martedì 26 luglio 2016

Preventori antitubercolari di Sappada per esuli istriani

È un pezzo di storia ormai dimenticata. Sono stati assai importanti i preventori antitubercolari di Sappada, in provincia di Belluno, per i bimbi gracili degli italiani esuli d’Istria, di Fiume e della Dalmazia. L’esodo giuliano dalmata ha comportato tanti disagi, tristezze, perdite umane, di affetti e di patrimoni economici.
Sappada, borgata Lerpa - Preventorio più basso per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata, chiamato "Venezia Giulia".

La salute dei bambini dei profughi fu messa in salvo dall’idea di Aldo Clemente (Trieste 21.10.1920 – Roma 13.11.2014). Egli fu il Segretario Generale dell’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, con sede a Roma; si tratta di un ente nazionale per lavoratori rimpatriati e profughi, che fu attivo dal 1947 al 1978.
Aldo Clemente già nel 1945, poco più che ventenne, fondò, infatti, a Trieste un collegio per orfani di guerra e il primo preventorio antitubercolare di Sappada. Quello sorto nella ridente località alpina, ai confini con la Carnia, fu chiamato “Venezia Giulia”. 
Fu utilizzato un edificio già esistente, come si può notare dal filmato “A Sappada con i piccoli profughi giuliani” del 23 aprile 1952, edito dalla Settimana Incom, citato alla fine del presente articolo (e visibile con una cliccata). Sia per il primo preventorio femminile (sorto nel 1945), che per il secondo, quello maschile (del 1949) furono adibite due case sappadine. Negli anni successivi furono edificate due apposite costruzioni: il preventorio “Dalmazia”, del 1953-1954 e quello intitolato alla “Venezia Giulia”, del 1960-1964. Ambedue gli edifici sono su progetto dell’ingegnere Angelo Morelli De Rossi di Udine. Al progetto del 1960 ha operato anche Diomede Morossi, come pure nell'ampliamento dell'edificio "Dalmazia" nel 1971.

Angelo Morelli De Rossi, Prospettiva del preventorio "Dalmazia" di Sappada, progetto del 1954. Archivio del Comune di Sappada.

Theodoro de Lindemann, pediatra triestino, fu il consulente scientifico per la realizzazione dei due Preventori di Sappada. Negli ani ’50 de Lindemann da Trieste raggiungeva la località montana ogni sabato per sovrintendere alle nuove istituzioni per i bimbi dell’esodo, così ha dichiarato Aldo Clemente il 23 marzo 2007, durante un convegno a Trieste sull’esodo giuliano dalmata, organizzato dall’Associazione delle Comunità Istriane.
In chiave estetica i progetti dei preventori di Sappada elaborati da Angelo Morelli De Rossi e da D. Morossi possono essere avvicinati agli stilemi del razionalismo. Soprattutto il preventorio “Dalmazia”, del 1953-1954, a mio parere ha una linea che si accosta ad alcune opere dell'architetto Ermes Midena, esponente friulano del razionalismo.

Tra l’altro l’ingegnere Morelli De Rossi (1909-2006), che fu militare di naia a Fiume, ha operato proprio a favore dei profughi giuliano-dalmati, dedicandosi alla costruzione dei villaggi a loro destinati a Gorizia, Grado, Monfalcone, Udine e Marghera.

Il primo preventorio, quello del 1945, aveva una capacità iniziale di 50 posti letto ed era riservato alle bambine. Era organizzato con scuola materna e scuola elementare per le piccole utenti a rischio di malattie polmonari. Dato che le piccole ospiti dovevano soggiornare per vari mesi o anche per più tempo, fu un’occasione di lavoro per il personale locale: medico, infermiere, maestre, assistenti, cuoche, operai ed altro.
Sappada, 1925 - ed. e foto E. Danieli, S. Stefano di Cadore

Oggi gli edifici di tali preventori, in borgata Lerpa di Sappada, non sono più utilizzati per la loro funzione originale. La gente del luogo li chiama: colonie. Il 22 aprile 1994 sono stati impiegati per soggiorni di bambini della diocesi di Trieste. Essi assunsero una nuova intitolazione. Il preventorio “Dalmazia” divenne “Casa San Giusto”, mentre l’edificio del “Venezia Giulia” situato più in basso fu chiamato “Casa Trieste”. Ciò in base alla domanda di Monsignor Eugenio Ravignani, vescovo di Trieste (nato a Pola nel 1932), in qualità di legale rappresentante della Chiesa Cattedrale di San Giusto Martire di Trieste, come emerge dall’Archivio del Comune di Sappada (F 13, n. 28/25).


Angelo Morelli De Rossi, Diomede Morossi, Prospetto nord del preventorio "Venezia Giulia" a Sappada, progetto del 1960. Archivio del Comune di Sappada.

Il 15 novembre 1949 a Sappada, in una costruzione preesistente, fu inaugurato il secondo preventorio antitubercolare, di 60 posti letto. Fu intitolato alla “Dalmazia” ed era per i maschietti delle scuole materne ed elementari ammalati o a rischio di malattie polmonari. L’accesso ai preventori avveniva su domanda dei genitori, secondo un regolamento, istruendo una pratica all’Ufficio Patronato e Assistenza ministeriale, come scrive «L’Arena di Pola» del 9 novembre 1949.
Aldo Clemente fu il direttore del collegio “Venezia Giulia”, secondo «La Voce di Fiume» e anche per «La Nuova Voce Giuliana», del 2010, ma non si sa se tale istituto sia proprio quello appena sorto di Sappada nel 1945.
Chi fosse interessato a vederli, quasi come in un itinerario del Giorno de Ricordo a Sappada, si dovrà recare alla borgata di Lerpa, verso ovest e il Cadore.  Dopo il distributore di benzina, che sta sulla sinistra, si vedrà a destra la Cappella di Santa Maria Ausiliatrice. Lì si deve salire lungo la strada fino in quota. Tra la spessa vegetazione, si incontra il primo grande edificio a sinistra (il "Venezia Giulia"), mentre il secondo (il "Dalmazia") è raggiungibile da una seconda stradina sempre a sinistra, dato che sta ancora più in alto, in località "Oberlerpa".
Sappada, borgata Lerpa, la Cappella di Santa Maria Ausiliatrice

La Cappella di Santa Maria Ausiliatrice è stata così dedicata nel 1954. Come scrive Carlo Malaguti’s Lasars, a pag. 26 del suo “Griesse vam Plodn / Saluti da Sappada”, fu costruita nel 1815 da Giovanni Battista Solero, in ringraziamento al Santo Patrono – perciò intitolata a San Giovanni Battista – per avergli evitato la naia obbligatoria nella disastrosa Campagna di Russia di Napoleone Bonaparte. A metà del Novecento mutò l’intitolazione, come detto.

