Adesso potranno riposare in pace. A Udine, il 20 ottobre
2018, presso il Tempio Ossario si è svolta la solenne cerimonia di tumulazione
dei resti di sette vittime della violenza jugoslava alla fine della seconda
guerra mondiale.
Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Fotografia di Elio Varutti
Il sacrario di San Nicolò, meglio noto ai friulani col nome di
Tempio Ossario è un autentico luogo della memoria dell’esodo giuliano dalmata. A
celebrare la funzione religiosa è stato padre Juan Carlos Cerquera Trujllo,
parroco di San Giuseppe dal 2016, alla presenza di molte autorità militari e civili. Di
lui e del tempio riferiremo più oltre.
A rappresentare il Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), presieduto da Bruna Zuccolin, c’era Elio Varutti, vice presidente.
A rappresentare il Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), presieduto da Bruna Zuccolin, c’era Elio Varutti, vice presidente.
Cosa era accaduto nel
1945?
Si è letto che questi sette italiani furono legati col filo
di ferro (“el fil de trinca”, in dialetto istro-veneto) e spintonati per le vie
di Castua, a una dozzina di chilometri da Fiume, oggi in Croazia. Furono presi
a calci e pugni fino a rompere loro qualche arto. È stato Alessandro Fulloni
sul «Corriere della Sera» a riferirlo. C’è chi ha detto che furono costretti a
scavarsi la fossa dove furono seppelliti, ma altre fonti narrano che fu
utilizzato un trincerone anticarro che i nazisti della Todt avevano ordinato di scavare ai requisiti locali, donne e
vecchi, nel vano tentativo di bloccare i carri armati jugoslavi.
Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Fotografia di Elio Varutti
Uno dei prigionieri di Castua, per tentare di sollevare
l’animo dei catturati, gridò a squarciagola: “Viva l’Italia! Viva l’Italia!”.
Secondo il racconto, egli era il giornalista Nicola Marzucco, detto Nicolino.
Questo eccidio avvenne il 3 maggio 1945 a Castua, a due passi
da Fiume, quando era terra italiana. Secondo Lucia Bellaspiga, che ha scritto
su «L’Avvenire» la data delle uccisioni è quella del 4 maggio. La guerra era
comunque finita. I resti di sette di quei trucidati, uccisi dai partigiani
titini, sono rientrati in Italia nei giorni scorsi. A ritrovare le salme sono
stati gli agenti del Commissariato generale per le onoranze ai caduti. Tale
ente del ministero della Difesa si occupa dell’identificazione delle salme dei
militari italiani morti nelle guerre e del loro rientro in patria. Per detto
ente le spoglie sono di ignoti. Ci piace di rivolgere un ringraziamento
particolare, per la pubblicazione e diffusione in questo blog, a Lucia
Bellaspiga e Alessandro Fulloni e alle loro rispettive testate giornalistiche.
I corpi dei caduti di Castua sono stati esumati nel mese di
luglio 2018 dalle autorità croate, durante una campagna di scavo iniziata dopo
una segnalazione, risalente al 1992, effettuata dalla Società di Studi Fiumani,
con sede in Roma, con segretario Marino Micich. Erano nel bosco di Loza, in
località Crekvina, vicino a Castua.
Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, padre Juan Cerquera alla cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Fotografia di Elio Varutti
Grazie ai nuovi accordi tra Italia e Croazia si è potuto
verificare il rientro delle salme. Ciò è dovuto alla buona collaborazione tra
l’ufficio di Onorcaduti, diretto dal generale Alessandro Veltri, con gli
omologhi del “Ministry for Croatian Veterans for Detainees and Missing
Persons”.
Molto interessante è tale collaborazione tra italiani e
croati. Potrà condurre a nuove indagini a Fiume e in certe zone della Dalmazia
e dell’Istria. Sono questi i luoghi della tragedia delle foibe. Tali uccisioni
e eliminazioni durante il conflitto e nei mesi successivi ad esso provocò la
scomparsa di circa 12 mila italiani, per la pulizia etnica titina.
