giovedì 19 luglio 2018

A Udine un ulivo e un’area verde per ricordare la strage di Arsia del 1940


Il 15 aprile 2018 si è svolta a Udine la cerimonia per intitolare un sito ai Caduti di Arsia del 28 febbraio 1940. Che cosa era successo nella miniera tanto osannata dal fascismo? Accadde che 186 cittadini italiani, dei quali quattro provenienti dal Friuli e uno da Trieste, persero la vita nel più grande disastro minerario della storia d’Italia. L’evento rimase nascosto durante il fascismo, in considerazione della censura esistente che imponeva alla stampa di inneggiare al duce e al regime. Non è comprensibile il silenzio dei decenni successivi, perfino nel dopoguerra.
Udine, il cartello stradale che ricorda i Minatori morti nel disastro di Arsia, in Istria. Fotografia di Elio Varutti 2018

Molti lettori avranno sentito parlare del disastro di Marcinelle in Belgio: il giorno 8 agosto 1956, un incendio si sviluppò nella miniera di carbone Bois du Cazier, causando la morte di 262 persone. Tra le vittime 135 erano italiane. Pensate che questa non è la più grande tragedia mineraria che ha colpito l’Italia. Pochi, infatti, sanno dell’esistenza, tanto meno conoscono i particolari, della catastrofe di Arsia, Raša in croato, allora nel Regno d’Italia.
Successe nel 1940, nella città sorta dal nulla in stile italiano imperiale vicino ad Albona, in Istria, dove funzionava una miniera. L’attività estrattiva era stata potenziata per trovare risorse energetiche in regime d’autarchia. Parte del carbone veniva utilizzata nel sito industriale di Torviscosa (UD), altra città di fondazione del regime. Il 28 febbraio alle ore 4.35, probabilmente per la mancata pulizia dei cunicoli dalla polvere di carbone, nella Camera n. 1 si accese un’immensa fiammata. Le persone che persero la vita tra il fuoco, a causa dei crolli e per l’asfissia furono 185, ai quali si aggiunse un altro minatore nei giorni seguenti per le gravi ferite riportate. Tutti cittadini italiani.
Tra questi, cinque lavoratori provenivano dall’attuale Friuli Venezia Giulia: tre da Giais di Aviano, uno da Gorizia e uno da Trieste. Quest’ultimo si chiamava Arrigo Grassi, un meccanico di 28 anni che, messosi in salvo, rientrò ripetutamente in miniera e riuscì a mettere in salvo dieci compagni. Non l’undicesimo però, che trovò la morte accanto al Grassi nel tentativo di trovare scampo. Sulla catastrofe, inspiegabilmente, venne calato un velo di silenzio. Prima dalle autorità fasciste, come accennato, poi da quelle jugoslave. Per convenienza politica tacquero perfino l’Italia repubblicana di De Gasperi e quella dei governanti successivi per tutto il Novecento, inclusi i politici del centro-sinistra.
Per ricordare la tremenda tragedia, nel 2018 un’area verde a Udine, accanto al Parco Ilaria Alpi, è stata intitolata ai Caduti di Arsia. A promuovere l’iniziativa sono stati i Maestri del Lavoro, che – alla  presenza di Glorija Paliska, sindaco di Arsia / Raša, hanno tenuto la cerimonia d’intitolazione il 15 aprile 2018, nel quadro di un convegno regionale della Federazione di categoria.
Udine, Area verde "Caduti di Arsia 28 febbraio 1940" con l'ulivo a loro dedicato (a sinistra). Fotografia di Elio Varutti 2018