Grazie ad una serie di visite al Comune di Sappada e alla disponibilità e collaborazione delle autorità e degli operatori del municipio si è potuto reperire, studiare e fotografare un insieme di documenti originali determinanti per una buona riuscita della ricerca sui preventori sappadini.
Sappada, borgata Lerpa - Tra la folta vegetazione il preventorio più basso, "Venezia Giulia", per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata

Criteri per l'ammissione ai Preventori di Sappada
Riprendo da «L’Arena di Pola», del 7 giugno 1960, un articolo con i criteri d’ammissione ai Preventori sappadini.
È documentata l’ampia azione d’assistenza svolta dall’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati nel settore dei minori. Particolare rilevanza ricoprono i Preventori antitubercolari di Sappada, in provincia di Belluno. In tale località, dal 1950, sono stati restituiti alle famiglie degli esuli giuliano-dalmati, completamente ristabiliti e rinforzati centinaia di bambini dai 4 ai 12 anni.
Negli Istituti sappadini funzionano la scuola elementare parificata e la scuola materna. È appena il caso di precisare che non si tratta di Istituti destinati a bambini ammalati conclamati, bensì esclusivamente a bimbi gracili o con precedenti sanitari. Il più rigoroso controllo viene fatto all’atto delle ammissioni e solo i “clinicamente sani” sono ammessi nei preventori. È necessario che di questa bellissima assistenza possano beneficiare effettivamente i bambini più poveri e i più gracili, per cui si invitano le famiglie a presentare domande di ammissione.
Alcuni posti nei Preventori saranno liberi col prossimo luglio 1960, per cui le domande vanno indirizzate subito all'Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, Roma - Piazzale di Porta Pia 121, che provvederà a fornire ogni utile notizia alle famiglie interessate. Per Trieste le domande vanno presentate alla Delegazione dell’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, Via del Teatro, 2 Trieste.
Sappada, borgata Lerpa - Altra immagine del preventorio "Venezia Giulia", situato più in basso, per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata

Alte notizie sui Preventori

Maria Escher, direttrice del Preventorio maschile “Dalmazia”, quello edificato più in alto, il 17 dicembre 1963 scrive al sindaco di Sappada per ricevere il “diritto di maggiorazione” per l’ultimo trimestre in corso riguardo al cosiddetto “caro pane” per i minori ricoverati nella struttura. Il documento dattiloscritto fa parte dell’Archivio del Comune di Sappada (F 13, n. 299).
Nel 1964 a Sappada viene inaugurata la nuova sede del preventorio “Venezia Giulia”, la costruzione situata più in basso, per le femmine, progettata sin dal 1960 dall’ingegnere Angelo Morelli De Rossi e da Diomede Morossi, di Udine.
In quell’occasione il pittore sappadino Pio Solero donò un suo quadro che ritrae il preventorio stesso, inserito nella gradevole valle alpina. Ecco come descrive l’evento il giornale «L’Arena di Pola», del 18 febbraio 1964.
«RIANDANDO col pensiero alle nostre prime visite al grazioso paese montano di Sappada, quando si stava cercando una sistemazione, almeno provvisoria, per il Preventorio Antitubercolare dell'Opera, ci risovvengono gli incontri fatti e le prime affettuose accoglienze avute. Tra coloro che ci sono stati subito vicini, ricordiamo la bella figura, alta e vigorosa del prof. Pio Solero, di cui visitammo lo studio e dove potemmo ammirare le opere inconfondibili, trattate con la spatola, quasi a ricreare l'incisività elegante del paesaggio alpino, lo staglio netto ed ardito delle sue pareti strapiombanti, dei suoi picchi aguzzi o la vita prepotente racchiusa nei meravigliosi fiori delle vallate dalla gamma infinita di colori. Pio Solero è un pittore forte (…)
Della sua generosità e sensibilità abbiamo avuto ulteriore conferma recentemente, in occasione dell'inaugurazione della nuova sede del Preventorio “Venezia Giulia”. Il prof. Solero ha voluto donare un suo quadro all'Istituto, perché si arricchisse così la sua dotazione artistica. È una bella opera con fiori di montagna e non poteva essere fatta scelta migliore, né dono più gradito agli stessi bimbi accolti nel Preventorio: una presenza, dunque, non solo artistica e di alto valore, non solo estetica, ma anche educativa, perché i bimbi hanno bisogno di imparare e porteranno sempre con sé il ricordo delle cose belle e gentili che li hanno circondati nella loro fanciullezza e che hanno aperto i loro animi a nuove commozioni. Ma soprattutto questo dono testimonia la partecipazione cordiale ed affettuosa di un Amico, il cui cuore ha la stessa ampiezza di respiro della conca alpina dove il Siera, le Terze, il Rinaldo, il Peralba, giganti buoni alimentano il sacro Piave ancora rigagnolo perché, appunto, nato appena dal loro grembo».
Sappada, borgata Lerpa - Mappa con i due preventori, disegnati in alto al centro, a sinistra del corso d'acqua

In seguito sul periodico «L’Arena di Pola» si leggono le seguenti notizie in un articolo, del 4 novembre 1970, intitolato così: L’Opera istituti educativi riaperti ai giovani.
«A Sappada, nella splendida cornice delle Dolomiti, il segretario generale [dell’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, ossia Aldo Clemente] ha visitato i preventori “Venezia Giulia” e “Dalmazia”, che accolgono 120 tra bambine e bambini gracili, bisognosi di cure climatiche, anche di età prescolare. I bimbi che sono ospitati per periodi variabili, trascorrono serenamente il periodo di soggiorno, alternando alla scuola, a seconda delle stagioni, passeggiate, cure elioterapiche, lezioni di sci e pattinaggio o giochi sulla neve. Nei due istituti, retti secondo le norme della più moderna didattica e pedagogia, i bimbi godono di un trattamento affettuosamente familiare».
Lettera originale autografa con cui Aldo Clemente, segretario generale dell'Opera per l'Assistenza ai profughi giuliani e dalmati, chiede al Comune di Sappada di costruire il preventorio "Dalmazia", 1953. Archivio del Comune di Sappada.


La Prima comunione dei bimbi esuli, 1969
Ancora da «L’Arena di Pola» del 1969 si leggono i nomi dei bimbi esuli giuliano-dalmati che si accostano alla prima comunione.
Ecco le parole del giornalista de «L’Arena di Pola». Giornata di commozione e di festa per i 120 bambini e bambine ospitati nei preventori “Dalmazia” e “Venezia Giulia” di Sappada. Domenica 8 giugno 1969 a Sappada, circondata dalle montagne tutte bianche di neve e luccicanti al sole, 19 bambini dei due preventori, emozionati da sembrare quasi intimiditi, si sono accostati a Gesù per la prima volta, ricevendo dalle mani del loro parroco la sacra e bianca particola della comunione.

Usciti dalla chiesa i piccoli sono stati ospiti nella canonica per una merenda gentilmente offerta dal parroco, don Tarcisio Lucis (che nel 2016 ha celebrato il 65° di sacerdozio!), e poi finalmente tutti per i loro cari, fino all’ora della partenza del pullman. Il distacco per una volta è stato più facile, perché tutti, grandi e piccini, si sentivano contenti per il grande momento vissuto e per la festosa giornata trascorsa. Ecco i nomi delle bambine e bambini che hanno ricevuto la prima comunione: Anna Rosa Copina, Gianna Coslovich, Marina Mauri, Renata Tonin, Irene Zadnich,Domenica Zerbin, Edi Altin, Marino Becher, Maurizio Belleno, Livio Bencich, Antonio Catino, Alain Caverne, Gianfranco Coretti, Roberto Coslovich, Maurizio Ferletta, Italo Ferrara, Lorenzo Giugovaz, Marino Gombac, Claudio Mondo. Al parroco, alle suore che hanno preparato i bambini e al personale tutto degli Istituti, vanno i più sentiti ringraziamenti dell'Opera e delle famiglie.
Sappada - La Prima comunione dei bimbi esuli, 1969. Fotografia da «L’Arena di Pola».

Da un articolo su «L’Arena di Pola», del 10 gennaio 1978, infine, si sa che «un riconoscimento è stato offerto in particolare alla sig.na Anna Maria Artico, valida dirigente dei Preventori di Sappada prima e delle Case del Fanciullo di Trieste poi». Ecco, infine, il nome della dirigente dei preventori sappadini negli anni ’70: Anna Maria Artico. Costei, nel 2010, risulta tra gli insegnanti dell’Università della Terza Età di Livorno.
Sappada, borgata Lerpa - Preventorio "Dalmazia", più in alto, per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata

Dal 1979 ad oggi
Dal 1979 circa gli edifici che accoglievano i bimbi dell’esodo giuliano dalmata sono passati in gestione dapprima dall’Opera Diocesana di Assistenza (ODA) di Trieste, presieduta da don Pasquale Crivici. In base ai documenti dell’Archivio del Comune di Sappada (F 13, n. 299) in particolare il 23 settembre 1985 don Crivici con una lettera manoscritta chiede al Comune di Sappada di “ristrutturare il tetto della Casa Trieste, la cui lamiera è stata divelta il 7 agosto 1985 da un improvviso colpo di vento”. È richiesta anche la dichiarazione per la riduzione dell’IVA al 2% riguardo a tali lavori “urgenti e straordinari”.

