venerdì 27 dicembre 2019

Sguardi nuovi di De Nittis a Ferrara, Palazzo dei Diamanti

È una mostra d’arte con tutti i crismi. Non è facile trovarne di questi tempi. Il turista deve zigzagare tra le rassegne patacca con un’opera celebre e decine di croste e quelle col titolo a trabocchetto, quando ci si trova dinnanzi a decine di fotografie e di proiezioni sui maxischermi, anziché vedere il quadro o la scultura del noto artista.

Anche a Palazzo dei Diamanti a Ferrara per la mostra “De Nittis e la rivoluzione dello sguardo” è stata usata un’ambientazione, ma con un determinato criterio estetico. Qui ci sono un capo e una coda. Giuseppe De Nittis (1846-1884) è un personaggio di rilievo, insieme ad altri italiani, sulla scena parigina di fine Ottocento. C’è chi l’ha avvicinato agli impressionisti e chi ai macchiaioli. Di sicuro porta qualcosa di nuovo alla Storia dell’arte. La rassegna, curata da Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e Hélène Pinet, mira a far comprendere proprio la funzione innovativa dell’arte di De Nittis. La brillante esposizione si sofferma, soprattutto, sul suo modo, per certi versi da scoprire, di osservare la realtà e metterla subito sulla tela con i colori a olio, o con i segni del manico del pennello. Aggiunge e asporta colore. Usa inquadrature insolite e ardimentose. Ci sono squarci nuovi o, per lo meno, poco o mai utilizzati prima dai pittori. È la modernità che avanza. Lo si intende dalle meravigliose prospettive delle opere, abbinate a dei colpi di luce resi magistralmente con delle campiture di bianco di zinco. Da ammirare in tal senso come egli sappia raffigurare l’argenteria, al centro del quadro, in una tela di un ricevimento salottiero. Luce e atmosfere sono lì nelle sue mirabili tele; vedi: Il salotto della principessa Mathilde, 1883, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis.
Una delle sale espositive a Palazzo dei Diamanti di Ferrara per la rassegna De Nittis e la rivoluzione dello sguardo. Foto di E. Varutti

Il risultato è certo. Si capisce bene e tutto grazie alle concise e centrate parole dell’audioguida. Si contemplano i gialli di Napoli nei paesaggi baciati dal sole del sud Italia che ha saputo rappresentare, lui pugliese nato a Barletta, come pure i ritratti dalla scansione fotografica. Non sono da meno le indaffarate piazze di Londra e di Parigi. Le sue riprese sono tanto inusuali da dare dignità artistica persino alle impalcature di un edificio in costruzione.
De Nittis ha impresso sulle sue tela la fugacità della vita cittadina. C’è lo sbuffo della locomotiva a vapore (la modernità, il progresso). La sua è una serie di istantanee (a olio) per illustrare i momenti passeggeri della vita. Ecco dunque lo sguardo nuovo per indicare la via alla modernità. Il pittore vive nel suo mondo. È sensibile alle necessità del mercato. Si appropria dello stile del tempo, mediante un codice orientato alla sperimentazione. Manifesta una percettibilità somigliante a quella di artisti amici come Manet, Degas e Caillebotte.
Giuseppe De Nittis, Tra le spighe del grano, 1873. Collezione privata. 

Il suo spirito artistico si avvale della fotografia che collezionava assieme a pezzi d’arte giapponese. Per tale motivo, nella rassegna di Palazzo dei Diamanti, oltre alle sue tele sono affiancate alcune celebri fotografie d’epoca (originali) firmate dai più importanti autori del tempo: Edward Steichen, Gustave Le Gray, Alvin Coburn e Alfred Stieglitz, custodite in prestigiosi gabinetti fotografici d’Europa. Altri gingilli (coerentissimi) della mostra sono determinate immagini in movimento dei fratelli Lumière.
Sarete quindi immersi in un itinerario affascinante cadenzato da circa 150 opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private d’Italia e d’Europa. Le brave curatrici hanno inteso mettere in risalto (con successo) l’apporto di De Nittis alla creazione del linguaggio visivo della modernità.
Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, in collaborazione con il Comune di Barletta, la mostra è sorta dal rapporto di interscambio culturale instauratosi tra due istituzioni civiche simili per storia e natura: il Museo Giovanni Boldini di Ferrara e la Pinacoteca Giuseppe De Nittis di Barletta - come si legge nel comunicato stampa del museo. Grazie all’accordo tra i due musei, Barletta, città natale dell’artista, ospiterà nella prestigiosa sede di Palazzo della Marra un nucleo di dipinti e di opere grafiche di Giovanni Boldini, mentre a Ferrara verrà presentata una selezione di opere del pittore pugliese, tra cui figurano alcuni dei suoi capolavori.

La rassegna è accompagnata da un catalogo illustrato che approfondisce alcuni temi ancora poco indagati come il rapporto tra l’artista e la fotografia coeva, la centralità della sua figura nelle trasformazioni che interessarono il sistema dell’arte parigino alla fine del secolo, la sua personale declinazione della pittura di paesaggio urbano e il ruolo decisivo della moglie Léontine nella carriera di De Nittis.
Un’ultima chicca è data dall’originale sala didattica per bambini alla fine dell’esposizione; si tratta di un modo creativo e pedagogico per introdurre i piccini all’arte e alla visita del museo. Per far ciò, la Fondazione Ferrara Arte, in collaborazione con esperti di Senza Titolo e con l’illustratrice Martina Zena, ha ideato l’allestimento dello spazio secondo criteri centrati sul punto di vista dei più piccoli, dall’altezza delle opere al font delle didascalie, dalla decorazione delle pareti agli arredi per i laboratori. Il tratto vivace e divertente di Martina Zena accompagnerà i visitatori nella lettura delle opere e nella realizzazione di brevi atelier con materiali diversi, attraverso i quali immergersi nell’universo creativo di De Nittis, mettersi in gioco in prima persona e scoprire un modo nuovo di guardare la realtà. Offside Kids è situato a conclusione del percorso espositivo e può essere fruito liberamente dalle scuole e dalle famiglie. Nelle fasce orarie di maggiore affluenza si invita a contenere i tempi di permanenza per consentire a tutti di utilizzare lo spazio.