“Noi – ha spiegato il console regionale Mario Caporale dei Maestri del Lavoro – teniamo periodicamente cerimonie per ricordare i caduti di Marcinelle, insigniti dal presidente Oscar Luigi Scalfaro della Stella al merito del Lavoro alla memoria. Proprio durante una di queste iniziative, sono stato avvicinato da una persona, che mi ha chiesto perché non ricordavamo anche i caduti di Arsia. Così, da quel momento mi sono interessato alla tragedia del 1940. Oltre all’area verde, dove è stata scoperta una targa, deposta una corona d’alloro e piantato un ulivo in segno di serenità e pace, abbiamo chiesto che anche ai caduti di Arsia sia concessa la Stella al Merito. L’istanza ora è all’esame dei ministeri degli Esteri e del Lavoro, poi sarà il presidente Sergio Mattarella a decidere”.
Prima della cerimonia, alle 10.30, si è tenuta una Messa in suffragio celebrata da don Giuliano Del Degan, con l’accompagnamento del Coro Tourdion, diretto dal maestro Federico Lepore.
È stata presa nel 2017 la decisone di onorare i Caduti di Arsia nella toponomastica udinese. Nella seduta del 15 giugno 2017, la giunta comunale fece quell’atto, su proposta di Antonella Nonino, assessore ai Servizi Demografici e del presidente della commissione Toponomastica del Comune, Franco Della Rossa. Il Comune di Udine ha deciso di intitolare l’area verde di via monsignor Aldo Moretti (laterale di via Melegnano) ai “Caduti di Arsia”, nel ricordo dei 185 minatori italiani che il 28 febbraio 1940 perirono nell’immane tragedia avvenuta nel bacino estrattivo di carbone dell’Istria, allora italiana.
“Con questa nuova intitolazione – ha spiegato Della Rossa – rispondiamo a una precisa richiesta della Federazione Maestri del Lavoro d’Italia, che anche attraverso la sua sezione provinciale ha chiesto ufficialmente di onorare le vittime di questo terribile disastro, proprio come avevamo fatto nel 2014 con i caduti di Marcinelle, alla cui memoria è stata dedicata l’area verde situata all’incrocio tra largo Carlo Goldoni, viale Trieste e via Giuseppe Parini”.
Secondo certi storici lo scoppio della guerra, il blocco delle carboniere germaniche dirette all’Italia, il bisogno di intensificare la produzione e il lavoro svolto senza le misure di precauzione prescritte furono tra le cause del disastro. Fa specie notare come Arsia e Marcinelle siano state in qualche modo collegate, dal momento che, una volta perso il carbone istriano a causa della spartizione post-bellica dei territori istriani, i minatori italiani che sopravvissero furono costretti a prendere la via del Belgio, dove, l’8 agosto 1956, morirono 262 persone, sette delle quali erano friulane.
Udine, Targa dei Maestri del Lavoro in memoria dei Caduti di Arsia nel disastro minerario del 28 febbraio 1940, con l'ulivo a loro dedicato. Fotografia di Elio Varutti 2018

La testimonianza di Isabella Flego, nata ad Arsia
In merito al disastro minerario di Arsia segnaliamo, inoltre, un accorato intervento di Isabella Flego, che nel web il 14 maggio 2018, tra le altre, ha scritto che: “Grazie alla Comunità degli Italiani di Albona e dal Circolo di cultura istro-veneta di Trieste, dal 2007 la ricorrenza, importante perché ha rotto il silenzio di troppi decenni imposto dagli assurdi eventi storici e ha riempito un tragico vuoto, è divenuta l’evento incontro annuale per eccellenza. Quel vuoto continua a riempirsi per creare  spazi di libertà e di reciproco riconoscimento. In seguito, pure la Regione Friuli Venezia Giulia si è inserita attivamente nelle manifestazioni.
Per un senso di dignità della mia famiglia di minatori – ha precisato Isabella Flego, una testimone d’eccezione – guardo al mondo dell’infanzia, alla perduta innocenza e a quello dell’adolescenza con un senso particolare. Quel mondo mi ha lasciato, accanto al rumore della guerra e quelli del trenino e della sirena della miniera (la cui voce odo ancora quando ci ripenso), l’odore di mamma e i profumi di casa mia. Mi ha insegnato ad amare le piccole cose, a rispettare le persone, la dignità del lavoro e della miseria degli onesti e di non serbare rancore in famiglia. Ecco perché accanto alla mia realtà, anche se le epoche si scoloriscono, scorrono pure Arsia e la miniera, che cerco di inserire qua e là nei miei scritti.
Quest’anno, nel mese di marzo, grazie proprio all’iniziativa del Friuli Venezia Giulia, le 185 vittime, perite nel 1940 nel più grave incidente sul lavoro della storia d’Italia, sono state ricordate anche a Udine, dove un’Area Verde del Comune è stata intitolata proprio a loro, rompendo così per sempre un tragico silenzio. L’Area Verde del Comune di Udine rimarrà nel tempo un primo premio di riconoscimento e di valore, sul suolo dell’Italia, per i 185 minatori, periti nel compiere il proprio dovere. Un dolore e una tristezza da ricordare, uniti alla gratitudine per coloro che hanno voluto ricordare.
La memoria serve a crescere, a proteggerci e a trasferire alla generazione successiva, che vive, nell’attuale, una società trasformatasi da responsabile a società di sospetto, la nostra conoscenza.
Tante volte, come adesso, mi è pesato il ricordo insieme alla nostalgia di una cosa non ancora conosciuta: il riconoscimento del valore dei 185 morti, vittime del lavoro, da parte dei Governi italiano e jugoslavo. Quest’anno, nel seguire le notizie inerenti la commemorazione, esse si riempivano di passato, quel passato che porto ben impresso nella memoria, quale vita reale morta, con il ricordo mai spento, perché legato a forti emozioni e perché le tragedie lasciano segni eterni. E le distanze del tempo, consumate e levigate, tornano con presenze precise, con ciò che si vuole in silenzio.
Arsia / Raša, città di fondazione in stile imperiale italiano, 1936-1937. Fotografia contenuta in Venezia Giulia e Friuli, Milano, Touring Club Italiano, vol. XXI, 1955, diffusa nel web dall'Ente Turistico del Comune di Arsia, 2013-2015