I nomi degli assassinati
Si è cercato di stabilire il nome dei trucidati. Uno dei nomi
su cui c’è «la ragionevole certezza» della sua identità è quello di Riccardo
Gigante. Egli era senatore del Regno, ma anche ex sindaco ed ex podestà di
Fiume, stretto collaboratore di Gabriele D’Annunzio e, infine, repubblichino di
Salò.
Altri due individui possibilmente riconosciuti sono il
giornalista Nicola Marzucco e il vicebrigadiere dei carabinieri Alberto Diana.
La Società di Studi Fiumani è riuscita a trovare un nipote di
Riccardo Gigante, di nome Dino, dirigente d’azienda in pensione. Costui si è
detto disponibile a sottoporsi all'esame del Dna, per avere la prova che uno
dei resti ritrovati appartenga a suo nonno. Non sono stati individuati, per ora
i discendenti dei caduti Marzucco e Diana.
Nella fossa furono gettate dagli slavi anche ossa di animali.
Questo era un misero stratagemma titino per mescolare le carte, in caso di una esumazione.
La buca fu localizzata nel 1992 da Amleto Ballarini, già
presidente della Società di Studi Fiumani. Egli raccolse il primo racconto di
don Franjo Jurcevic, oggi parroco della chiesa di Sant’Elena a Castua. Il prete
conosceva i fatti poiché gli erano stati riferiti da alcuni fedeli. Altre
informazioni fondamentali giunsero dai racconti della moglie e di due figlie di
Vito Butti, uno dei trucidati di Castua. Era egli maresciallo della Guardia di
finanza. Fu l’unico di cui, tempo dopo, vennero recuperate le spoglie mortali,
per tumularle in un cimitero vicino.
Si qui si è operato grazie agli articoli di Alessandro Fulloni sul «Corriere della Sera» e di Lucia Bellaspiga, su «L’Avvenire», che si intende ringraziare per la diffusione e pubblicazione nel blog presente.
Si qui si è operato grazie agli articoli di Alessandro Fulloni sul «Corriere della Sera» e di Lucia Bellaspiga, su «L’Avvenire», che si intende ringraziare per la diffusione e pubblicazione nel blog presente.
Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Un alpino con il fazzoletto di Fiume. Fotografia di Elio Varutti
Ancora sul Tempio
Ossario di Udine
Quando il Centro di smistamento profughi di via Pradamano a
Udine era pieno di ospiti venivano utilizzate altre strutture cittadine per
accogliere gli italiani d’Istria, Fiume e Dalamzia in fuga dalle violenze dei
titini. Per una notte fu utilizzato anche al Tempio Ossario nella cui cripta
vennero accolti esuli sino al 1959. Un’esule da Pola, Maria Millia, ha
ricordato che, verso il 1949, i suoi genitori Anna Sciolis e Domenico Millia,
rinomato fabbro di Rovigno, assieme ad altri profughi istriani furono ospitati
nel Tempio Ossario di Udine, dato che “El Campo jera pien”. Nel 1959, appunto,
erano ancora accolte alcune persone dell’esodo nella stessa chiesa. “Una
famiglia è ospitata nella cripta del Tempio Ossario – riporta «L’Arena di Pola»
del 28 aprile 1959 – chi all’asilo notturno e altri nelle case diroccate di via
Bertaldia, ora demolite”. Si pensi alla coincidenza: proprio nell’area di via
Bertaldia, via Manzini fu inaugurato, il 26 giugno 2010, il Parco Vittime delle
foibe.
Un altro dato di carattere patriottico. Il Tempio Ossario si
trova in piazzale XXVI luglio 1866, giorno nel quale la cavalleria italiana
entra in città liberandola dall’oppressione austriaca. Era appunto il 26 di Luglio
del 1866 e la città di Udine abbandonata dagli austriaci vide entrare dal
Stradon per Venessia l’esercito italiano del generale Brignone verso Porta
Poscolle. Tra i primi uomini ad entrare in città c’è un garibaldino udinese e
poi colonnello dello squadrone 6° Aosta Cavalleria. Si chiamava Bernardino
Berghinz (1841-1925), come ha scritto Mario Blasoni sui Berghinz, a p. 66 di un
suo bel libro.
