martedì 22 gennaio 2019

Fiume 1947, l’umanità tra una bambina italiana e un militare tedesco prigioniero degli iugoslavi


È un libro che si legge tuto de un fia’. È un incantevole volume del ricordo, giunto già alla seconda edizione. Sono poche, ma intense le 58 pagine fondate su di un atto di gentilezza delle ragazze di Fiume dopo la Seconda guerra mondiale verso i soldati tedeschi costretti ai lavori forzati. L’umanità, in quelle terre, aveva iniziato a spegnersi dal 1943, quando un insieme variegato di bande e di eserciti si fronteggiava con vena nazionalistica e con tragiche uccisioni.
La copertina del libro con la fotografia che il militare tedesco Josef teneva con sé; si vede la moglie, col figlioletto Werner

Il fatto straordinario è che l’intero testo di Cristina Scala è stato creato sulla base di documenti familiari, come lettere manoscritte, fotografie, dattiloscritti e vari contatti via web. Lo stile dell’autrice appare scarno e senza fronzoli, ma è sciolto e leggibile. Certe sue frasi sono come stilettate di bora, lanciate lì tra appunti storici e riflessioni filosofiche. Al termine di una paragrafo potrebbe capitarvi di avere dei brividi di emozione, perché tutto il racconto si basa su di una storia vera del 1947, come recita il titolo, con un balzo cronologico al 2016 e 2017 per le corrispondenze di posta elettronica, quando la Scala scopre gli originali manoscritti in lingua tedesca. 
È proprio a Natale del 2016, durante un viaggio negli Stati Uniti, in contatto con la rete dei fiumani sparsi nel mondo, che all’Autrice vengono sottoposte alcune lettere da comprendere e tradurre. I manoscritti, del 1949, sono opera di un soldato tedesco che si trovava prigioniero degli slavi a Fiume, annessa alla Jugoslavia, dopo il secondo conflitto mondiale.
Il soldato esprime la sua gratitudine per la solidarietà e la gentilezza incontrate tra i fiumani, in particolare con una bambina di 10 anni, Luzia, che lo aiutò, con poche e semplici parole, a superare il brutto periodo di detenzione e di lavori forzati per gli slavi. Dopo quasi 70 anni Cristina Scala è riuscita a mettersi in contatto con i discendenti di quel milite e a creare l’occasione di un viaggio del ricordo nei luoghi di detenzione e di pena.
Il libro della Scala è come una bomba d’acqua: tutto, tanto e subito. Non c’è tempo per fare delle congetture. Non c’è sosta. C’è solo la voglia matta di finire di leggere e di capire dove vano a parare i protagonisti dell’avvincente faccenda. Non si vede l’ora di finire una pagina per scoprire che cosa ci sarà in quella seguente.

Josef B., nato a Kobern, presso Coblenza, il 14 settembre 1911, morì a casa sua il 18 gennaio 1987. L'ultima di copertina del libro di Cristina Scala


La vicenda del soldato Josef e della bambina Lucia
Come già accennato la vicenda è quella di Josef B., di Coblenza, soldato tedesco della Wehrmacht fatto prigioniero, col suo reparto, dagli iugoslavi a Castelnuovo d’Istria, oggi Podgrad, il 3 maggio 1945. Come molti altri suoi commilitoni viene destinato ai lavori forzati. Gli è andata bene, perché è ancora vivo. Nel 1947 a Fiume, in Via Torquato Tasso, diventata Ulica Kozala, fa conoscenza con Lucia, una bambina italiana di 10 anni, che gli dà un semplice saluto, oppure un pezzo di pane e marmellata.
I semplici atti di gentilezza della bimba italiana Lucia danno grande conforto al soldato tedesco Josef, che ricorderà quel briciolo di umanità. Il soldato Josef B. riesce a far ritorno in Germania, dalla sua famiglia, il 25 gennaio 1949, dopo quattro anni di lavoro coatto duro e pesante, come quello notturno in miniera, ad Arsia, che gli rovina la salute e la possibilità di deambulare. Muore il 18 gennaio 1987.
Nel 1949 Josef scrive tre lettere di ringraziamento a Lucia M., indirizzandole a Fiume, Via Tasso, raccontandole del figlio Werner, della moglie e dei vicini, curiosi di sapere quella storia di piccola umanità. La bambina Lucia, pur non capendo quella calligrafia, è contenta perché capisce che Josef è riuscito a tornare dalla sua famiglia. Le missive, in tedesco, non facilmente comprensibili per la grafia, restano in una scatola nella cantina di Lucia fino al suo esodo da Fiume, avvenuto nel 1957, per arrivare a Genova.
La miniera di Arsia negli anni Quaranta; grazie per la cartolina a Paolo De Luise, di Pirano, esule a Carpi, provincia di Modena

Dalla Liguria, questi originali documenti vengono ritrovati nel 2016, scansionati ed inviati per posta elettronica all’amica del cuore Lucilla, che da Fiume è esule negli Stati Uniti, nel Nord Carolina. Avendo Lucilla un fratello che conosce la lingua tedesca, potrà egli tradurre i messaggi, ma la grafia è veramente impossibile. Poi, per pura coincidenza, arriva Cristina Scala e riesce a capire quelle frasi e a tradurle. Non solo, ritornata in Italia, costruisce dei contatti con i discendenti di Josef di Coblenza. Nel luglio del 2017 si incontra con Alexandra, la figlia di Werner, in Austria. Poi se li porta a Portogruaro, a Fiume e ad Arsia, nella miniera dove pativa Josef, in un tenero quanto europeo viaggio della memoria, documentato nel libretto con tanto di fotografie.
“Non dimenticherò mai le donne di Via Tasso – scrive Josef nella lettera, firmandosi Giuseppe, moglie e Werner (il figlio) – con pane, conserve e frutta vi siete occupate per il nostro benessere fisico, e tramite il vostro gentilissimo Buongiorno e Come Va? siamo stati rafforzati nello spirito” (p. 25).

