e dal carcere della polizia segreta di Tito a Lubiana, qualcuno riuscì a saltar fuori vivo. A raccontare il fatto ai discendenti, nonostante il divieto a farlo che fu costretto a firmare a Lubiana, nel 1946, dagli ufficiali dei servizi segreti titini, prima di uscire dalla galera slava, è stato il sopravvissuto Giuseppe Baucon (in sloveno: Josip Bavcon), detto Pepi, di nazionalità slovena e cittadinanza italiana, arrestato a Gorizia (Negro e Scotti).
Pochi altri imprigionati dai titini sono ricomparsi malconci in seguito, mentre altri nomi sono stati aggiunti alla lista dei deportati e scomparsi di Gorizia tanto che, nel 2019, essi ammonterebbero a 665 casi. Secondo l’elenco delle displaced persons prodotto dagli Alleati nel 1947, gli scomparsi a Gorizia furono 1.100, di cui 759 civili e 341 militari. Gli impiegati vennero licenziati in blocco e riammessi al lavoro solo firmando una dichiarazione di aderire agli ideali del Partito comunista iugoslavo. Commercianti e contadini vennero costretti a consegnare i raccolti, i prodotti alimentari e le merci in cambio di vaghe parole compilate su foglietti volanti senza intestazione o timbri ufficiali degli occupanti slavi (Messina, 133-135).
I 40 giorni di occupazione e di efferatezze titine a Gorizia e a Trieste, documentate in letteratura da certi autori sin dal dopoguerra (Venanzi, 152) allarmarono l’opinione pubblica occidentale. Il generale inglese Alexander ebbe a dire: “L’azione di Tito ricorda troppo da vicino quelle di Hitler, Mussolini e del Giappone. Noi abbiamo combattuto questa guerra per impedire queste azioni”. Churchill ne parlò persino a Londra alla Camera dei Comuni, intimando a Tito di ritirarsi da Gorizia, da Trieste e da Pola (Toth, 309).
Pochi autori, tuttavia, spiegano che i titini, oltre ad occupare Fiume, Pola, Trieste e Gorizia, ancor prima di andare a Lubiana e Zagabria, sono giunti sino a Monfalcone, Romans d’Isonzo, Aquileia e Cervignano del Friuli, nella Bassa friulana. Una jeep di artificieri iugoslavi fu vista da partigiani della Osoppo sulle rive del Tagliamento, vicino ad un ponte. Come ha scritto Mara Grazia Ziberna, “il periodo dell’occupazione titina, dal 2 maggio al 12 giugno 1945, vide la costituzione nella Venezia Giulia dello Slovensko Primorje, cioè il Litorale Sloveno, che aveva come capoluogo Trieste e comprendeva anche il circondari di Gorizia, diviso in sedici distretti e composto anche dai comuni di Cividale del Friuli, Tarvisio e Tarcento [della provincia di Udine], considerati slavofoni” (Ziberna, 83).
Di recente si è saputo che alcuni civili italiani se ne sono andati via da Tolmino nel 1944-1945, senza patire gravi conseguenze da parte dei miliziani di Tito, come ha riferito il signor Paolo Negro, riguardo all’esodo della sua famiglia guidata dal babbo Agostino Negro, valente fotografo della valle. Egli lavorò a Tolmino, dal 1928 al 1945, facendo vari scatti per immortalare non solo l’ameno paese di montagna, ma anche le Alpi Giulie, come il Montenero, Monte Colovrat, Monte Scherbina e Monte Stol, sopra Caporetto, ovvero Kobarid, in sloveno e Cjaurêt, in lingua friulana.
Agostino Negro, Tolmino - Primavera, 1934. "Edizione Riservata A. Negro - Libreria Cartoleria - Tolmino". Collez. E. Varutti