Poi passarono all’attività dell’Ente Cattedrale di San Giusto, alla fine degli anni ‘80. In seguito e fino ad oggi fanno parte delle attività dell’Opera Figli del Popolo di don Edoardo Marzari, di Trieste.
È stata chiamata “Casa San Giusto” la struttura superiore, dopo il 1994. “Casa Trieste” è il nome della struttura più in basso, secondo le informazioni di Marino Vlacci, dell’Opera Figli del Popolo di don Edoardo Marzari, di Trieste, confermate dai documenti dell’Archivio del Comune di Sappada (F 13, n. 28/25 e n. 299).
Sappada, borgata Lerpa - Immerso in un ambiente bucolico, il preventorio "Dalmazia", situato più in alto, per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata

Note dal web
Il signor C.F., nato nel 1960, ci ha scritto da Clermont Ferrand (Francia), il 24 luglio 2018, per posta elettronica, dopo aver letto l’articolo soprastante. Ha voluto inviarci le seguenti dolenti note riguardo all’essere bambini presso i Preventori antitubercolari di Sappada. È un crudo commento il suo, con forti accenti di esagerazione, che non abbiamo voluto tagliare. Ci dice che la sua impressione negativa può essere confermata dal fratello A.F., di Parigi e dalla sorella che hanno avuto la stessa esperienza di ospitalità con duro trattamento. Ecco il commento di C.F. riferito alla fine degli anni ’60. Peccato che non ci abbia scritto per esteso il proprio nome e cognome. Le opinioni anonime hanno meno valore.
“Lei ha fatto un articolo, nel 2016, sui collegi di Sappada sezione maschile e sezione femminile,  ero lì io, con mio fratello e mia sorella, siamo stati un anno, io avevo forse 8 anni, mia sorella gemella e mio fratello 10. Io sono del 1960. I miei non avevano le possibilità per mantenerci e, da Roma, ci hanno mandato a Sappada. Le posso dire che di pedagogico non vi era nulla. Un bicchiere d’acqua al giorno, ci facevano mangiare il vomito, e la sera in fila ci facevano togliere le mutande e con le mani le dovevamo allargare, in fila dovevano essere visionate dalle sorveglianti e se c’era una macchiolina ce le mettevano in testa e dovevamo rimanere in piedi, senza andare a dormire per due ore. Invito tutti i bambini, ormai adulti, a dire cosa succedeva in questi due casermoni a Sappada, che si sappia la verità e non aggiungo altro, una vergogna”.

Fonti archivistiche
Sono riconoscente per la cortesia e la disponibilità dimostrate a Manuel Piller Hoffer, sindaco di Sappada, nonché al geometra Giampaolo Piller, dell’Ufficio tecnico dello stesso Comune. Egli mi ha aiutato nella consultazione delle cartelle dell’Archivio del Comune di Sappada, F 13, n. 28/25 e F 13, n. 299 sui preventori “Dalmazia” del 1953-1954 e “Venezia Giulia” del 1960-1964 voluti da Aldo Clemente, segretario Generale dell’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati di Roma.

Bibliografia ragionata
Sui Preventori di Sappada, si vedano questi articoli:
- Gare sciatorie al Preventorio di Sappada, «L’Arena di Pola», n. 652, 16 marzo 1949, pagina 4.
- Un nuovo preventorio a Sappada, «L’Arena di Pola», n. 684, 9 novembre 1949, p. 3.
- Criteri per l'ammissione ai Preventori di Sappada, «L’Arena di Pola», n. 1227, 7 giugno 1960, p. 4.
- Un quadro di Pio Solero al preventorio di Sappada, «L’Arena di Pola», n. 1411, 18 febbraio 1964, pag. 2.
- Sappada, Prima comunione nei preventori, «L’Arena di Pola», n. 1675, 23 giugno 1969, p. 376.
- L’Opera istituti educativi riaperti ai giovani, «L’Arena di Pola», n. 1712, 4 novembre 1970, p. 272.
- «L’Arena di Pola», n. 2016, 10 gennaio 1978, pag. 1.
- Luciano De Majo, Gran festa degli studenti per il Risorgimento, «Il Tirreno», edizione di Livorno, cronaca, 7 maggio 2010.
- I 90 anni di Aldo Clemente, «La Nuova Voce Giuliana», X, n. 229, 16 novembre 2010, pag. 6.
- I 90 anni di Aldo Clemente, «La Voce di Fiume», XXXXIV, n. 12, 31 dicembre 2010, pag. 13.

Riguardo all’Opera per l'assistenza ai profughi giuliani e dalmati, vedi: Ente nazionale per lavoratori rimpatriati e profughi; I.R.C.I.; Opera per l'assistenza ai profughi giuliani e dalmati, Riepilogo dell'attività assistenziale degli enti : 1947-1978 : ristampa elaborata degli opuscoli 1958-1964-1977 in occasione del 50° dell'esodo e della nascita dell'Opera per l'assistenza ai profughi giuliani e dalmati ed ai rimpatriati / a cura dell'Istituto regionale per la cultura istriana, Trieste, 1997.

Sulla biografia di Aldo Clemente ci sono molte fonti adeguate; vedi, ad esempio tra le opere più recenti: «Neresine», Foglio quadrimestrale della Comunità degli Esuli Neresinotti, IX, n. 24, febbraio 2015, pag. 45.

Per quanto concerne la Cappella di Santa Mari Ausiliatrice, ex Cappella di San Giovanni Battista, si veda l’ottimo volume di cartoline illustrate: Carlo Malaguti’s Lasars, Griesse vam Plodn / Saluti da Sappada, Sappada (provincia di Belluno), Associazione Plodar, 2015. 

Per i riferimenti biografici all’ingegnere Angelo Morelli De Rossi, direttore dell’ufficio interregionale dell’UNRRA Casas (Veneto - Friuli Venezia Giulia), vedi: Mario Blasoni, “Protagonista della ripresa postbellica”, in M. Blasoni, Cento udinesi raccontano, Udine, La Nuova Base, volume III, 2007, pagg. 182-184.
Da "L'Arena di Pola" del 12/06/1957. Si sono comunicati per la prima volta: Rosaria Achille, Nadia Bertoch, Graziella Loredan, Giuliana Moro, Livia Punis, Nadia Struia, Franca Vidali; Boris Babich, Bruno Bullo, Silvio Chermaz, Fulvio Ellero, Sergio Loganes, Nadio Milos, Gianfranco Minca, Mario Pulcich, Olivio San, Ferruccio Specchi. 
Sono riconoscente per questa segnalazione al Gruppo di Facebook "Preventorio Femminile “Venezia Giulia" e  Preventorio Maschile “Dalmazia"

Informatori


- Il signor C.F., nato nel 1960, che vive a Clermont Ferrand (Francia), messaggio di posta elettronica in un social network del 24 e 26 luglio 2018.

- Marino Vlacci, dell’Opera Figli del Popolo di don Edoardo Marzari, di Trieste, e-mail all’autore del 23 luglio 2016.

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Servizio giornalistico e fotografico di Elio Varutti

Sappada, borgata Lerpa - Preventorio più in basso "Venezia Giulia", per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata, visto dalla strada statale per il Cadore




Sappada, borgata Lerpa - Colonna del cancello del preventorio più alto, il "Dalmazia" per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata

Sappada, borgata Lerpa - Parte retrostante del preventorio più in alto, il "Dalmazia", per i bimbi dell'esodo giuliano dalmata

Sappada, borgata Lerpa - Piano Regolatore Generale, aggiornato al 30.11.2009. Gli edifici dei due preventori sono situati nelle aree in colore viola in alto al centro: "Aree per attrezzature turistico ricettive (Case per ferie, colonie...)"