Info sulla mostra e suoi orari
De Nittis e la rivoluzione dello sguardo, Ferrara, Palazzo dei Diamanti. Periodo: 1 dicembre 2019 – 13 aprile 2020.
Organizzatori: Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea in collaborazione con Comune di Barletta.
A cura di: Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e Hélène Pinet.
Aperto tutti i giorni, dalle 9.00 alle 19.00. Aperto anche 8, 25 e 26 dicembre, 1 e 6 gennaio, Pasqua e Lunedì dell’Angelo. Audioguide incluse nel costo del biglietto.
Prezzo del biglietto. Intero: euro 13,00. Ridotto: euro 11,00 (dai 6 ai 18 anni compresi, disabili, over 65, studenti universitari, categorie convenzionate).
Giuseppe De Nittis, Passa il treno, 1878-’79, olio su tela, Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis. Foto di E. Varutti

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Altre informazioni e prenotazioni
telefono: 0532. 244949 | diamanti@comune.fe.it
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Servizio giornalistico di Elio Varutti. Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Daniela Conighi e E. Varutti.
Una delle sale espositive a Palazzo dei Diamanti di Ferrara per la rassegna De Nittis e la rivoluzione dello sguardo. Foto di E. Varutti




martedì 26 novembre 2019

Udin, presentât il Strolic pal 2020 de Societât Filologjiche Furlane

Al è stât Dani Pagnucco, il curadôr dal Strolic a tacâ la presentazion fate in public, tant che la tradizion ai 25 di Novembar dal 2019, la dì di Sante Catarine. Il Salon Pelizzo, tal plan nobil de Filologjiche, al jere plen di int, tant che a àn vierzût la stazie de presidence par fâ stâ altri socis. Mai viodude tante int tal Palaç Mantica di vie Manin a Udin, sede de Societât Filologjiche Furlane. Si viôt che il centenari de socie al sburte tancj a interessâsi de culture e de lenghe furlane.
Fontanini al berghele cuintri cui che al à puartât vie la Provincie, dongje Dani Pagnucco, Mauro Pascolini, Carlo Venuti e Feliciano Medeot, te sede de Societât Filologjiche Furlane, ae presentazion dal Strolic ai 25 di Novembar dal 2019. Foto di E. Varutti

Il Strolic furlan al à 285 pagjinis. A àn scrit dentri 80 autôrs, par plui di 180 tocs di riflessions, poesiis e storiutis di ridi. Mauro Pascolini, professôr di Gjeografie al à puartât il salût uficiâl di Roberto Pinton, retôr de Universitât dal Friûl. Il biel di chest librut a son lis varietâts de marilenghe. Si cjate il fevelâ di Gurize, di Soreli jevât, dal Friûl di Mieç, di Soreli a mont e cemût che a cjacarin in Cjargne, par esempli a For Davuatri, dut cu la finâl in “o”, tant che in antîc.
La novitât di chest an pal Strolic a son i dissens che a insiorin il test. Si trate des pituris di animâi gjavadis fûr dal manuscrit 220 te bergamine, clamât dai esperts “Epistolario di Antonio Panciera”, metût adun tal 1415 pal cardinâl Panciera di Çopule. Il biel manuscrit al è te Biblioteche Guarneriane, la prime pal public nassude in Italie. Propit Elisa Nervi, de Biblioteche Guarneriane di San Denêl, è à puartât il salût di cheste biele istituzion furlane. Al è stât il diretôr dal sodalizi, Feliciano Medeot, a fâ i coments su lis pituris dal Cuatricent, tant che la simie che e fâs di cuviertine al Strolic.

Pietro Fontanini, sindic di Udin, al à memoreât il fat che lis presentazions passadis dal Strolic si fasevin tal Salon de Provincie, tal Palaç Antonini Belgrado, plen di int ancje chel. “Ma la Provincie no esist plui – al à dit Fontanini – e je stade scancelade e cussì o sin ca a difindi la nestre lenghe e la identitât dal nestri popul cul fevelà e cui scrits par furlan”. Fontanini al si è fermât a fâ i compliments ae Filologjiche pes ativitâts di culture metudis adun, tant che il Strolic.
Dopo Pagnucco al à clamât a lei cuatri autôrs di ogni bande dal Friûl. Si son scoltadis cussì lis cjacaradis di San Vît di Âs (San Vito d’Asio, PN) cun Gianni Colledani. De bande sô Novella Del Fabbro e à fat sintî la bielissime fevelade di For Davuatri. Daspò Anna Madriz, di Gurize, e à let une conte in chê variante. La ultime a lei un toc dal Strolic e je stade Catine Tomasulo, tal sô lengaç fûr dal ordenari, come che al pues jessi par une fantate nassude in Basilicade e che à volût imparâ la marilenghe, cun un tic di spirt e di comicitât, che nol stâ mai mâl.
Al tache la serade Dani Pagnucco

Si à di notâ che al è intervignût ancje Gabrio Piemonte, dal Fogolâr furlan di Moscje e Claudio Petris, par lei une letare di un emigrant vie pal forest. Tal Strolic a si cjatin ancje lis esperiencis dai furlans che a son a vore vie pal mont.
I autôrs dal librut a son Gabriella Bucco, Gianni Colledani, Antonino Danelutto, Gianfranco Ellero, Gotart Mitri, Roberto Tirelli, Novella Del Fabbro, Angelo Floramo, Ubaldo Muzzatti, Celestino Vezi, Giacomo Vit e altris. I dissens a son di Annalisa Gasparotto, lis fotografiis a son di Giuliano Borghesan e Dario Quattrin e lis pituris di Otto D’Angelo.
Il professôr Federico Vicario, president de Societât Filologjiche Furlane, al à fevelât par ultin, discorint dal fat che la socie e je simpri plui dongje la int e cun lis istituzions dal teritori, come tal câs dal inovâl dal sodalizi, nassût cent agns indaûr a Gurize.
Udin, 25 di Novembar dal 2019, Federico Vicario, president de Societât Filologjiche Furlane, al siere la vivarose presentazion dal Strolic
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Servizi gjornalistic, fotografic e di networking par cure di Elio Varutti. Ricercjis tal web cun la colaborazion di Sebastiano Pio Zucchiatti.
Cemût si fasial par notâsi cu la Societât Filologjiche Furlane? Frache culì, lei dut e cjape il tacuin.