Eliminazioni a guerra finita
Succede alla fine della seconda guerra mondiale, come si legge in un messaggio in Facebook, del 5 maggio 2012, nel gruppo La voce irredentista: “78 bersaglieri, 9 ufficiali, 20 sottufficiali e 49 altri soldati, senza alcun processo, vengono prelevati” dai titini presso Tolmino. I prigionieri vengono divisi in due gruppi.  “Il primo gruppo, più numeroso, viene fatto entrare in una caverna alla quale poi è stata fatta saltare l’apertura con l’esplosivo. Gli altri sono stati fucilati e fatti cadere in una fossa comune”.
Un’altra fonte è più precisa. Francesca-Paola Montagni Marchiori, sempre in Facebook, nel 2012, scrive che “questi sono i bersaglieri del battaglione Mussolini che difesero Gorizia fino al 30 aprile 1945 e poi furono fatti prigionieri dai titini. Rinchiusi a Tolmino furono massacrati senza processo da prigionieri. Dal 1° maggio in poi ne furono uccisi in modo orribile più di 100, i superstiti finirono al campo di Borovnica, dove continuarono a morire e ad essere torturati. La lista di 156 nomi è parte integrante della legge sulle Foibe che ordina la ricerca delle loro salme. Questo è il lavoro che faccio io all’interno dell’associazione d’arma. È stato fatto un accordo bilaterale italo-sloveno con una Commissione interparlamentare per il loro recupero, ma…”.
Claudio Pristavec, il 2 novembre 2019, ha scritto in Facebook, nel gruppo “Semo triestini e po bon” altre notizie sull’evento tragico degli italiani di Tolmino. “Chissà se qualcuno tirerà fuori la storia della caverna del monte Kozlov rob (Pan di Zucchero), alla periferia di Tolmino, nella quale nei primi giorni del maggio 1945 i partigiani titini chiusero 80 Bersaglieri e poi fecero saltare l’ingresso. Nonostante l’attivo interessamento dei loro famigliari ed una certa disponibilità degli sloveni, i loro resti sono ancora là dentro. Da parte italiana quasi ogni anno cambiava il dirigente della Onorcaduti o cambiava il Console italiano di Capodistria e bisognava ricominciare di nuovo con tutte le pratiche. Sono passati 64 anni e sono ancora là!”

Manifestazioni slave e italiane di Gorizia 1945-1946
Sin dall’estate 1945 i partigiani col fazzoletto verde Primo Cresta, Bruno Cocianni e Candido Grassi “Verdi”, comandante generale della divisione partigiana “Osoppo”, formarono a Gorizia un gruppo di giovani per “rincuorare la cittadinanza sbandata e impaurita” dall’occupazione e dalle vessazioni titine. Al gruppo collaborò la sezione alpini di Udine. Tale gruppo prese il nome di Battaglione “Gorizia” al comando del tenente colonnello Luigi Corsini. Per merito loro, il 28 marzo 1946, ci fu a Gorizia una grande manifestazione italiana, in risposta all’analoga sfilata di persone con bandiere iugoslave, con la gente portata coi camion dall’entroterra slavo, dato che la Commissione alleata per la definizione dei confini si era spostata da Parigi nella Venezia Giulia (Cresta, 134-145).
Il bersagliere Oscar Busatti fotografato a Ferrara. Collez. Marzullo
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Fonti orali e del web
Giordana Marzullo, Udine 1966, intervista di E. Varutti a Udine del giorno 11 febbraio 2020 e messaggi e-mail del 20 febbraio 2020 all’Autore.
Francesca-Paola Montagni Marchiori, messaggio in Facebook del 5 maggio 2012 nel gruppo La voce irredentista.
Claudio Pristavec, messaggio in Facebook del 2 novembre 2019, nel gruppo Semo triestini e po bon.

Collezioni private
- Lucillo Barbarino, Resia (UD), cartolina.
- Giordana Marzullo, Udine, fotografia.
- dell'Autore, Udine, cartoline.

Cartografia
Tolmino, F.o 26, Istituto Geografico Militare (Igm), 1956.