Sappada, maggio 1975. Prima comunione insieme a Anna Maria Zanella. Altri riconosciuti nella fotografia: Rita Campisi, Bianca Campisi, Rosanna F., Pier Paolo Zanella, Cangiano, Davide Taste, Carmen, Antonio F…..
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A questo punto propongo un video di Gimmj Crosara, del 2012,‎ intitolato “Preventorio Femminile Venezia Giulia e Preventorio Maschile Dalmazia”, assieme a  Milva Freddie Mimì, dell’omonimo Gruppo di Facebook.

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Molto interessante è il video dell'Istituto Luce, intitolato:“A Sappada con i piccoli profughi giuliani” del 23 aprile 1952, edito dalla Settimana Incom. Mi è stato cortesemente segnalato dall'amministratore del gruppo di Facebook ESODO ISTRIANO PER NON DIMENTICARE; ecco il LINK


https://www.youtube.com/watch?v=JecJIkUxe58

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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, del 2016, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. 
Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  
È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che  ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di: Provincia di UdineComune di UdineClub UNESCO di UdineSocietà Filologica FriulanaANEDANVGD di Udine.

lunedì 25 luglio 2016

Abbazia di Montmajour, Arles – Francia

È un incrocio di cultura, religione e di arte. La nascita dell’abbazia di Montmajour, molto bella, risale al tempo di Carlo Magno. Misticismo e fervore religioso stanno alla base della fondazione di questo originalissimo luogo di culto. È luogo d’incontro di cristiani per sfuggire ai saccheggi dei Saraceni e alle incursioni dei Normanni, sbarcati in Camargue, tra IX e X secolo.
L'ingresso all'abbazia di Montmajour, con sculture moderne. Fotografia di Elio Varutti, 2015

Teucinde, una donna pia dell’aristocrazia franca, ne acquista la proprietà il 7 ottobre 949, per donarla ai religiosi di una comunità di monaci della regola di San Benedetto da Norcia nel 977. Il culto della reliquia di un frammento di legno della Vera Croce, venerata il 3 maggio, è istituito nel 1030 dall’arcivescovo di Arles. Ciò segna un aumento di pellegrini all’area religiosa e una straordinaria prosperità materiale.
Nel XII secolo viene costruita la Cappella della Santa Croce per accogliere meglio i pellegrini. La decadenza dell’abbazia inizia con l’imperversare della Grandi Compagnie di Ventura. Tali mercenari, assoldati per la Guerra dei Cento Anni, dopo la sconfitta di Poitiers del 1356, non avendo ricevuto la paga, si organizzarono in bande di saccheggio per tutto il territorio della ricca Provenza.
La rinascita seicentesca è dovuta ai monaci della congregazione di San Mauro, nota per altri riusciti rinnovamenti spirituali e materiali di monasteri. Il 18 agosto 1726 un grosso incendio provoca il crollo parziale di due piani dei dormitori. La ricostruzione si arena allo scoppio della Rivoluzione francese.
Uno scatto fotografico dal chiostro. 
Fotografia di Elio Varutti, 2015

Nei primi anni dell’Ottocento gli edifici dell’impianto abbaziale sono acquistati da vari privati, per donarli alla città di Arles, finché nel 1840 la struttura è posta tra i beni protetti. Col 1862 iniziano varie campagne di restauro. C’è il crollo del refettorio nel 1941. Un altro incendio della chiesa dell’abbazia avviene nell’agosto 1944, poiché i nazisti (furboni...) vi avevano sistemato un deposito d’armi.
Nel 1981 l’UNESCO classifica l’abbazia di Montmajour tra il patrimonio mondiale dell’umanità, insieme ai monumenti romani e romanici di Arles. Col 1993, per mezzo di un orientato progetto culturale, inizia una fase di rinascita con vari restauri di questa importante struttura religiosa, testimone di otto secoli di vita monastica o della violenza della Rivoluzione francese.
Oggi si accede all’area monumentale attraverso una collina che porta al monastero maurino. Il visitatore è portato a riconoscere la successione cronologica delle costruzioni. Si va dalla zona che un tempo dominava le paludi, alla torre abbaziale, alle cappelle, alla cripta, al chiostro, fino alle necropoli del Medio Evo.
Gotico, romanico ed altri stili nel chiostro dell'abbazia di Montmajour. Fotografia di Elio Varutti, 2015

Alla fine della visita resterete colpiti dalla bellezza del sito, dalle strutture artistiche, dal paesaggio selvaggio e dalla magnificenza dell’insieme, che spinge alla meditazione e che ispirò anche pittori e fotografi. Uno fra tutti Vincent Van Gogh che va, nel 1888, all'abbazia di Montmajour e la disegna (l'opera si trova al Van Gogh Museum di Amsterdam).

Bibliografia

Jean-Maurice Roquette, Aldo Bastié, L’abbazia di Montmajour, Éditions du patrimoine, Centre des monuments nationaux, Paris, 2000.
Capitello con scultura felina. Fotografia di Elio Varutti, 2015

Splendido panorama dalla torre Pons de l'Orme. Abbazia di Montmajour. Fotografia di Elio Varutti, 2015

Resti del monastero maurino. Fotografia di Elio Varutti, 2015

Necropoli rupestre con colatoi e tombe scavate nella roccia a sagoma antropomorfa. Fotografia di Elio Varutti, 2015

Torre di Pons de l'Orme, sec. XIV. Fotografia di Elio Varutti, 2015

Il monastero di San Mauro visto da sud-est. Palazzo, arcone e scala. Fotografia di Elio Varutti, 2015



venerdì 8 luglio 2016

Usurai toscani nel Friuli patriarcale. Lezione a Fontanabona

“Il maladetto fiore. Armi, battaglie e banchieri toscani nel Friuli medievale”. Ecco il titolo dell’originale conferenza organizzata dall’Associazione dei Toscani in Friuli Venezia Giulia il 7 luglio 2016. 
Flaviano Bosco e Andreina Tonello alla conferenza sugli usurai toscani al Museo di Fontanabona. Fotografia di Elio Varutti

È stata una intensa serata, dal punto di vista culturale quella tenuta presso il Museo di Storia Contadina di Fontanabona, nel Comune di Pagnacco, in provincia di Udine, con letture di Dante e di altri noti esponenti della letteratura italiana.
Alessia Biason, assessore alla Cultura di Pagnacco, ha aperto l’incontro ricordando che «appena un anno fa abbiamo inaugurato questo spazio sul prato vicino al Museo, grazie alla collaborazione degli operatori del museo stesso e grazie anche alla Pro-loco di Pagnacco». Dopo il saluto di Anna Damiani. Conservatore del Museo di Storia Contadina di Fontanabona, ha parlato anche Angelo Rossi, presidente dell’Associazione dei Toscani in Friuli Venezia Giulia.
Flaviano Bosco ha iniziato la sua relazione incentrata sul Patriarcato di Aquileia, uno degli arcivescovadi più ricchi d’Europa. Possedeva molte proprietà terriere e lucrava sui dazi pagati per le merci in transito sul suo territorio, che andava da Como, in Lombardia, fino all’Istria. 
La zecca di Aquileia batteva una delle monete più diffuse e pregiate d’Europa, come fu anche il fiorino toscano. “Il maladetto fiore”, come scrisse Dante nella Divina Commedia, Paradiso - Canto IX, poiché frutto di speculazioni usurarie. 
Angelo Rossi, presidente Associazione Toscani FVG e Alessia Biasion, assessore alla Cultura del Comune di Pagnacco nel cortile del Museo di Fontanabona. Fotografia di Elio Varutti

Alla lezione tutta al microfono di Flaviano Bosco si alternavano le letture di Andreina Tonello, da Italo Calvino a brani di cronisti medievali.
I primi banchieri a mettere piede in Friuli furono i senesi Piccolomini, chiamati dal patriarca Bertoldo di Andechs, nel 1249, per un mutuo per sostenere le guerre e le battaglie del tempo. Poi giunsero i Bonsignori, col patriarca Gregorio di Montelongo. I toscani non si accontentavano dei prestiti a usura, miravano ad accaparrarsi le chiuse dei dazi, che fruttavano cospicui introiti: Chiusaforte, Gemona, Monfalcone
Anna Damiani, Conservatore del Museo di Storia Contadina di Fontanabona. Fotografia di Elio Varutti

Altri banchieri toscani attivi per il Patriarcato furono i Capponi, i Bardi e i Peruzzi, quelli del famoso crollo finanziario del 1346. A Spilimbergo c’era l’usuraio Silvestro Brunelleschi. Gli ultimi banchieri menzionati sono stati i Mannini di Firenze, divenuti poi Manin, nobile famiglia veneziana, che diede l’ultimo doge alla Serenissima Repubblica di San Marco.
Nel finale il relatore si è, forse, dilungato un po’ troppo sugli aspetti violenti, sadici e sanguinolenti delle battaglie medievali, con particolare riferimento alle armi usate per infierire sui corpi dei nemici in modo devastante. 
Allora ci ha pensato l’assessore alla Cultura del Comune di Pagnacco a chiudere l’incontro dando un grande senso alla serata. «Anche nei nostri tempi certi fatti di violenza estrema hanno colpito a Dacca, in Bangladesh – ha detto Alessia Biason – e proprio domani a Udine ci sarà il lutto cittadino, per ricordare le vittime friulane della orrenda strage perpetrata dai terroristi islamici».

Il prossimo appuntamento

Il prossimo appuntamento dell’Associazione Toscani FVG si intitola: “In su la strada nell'hosteria. Machiavelli Principe del vino”. A cura di Flaviano Bosco e Andreina Tonello
Si terrà Giovedì 28 luglio 2016, alle ore 18,30 nell’antica cantina LIVON di Dolegna del Collio località Vencò 1, in provincia di Gorizia. 
Sono previsti momenti musicali e immagini. Al termine della conferenza sarà servito un Buffet in cantina con prodotti dell’enogastronomia friulana preparato dalla VINERIA VENCO’ del Collio.
Le prenotazioni per il Buffet il cui costo a persona è di € 18,00 dovranno essere effettuate entro venerdì 22 luglio 2016, telefonando al n. 335.6052508.

Flaviano Bosco e Andreina Tonello alla conferenza sugli usurai toscani al Museo di Fontanabona. Fotografia di Elio Varutti

Bibliografia orientata
La prima metà del Duecento in Friuli patriarcale fu caratterizzata da una certa stabilità economica, con l’impulso di nuovi scambi commerciali con le regioni italiane e quelle del mondo tedesco. Si insediarono in Friuli certi commercianti e banchieri toscani, soprattutto di Siena e di Firenze, assieme ad altri operatori ebrei, specializzati nel cambio di monete e nei prestiti, anche perché venivano loro impedite molte altre professioni.
A questo proposito mi permetto di suggerire un riferimento bibliografico ad una mia ricerca personale, in lingua italiana e inglese, 2012:


Fotografie riprese da Facebook
8.7.2016 - Bandiera a mezz'asta sulla specola del Castello di Udine, segno di lutto per la strage dei friulani in Bangladesh. Fotografia di Leoleo Lulu, che si ringrazia per la collaborazione

Lignano, Spettacolo e solidarietà con i Lions

Giovedì 14 luglio 2016 alle ore 20,45 all’Arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro, in provincia di Udine,  avrà luogo un grande spettacolo con ottima musica, comicità ed arte varia organizzato dal locale Lions Club.

«Lo spettacolo, ormai un classico dell’estate lignanese, è giunto quest’anno alla 29.ma edizione – ha detto Stefania Dazzan Bocus, presidente del Lions Club di Lignano Sabbiadoro». La serata prevede la partecipazione di artisti conosciuti  e molto apprezzati dal pubblico che si esibiranno tutti gratuitamente visto lo scopo benefico della manifestazione. Presentati da Michele Cupitò, si alterneranno sul palcoscenico vari artisti. Il primo della lista è il mirabolante Ermes Di Lenardo, in arte  “Sdrindule”, il comico tanto amato dai friulani sarà accompagnato dal musicista e sua simpatica “spalla” Daniele Bellotto. Poi ci sarà il noto complesso dei “New Revival” che proporrà un repertorio di celebri canzoni degli anni 1960-1970 facendo rivivere  le magiche atmosfere di quegli anni ormai lontani. 
In seguito apprezzeremo il cantante lirico Andrea Binetti. Egli si è esibito  all’Arena di Verona, alla “Fenice” di Venezia, al “Verdi” di Trieste, all’Operà di Parigi accanto a Placido Domingo,  Katia Ricciarelli, Andrea Bocelli e Milva. Partecipa a trasmissioni televisive: “Domenica In”, “Costanzo show” e si è esibito recentemente in un concerto all’Expo di Milano.
Seguirà l’esibizione della giovanissima e promettente cantante Sara Ciutto di Latisana, già impegnata in varie località nel corso dell’estate: ospite canora alle selezioni di Miss Italia 2016, al festival estivo 2016 di Genova ed altre ancora.
Non mancherà al tradizionale appuntamento la banda “Luigi Garzoni”  di Lignano Sabbiadoro con un variegato repertorio musicale. Alla fine dello  spettacolo è previsto un rinfresco allestito con la collaborazione di vari esercenti e commercianti di Lignano. Si ricorda che l’ingresso all’Arena  è gratuito e ad offerta libera.

Il ricavato delle offerte è destinato al sostegno di famiglie del territorio che si trovano in gravi difficoltà economiche e poi per finanziare l’allestimento, presso la sede dell’Associazione“ La Nostra Famiglia “ di Pasian di Prato, di un’area ludico-didattica attrezzata riservata a percorsi di riabilitazione di bambini autistici. 

BIBLIOGRAFIA ORIENTATA
Mi permetto di suggerire un collegamento dal mio blog sulla storia di Lignano Sabbiadoro: La villeggiatura a Lignano / La vacance a Lignan

sabato 2 luglio 2016

Memorie italiane su Fiume, esodo 1947

Giovanni Lupetich mi telefona mentre sto buttando la pasta.  «Mio papà ha potuto parlarmi poco di Fiume e dell’esodo perché è morto quando ero bambino – mi dice – allora, posso avere notizie da lei sul Campo Profughi giuliani e dalmati di Udine?»

Fiume 1942. Edizioni G.P., Fiume. 
Collezione Conighi, Udine

Ecco com’è ormai l’approccio, nel mio caso, sulla questione del confine orientale d’Italia, dopo la seconda guerra mondiale. Altri discendenti di esuli delle terre perse mi contattano sui social network, per posta elettronica e cartacea.
Stanno scomparendo, per motivi demografici, i protagonisti diretti dell’esodo. Si parla di quei 350 mila italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia, fuggiti dal 1943 al 1960 circa dalle loro case e dalle loro terre occupate dagli jugoslavi. Scappavano essi dalle prevaricazioni se non dalla violenza fisica dei titini. Se ne venivano via per la paura di sparire, di finire imprigionato o ammazzato nelle foibe. I miliziani di Tito realizzarono la pulizia etnica, oppure si vendicavano dei torti subiti sotto il fascismo, prendendosela con tutto ciò che fosse italiano.
Secondo una ricerca sociologica dell’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia, pubblicata nel 2008, la prima generazione dell’esodo giuliano dalmata comprende i nati in quelle terre tra il 1916 e il 1951. La seconda generazione è formata, per quattro quinti, dai nati lontano dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia tra gli anni 1933 e il 1980, mentre solo un quinto è nato nei medesimi luoghi dei genitori. La terza generazione dell’esodo è costituita dai nipoti, ossia dai discendenti nati in Italia o all’estero dopo il 1960 e fino al 1989.
La seconda e la terza generazione dell’esodo puntano tutto sulla memoria. I discendenti degli esuli che, per motivi vari hanno saputo poco e hanno scarse notizie sulla propria famiglia sono in cerca di informazioni sui libri e da altre fonti. Hanno sete di storia e di memoria.

Renato Lupetich nel 1928 a Fiume. Fotografia Andrioni & Co, Fiume. (Collezione privata, Belluno). 
Per la Storia della fotografia del Quarnaro: nel 1914 Andrioni & Co è succursale di E. Jellusich, Fiume, Corso, 23.

Metto da parte la mia pastasciutta e rispondo al signor Lupetich. È contento perché è riuscito a trovare in una libreria di Via Piave a Udine il libro sul Centro di Smistamento Profughi che ho pubblicato nel 2007. Esso è esaurito dal 2013 presso la sede di Udine dell’ANVGD, ma varie copie sono disponibili presso la Biblioteca Civica “Vincenzo Joppi” di Udine, o in altre pubbliche biblioteche italiane.
«Ho letto sul suo libro di mio zio Nereo Lupetti – mi dice – che aveva cambiato il cognome secondo le norme fasciste, ma mio padre invece non ha voluto, perciò io sono un Lupetich, poi c’era anche lo zio Pietro Lupetti e il signor Marco Cerlenco, che era insegnante, nato a Fontane d’Istria nel 1896 e morto a Latisana nel 1973».
In effetti Nereo Lupetti, nel 1959, risulta parte del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, occupandosi specificatamente del settore assistenza, mentre Marco Cerlenco appare in veste di fiduciario per Latisana e Lignano Sabbiadoro del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD nel 1955.
Il sodalizio dei profughi si occupava, in accordo con la prefettura, di oltre 200 esuli a Udine e di altri 300 nella provincia, per la maggior parte anziani. Quindi gli chiedo ciò che sa e se intende raccontarmelo. Incontrarsi non è così immediato, dato che egli vive a Belluno.
«Mio padre è venuto via da Fiume nel 1947 – risponde Lupetich – io sono nato a Udine nel 1953 e abbiamo vissuto a Latisana, in provincia di Udine».
Come si chiama suo padre?
«Era Renato Lupetich, nato a Fiume il 3 marzo 1900 e morto nel 1960, quando era direttore didattico a Palazzolo dello Stella, in provincia di Udine – precisa il testimone – mio padre si è laureato in Pedagogia all'Università di Urbino il 16 giugno 1955, col rettore Carlo Bo. Renato Lupetich era un “ufficiale postale”, poi legionario di D’Annunzio, come pure mio zio Nereo Lupetti. Essi sono citati in un libro di Amleto Ballarini, intitolato: Diedero Fiume alla patria».


Riconoscimento della qualifica di profugo per Renato Lupetich, nato a Fiume il 3.3.1900, rilasciata dalla Prefettura di Udine il 14.12.1948. (Agganciata sotto, in colore rosa): Tessera n. 1096 dell’Associazione Nazionale per la Venezia Giulia e Zara, sede di Udine, firmata dal presidente Carlo Leopoldo Conighi, per l’iscritto Lupetich Renato fu Giovanni “Profugo Giuliano” del 12 giugno 1947. Collezione privata, Belluno.

Posso sapere quale mestiere facesse suo padre a Fiume e i suoi antenati erano sempre di Fiume?
«Mio padre a Fiume aveva ricevuto il lasciapassare per recarsi a Sussak, sia nel 1928 che nel 1947, in quanto era esperto nelle traduzioni dei valori patrimoniali dal serbo-croato all’italiano – è la risposta di Giovanni Lupetich – era perito contabile e lavorava alla Raffineria di Olii Minerali Società Anonima, costruita tra il 1882 e il 1883 (ROMSA), dopo l’esodo fece il maestro a Pertegada, a Latisana e a Gorgo di Latisana, in provincia di Udine. Mio nonno, che si chiamava come me, era maestro falegname a Fiume. Pure il bisnonno Francesco Lupetich era di Fiume; il mio trisnonno faceva di nome Felice ed era marinaio».
Da una ricerca nel web, si legge che Felice Lupetich a Fiume era “marinaio di 2^ classe dei Regii Uffizj Capitanali di Porto”. Si veda lo Scematismo del Littorale Ungarico, edito nel 1838.
In una telefonata successiva gli chiedo qualcosa sulla parentela ed, eventualmente, qualcos’altro sui rimasti, ossia sugli italiani restati nelle loro case e terre, dopo l’avvento del potere di Tito.
Signor Lupetich, per caso, ha dei parenti sparsi per l’Italia o altrove? È mai andato a Fiume dopo l’esodo?
«Sì, ho degli zii ad Ancona e negli Stati Uniti d’America – mi dice – e sono andato a Fiume/Rijeka coi parenti quando avevo quindici anni dal 1968, perché abbiamo la tomba di famiglia a sarcofago a Cosala, fabbricata dai marmisti Grubesich, quando c’era l’Italia».
Ha dei conoscenti o parenti che sono restati a Fiume, dopo il 1945-1947?
«Sì, era il medico veterinario di Fiume. Si chiamava Stanko Veselić – risponde Giovanni Lupetich – poi c’erano suo fratello Milan Veselić e la sorella Zora Veselić».


Il maestro Renato Lupetich con le sue scolare di Latisana nel 1948-1949. Collezione privata, Belluno.

1. La memoria collettiva
Finisce così la mia intervista al signor Giovanni Lupetich. Per le mie ricerche egli è la fonte orale n. 258 sull’esodo giuliano-dalmata. Essi sono citati ed elencati nei libri ed articoli che ho scritto sul tema.
Ho iniziato a raccogliere le testimonianze in modo organico nel 2003, mentre era dal 1995 che ascoltavo i racconti riguardo alla biografia familiare dei Conighi di Fiume, annotandomi i particolari più curiosi, con un totale di 12 fonti diverse, tra i discendenti e gli affini. È altrettanto vero che sin da bambino sono stato a contatto con i figli dei profughi istriani, fiumani e dalmati, avendo abitato con la mia famiglia, in Via delle Fornaci, dove c’era uno degli ingressi al Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano. Giocavo con loro. Abitavano essi nelle stesse case popolari dove stavo io. E ho dovuto ascoltare le mamme del rione che ai propri bimbi capricciosi dicevano: “Sta bon, se no te fasemo magnar dai profughi!”. Ho conosciuto, peraltro, molti amici dei profughi; alcuni di essi sono stati pure da me intervistati. Mi hanno riferito dati, informazioni e hanno fatto da tramite per prendere contatto con esuli del borgo, della città o di altri luoghi.
Ho sentito i racconti dei profughi del mio quartiere quando mi dicevano che il loro padre aveva trovato, per l’ennesima volta in ufficio, un cartello con la scritta: “Morte ai profughi!”.
Forse è giunto il tempo di scrivere una Topografia degli italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia. Intendo con ciò uno studio sociologico sulle orme del saggio di Maurice Halbwachs intitolato “La mémoire collective”, stampato nel 1950. Certo, la ricerca di questo sociologo francese mira in alto e mette in luce la spiegazione mitologica delle leggenda di Gesù. Le topografie da lui indagate si riferiscono alla Palestina.
Per i discendenti dei giuliani, dei fiumani e dei dalmati è sempre più importante la ricerca delle proprie ascendenze e dei luoghi di famiglia – la topografia, appunto – ove vissero, a volte per secoli, i propri antenati.
Memoria e oblio. Ecco due sfaccettature dello stesso magazzino delle informazioni di un organismo vivente. Poi c’è il fattore della interferenza; essa sorge quando le informazioni si contraddicono. L’interferenza crea pasticci nella successione temporale degli avvenimenti, creando ansia nell’individuo. In certi casi una forte nebbia avvolge le rimembranze. C’è comunque chi preferisce l’oblio. Meglio cancellare tutto e non riparlare di certi avvenimenti che ci provocano solo dolore.
Trieste, cartolina viaggiata e timbrata il 19 dicembre 1949, affrancatura con sovrastampa del Governo Militare Alleato Territorio Libero di Trieste, AMG-FTT(in inglese: Allied Military Government - Free Territory of Trieste). Collezione Lucio Barbarino, Udine.