Ho pensato ad Arsia – ha aggiunto la Flego – e a quell’alba del 28 febbraio 1940 della mia infanzia lontana, come a un momento acceso di ricordi, un paesaggio di tinte crudeli, colmo di sincero dolore del mio paese natio, e mi sono vista infreddolita, tirata per mano da mia sorella lungo il viale dei platani, avvertendo il peso dell’irreparabilità di aver vissuto quel momento tra urla, lamenti, grida, pianti (anch’io piangevo) e tanta confusione. La sirena ululante squarciava le tenebre e emigrando per le vie, come un lungo respiro, entrava in ogni casa a ferire l’anima delle persone.
La tragedia non è stata soltanto una disgrazia capitata alla grande comunità dei minatori, agli altri; pure a noi in famiglia è mancato lo zio, marito della sorella di papà e padre di due cuginette, che come me guardavano la loro mamma piangere e disperarsi sotto il peso e la pena di tante giornate. Papà le adagiava la mano sulla spalla. Nel gesto era racchiusa tutta la sua pena, la rabbia e forse anche la paura di tutto l’orrore che ben conosceva. Non lo diceva; papà mai è stato loquace, erano i suoi occhi a dire le cose, senza bisogno di parlare; si capiva dal suo atteggiamento che il rischio e il coraggio erano i compagni quotidiani della vita in miniera, alla quale, comunque, rivolgeva le sue preghiere, senza mai pensare di soggiogarla.
Ancora oggi il ricordo, dei due volti distrutti dal dolore, m’intenerisce – ha confessato Isabella Flego – non perché ricordo soltanto, ma anche perché i gesti e l’umiltà, con cui papà trattava la sorella, li vedo e sento le mie emozioni. Anni dopo avevo capito che vivere per lui era un atto di coraggio e la vita stessa un atto di eroismo da compiere quotidianamente.
Papà aveva un legame inspiegabile con la miniera. Scese per la prima volta nel pozzo buio della miniera di Vines all’età di dodici anni, quasi tenuto per mano dal padre minatore. E quando nel 1965 chiusero per sempre quella di Arsia, con lo stupore dipinto sul viso, ebbe parole dure, come se avessero aggredito la sua lunga vita da minatore: 38 anni di fedeltà alle viscere della terra e di condivisione di giornate anche terribili. La miniera era l’ultimo filo che lo legava fortemente al grembo nero e oscuro di Arsia, al proprio mondo interiore cresciuto assieme ad esso, nello scavare chilometri di gallerie e corridoi, con la morte sempre in agguato.
Papà, perse quel filo importante – ha spiegato la Flego – il paese invece ha perduto le sue caratteristiche di centro minerario, il più importante della Jugoslavia. Già nell’immediato dopoguerra,  Arsia  aveva dovuto cambiare il suo aspetto, forgiata da tante parole nuove alle nostre orecchie e da una convivenza di gente foresta, forzata e imposta. Di giorno in giorno le parole si tingevano e gonfiavano di dittatura e andavano formando collane da appenderci al collo e a occupare tutto, entrando persino tra le pareti umide della miniera, dove papà aveva costruito un suo vocabolario utile e durevole nel tempo e che io ho imparato come fossero magiche, nate in un mondo fatato e di streghe dal quale tornava cigno nero degli abissi, dopo aver masticato tabacco e sputato il superfluo. Le altre parole, le nostre, quelle di Arsia, nate e conservate con la sua storia, si assottigliavano sempre di più e si arrampicavano sulla nostra tristezza. Così Arsia, dall’anima italiana divenne un’altra cosa, anche se in essa respiravano italiani, croati e sloveni.
Arsia, è un ricordo per me e per tante altre famiglie e si sa, che sono i ricordi a smuovere gli individui, a renderli contenti o scontenti. Ed è stato proprio il ricordo, a risvegliare nelle persone sensibili e aperte al dialogo, a far tornare ad Arsia la memoria della tragedia, che per lunghi decenni era rimasta lontana dal rumore della terra e senza il silenzio del cielo. Arsia per me non è soltanto il luogo della memoria dove evocare le assenze – ha concluso Isabella Flego – è anche il luogo dell’innocenza; è parte di un passato importante, è il legame agli affetti, alle abitudini di famiglia, all’amore per la vita e alla mia identità".
Cartolina delle provincie redente, anni '20. Archivio ANVGD Udine