martedì 19 novembre 2019

Udine ricorda Jan Palach, torcia umana a Praga, 1969

È stato Pietro Fontanini, sindaco di Udine, ad inaugurare, il 18 novembre 2019, alle ore 12,30 la mostra intitolata “Jan Palach ‘69” nella Casa della Confraternita del Castello di Udine. “Figura emblematica della ricerca di libertà Jan Palach – ha detto Fontanini – col suo supplizio a Praga di 50 anni fa, mi ricorda il tempo della guerra fredda, quando noi dovevamo essere sacrificati, in caso di invasione da parte del Patto di Varsavia, perché le loro truppe dovevano essere fermate con le bombe atomiche americane, qui in Friuli”.
Udine, 18 novembre 2019 - Inaugurazione della Mostra "Jan Palach '69" alla Casa della Confraternita, col sindaco Pietro Fontanini, al centro, mentre parla l'assessore alla Cultura Fabrizio Cigolot, a destra, con Tiziana Menotti, Francesco Leoncini e Paolo Petiziol. Fotografia di Elio Varutti

La rassegna fotografica e documentaria, proveniente da Milano, consta di 20 pannelli con inedite fotografie e manoscritti del giovane studente che il 16 gennaio 1969 si diede fuoco in piazza Venceslao per scuotere il popolo cecoslovacco dall’indifferenza rispetto all’invasione sovietica del 20-21 agosto 1968, che soffocò la Primavera di Praga. La mostra, già allestita nel 2018 a Milano, è stata curata da Jakub Jareš, per l’organizzazione dei Centri Cechi (oltre una dozzina di Istituti storici e Archivi), del Museo Nazionale della Repubblica Ceca e della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Carolina di Praga. Gli autori dell’esclusiva rassegna sono Petr Blažek, Patrik Eicher e Jakub Jareš. La traduzione dei testi è di Lucia Casadei. L’allestimento locale è dei Civici Musei di Udine.
“È molto importante questa mostra – ha detto Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine, tra i vari intervenuti – per far conoscere ai nostri giovani questa parte di storia a loro sconosciuta”.
Udine - L'ingresso della rassegna fotografica su Jan Palach in Castello, aperta fino al 15 dicembre 2019

Una mostra e un convengo su Jan Palach a Udine
Anche l’Università di Udine si è mobilitata in forze con un convegno, svoltosi il 18 novembre 2019, in aula 2 per merito del Dipartimento di lingue e letterature, comunicazione, formazione e società, a Palazzo Antonini. Il titolo dell’evento è stato “Jan Palach, la vita, il gesto e la morte dello studente ceco”. È stata l’occasione per presentare, in anteprima regionale, la biografia di Jan Palach (1948-1969), fresca di stampa dal titolo omonimo, scritta dal dissidente Jiří Lederer e tradotta in italiano da Tiziana Menotti, per l’editore Schena, di Fasano di Brindisi. “Si tratta della prima biografia di un autore ceco uscita in Italia – ha detto Menotti – è stata prodotta in Cecoslovacchia negli anni Settanta e Ottanta, ma è stata pubblicata solo nel 1990, dopo che Lederer era emigrato in Germania”. La biografia di Jan Palach si fonda su interviste e testimonianze di suoi familiari, amici e insegnanti. Si racconta che da bambino, Jan fosse contrario ad ogni forma di violenza, di ingiustizia e amasse la vita. Non si dichiarò suicida, ma fece sapere di aver voluto scuotere il popolo dall'indifferenza col suo gesto.
Il convegno è stato aperto, poco dopo le ore 9, dalla professoressa Antonella Riem, Direttrice del Dipartimento di lingue e letterature, comunicazione, formazione e società dell'Università di Udine.
La prof.ssa Antonella Riem apre il convegno su Jan Palach a Udine

Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine, ha portato il saluto ufficiale della Civica amministrazione. “Ricordare Jan Palach come una forte figura del Novecento è importante dopo che siamo andati oltre la Cortina di Ferro – ha detto Cigolot – perché il pericolo per la libertà e la democrazia purtroppo è sempre presente”. L’assessore si è soffermato poi su concetti politici di comunismo e libertà, in occasione del 30° anniversario della Caduta del Muro di Berlino (1989). La lezione dotta su quegli anni è stata tenuta mirabilmente dal professor Francesco Leonicini, docente di storia dell'Europa Orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha spiegato l’importanza dei diritti umani, inclusi quelli sociali, di istruzione, di sanità e della casa, che non possono essere oggetto solo di mercato. Leoncini ha poi voluto fissare una netta distinzione tra il socialismo di Carlo Rosselli, di Willy Brandt e Olof Palme e il comunismo di Stalin. “In ogni caso – ha concluso Leoncini – l’invasione della Cecoslovacchia del 1968 si è rivelata un boomerang venti anni dopo con il crollo dell’URSS”. Il docente, autore di vari volumi sulla storia della Cecoslovacchia, ha infine menzionato la potenza di fuoco del Patto di Varsavia riversata in Cecoslovacchia nel 1968 con 10 mila carrarmati, 600 mila militari, 800 aerei e 2.000 cannoni, mentre Hitler, per invadere la Francia nel 1940, aveva a disposizione 2.500 carrarmati. 
Paolo Petiziol e il professor Francesco Leoncini al convegno di Udine su Jan Palach del 18.11.2019

È intervenuto in seguito Paolo Petiziol, console onorario della Repubblica Ceca in Italia, con sede a Udine. Dopo i saluti di rito, Petiziol ha ricordato un fatto personale, quando da studente universitario si recò a Praga nel 1974, mentre gli amici lo sconsigliavano “per la miseria e la tristezza di quel paese”. In quell’occasione incontrò alcuni praghesi in birreria che lo invitarono, in inglese, a bere al loro tavolo. Poi cominciò un dialogo sul motivo del suo viaggio, che era di curiosità riguardo ad un paese di grande cultura, posto sotto lo stivale del Patto di Varsavia. Dopo alcuni anni venne a sapere che tra i cinque cittadini di Praga che lo avevano invitato a quella chiacchierata c’era niente meno che lo scrittore Václav Havel, divenuto poi presidente della Repubblica Cecoslovacca (1989-1992) e, dopo la rivoluzione di velluto, della Repubblica Ceca (1993-2003). L’intervento di Petiziol, anche se con caratteri personali, è stato seguito attentamente dal pubblico presente, incluse le due classi del Liceo classico “J. Stellini”, accompagnate dai professori Chiara Fragiacomo, Antonella Rotolo e da Giulio Corrado. La Fragiacomo, che tra l’altro è collaboratrice vicaria del glorioso liceo udinese, è poi referente del progetto Calendario civile, per attività didattiche sulle date significative della storia contemporanea. La professoressa Rotolo, in particolare, sta sviluppando un originale contatto formativo con il Dipartimento di lingue e letterature, comunicazione, formazione e società con le classi 4^ C e 5^ C del liceo classico, che contempla lo scambio di libri e una visita d’istruzione nella capitale ceca.
Alcuni dei libri di Leoncini sulla storia della Cecoslovacchia

Il contributo più appassionato al convegno è stato quello della professoressa Libuše Heczková, dell’Università Carlo II di Praga, che ha parlato in lingua inglese, mostrando varie diapositive. Ha parlato di Palach, quale eroe, difensore e protettore della patria. È stata pure illustrata la situazione degli studenti cecoslovacchi al 28 ottobre 1939, in seguito alla Conferenza di Monaco (1938) all’annessione delle terre dei Sudeti (col pretesto dei Sudetendeutsche) da parte dei nazisti e all’occupazione della Cecoslovacchia (1939). In quel frangente oltre 1.000 studenti cecoslovacchi finiscono deportati nel Campo di concentramento di Sachenhausen, presso Berlino. La professoressa Heczková ha ricordato che nel 1969 non ci fu solo la Torcia umana n.1, perché alla autoimmolazione di Jan Palach seguirono in Cecoslovacchia altri casi di giovani che si diedero fuoco, come i bonzi vietnamiti, per protesta e per scuotere la coscienza del popolo invaso dalle truppe del Patto di Varsavia, ma non è dimostrato che ci fosse un collegamento politico tra di loro.
Il volume presentato in Università di Udine il 18.11.2019

Un docufilm di alto profilo estetico
Ha poi preso la parola la professoressa Anna Maria Perissutti, ricercatrice al Dipartimento di lingue e letterature, comunicazione, formazione e società, per mostrare un documentario filmato del 1969 sul funerale di Jan Palach e sulle accorate manifestazioni popolari che ne seguirono. Intitolato “Silenzio”, il docufilm, per la regia di Milan Peer (1945 - 2015), è stato molto incisivo per documentare storicamente la situazione creatasi dopo il rogo umano di piazza Venceslao. Di concezione deliberatamente tragica, la pellicola dura pochi minuti. Dotato di un geniale tocco di estetica malinconica, è il film più noto di Peer. In esso, il regista dimostra la sua vicinanza alla vittima Jan Palach. L’estrema azione autoinflitta viene vista come una sfida della nazione contro l’occupazione sovietica. Nel montaggio, si intravvedono scatti sconvolgenti del corpo bruciato di Palach. Vi sono sequenze dei funerali e manifestazioni spontanee nelle strade. Le immagini sono accompagnate da un’unica colonna sonora, la canzone di Bohdan Mikolášek, ripetuta due volte di seguito. Il suo ritornello: “Un uomo vivente è morto e i morti rimangono vivi” è una tragica eco di avvertimento, che svanisce nell’indifferenza della normalizzazione cecoslovacca. Il popolo pare annichilito, più che indifferente.
Al termine del convegno la professoressa Renata Londero, del Dipartimento di lingue e letterature, comunicazione, formazione e società dell’Università di Udine, ha annunciato la volontà di ripetere l’incontro con altre scuole di Udine, probabilmente alla data del 17 dicembre prossimo. Erano presenti, infatti, il professore Roberto Grison, del Liceo scientifico “N. Copernico” di Udine, i professori del Liceo scientifico “G. Marinelli”, oltre all’interesse rilevato anche tra i docenti dell’Istituto Tecnico Turistico “B. Stringher”. Grison ha comunicato ai redattori di questo blog che nel Liceo “Copernico” sono coinvolte 10 classi (incluse due del liceo “Marinelli”) su un progetto intitolato “Fenomenologia e dissenso”, riguardo ala conoscenza di esponenti del movimento di Charta 77, sorto in Cecoslovacchia durante il regime comunista, con particolare riferimento alla figura di Jan Patočka, brillante allievo del filosofo Husserl.
Parte del pubblico al convegno su Jan Palach a Udine

Un ricordo personale dell’agosto 1968 a Udine
Mi permetto di riportare un ricordo personale. Eravamo ragazzi di dieci-quindici anni nel rione di via della Fornaci e, il giorno seguente all’invasione della Cecoslovacchia, al ritrovo di amici con la bicicletta, si presenta Kekko con la sua bici dipinta di verde scuro con una riga bianca in mezzo, come i mezzi blindati del Patto di Varsavia. Essendo un patito di militari, di elmetti e di guerre lampo, dopo aver visto al telegiornale le prime scene dell’invasione sovietica, si era già pitturato la sua due-ruote coi colori dei vincenti invasori di Praga. Molti di noi non capivano nulla di politica. Eravamo bambini o poco più. Capivamo solo che la gente di quel paese aveva le facce stralunate vicino a quei cingoli. Quando poi, il 16 gennaio 1969, si è saputo che un ragazzo di era dato fuoco per protesta in piazza a Praga, restammo tutti sbigottiti. Le nostre mamme dicevano: “Povero putel, cossa galo fato?” (Povero giovane, cosa ha fatto?). Qualche giorno dopo, al ritrovo di amici con le biciclette, Kekko aveva ridipinto il suo velocipede di altro colore, per protesta, trovando positiva accoglienza tra di noi. E Paolo, uno di noi, disse: “Adesso capiamo chi sono i cattivi in Cecoslovacchia”. Non è molto, ma a quel tempo iniziava una piccola crescita politica per noi ragazzi e adolescenti. Oggi quel fatto ce lo ricordiamo ancora.
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Udine, 18.11.2019 - Convengo all'Università su Jan Palach; in primo piano Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine e, a sinistra, la professoressa Libuše Heczková, dell’Università Carlo II di Praga. Fotografia di Elio Varutti

Messaggi dal web su Jan Palach
La lettura dell’articolo presente ha spinto varie persone a rilasciare un commento con riferimenti personali e di storia politica locale. Ringraziamo il professor Giovanni Pascolini, di Cividale del Friuli, che il 19 novembre scorso ci ha scritto, in Google: “Farà riflettere per sempre sul significato della parola libertà”.
È intervenuto l’ingegner Sergio Satti, per ricordare, con una telefonata del 20 novembre all’autore, la situazione politica di Udine nel 1968-’69. “Da giovane politico democristiano – ha detto Satti – io parlavo dell’invasione della Cecoslovacchia con certi comunisti di Udine. Loro difendevano l’azione militare del Patto di Varsavia, con mio stupore, anche dopo il tragico fatto di Jan Palach. Alcuni esponenti della DC, venuti a sapere che avevo parlato di quelle tematiche con conoscenti del PCI friulano, mi obiettavano: ‘E tu parli con quelli là!’ C’erano i due blocchi contrapposti anche qui da noi, non solo tra Mosca e Washington. Pochi cercavano il dialogo”.
Tra i vari commenti su Facebook, Paolo Fontanelli, di Udine, il 19 novembre, ha scritto: “Due ricordi personali: ‘sciopero della ricreazione’ al Marinelli alla notizia del suicidio di Palach. Nel 1974 ‘viaggio di studio’ degli studenti di Agraria di Padova con serata in birreria con i ragazzi e le ragazze di Praga. Nessuna voglia di parlare di politica, la repressione aveva lasciato il segno”. Gianni Copetti, di Gemona del Friuli, che vive a Bruxelles, ha aggiunto: “Ero a Lussemburgo città nel 1979, e mi è sempre rimasta impressa l’immagine di Jan Palach. Ricordiamoci di questi eroi!”.
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Orari della mostra “Jan Palach ‘69”
Luogo: Casa della Confraternita del Castello di Udine; vicino alla Chiesa di Santa Maria di Castello. Ingresso libero. Venerdì e Sabato dalle ore 15.00 alle 18.00. Domenica dalle ore 10.00 alle 12.00 e dalle ore 15.00 alle 18.00. La mostra, promossa dal Centro Ceco di Milano in collaborazione con i Civici Musei di Udine e l’Università degli Studi di Udine, resterà aperta fino al 15 dicembre 2019.

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Fotografie di Elio Varutti. Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti.
Alcuni pannelli della Mostra su Jan Palach in Castello a Udine

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Rassegna stampa dal "Messaggero Veneto" quotidiano di Udine e dalla "Vita Cattolica", settimanale della Diocesi di Udine.





martedì 12 novembre 2019

Il volo del Kairos, romanzo di Pecchiari, presentato alla UTE di Udine

Esule da Pola, Bruno Pecchiari ha pubblicato Il volo del Kairos nel 2018. È un romanzo sull’Istria, Quarnero e la Dalmazia carico di drammaticità e ricco di fascino. È stato presentato in varie località del Friuli Venezia Giulia con il Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) e dalle primarie librerie regionali. 
Bruno Pecchiari alla UTE di Udine

Pecchiari e il suo libro sono stati ospiti del Corso di Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata, tenuto dal professor Elio Varutti, all’Università della Terza Età di Udine, in aula magna 2, lo scorso 11 novembre 2019. Nell’occasione si sono tenute anche alcune letture sceniche.
Il Kairos è una stupefacente opera di Lisippo. È un piccolo bassorilievo, del III secolo avanti Cristo, ritrovato in Dalmazia, a Trogir, l’antica Traù veneziana. Il Kairos è il dio-ragazzo greco dai piedi alati che rappresenta l’attimo fuggente, l’occasione perduta... l’equivalente del Carpe diem romano. Custodito dalle monache del convento di Traù, oggi sta nel museo locale.
Ho già avuto modo di scrivere che non è frequente nella letteratura dell’esodo giuliano dalmata trovare un testo che copre grosso modo un arco temporale dalla fuga degli italiani di Pola (28.500 su circa 32 mila abitanti) col piroscafo Toscana, nel 1947, fino alle guerre balcaniche del periodo 1991-2001. L’Autore si cimenta in questo tipo di esperienza. È una scelta coraggiosa da cui traspare un profondo senso di umanità, anche se deve riportare la notizia di un cecchino croato ucciso nel 1991 in modo brutale dalle milizie serbe. Tra le pagine del volume si possono rinvenire le vicende delle famiglie spezzate, la questione delle foibe, i campi profughi (incluso quello di Udine), la violenza titina degli anni 1943-1950 ed oltre. Ci mette poi tanta marineria e tanta navigazione da Muggia fino a Spalato, incluse certe battaglie navali alle Bocche del Cattaro, in questo caso, dei primi di ottobre del 1917.
I protagonisti del romanzo di Pecchiari, con molte tracce autobiografiche, si ritrovano pure in mezzo agli scontri di Trieste del 5 e 6 novembre 1953, quando le milizie angloamericane del Territorio Libero di Trieste (TLT) sparano sulla gente che manifesta per la riannessione all’Italia, provocando 6 morti e decine di feriti. Allora la folla diventa una belva inferocita. Non avendo altre armi, in una strada “alcuni rivoltosi calano ripetutamente la saracinesca metallica sul corpo inanimato di un giovane in divisa. In una piazzetta vicina, un altro gruppo ancora, dopo aver legato per i piedi ad un furgone, un soldato già morto, ne trascinano il cadavere lungo le vie” (p. 87). L’anno dopo arrivarono i bersaglieri tra baci, abbracci e tricolori sventolanti, al suono delle campane di San Giusto.
Questa parte dei racconti è assai autobiografica, dato che la famiglia dell’Autore, dopo l’esperienza del Campo profughi di Barletta (BA), era ospitata a Servola, dalla triestina Renata, fidanzata con Robert, giovane ufficiale inglese. In quelle convulse giornate fu proprio Robert, giunto a casa ferito e senza divisa, a raccontare i fatti così descritti. Nel 1954 Robert e Renata emigrano a Johannesburg, in Sudafrica. I fatti coincidono con quanto riferiva l’ingegnere Silvio Cattalini, di ritorno da un viaggio in Australia alla fine degli anni ‘90. In quel continente Cattalini incontra un gruppo di triestini, tra i quali diversi istriani, che espongono solo bandiere triestine con l’alabarda. Nessuna italiana. Cattalini, stupito, chiede come mai fosse assente il tricolore. La risposta fu che, nel 1954, dovettero emigrare perché, essendo inquadrati nella Military Police angloamericana, rischiavano “di prenderle o di essere fatti fuori proprio dagli italiani”. Allora niente tricolore nelle loro sedi australiane di corregionali all’estero.
Udine, 11 novembre 2019, parte del pubblico della UTE alla presentazione de Il volo del Kairos al Corso di Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata

Biografia dell’Autore
Bruno Pecchiari è nato a Pola il 17 Marzo 1944. È un esule istriano, uno dei tanti che “sradicò le proprie radici e se le trascinò dolorosamente appresso”. La sua carriera lavorativa con la Danieli SpA di Buttrio (UD) lo ha portato spesso all’estero, in Europa, in Asia, nel Nord Africa, nei paesi dell’ex blocco comunista ed in particolare in Unione Sovietica, DDR, Jugoslavia e Cuba. Pecchiari, socio dell’ANVGD di Udine, attualmente divide la sua esistenza tra la Francia, a Lourdes dove risiede e Feletto Umberto di Tavagnacco (UD).
Affascinato da quel meraviglioso mondo terracqueo che si estende tra coste, isole e mari, ha da sempre voluto viverlo il più intimamente possibile veleggiando tra le isole dei diversi arcipelaghi greci, lungo le coste della Turchia, della Sardegna, della Corsica e in tutto l‘arco dei Caraibi. È soprattutto all’Istria e alla Dalmazia che ha da sempre dedicato la sua attenzione ed il suo profondo amore. Un amore e una passione che nascono fin dall’infanzia grazie al nonno, marinaio nella Imperiale Marina Asburgica e al padre che, giovanissimo, s’imbarcò su una cannoniera fluviale italiana che pattugliava lo Yang Tse Kiang, il Fiume Azzurro, in Cina negli anni ‘30. In quel tempo l’Italia aveva, come altre potenze mondiali, una concessione territoriale nel Tientsin (1901-1943). Fu marinaio poi per tutto il resto della sua vita.
Sono esperienze che hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo di una personalità complessa, inquieta e rispettosa della condizione umana e della natura. Una personalità che ha segnato profondamente lo stile narrativo caratterizzato da una notevole capacità di dare enfasi e risonanza alle esperienze vissute, modulandole nell’ambito dei grandi eventi sociali e storici del nostro ultimo secolo. Pecchiari è senza dubbio un autore di frontiera, nel significato che ha dato alle parole Fulvio Tomizza.
Nascono così molti scritti e ricerche. Dal Diario di Bordo, 1977/2007 – Racconti. Poi c’è: La Chiave, 2005 – Raccolta di poesie. Nel 2007 pubblica La Quarta Stagione – Poesie. Un’altra serie di poesie nel 2011 col titolo: …come rosa fiorita. Medjugorie. La serie poetica prosegue con:  Dissolvenze, 2012 e con Sfrigolii, 2015. L’anno seguente è dedicato ad una ricerca storica: Assalto alla Viribus Unitis. Notte tra il 31 Ottobre e il 1° novembre 1918. Un’altra ricerca è del 2017: E Dio creò le Grandi Balene… Affascinato dalla ricerca, lavora su: 1571 - La battaglia di Lepanto. Sebastiano Venier. Il Vecchio Leone. Sempre nel 2017 produce: Avidità ed Egoismo. Dal Vecchio Testamento ai giorni nostri. Pure nel 2018 si dedica alla ricerca con: Itaca. C’è un Itaca in ognuno di noi? Nello stesso anno pubblica un lungo brano nel volume miscellaneo: Testimonianze sull’Esodo Istriano, Edizioni Medea, 2018. Poi c’è: Il Volo del Kairos, Edizioni Medea, 2018. Infine: L’Oro e la Conchiglia, Edizioni Medea, 2019.

Sfollati istriani a Tavagnacco
Pecchiari è un esule da Pola che vive a Feletto Umberto, frazione di Tavagnacco (UD), oltre che in Francia. Nel 1944-1945 lo stesso paese friulano è meta di profughi di guerra; giungono le prime donne istriane sfollate, come emerge dalla letteratura locale. Danila Braidotti, detta “Nila”, ha scritto: Alore [a Fontanebuine, tal 1944] o vin scomençât a viodi tantis feminis zovinis e mancul zovinis... A jerin lis sfoladis di Pola che a vivevin tes barachis a Felet. (Allora [a Fontanabona di Pagnacco, nel 1944] abbiamo iniziato a vedere tante donne giovani e meno giovani… Erano le sfollate di Pola che vivevano nelle baracche a Feletto Umberto).
Si aggiunga il fatto che gli sfollati a Tavagnacco erano alcune centinaia, 500-600. Molti erano di Udine, a causa dei bombardamenti angloamericani. Mariano Vidulich, sfollato da Pola, muore a Tavagnacco; la notizia è del 7 marzo 1945, secondo il Libro storico della Cappellania di Adegliacco, citato da Giannino Angeli, a pagina 159 di un suo libro.
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Il libro di Pecchiari presentato a Udine
- Bruno Pecchiari, Il volo del Kairos, Pavia, Medea, 2018, pp. 224, euro 18.
ISBN 978-88-6693-134-8
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Altri cenni bibliografici
- Giannino Angeli, Viva l’Italia libera! (1943-1945). (Storia, memorie, testimonianze dei tempi di guerra nel Comune di Tavagnacco), Udine, Comune di Tavagnacco, Comitato per il 50° anniversario della Liberazione, 1994.
- Danila Braidotti, Nila, Fontanebuine, Udine, Fuoricatalogo, 2016.
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di E. Varutti e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

martedì 5 novembre 2019

Gonars, Giorno del Ricordo 2019 con lo spettacolo ‘Magazzino 18’ di Cristicchi

Domenica 10 febbraio 2019 alle ore 17.30 in occasione del Giorno del Ricordo, a Fauglis, si è svolta la proiezione del documentario teatrale "Magazzino 18", di Simone Cristicchi.