Riferimenti bibliografici
- Associazione Congiunti dei Deportati in Jugoslavia, Gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945, a cura del Comune di Gorizia, Gorizia, 1980.
Gianni Barral, Borovnica ’45 al confine orientale d’Italia. Memorie di un ufficiale italiano, Milano, Paoline, II edizione, 2007.
- Primo Cresta, Un partigiano dell’Osoppo al confine orientale, Udine, Del Bianco, 1969.
- Dino Messina, Italiani due volte. Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta della storia italiana, Milano, Solferino RCS Mediagroup, 2019.
- Andrea Negro, Josip Bavcon. Storia dell’uomo sopravvissuto alla strage di Cerkno nel 1944, Università degli studi di Udine, Corso di laurea in Lettere, relatore prof. Paolo Ferrari, a.a. 2017-2018, pp. 120.
- Giacomo Scotti, con la collaborazione di Jožko Bavcon, L’uomo risorto dalla foiba, Fiume (Croazia), 2017, datt., con copia di 19 documenti (in lingua it., ted., croata, slovena e traduz. in italiano di Marija Oseli), pp. 76. Collez. Marjia Oseli, S. Giovanni al Natisone (UD).
- Lucio Toth, “Situazione di della Jugoslavia dal 1918 all’epoca di Tito. Dal Trattato di pace del 1947 al Trattato di Osimo del 1975”, in Silvio Cattalini (a cura di), Contributo ala conoscenza della storia e della cultura dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, Corso di aggiornamento per docenti di scuole medie, Udine febbraio-aprile 1999 (1^ ediz.: 2000), Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2^ ediz., 2001, pp. 297-322.
- Paolo Venanzi, Conflitto di spie e terroristi a Fiume e nella Venezia Giulia, Milano, L’Esule, 1982.
- Maria Grazia Ziberna, Storia della Venezia Giulia da Gorizia all’Istria dalle origini ai nostri giorni, Gorizia, Lega nazionale, 2013.

Riferimenti giuridici
Legge 30 marzo 2004, n. 92, "Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004.

Sitologia
Albo d’oro dei caduti ferraresi, 1940-1946, a cura di Gian Paolo Bertelli, 2012, disponibile in Internet.
Elenco “Livio Valentini”, Caduti Repubblica Sociale Italiana, disponibile in Internet.
E. Varutti, Esodo dolce da Tolmino, 1945, on line dal 18 maggio 2016.
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

venerdì 7 febbraio 2020

Giorno del Ricordo 2020. Spettacolo teatrale al Liceo “P. Levi” di Montebelluna

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente comunicato stampa della dirigenza scolastica del Liceo “Primo Levi” di Montebelluna (TV). La redazione del blog.

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“Il Confine orientale tra nazionalismo ed europeismo. Uno spettacolo teatrale racconterà al Liceo Primo Levi le vicende del confine italo-jugoslavo dalla Seconda guerra mondiale al 2004.
Il confine orientale italiano diventa di libero passaggio nel 2004, quando la Slovenia entra a far parte dell’Unione Europea, seguita nel 2013 dalla Croazia. Il sangue, la memoria, lo scontro che ha preceduto questo epilogo sono raccontati in uno spettacolo teatrale il cui argomento sono le foibe. La ricerca storica è accurata ma lo scopo non è individuare colpevoli e innocenti; del resto i primi sono innegabili, mentre i secondi sono forse solo vittime. Da cui il titolo: “Il Cerchio. Nessuno è innocente” di e con Fabio Cassanmagnago. Quattro personaggi, due italiani e due sloveni, il prossimo 10 febbraio 2020  alle 8,15, al Liceo Primo Levi di Montebelluna, davanti a un pubblico di studenti, daranno vita a un atto unico, diviso in sei scene, che racconta quell’arco di tempo che va dal periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale, ai trattati che sancirono i confini italo-jugoslavi, fino al significativo epilogo del 1° maggio 2004, quando otto stati dell’Europa orientale (tra cui la Slovenia) entrarono appunto a far parte dell’Unione Europea.
Lo spettacolo si tiene in occasione del “Giorno del Ricordo” istituito nel 2004, con apposita legge nazionale, per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra. In particolare il 10 febbraio del 2020 cade il 73esimo anniversario della trattato di Pace di Parigi che separò definitivamente l’Istria e la Dalmazia dall’Italia.
Un valoroso partigiano, un orgoglioso studente, un professore di lettere e un’abile donna ripercorrono le vicende, i tanti accordi internazionali (Rapallo, Parigi, Londra, Osimo) che hanno determinato il confine orientale. Il pubblico attraverso la musica dal vivo viene immerso nell’atmosfera del tempo e il ricordo si fa presente tra riflessione e passione.
Alla rappresentazione sono invitati anche i genitori e chi voglia assistervi.
Il dirigente scolastico: ing. Ezio Toffano
per informazioni telefonare allo 042323523 o visitare la pagina web http://www.fucinafibonacci.it/event/il-cerchio-nessuno-e-innocente-10022020/


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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti.