Il 15 aprile 2018 si è svolta a Udine la cerimonia per
intitolare un sito ai Caduti di Arsia del 28 febbraio 1940. Che cosa era
successo nella miniera tanto osannata dal fascismo? Accadde che 186 cittadini
italiani, dei quali quattro provenienti dal Friuli e uno da Trieste, persero la
vita nel più grande disastro minerario della storia d’Italia. L’evento rimase
nascosto durante il fascismo, in considerazione della censura esistente che
imponeva alla stampa di inneggiare al duce e al regime. Non è comprensibile il
silenzio dei decenni successivi, perfino nel dopoguerra.
Udine, il cartello stradale che ricorda i Minatori morti nel disastro di Arsia, in Istria. Fotografia di Elio Varutti 2018
Molti lettori avranno sentito parlare del disastro di Marcinelle in Belgio: il giorno 8 agosto 1956, un incendio si sviluppò nella
miniera di carbone Bois du Cazier, causando la morte di 262 persone. Tra le
vittime 135 erano italiane. Pensate che questa non è la più grande tragedia
mineraria che ha colpito l’Italia. Pochi, infatti, sanno dell’esistenza, tanto
meno conoscono i particolari, della catastrofe di Arsia, Raša in croato, allora
nel Regno d’Italia.
Successe nel 1940, nella città sorta dal nulla in stile
italiano imperiale vicino ad Albona, in Istria, dove funzionava una miniera. L’attività
estrattiva era stata potenziata per trovare risorse energetiche in regime
d’autarchia. Parte del carbone veniva utilizzata nel sito industriale di
Torviscosa (UD), altra città di fondazione del regime. Il 28 febbraio alle ore
4.35, probabilmente per la mancata pulizia dei cunicoli dalla polvere di
carbone, nella Camera n. 1 si accese un’immensa fiammata. Le persone che
persero la vita tra il fuoco, a causa dei crolli e per l’asfissia furono 185,
ai quali si aggiunse un altro minatore nei giorni seguenti per le gravi ferite
riportate. Tutti cittadini italiani.
Tra questi, cinque lavoratori provenivano dall’attuale Friuli
Venezia Giulia: tre da Giais di Aviano, uno da Gorizia e uno da Trieste.
Quest’ultimo si chiamava Arrigo Grassi, un meccanico di 28 anni che, messosi in
salvo, rientrò ripetutamente in miniera e riuscì a mettere in salvo dieci
compagni. Non l’undicesimo però, che trovò la morte accanto al Grassi nel
tentativo di trovare scampo. Sulla catastrofe, inspiegabilmente, venne calato
un velo di silenzio. Prima dalle autorità fasciste, come accennato, poi da
quelle jugoslave. Per convenienza politica tacquero perfino l’Italia
repubblicana di De Gasperi e quella dei governanti successivi per tutto il
Novecento, inclusi i politici del centro-sinistra.
Per ricordare la tremenda tragedia, nel 2018 un’area verde a
Udine, accanto al Parco Ilaria Alpi, è stata intitolata ai Caduti di Arsia. A
promuovere l’iniziativa sono stati i Maestri del Lavoro, che – alla presenza di Glorija Paliska, sindaco di Arsia
/ Raša, hanno tenuto la cerimonia d’intitolazione il 15 aprile 2018, nel quadro
di un convegno regionale della Federazione di categoria.
Udine, Area verde "Caduti di Arsia 28 febbraio 1940" con l'ulivo a loro dedicato (a sinistra). Fotografia di Elio Varutti 2018
“Noi – ha spiegato il console regionale Mario Caporale dei
Maestri del Lavoro – teniamo periodicamente cerimonie per ricordare i caduti di
Marcinelle, insigniti dal presidente Oscar Luigi Scalfaro della Stella al
merito del Lavoro alla memoria. Proprio durante una di queste iniziative, sono
stato avvicinato da una persona, che mi ha chiesto perché non ricordavamo anche
i caduti di Arsia. Così, da quel momento mi sono interessato alla tragedia del
1940. Oltre all’area verde, dove è stata scoperta una targa, deposta una corona
d’alloro e piantato un ulivo in segno di serenità e pace, abbiamo chiesto che
anche ai caduti di Arsia sia concessa la Stella al Merito. L’istanza ora è
all’esame dei ministeri degli Esteri e del Lavoro, poi sarà il presidente
Sergio Mattarella a decidere”.