L’evento è stato inaugurato da Marino Del Frate, sindaco del Comune di Gonars (UD), presso la sala polifunzionale del Centro Civico di Gonars, nella frazione di Fauglis, in via 4 Novembre, al civico numero 88. Ha preso la parola anche Marco Sicuro, presidente dell’Associazione Stradalta di Gonars, organizzatrice della serata aperta al pubblico.
Intervenendo per aprire il dibattito, a seguito del filmato, ha parlato il professor Elio Varutti, vicepresidente del Comitato di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), portando il saluto ufficiale della presidente del sodalizio Bruna Zuccolin. Tra gli interventi del pubblico, si è notato quello dell’ingegnere Sergio Satti, esule da Pola. Era presente anche l’assessore comunale di Gonars Maria Cristina Stradolini.
Hanno presenziato all’incontro anche alcuni soci della Federazione Italiana Dei Combattenti Alleati (FIDCA) con la loro bandiera.
Fauglis di Gonars, pubblico in sala per il Giorno del Ricordo; in prima fila: Sergio Satti, esule da Pola


Il sindaco di Gonars Marino Del Frate con l'assessore Maria Cristina Stradolini, all'inizio della manifestazione del 10 febbraio 2019

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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Copertina: Disegno degli allievi della scuola secondaria di primo grado di Gonars per il Giorno del Ricordo 2019 inserito nella locandina dell'evento; si ringraziano studenti e insegnanti per la fattiva collaborazione. Fotografie di Elio Varutti, di Marco Sicuro e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
Elio Varutti, vicepresidente ANVGD di Udine parla al pubblico dello spettacolo Magazzino 18 di Cristicchi a Gonars il 10.2.2019

Fauglis di Gonars, 10.2.2019, poco prima dell'inizio della proiezione dello spettacolo teatrale Magazzino 18 di Simone Cristicchi; sullo sfondo, la bandiera della Federazione Italiana Dei Combattenti Alleati (FIDCA)




domenica 13 ottobre 2019

Le sculture lignee del Museo Etnografico del Friuli, catalogo

È il catalogo di 14 sculture lignee ora esposte nella sala “Luigi e Andreina Ciceri” del Museo Etnografico del Friuli, in via Grazzano a Udine. 
Come scrive Romano Vecchiet, dirigente del Servizio integrato Musei e Biblioteche del Comune di Udine, si tratta di un “opuscolo del Museo Etnografico del Friuli, concepito per illustrare, con una serie di splendide immagini di Luca Laureati, la sua sala più prestigiosa”. In effetti, Vesperbild, o Pietà (scheda n. 1 del volumetto), è il più antico esemplare di tale tipo iconografico della regione, oltre ad essere il pezzo più vecchio di tutto il museo. Richiamante i modelli nordici, detto Versperbild è una rara testimonianza di scultura lignea dipinta, priva di esasperazioni espressive, sviluppatasi sul territorio a partire dalla metà del Trecento.
Le opere donate dai Ciceri sono state oggetto di restauro e di studio, in assenza di documentazioni relative alla provenienza dei singoli pezzi. Come spiega Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine, le opere sono state salvate dall’aggressione del tempo grazie alla generosa disponibilità della Fondazione Friuli. Si capisce dal citato esemplare artistico (Vesperbild), che per gli artisti locali ci sono state influenze latine, germaniche e slave, che “fanno del Friuli, anche in questa particolare espressione artistica, una regione del tutto unica e speciale – ha aggiunto Cigolot”.
Oltre a Vesperbild, le sculture sono intitolate a San Giacomo Maggiore (sec. XV), di intagliatore sconosciuto, che fa da copertina dell’opuscolo; alla Madonna col Bambino (sec. XV), attribuibile ad artista sloveno attivo in loco, in Carinzia e Carniola (Slovenia). La Madonna col Bambino, del 1498 è di Martino Mioni da Tolmezzo (UD); si tratta dell’unica scultura in questo bel mini-catalogo acquistata dai Civici Musei presso l’antiquario Ferruzzi di Venezia, nel 1952. L’opera intitolata Giuseppe d’Arimatea (o Nicodemo), è di scultore friulano del 1500 ca., vicino al Thanner. Un’altra Madonna col Bambino (scheda n. 6 del catalogo) è attribuibile ad uno sculture d’area friulana del sec. XVI. Sant’Anna di Metterza, del 1510 ca. è di un artista carinziano o stiriano del sec. XVI. Il Cristo passo, in legno intagliato dipinto e dorato, è di scultore friulano del sec. XVI. Un originale Cristo seduto in meditazione, è scultura lignea di intagliatore carnico del sec. XVI. La decima scultura esaminata nel catalogo è una Madonna col Bambino, di scultore friulano della prima metà del XVI secolo. Segue i modelli di Giovanni Martini l’opera dedicata a San Giovanni Battista, di uno scultore friulano della prima metà del XVI secolo. È attribuita al carnico Giovanni Antonio Agostini la Madonna col Rosario, databile agli inizi del XVII secolo. La scheda n. 13 è dedicata ad una Coppia di Angeli, di scultore ai area carnica del sec. XVII-XVIII. L’ultima scultura rappresentata in questo scrigno di bellezza è un Santo Vescovo, attribuito allo slavo Bartolomeo Ortari (Jernej Vrtav/Vrtau), capostipite di una fortunata bottega di intagliatori, scultori e doratori sloveni di Caporetto/Kobarid/Cjaurêt.
Il volume si chiude con una orientata bibliografia, con l’elenco dei restauratori attivi, dal 1985, sulle 28 opere oggetto della donazione Ciceri, nonché con le biografie della coppia dei due munifici folcloristi: Luigi Ciceri e Andreina Nicoloso Ciceri.
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Il libro recensito
Paolo Casadio, Tiziana Ribezzi, Imago lignea. Le sculture della sala “Luigi e Andreina Ciceri”, Comune di Udine, Museo Etnografico del Friuli, 2019, pp.44., con fotografie a colori.
Dimensioni del volume: cm 11 x 16.
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Per informazioni sul volume
Museo Etnografico del Friuli, via Grazzano 1, 33100 Udine, ITALIA. Conservatrice: Tiziana Ribezzi.