2. Fonte 1, fonte 2… sull’esodo istriano
Ricordo ancora le mie prime interviste sull’esodo istriano. Era il 2003. Cercavo sicurezze scientifiche negli autori dei testi di ricerca sociale studiati all’Università di Trento. Mi sono basato soprattutto sull’esperienza acquisita, facendo indagini socio-economiche e socio-psicologiche con la stessa università, con l’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia (ISIG) e con altri istituti di ricerca. Ritengo che mi abbia aiutato non poco nelle relazioni sociali il ruolo di giornalista pubblicista che ho svolto per alcune testate giornalistiche locali
Avevo ricevuto l’incarico specifico dalla Commissione Istruzione, Cultura e Partecipazione della Circoscrizione n. 4 - Udine Sud, del Comune di Udine, di cui facevo parte. Il titolo della ricerca era: “Il Campo Profughi Istriani di Via Pradamano a Udine”. La Commissione si riuniva nella sede circoscrizionale, proprio in Via Pradamano al civico numero 21, dove operò il Centro di Smistamento Profughi più grande d’Italia, dal 1945 al 1960, ma questo lo scoprii durante le ricerche.
Ho registrato alcuni momenti critici. Certi intervistati non hanno consentito la divulgazione del proprio nome e cognome, certuni nemmeno in sigla. In cinque o sei casi ho scelto di interrompere l’intervista, scusandomi con il testimone, per il dolore arrecato dal rimestare nei tremendi fatti accaduti (familiari gettati nelle foibe). Ho sentito racconti riguardanti i profughi italiani delle terre perse al confine orientale su suicidi, ricoveri in manicomio e, addirittura, di stupri. Erano fatti sconvolgenti sui quali ho promesso di non dare i nominativi.



Belluno - Il Monumento alle Vittime delle Foibe nel piazzale della stazione ferroviaria, divenuto anch’esso: Piazzale Vittime delle Foibe. Inaugurazione del 10 febbraio 2016

Ho assistito ad alcune interviste di gruppo non programmate. Nel senso che prendevo appuntamento con una fonte e mi ritrovavo quattro o cinque esuli al tavolo dell’intervista. I più simpatici sono stati un gruppo di italiani di Pinguente. Alla fine dell’incontro hanno tirato fuori una bottiglia di Malvasia, quattro pezzi di formaggio e abbiamo fatto un brindisi. In altre case ho bevuto decine di caffè.
Desideravo ascoltare la testimonianza di una signora di Rovigno e mi son trovato di fronte tutta la famiglia schierata, con tanto di genero e nipoti minorenni. Penso sia stato un buon collante per essere accettato come ricercatore l’uso del dialetto veneto, appreso in famiglia avendo una nonna veneziana. Ho provato a parlare dialetto sin dalle prime interviste, intercalando l’italiano. Qualcuno addirittura mi chiedeva di dov’ero, dando per scontato che pure io fossi profugo, o figlio di profughi istriani. La figlia di una esule intervistata su una certa risposta di sua mamma alla mia domanda, se ne è uscita con questa frase: «Mama, questo no te me gà mai contado!»
Per le mie ricerche gli esuli mi hanno dato fotografie, documenti di espatrio, cartoline, certificati di battesimo, fogli di congedo, lettere, diari, articoli di giornale, libri e vari cimeli di famiglia. Col loro consenso ho fotografato tutti questi tasselli della memoria. Li ho riprodotti nelle pubblicazioni, nelle ricerche scolastiche e li ho mostrati in diapositiva negli oltre 50 incontri pubblici che ho tenuto, dal 2004, in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, soprattutto per il Giorno del Ricordo
La prima fonte in assoluto è stata, per la verità, un’amica dei profughi. Si tratta della signora Quinta Cicerchia vedova Mencarelli, nata a Fossombrone (Pesaro) nel 1922; si tratta di una mia vicina di casa. Mi ha fatto ricordare tutti gli istriani e dalmati che abitavano vicino a noi. È da loro che ho iniziato a fare domande sull’esodo. La seconda intervistata è Cristina Dilena in Benolich (Gorizia 1949-Udine 2004), amica di infanzia. «Io un profugo me lo sono sposato – mi ha detto la signora Dilena – e da bambina, avrò avuto 7-8 anni sono venuti a cercarmi a casa i figli dei profughi, amici di giochi, perché volevano che io andassi a vedere ‘televizija’ in campo, dato che le autorità avevano appena comprato una televisione per lo stesso Campo Profughi».
L’intervistata n. 5 è la signora Alma Visintin vedova Benolich, nata nel 1936 a San Giovanni di Portole, in presenza del figlio Fiorentino Benolich nato a Umago nel 1957. «In Campo di Via Pradamano a Udine si aveva letto a castello con una branda vicino a noi – mi ha raccontato la signora Visintin – io e mio marito Valentino col piccolo Fiorentino siamo venuti via col lasciapassare e non siamo più ritornati. Era il 20 maggio 1958 e al 20 luglio 1958 ci hanno destinato al Campo Profughi di Altamura, dove la gente del posto aveva avvelenato l’acqua. Meglio el Campo de Udine piuttosto de San Sabba de Trieste, lì de la Risiera, dove no se podeva neanche uscir per passeggiata. Siamo venuti via senza bagaglio se no te rimandava dendro i graniciari. Go ancora la borsetta de quando son passada, la tegno per ricordo. No si salutava nessuno se no i fazeva la spia e no te podevi partir. Mia sorella Maria, il cognato Marcello e il bimbo no se passadi subito, solo dopo un po’ de ore e i doganieri slavi se gà tignudo 16 mila dinari. Mia sorella Bruna è passata nel 1948 a Muggia, gà domandado a un edicolante i schei per l’autobus per andare a Opicina dove jera una zia e lui ghe gà dado anche i schei per un caffè».
C’è chi è scappato da Zara nel 1943, come il signor Bruno Perisutti, intervistato n. 16. «Con la mia famiglia eravamo ospiti ad Ajello del Friuli – ha detto Perisutti – poi al Campo Profughi c’erano gli inglesi e ogni settimana ci davano un pacco col sapone e altri generi fino al 1947, in campo è passata anche una mia zia, è stata lì tre mesi poi l’hanno mandata al Campo Profughi di Tortona, provincia di Alessandria, poi ero in Via delle Fornaci a Udine nelle case popolari».