Stando a quanto ha scritto don Tomasino Crist, che era
presente nel 1866, la gente di Udine si mostrò con: «Gran bandiere tricolori,
grandi feste, grandi evviva, gran piacere e gioia, gioia e piacere di cuore».
Non tutti gli storici condividono questa testimonianza. La cronaca di don Tomasino Crist è citata da Faleschini
1957, pp. 681-689.
Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, anche Loris Michelini, vice sindaco di Udine alla cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Fotografia di Elio Varutti
Padre Juan Cerquera, un
religioso di Udine vicino agli esuli giuliano dalmati
È molto vicino agli esuli giuliano dalmati, padre Juan. Nel 2017
ha accolto con piacere il rito di recitare il rosario al Villaggio giuliano di
via Casarsa. Rito ripetuto con ulteriore partecipazione anche nel 2018. Non è
tutto. C’è stata la prima santa messa celebrata al Villaggio Giuliano di Udine.
È stata una cerimonia semplice, partecipata e di alto valore simbolico quella
del 16 giugno 2017, alle ore 19, col coro di San Rocco. È la prima volta che si
è celebrata una funzione all’aperto vicino alla Madonna della Rinascita del Villaggio Giuliano, nella zona di Viale
Venezia. L’icona è opera del 1952 dello scultore Domenico Mastroianni (Arpino,
Frosinone 1876-Roma 1962). Si tratta di un bassorilievo in bronzo, intitolato
appunto Madonna della Rinascita.
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Messaggi dal web
In merito al presente articolo, si pubblica volentieri un eccezionale commento di Flavio Fiorentin, esule da Veglia e componente dei Revisori dei
conti del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, inviato all’autore per
posta elettronica il 22 ottobre 2018. La sua testimonianza getta un po’ di luce
sull’arresto di Riccardo Gigante, come si può notare dalle righe seguenti.
“Caro professore, mi
riferisco all’articolo sul rientro dei resti di sette trucidati di Castua – ha scritto
Flavio Fiorentin – In particolare vorrei precisare che l’Organizzazione TODT
faceva scavare trinceroni o blocchi stradali nei dintorni ed alla periferia di
Fiume nell’ultimo mese di presenza tedesca in città non tanto per bloccare
carri armati titini (peraltro simbolici o inesistenti), ma piuttosto per
confondere il nemico sui punti in cui i tedeschi avrebbero opposto resistenza e
tentare invece lo sganciamento improvviso per confluire in Trieste ed
attendervi l’arrivo degli anglo-americani.
Le squadre di lavoro
erano formate da giovani e uomini reclutati anche e soprattutto in Fiume tra
quanti non avevano un lavoro od una occupazione essenziale. Ad esempio ne
faceva parte il portinaio dello stabile dove abitava la mia famiglia. Era anche
un modo per tener impegnate persone tra le quali avrebbero potuto nascondersi
partigiani e terroristi.
Alle cinque le squadre
dei lavoratori rientravano in città scortate da pochi ed anziani soldati
tedeschi e si scioglievano in piazza Dante dopo aver disceso la scalinata
cantando, sull’aria di una marcia tedesca, il seguente ritornello:
Fiumani
demoghèla,
La vita xe
più bela!
Ribaltòn ,ribaltòn
ghe molèmo
sto bidòn.
Viva el
ribaltòn!
I soldati di scorta, ritenendo
si trattasse della traduzione italiana della loro marcetta, scendevano la
scalinata tutti impettiti.
Con riguardo al
senatore Gigante, residente di fronte al palazzo in cui abitavo con i miei
genitori, egli scriveva spesso articoli sul quotidiano cittadino «La Vedetta d'Italia».
All'inizio del 1944, deluso per l’assenza delle truppe italiane ricostituite
nell’area del Quarnaro (ad eccezione di alcuni reparti della X Mas) e per il
progressivo controllo tedesco anche sulla Amministrazione civile, scrisse un
forte articolo dal titolo significativo "Se ci sei, batti un colpo". Solamente
il 3 maggio 1945, dopo la ritirata notturna dei tedeschi verso Trieste, le
truppe titine scesero in città ed all’alba dello stesso giorno l’OZNA venne ad
arrestare il sen Gigante, che aveva rifiutato di abbandonare Fiume.