Prima della cerimonia, alle 10.30, si è tenuta una Messa in
suffragio celebrata da don Giuliano Del Degan, con l’accompagnamento del Coro
Tourdion, diretto dal maestro Federico Lepore.
È stata presa nel 2017 la decisone di onorare i Caduti di Arsia
nella toponomastica udinese. Nella seduta del 15 giugno 2017, la giunta
comunale fece quell’atto, su proposta di Antonella Nonino, assessore ai Servizi
Demografici e del presidente della commissione Toponomastica del Comune, Franco
Della Rossa. Il Comune di Udine ha deciso di intitolare l’area verde di via
monsignor Aldo Moretti (laterale di via Melegnano) ai “Caduti di Arsia”, nel
ricordo dei 185 minatori italiani che il 28 febbraio 1940 perirono nell’immane
tragedia avvenuta nel bacino estrattivo di carbone dell’Istria, allora
italiana.
“Con questa nuova intitolazione – ha spiegato Della Rossa –
rispondiamo a una precisa richiesta della Federazione Maestri del Lavoro
d’Italia, che anche attraverso la sua sezione provinciale ha chiesto
ufficialmente di onorare le vittime di questo terribile disastro, proprio come
avevamo fatto nel 2014 con i caduti di Marcinelle, alla cui memoria è stata
dedicata l’area verde situata all’incrocio tra largo Carlo Goldoni, viale
Trieste e via Giuseppe Parini”.
Secondo certi storici lo scoppio della guerra, il blocco
delle carboniere germaniche dirette all’Italia, il bisogno di intensificare la
produzione e il lavoro svolto senza le misure di precauzione prescritte furono
tra le cause del disastro. Fa specie notare come Arsia e Marcinelle siano state
in qualche modo collegate, dal momento che, una volta perso il carbone istriano
a causa della spartizione post-bellica dei territori istriani, i minatori
italiani che sopravvissero furono costretti a prendere la via del Belgio, dove,
l’8 agosto 1956, morirono 262 persone, sette delle quali erano friulane.
Udine, Targa dei Maestri del Lavoro in memoria dei Caduti di Arsia nel disastro minerario del 28 febbraio 1940, con l'ulivo a loro dedicato. Fotografia di Elio Varutti 2018
La testimonianza di
Isabella Flego, nata ad Arsia
In merito al disastro minerario di Arsia segnaliamo, inoltre,
un accorato intervento di Isabella Flego, che nel web il 14 maggio 2018, tra le
altre, ha scritto che: “Grazie alla Comunità degli Italiani di Albona e dal
Circolo di cultura istro-veneta di Trieste, dal 2007 la ricorrenza, importante
perché ha rotto il silenzio di troppi decenni imposto dagli assurdi eventi
storici e ha riempito un tragico vuoto, è divenuta l’evento incontro annuale
per eccellenza. Quel vuoto continua a riempirsi per creare spazi di libertà e di reciproco
riconoscimento. In seguito, pure la Regione Friuli Venezia Giulia si è inserita
attivamente nelle manifestazioni.
Per un senso di dignità della mia famiglia di minatori – ha
precisato Isabella Flego, una testimone d’eccezione – guardo al mondo
dell’infanzia, alla perduta innocenza e a quello dell’adolescenza con un senso
particolare. Quel mondo mi ha lasciato, accanto al rumore della guerra e quelli
del trenino e della sirena della miniera (la cui voce odo ancora quando ci
ripenso), l’odore di mamma e i profumi di casa mia. Mi ha insegnato ad amare le
piccole cose, a rispettare le persone, la dignità del lavoro e della miseria
degli onesti e di non serbare rancore in famiglia. Ecco perché accanto alla mia
realtà, anche se le epoche si scoloriscono, scorrono pure Arsia e la miniera,
che cerco di inserire qua e là nei miei scritti.
Quest’anno, nel mese di marzo, grazie proprio all’iniziativa
del Friuli Venezia Giulia, le 185 vittime, perite nel 1940 nel più grave
incidente sul lavoro della storia d’Italia, sono state ricordate anche a Udine,
dove un’Area Verde del Comune è stata intitolata proprio a loro, rompendo così
per sempre un tragico silenzio. L’Area Verde del Comune di Udine rimarrà nel
tempo un primo premio di riconoscimento e di valore, sul suolo dell’Italia, per
i 185 minatori, periti nel compiere il proprio dovere. Un dolore e una
tristezza da ricordare, uniti alla gratitudine per coloro che hanno voluto
ricordare.
La memoria serve a crescere, a proteggerci e a trasferire
alla generazione successiva, che vive, nell’attuale, una società trasformatasi
da responsabile a società di sospetto, la nostra conoscenza.
Tante volte, come adesso, mi è pesato il ricordo insieme alla
nostalgia di una cosa non ancora conosciuta: il riconoscimento del valore dei
185 morti, vittime del lavoro, da parte dei Governi italiano e jugoslavo. Quest’anno,
nel seguire le notizie inerenti la commemorazione, esse si riempivano di
passato, quel passato che porto ben impresso nella memoria, quale vita reale
morta, con il ricordo mai spento, perché legato a forti emozioni e perché le
tragedie lasciano segni eterni. E le distanze del tempo, consumate e levigate,
tornano con presenze precise, con ciò che si vuole in silenzio.
Arsia / Raša, città di fondazione in stile imperiale italiano, 1936-1937. Fotografia contenuta in Venezia Giulia e Friuli, Milano, Touring Club Italiano, vol.
XXI, 1955, diffusa nel web dall'Ente Turistico del Comune di Arsia, 2013-2015
Ho pensato ad Arsia – ha aggiunto la Flego – e a quell’alba
del 28 febbraio 1940 della mia infanzia lontana, come a un momento acceso di
ricordi, un paesaggio di tinte crudeli, colmo di sincero dolore del mio paese
natio, e mi sono vista infreddolita, tirata per mano da mia sorella lungo il
viale dei platani, avvertendo il peso dell’irreparabilità di aver vissuto quel
momento tra urla, lamenti, grida, pianti (anch’io piangevo) e tanta confusione.
La sirena ululante squarciava le tenebre e emigrando per le vie, come un lungo
respiro, entrava in ogni casa a ferire l’anima delle persone.
La tragedia non è stata soltanto una disgrazia capitata alla
grande comunità dei minatori, agli altri; pure a noi in famiglia è mancato lo
zio, marito della sorella di papà e padre di due cuginette, che come me
guardavano la loro mamma piangere e disperarsi sotto il peso e la pena di tante
giornate. Papà le adagiava la mano sulla spalla. Nel gesto era racchiusa tutta
la sua pena, la rabbia e forse anche la paura di tutto l’orrore che ben
conosceva. Non lo diceva; papà mai è stato loquace, erano i suoi occhi a dire
le cose, senza bisogno di parlare; si capiva dal suo atteggiamento che il
rischio e il coraggio erano i compagni quotidiani della vita in miniera, alla
quale, comunque, rivolgeva le sue preghiere, senza mai pensare di soggiogarla.
Ancora oggi il ricordo, dei due volti distrutti dal dolore,
m’intenerisce – ha confessato Isabella Flego – non perché ricordo soltanto, ma
anche perché i gesti e l’umiltà, con cui papà trattava la sorella, li vedo e
sento le mie emozioni. Anni dopo avevo capito che vivere per lui era un atto di
coraggio e la vita stessa un atto di eroismo da compiere quotidianamente.