La storia del pacchettino
Lucia risponde al soldato Josef con delle cartoline e delle lettere, come quella del 20 dicembre 1950 che, racconta Josef in un altro messaggio, viene letta assieme alla sua famiglia e a certi vicini di casa, desiderosi di sentire raccontare ancora una volta la storia del pacchettino delle bambine fiumane. Cos’era questo pacchettino? Lucia, sua sorella e le altre ragazze di Fiume davano da mangiare al soldato Josef che lavorava ad uno scavo in Via Tasso. Le bambine senza farsi notare dai guardiani titini, lasciavano cadere o nascondevano un piccolo pacco, con dentro un panino di marmellata, oppure un frutto, per Josef. Il pacchetto veniva nascosto vicino ad un cancello del forno Pucikar, il nonno di Lucilla. Quando poteva, Josef lo andava a raccogliere e si nutriva, oltre a sentire i garruli saluti di Buongiorno delle ragazzine di Fiume.
I discendenti di Josef, con Cristina Scala, hanno visitato a Fiume, in Via Tasso a Cosala, il luogo di consegna del pacchettino. Lo hanno fotografato e mostrato ai parenti. Tutta la visita a Fiume e alla miniera di Arsia si è svolta tenendosi in contatto telefonico con Werner, in Germania, con Lucilla, in Nord Carolina, con Furio, figlio di Lucilla che vive in Texas e con Lucia a Genova.
Arsia 1942, scuola elementare "G. Marconi"; ringrazio per la immagine Mario Tamburlini, del gruppo di Facebook Amici profughi istriani, col suo messaggio del  21.1.2019

L’incidente del 1948 nella miniera di Arsia
La miniera di Arsia, ora Raša, non si è accontentata della vita dei 187 minatori uccisi da un’esplosione il 28 febbraio 1940, quando apparteneva all’Italia. Divenuta iugoslava, tornò ad esplodere nel 1948, provocando la morte di almeno 92 minatori tedeschi prigionieri degli iugoslavi e costretti ai lavori forzati, come Josef, il quale si salvò perché era stato spostato a lavorare in un panificio di Draga di Moschiena. Oggi Arsia pare una città fantasma, la miniera è chiusa e dell’incidente del 1948 si sa che “… il regime di Tito volle insabbiare questa faccenda” (p. 46).

Chi è Cristina Scala?
Figlia di padre esule da Fiume e di madre profuga dalla Boemia, l’Autrice è nata nel 1972 a Trieste. Nel 1978 la famiglia si trasferisce in Germania, a Offenbach sul Meno, vicino a Francoforte sul Meno. L’Autrice si specializza in Tecniche turistiche, conseguendo il diploma di Reisenverkehrskauffrau, corrispondente in Italia a Perito turistico.
Per dieci anni lavora in agenzie marittime per crociere internazionali a Francoforte e a Monaco di Baviera. Nel 2000 rientra in Italia, stabilendosi a Portogruaro, in provincia di Venezia, dove attualmente è responsabile dell’ufficio commerciale di un’impresa del settore metalmeccanico. Il suo primo libro edito si intitola Ricordi fiumani e Ciacolade di Giulio Scala, del 2014 e premiato nel 2018 con menzione d’onore speciale al Premio letterario “Generale Loris Tanzella” di Verona. L’autrice ha un profilo Facebook, dove può essere contattata per eventuali informazioni sul suo originale libro.
 Cartolina di Moschiena degli anni 1920-1930. Immagine da Internet 


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Il libro recensito
Cristina Scala, Cuore di bambina a Fiume nell’anno 1947, Portogruaro (VE), [s.e.], 2018, pp. 58.

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Commenti del web
In un paio di giorni l’articolo presente ha fatto registrare nel web oltre 350 visualizzazioni e una serie di commenti positivi, compresi quelli festosi dell’Autrice. Tra i tanti messaggi ricevuti riportiamo i seguenti per dare un’idea della ricezione riguardo al libro di Cristina Scala.
Rudi Decleva, nato a Fiume nel 1929, sul profilo di Google il 23.1.2019, ha scritto: “Storia di una  bambina dal cuore d’oro e di un soldato prigioniero di uno Stato che per punirlo gli impedisce di correre ad abbracciare la sua famiglia in una terra lontana. Una vacanza negli States che fa scoprire all’Autrice gli ingredienti di questa storia come in un gioco del destino. E le imprevedibili sorprese nei luoghi dove venne a svilupparsi questo doloroso dramma umano che fortunatamente si conclude con lacrime di gioiosa commozione”.
Una fiumana nel cuore, Arianna Gerbaz, di Latina, che vive a Torino, il 22.1.2019, nel gruppo di Facebook Un Fiume di Fiumani, ha scritto: “Una storia commovente con protagonista la piccola Lucia”.

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Recensione di Elio Varutti. Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

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