Contributi dal web
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo dello storico Carlo Cesare Montani, esule da Fiume. L’autore propone pure, per un arricchimento ed una rilettura, un cenno bibliografico di alcuni suoi articoli sul tema di Arsia. Lo ringraziamo per questo suo attento parere, specialmente perché si tratta di composizioni di un autore dell’esodo giuliano dalmata. Tali testi andranno sicuramente a sensibilizzare il mondo degli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia e soprattutto, dei loro discendenti, talvolta alla affannosa ricerca di notizie e di interpretazioni storiche riguardo alle proprie radici. (E.V.)
“Gentile Prof. Varutti ed egregi Signori, con riferimento a quanto inviato da Lei, gentile Professore, che ringrazio per la cortese informazione, ritengo opportuno, ad ulteriore chiarificazione della materia, inviare alcuni miei articoli riguardanti l’industria estrattiva istriana, alcuni dei quali con informazioni integrative sulla tragedia occorsa nella miniera di Arsia, il 28 febbraio 1940.
Copia della presente, per utile conoscenza, è inviata anche al Dr. Roberto Picchiani, figlio dell’Ing. Alberto Picchiani, all’epoca Direttore tecnico della Società ACAI, che gestiva il complesso minerario in parola; l’Ing. Picchiani venne infoibato durante la prima ondata dei delitti compiuti da mano slavo-comunista (ottobre 1943) assieme ad una sessantina di compagni di lavoro (dirigenti, impiegati ed operai). Va aggiunto che si distinse per il comportamento eroico assunto davanti ai propri assassini, essendosi gettato nella foiba con l’ultimo grido di “Viva l’Italia” (anche per questo è stato insignito della Medaglia di cui alla Legge 30 marzo 2004 n. 92).
Gli articoli che allego sono tratti da Organi periodici (Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale, diretta dal Prof. Augusto Sinagra; Sito Internet www.storico.org diretto dal Prof. Luciano Atticciati; Giornale del Marmo edito dal Gruppo Faenza/Il Sole 24 Ore) e da alcuni “reprints”.
Ringrazio sin d’ora per la cortese attenzione che vorrete attirare su questi articoli, nell’auspicio che possano essere utili a chiarire, in particolare, taluni aspetti della tragedia mineraria avvenuta nel 1940, sinora non molto conosciuti. Ciò, con specifico riferimento alla necessità di inquadrarla nella politica di forte sviluppo dell’epoca, caratterizzata da un’espansione senza precedenti anche in campo occupazionale; ed al fatto che un’altra tragedia di importanti dimensioni ebbe luogo nel 1948 durante la gestione slava.
Auspico che tutti i Caduti possano essere ricordati nella Vostra memorialistica, accomunando in un solo abbraccio quelli del 1940, del 1943 (e seguenti) e del 1948. Con i migliori saluti a tutti.
Carlo C. Montani, Storico - Pubblicista - Esule da Fiume”.

Bibliografia suggerita da Carlo Cesare Montani
- Carlo Cesare Montani, Dalla miniera alla foiba. Una tragedia emblematica: Alberto Picchiani, Direttore tecnico dell’Azienda Carboni Italiani (ACAI) di Arsia, massacrato dai partigiani di Tito il 5 ottobre 1943, on-line dall’ottobre 2017.


- Carlo Cesare Montani, Istria italiana: storie di pietre e di fede, online da novembre 2010.


Fonti digitali sul servizio redazionale

- Isabella Flego, Arsia 1937, intervento nel web intitolato: Arsia, ciò che è profondo rimane in silenzio, on-line dal 14 maggio 2018.

- La toponomastica cittadina commemora i caduti di Arsia, «Diario di Udine», 19 giugno 2017.

- La toponomastica commemora i Caduti di Arsia, «Messaggero Veneto» del 19 giugno 2017.

- Hubert Londero, Un’area verde per ricordare la strage nascosta, «Il Friuli» del 14 aprile 2018.

Fonti archivistiche e collezioni familiari
- Archivio del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

- Collezione Ester Lulli Lenardon, esule da Albona, Udine, ora in Archivio ANVGD.

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Bibliografia generale
- Venezia Giulia e Friuli, Milano, Touring Club Italiano, vol. XXI, 1955.

Canto popolare istriano pubblicato su un giornale dei primi del ‘900. Albona ga el carbon, al verso n. 10. Collezione Ester Lulli Lenardon, esule da Albona, Udine, ora in Archivio ANVGD di Udine.
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Servizio redazionale di Sebastiano Pio Zucchiatti. Ricerche storiche e Networking a cura di Gerolamo Jacobson e E. Varutti. Fotografie di E. Varutti. Oltre la signora Isabella Flego e il signor Carlo Cesare Montani, si ringraziano, per la pubblicazione in questo blog, le seguenti testate giornalistiche italiane: «Diario di Udine», «Messaggero Veneto» e «Il Friuli».

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