Prima di seguire gli
agenti egli, che era ancora in pigiama, chiese di potersi vestire ed indossò la
divisa fascista. È probabile quindi che fosse proprio lui ad essere particolarmente
martirizzato nell’ultima camminata verso il luogo dell’esecuzione. Tutto ciò l’abbiamo
saputo dal racconto della vedova. Con i migliori saluti. Flavio Fiorentin”.
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Ecco un’altra informazione. Leggiamo nel libro di Cristina
Scala, intitolato Cuore di bambina a
Fiume nell’anno 1947, che nel Golfo del Quarnaro la Todt aveva sede a Mattuglie (Matulji, in croato) in un
grande edificio, dove avveniva “lo smistamento di migliaia di lavoratori e
studenti obbligati alla costruzione dei bunker e di altre opere di difesa che
poi all’occorrenza non venero mai usate” (Scala
2018, p. 14).
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Ringraziamenti
Si è grati all’architetto Franco Pischiutti, di Gemona del
Friuli (UD) per la collaborazione riguardo allo studioso del Risorgimento
friulano Tonin Faleschini. Grazie a Flavio Fiorentin, esule da Veglia a Udine, per la
sua preziosa testimonianza su Fiume 1945 e sull’arresto di Riccardo Gigante da
parte dell’OZNA, la polizia segreta militare iugoslava.
Ci piace ringraziare, per la pubblicazione e diffusione in questo blog, Lucia Bellaspiga e Alessandro Fulloni e le loro rispettive testate giornalistiche.
Ci piace ringraziare, per la pubblicazione e diffusione in questo blog, Lucia Bellaspiga e Alessandro Fulloni e le loro rispettive testate giornalistiche.
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Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, anche Paola Del Din, medaglia d'oro al valor militare alla cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Fotografia di Elio Varutti
Riferimenti bibliografici
e del web
- Lucia Bellaspiga, Foibe. Dopo 73 anni una tomba per le vittime di Tito: "Precedente che farà storia", «L’Avvenire», 20 ottobre 2018.
- Mario Blasoni, Vite di
friulani, vol. V, Udine 2011.
- Antonio Faleschini, Il
’64 e il ’66 in Friuli, «Rassegna Storica del Risorgimento», XLIV (1957),
fasc. IV, pp. 681-689.
Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Fotografia di Elio Varutti
- Alessandro Fulloni, Foibe, il rientro in Italia di sette martiri: “Ammanettati con il filo spinato, obbligati a scavarsi la fossa e poi uccisi”, «Corriere della Sera», 19 ottobre 2018.
- Cristina Scala, Cuore
di bambina a Fiume nell’anno 1947, s.e., Portogruaro (VE), 2018.
- E. Varutti, Prima messa al Villaggio Giuliano di Udine, on-line dal 18 giugno 2017.
- E. Varutti, Prima messa al Villaggio Giuliano di Udine, on-line dal 18 giugno 2017.
- E. Varutti, Il rosario al Villaggio Giuliano di Udine, on-line dal 27 maggio 2017.
Udine, Tempio Ossario, 20 ottobre 2018, dopo la cerimonia di tumulazione
dei resti di sette italiani uccisi a Castua. Fotografia di Elio Varutti
- E. Varutti, Santo Rosario al Villaggio Giuliano 2018. Bella iniziativa a Udine, on-line dal
27 maggio 2018.
- Elio Varutti, Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni, Udine, Provincia di Udine / Provincie
di Udin, 2017. Anche nel web.
https://www.academia.edu/36303656/Italiani_d_Istria_Fiume_e_Dalmazia_esuli_in_Friuli_1943-1960._Testimonianze_di_profughi_giuliano_dalmati_a_Udine_e_dintorni
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Oggetti trovati nell'esumazione dei resti di sette italiani uccisi a Castua, presso Fiume, 2018. Fotografia ripresa dal web
Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah
Tiervo, E. Varutti e Sebastiano Pio Zucchiatti. Fotografie di Elio Varutti, da
collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale
Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua
sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da
lunedì a venerdì ore 9,30-12,30.
Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
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