Papà aveva un legame inspiegabile con la miniera. Scese per
la prima volta nel pozzo buio della miniera di Vines all’età di dodici anni,
quasi tenuto per mano dal padre minatore. E quando nel 1965 chiusero per sempre
quella di Arsia, con lo stupore dipinto sul viso, ebbe parole dure, come se
avessero aggredito la sua lunga vita da minatore: 38 anni di fedeltà alle
viscere della terra e di condivisione di giornate anche terribili. La miniera
era l’ultimo filo che lo legava fortemente al grembo nero e oscuro di Arsia, al
proprio mondo interiore cresciuto assieme ad esso, nello scavare chilometri di
gallerie e corridoi, con la morte sempre in agguato.
Papà, perse quel filo importante – ha spiegato la Flego – il
paese invece ha perduto le sue caratteristiche di centro minerario, il più
importante della Jugoslavia. Già nell’immediato dopoguerra, Arsia
aveva dovuto cambiare il suo aspetto, forgiata da tante parole nuove
alle nostre orecchie e da una convivenza di gente foresta, forzata e imposta. Di giorno in giorno le parole si
tingevano e gonfiavano di dittatura e andavano formando collane da appenderci
al collo e a occupare tutto, entrando persino tra le pareti umide della
miniera, dove papà aveva costruito un suo vocabolario utile e durevole nel
tempo e che io ho imparato come fossero magiche, nate in un mondo fatato e di
streghe dal quale tornava cigno nero degli abissi, dopo aver masticato tabacco
e sputato il superfluo. Le altre parole, le
nostre, quelle di Arsia, nate e conservate con la sua storia, si
assottigliavano sempre di più e si arrampicavano sulla nostra tristezza. Così
Arsia, dall’anima italiana divenne un’altra cosa, anche se in essa respiravano
italiani, croati e sloveni.
Arsia, è un ricordo per me e per tante altre famiglie e si
sa, che sono i ricordi a smuovere gli individui, a renderli contenti o
scontenti. Ed è stato proprio il ricordo, a risvegliare nelle persone sensibili
e aperte al dialogo, a far tornare ad Arsia la memoria della tragedia, che per
lunghi decenni era rimasta lontana dal rumore della terra e senza il silenzio
del cielo. Arsia per me non è soltanto il luogo della memoria dove evocare le
assenze – ha concluso Isabella Flego – è anche il luogo dell’innocenza; è parte
di un passato importante, è il legame agli affetti, alle abitudini di famiglia,
all’amore per la vita e alla mia identità".
Cartolina delle provincie redente, anni '20. Archivio ANVGD Udine
Contributi dal web
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente contributo
dello storico Carlo Cesare Montani, esule da Fiume. L’autore propone pure, per
un arricchimento ed una rilettura, un cenno bibliografico di alcuni suoi
articoli sul tema di Arsia. Lo ringraziamo per questo suo attento parere, specialmente
perché si tratta di composizioni di un autore dell’esodo giuliano dalmata. Tali
testi andranno sicuramente a sensibilizzare il mondo degli esuli d’Istria,
Fiume e Dalmazia e soprattutto, dei loro discendenti, talvolta alla affannosa
ricerca di notizie e di interpretazioni storiche riguardo alle proprie radici.
(E.V.)
“Gentile Prof.
Varutti ed egregi Signori, con riferimento a quanto inviato da Lei, gentile
Professore, che ringrazio per la cortese informazione, ritengo opportuno, ad
ulteriore chiarificazione della materia, inviare alcuni miei articoli
riguardanti l’industria estrattiva istriana, alcuni dei quali con informazioni
integrative sulla tragedia occorsa nella miniera di Arsia, il 28 febbraio 1940.