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Recensione di Elio Varutti. Networking a cura di Girolamo Jacobson, Tulia Hannah Tiervo e E. Varutti.


sabato 28 settembre 2019

Tharros, Oristano, antichità e megalopoli da scoprire


Le vecchie pietre mi affascinano. Nel sito archeologico di Tharros ce ne sono a bizzeffe. Vero è che fa la differenza se, a spiegarti l’importanza storica del luogo, è una guida turistica locale, orgogliosa di tutto ciò che sardo o nuragico è. 
Tharros, area portuale. Foto di Elio Varutti

Il porto e la città di Tharros sono d’origine fenicio-punica, poi romana, nella Sardegna centro-occidentale. A dirla tutta, la sua storia è ancor più antica, visti i resti di un villaggio dell’età del Bronzo medio, con sepolture, databili a partire dall’ultimo quarto del VII sec. a.C.; esse sono per lo più delle fosse scavate nella sabbia o nella roccia, dove furono deposti i resti incinerati dei defunti, con corredi ceramici e oggetti personali. Tutta la Penisola del Sinis, in Comune di Cabras, provincia di Oristano, è un luogo di grande interesse archeologico. La bellezza di questo posto è tutta da apprezzare e da gustare in chiave estetica, oltre che storica.
Forse, per me è più facile, essendo di formazione aquileiese. Da ragazzo ho partecipato alla gita scolastica sulle antichità classiche di Aquileia romana, fondata nel 181 a.C. in una regione un po' gallo-celtica, che più tardi si chiamerà Friuli, da Forum Iulii: il foro di Giulio (il mercato e il sito giudiziale di Giulio Cesare). Poi le antichità Alto Adriatiche mi hanno sempre più interessato. Da insegnante ho seguito certi corsi universitari di archeologia a Udine e ad Aquileia. Saranno stati bravi i professori di quei corsi, o non so cos'altro, ma per me ogni tessera musiva, ogni lucerna, ogni ambra lavorata finemente erano meraviglie da ammirare. Poi ad Aquileia ho accompagnato le mie classi di studenti. Ricordo che, con una vecchia Fiat Panda, ci ho portato perfino alcuni miei nipoti, interessati più ai negozi di Benetton che ai mosaici della Basilica del Patriarcato di Aquileia. Poi i nipotini furono tutti soddisfatti.
Tharros, 11.9.2019, i visitatori al sito archeologico superano le 100 mila presenze

Non c'è solo Tharros. A una dozzina di chilometri di lì, è stata individuata niente meno che una megalopoli sul Mont'e Prama. A trovarla, col suo georadar, è stato Gaetano Ranieri, professore di Geofisica applicata presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Cagliari. Ne ha dato notizia «La Nuova Sardegna» del 24 settembre 2019, ripresa poi da Stefano Bucci sul «Corriere della Sera» il giorno seguente. La novità è ghiotta per gli archeologi. Pare che ci siano “16 ettari da scavare” nel sito di Mont'e Prama. Sono vicino allo stagno di Cabras, dove nidificano i fenicotteri rosa. Il sito individuato dall’ecoscandaglio terrestre è gigantesco. Per estensione è più vasto di Pompei. Poi è molto più antico, dato che risalirebbe al 950-730 a.C. Il georadar mostra delle anomalie, ossia aree di non solo terreno, con grandi pietre squadrate. Le lunghe linee rette danno l’idea di strade. Altre tracce di antropizzazione potrebbero essere delle costruzioni, templi, case, tombe e edifici di ampie dimensioni. Come mai il professor Ranieri, coadiuvato dal fior fiore degli archeologi dell’Università di Sassari ha trovato tutto questo ben di dio? È andato a sondare il terreno dove, nel 1974, casualmente, vennero alla luce i Giganti di pietra. Da quell’anno, con le campagne di scavo del 1975-1979 e dal 2014-2017 sono saltati fuori i 27 Giganti di Mont'e Prama.
Cagliari, Museo archeologico nazionale, 12.9.2019, i Giganti di pietra. Foto di Elio Varutti

Oggi quei colossi scultorei stanno arricchendo le sale del Museo archeologico nazionale di Cagliari e di quello civico “Giovanni Marongiu” di Cabras. È una gran botta culturale. Si pensava che la civiltà nuragica fosse riassunta in qualche torre difensiva o funeraria. Dalle scoperte dei Giganti di pietra e dal sito archeologico di Barumini, o Area Archeologica “Su Nuraxi”, in provincia del Medio Campidano, il mondo è cambiato. È emersa una civiltà forte che navigava, commerciava, costruiva nuraghi per viverci, per celebrare il culto dell’acqua e per custodire con rispetto i resti ossei dei propri avi dal 1900 a.C. Nell’Età del Bronzo i nuragici avevano una fonderia per fabbricare statuette votive presso ogni santuario. Lo stesso luogo di culto era dotato di arrangiamenti – si direbbe oggi – bed & breakfast per i numerosi pellegrini. I nuraghi sono migliaia; si dice 7-8 mila. Diversi tali complessi abitativi e difensivi fanno da fondamenta per costruzioni venute in seguito con la dominazione romana e aragonese, come Casa Zapata a Barumini. Le statuette bronzee e le sculture dei 27 Giganti di Mont’e Prama ci mostrano dei sacerdoti, arcieri, pugilatori e guerrieri raffinatamente agghindati. È stato smentito che pensava ai nuragici come rozzi predatori che vestivano di pelli ovine.
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Bibliografia
- Cristiana Baietta (coordinamento editoriale), Guida d’Italia. Sardegna (1.a ediz. 1918), Milano, Touring Club Italiano, 6.a ediz., 2008.

- Stefano Bucci, “La Pompei nascosta di Sardegna. C’è una megalopoli sottoterra”, «Corriere della Sera», 25 settembre 2019, p. 41.
Tharros, 11.9.2019, i visitatori al sito archeologico
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Servizio giornalistico e di fotografia di Elio Varutti. Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti.
Tharros, particolare costruttivo