Copia della
presente, per utile conoscenza, è inviata anche al Dr. Roberto Picchiani,
figlio dell’Ing. Alberto Picchiani, all’epoca Direttore tecnico della Società
ACAI, che gestiva il complesso minerario in parola; l’Ing. Picchiani venne
infoibato durante la prima ondata dei
delitti compiuti da mano slavo-comunista (ottobre 1943) assieme ad una
sessantina di compagni di lavoro (dirigenti, impiegati ed operai). Va aggiunto
che si distinse per il comportamento eroico assunto davanti ai propri
assassini, essendosi gettato nella foiba con l’ultimo grido di “Viva l’Italia”
(anche per questo è stato insignito della Medaglia di cui alla Legge 30 marzo
2004 n. 92).
Gli articoli che allego
sono tratti da Organi periodici (Rivista della Cooperazione Giuridica
Internazionale, diretta dal Prof. Augusto Sinagra; Sito Internet
www.storico.org diretto dal Prof. Luciano Atticciati; Giornale del Marmo edito
dal Gruppo Faenza/Il Sole 24 Ore) e da alcuni “reprints”.
Ringrazio sin d’ora
per la cortese attenzione che vorrete attirare su questi articoli,
nell’auspicio che possano essere utili a chiarire, in particolare, taluni
aspetti della tragedia mineraria avvenuta nel 1940, sinora non molto conosciuti.
Ciò, con specifico riferimento alla necessità di inquadrarla nella politica di
forte sviluppo dell’epoca, caratterizzata da un’espansione senza precedenti
anche in campo occupazionale; ed al fatto che un’altra tragedia di importanti
dimensioni ebbe luogo nel 1948 durante la gestione slava.
Auspico che tutti i
Caduti possano essere ricordati nella Vostra memorialistica, accomunando in un
solo abbraccio quelli del 1940, del 1943 (e seguenti) e del 1948. Con i
migliori saluti a tutti.
Carlo C. Montani, Storico
- Pubblicista - Esule da Fiume”.
Bibliografia suggerita
da Carlo Cesare Montani
- Carlo Cesare Montani, Dalla miniera alla foiba. Una tragedia emblematica: Alberto Picchiani, Direttore tecnico dell’Azienda Carboni Italiani (ACAI) di Arsia, massacrato dai
partigiani di Tito il 5 ottobre 1943, on-line dall’ottobre 2017.
- Carlo Cesare Montani, Presenza italiana in Istria. L’attività mineraria dalla grande espansione alle foibe, on-line
da gennaio 2016.
- Carlo Cesare Montani, Istria italiana: storie di pietre e di fede, online da novembre 2010.
Fonti digitali sul servizio redazionale
- Ente Turistico del Comune di Arsia, 2013-2015.
- Isabella Flego, Arsia 1937, intervento nel web intitolato: Arsia, ciò che è profondo rimane in silenzio,
on-line dal 14 maggio 2018.
Fonti archivistiche e
collezioni familiari
- Archivio del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione
Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), che ha la sua sede in Vicolo Sillio,
5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203. Presidente dell’ANVGD di Udine è
Bruna Zuccolin.
- Collezione Ester Lulli Lenardon, esule da Albona, Udine, ora
in Archivio ANVGD.
Bibliografia generale
- Venezia Giulia e Friuli, Milano, Touring Club Italiano, vol.
XXI, 1955.
Canto popolare istriano pubblicato su un giornale dei primi
del ‘900. Albona ga el carbon, al
verso n. 10. Collezione Ester Lulli Lenardon, esule da Albona, Udine, ora
in Archivio ANVGD di Udine.
--
Servizio redazionale di Sebastiano Pio Zucchiatti. Ricerche
storiche e Networking a cura di Gerolamo Jacobson e E. Varutti. Fotografie di
E. Varutti. Oltre la signora Isabella Flego e il signor Carlo Cesare Montani, si ringraziano, per la
pubblicazione in questo blog, le seguenti testate giornalistiche italiane: «Diario di Udine», «Messaggero Veneto» e «Il Friuli».
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