Fiume, 13 agosto 1937 - Asilo Casette Operaie. 
Collezione Conighi, Udine

È stato il professor Stefano Perini a comunicare alcuni dati sul Comune di Ajello del Friuli riguardo ai profughi italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia nel 1945, durante una manifestazione pubblica al Liceo Classico “J. Stellini” di Udine, tenutasi il 22 aprile 2016. «Nel 1945 ad Ajello del Friuli – ha detto Perini – c’erano 110 profughi italiani di Zara e molti altri dell’Istria nel 1946». Sono queste le prime forme di accoglienza riservate a quelli che, con notevole paradosso, sono esuli in Italia (in patria), senza che sia loro riconosciuto il fatto di essere una parte integrante della Storia d’Italia.
Alcune fonti orali hanno sorvolato su alcuni tristi particolari. Ad esempio la signora Maria Chialich, nell’intervista n. 22, non mi ha detto di avere avuto ben sette parenti uccisi nella foiba. L’ho saputo nel 2010, da altri parenti intervistati e, confermato, dalla segreteria dell’ANVGD di Udine e dall’ingegnere Silvio Cattalini, presidente dal 1972 del sodalizio udinese (fonte n. 19). Cattalini, da me contattato per informarlo della mia indagine storico-sociologica mi ha accolto fraternamente e da subito mi ha permesso di condurre alcune interviste nella stessa sede dell’Associazione, presentandomi ai soci disponibili ad essere sondati.  «Siamo venuti via nel 1957 – ha detto Maria Chialich, di Dignano d’Istria – e mio zio Giuseppe Gonan se gà fermado in Campo Profughi de Udine, poi semo andadi a Imperia. Jera tanta gente in campo e anche jera la ciesa de campo».
Ho ascoltato la signora Elvira Dudech di Zara (fonte orale n. 24), che abitava nel mio quartiere a Udine. La incontrai varie volte nel borgo ed ogni volta che mi rivedeva voleva raccontarmi un altro pezzo della sua vita nei Campi Profughi. «Semo vignudi via da Zara nel 1948 con mio fratello Arturo fino al Campo Profughi di Ancona – ha riferito la signora Dudech – poi per quattro anni e mezzo eravamo al Campo de Laterina, in provincia di Arezzo, anche i cugini jera in campo, poi altro campo de Chiari, in provincia de Brescia e poi a Roma con mia sorella, in campo jera fioi che i pianzeva, i voleva la casa e le mame diseva: no gavemo più la casa».
Secondo il mio modesto parere, certe interviste sembrano dei piccoli poemi di umanità.
Fiume, Chiesa di San Romualdo e Ognissanti, nel cimitero di Cosala, detta pure Tempio votivo, eretta su progetto dell’architetto Bruno Angheben del 1934. Cartolina stampata per il 2° raduno degli Esuli del Quarnaro, svoltosi ad Ancona il 16 settembre 1956.  

Aggiornamento del 2021

Il 15 dicembre 2021 ho avuto il piacere di sentire il signor Francesco Lupetich, anche lui figlio di Renato Lupetich, esule fiumano e direttore didattico di Palazzolo dello Stella (UD), deceduto nel 1960. Ho avuto così conferma che l’esodo fiumano spezzava le famiglie. Mentre la famiglia esule di Fiume stava a Latisana (UD), Francesco Lupetich (del 1959), rimasto senza babbo da bambino, ha dovuto andare, nel 1966, al Preventorio “Venezia Giulia” di Sappada (BL), invece suo fratello Giovanni va al Convitto collegio “Silvio Pellico” di Ala (TN), un posto non molto felice. Poi Francesco viene inserito nel Convitto Enam (Ente Nazionale di Assistenza Magistrale) di Farra di Soligo (TV). I migliori ricordi per Francesco si riferiscono a don Tarcisio Lucis, buon parroco di Sappada dal 1958 al 1978,il quale trasferitosi a Latisana (UD), quando rivede Francesco adulto e pronto per il matrimonio, lo celebra nel 1979 con piacere nella veste di arciprete. Monsignor Lucis viene a mancare nel 2017. Altri ricordi riferiti dal signor Francesco Lupetich riguardano i numerosi complimenti ricevuti dai maestri della Bassa friulana, ormai pensionati, riguardo all'attività paterna; essi erano colleghi o alle dirette dipendenze del direttore didattico Renato Lupetich, suo caro babbo.

RINGRAZIAMENTI E FONTI ORALI
Ringrazio sentitamente il signor Giovanni Lupetich, con padre di Fiume. Egli è nato a Udine nel 1953 ed è residente a Belluno; è stato da me intervistato al telefono il 10-14 giugno, il 7 agosto 2016, oltre ad un contatto faccia a faccia del 1° settembre 2016, verificatosi a Udine assieme a sua figlia Marianne Lupetich.
Nello stesso mese di giugno 2016 egli ha avuto anche vari contatti telefonici con la segreteria dell’Istituto “B. Stringher” di Udine, per ricevere il libro Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960, edito nel 2015.
Sono riconoscente alle seguenti persone intervistate all’inizio delle mie ricerche sull’esodo giuliano dalmata. Le interviste si sono svolte a Udine, in casa degli interessati con taccuino, penna e macchina fotografica a cura dello scrivente. Talvolta ho provato a registrare la voce, con il permesso del testimone, ma ciò che veniva raccontato era molto soffuso, rispetto al racconto ricopiato con carta e penna. L’effetto di autocensura è ancora più evidente nelle interviste video-registrate, mentre il soggetto si dilunga su particolari insignificanti e fuorvianti, mescolando fatti di allora con la contemporaneità. Tali tecniche di ripresa del sonoro e delle immagini sono state abbandonate nella gran parte delle successive interviste, nonostante siano piuttosto apprezzate dai docenti universitari di Storia.
1)      Silvio Cattalini, Zara, 1927, intervista del 22 gennaio 2004. 
2) Quinta Cicerchia vedova Mencarelli, Fossombrone, provincia di Pesaro, 1922 - Udine 2021, intervista del 23 dicembre 2003.
3)      Cristina Dilena in Benolich (Gorizia 1949 - Udine 2004), int. del 23 dicembre 2003; è vissuta a Udine.
4)      Alma Visentin vedova Benolich, San Giovanni di Portole, 1936, int. del 27 dicembre 2003, in presenza del figlio Fiorentino Benolich, Umago, 1957, con i saluti di Leonora, una istriana vicina di casa, dispiaciuta di non poter assistere all’intervista per la malattia del marito.
5)      Bruno Perisutti, Zara, 1936, int. del giorno 11 gennaio 2004, vive a Udine.
6)      Maria Chialich vedova Pustetto (Dignano d’Istria, 1919 - Udine 2010), int. del 27 gennaio 2004.
7)      Elvira Dudech (Zara, 1930 – Udine 2008), int. del 28 gennaio 2004
8)  Francesco Lupetich, Latisana (UD) 1959, vive a San Michele al Tagliamento (VE), int. telefonica del 15 dicembre 2021.


Carlo Ferruccio Conighi (Fiume 1912 - Roma 1998)La nonna di Fiume, 11 novembre 1932, matita su carta, cm 33 x 41. Collezione Conighi, Udine

BIBLIOGRAFIA ORIENTATA
- Amleto Ballarini (a cura di), Diedero Fiume alla patria (12/9/1919 Marcia di Ronchi - 27/1/1924 Annessione  all'Italia), Società di Studi Fiumani, Roma, 2004.
- Alberto Gasparini, Maura Del Zotto, Antonella Pocecco, Esuli in Italia. Ricordi, valori, futuro per le generazioni di esuli dell’Istria-Dalmazia-Quarnero, ISIG-Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia, ANVGD-Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Gorizia, 2008.
- Maurice Halbwachs, La mémoire collective, Parigi, Les Presses Universitaires de France, 1950.
- Scematismo del Littorale Ungarico, Fiume, Tipografia Regia Governiale, 1838.
- Elio Varutti, Il problema del confine orientale nella storia italiana, [S.l. : s.n.], 1997-98. - 12 p.; ill.; 30 cm., Tesi di perfezionamento presso l'Università degli Studi di Udine, Corso di perfezionamento per la formazione degli insegnanti delle scuole secondarie.
- Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo 1945-2007, ANVGD, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
- Elio Varutti, Cara maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e dell’Istria scolari a Udine. 1948-1963, «Sot la Nape», Udine, LX, n. 4, otubar-dicembar 2008, pp. 73-86. (Clicca qui per la versione nel web con il titolo medesimo).
- Roberto Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina, Elio Varutti, Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960, Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher”, Udine, 2015. (Si può cliccare qui per la versione nel web con lo stesso titolo).

SITOLOGIA
Specificatamente ho scritto nel mio blog i seguenti articoli su Fiume e sugli italiani in fuga dalla loro città dal 1943 sino agli anni cinquanta.

- Fiume, 1945. Compagno Zutti, libera il mio papà.

Quella vecchia zia di Pola. Un racconto sull’Istria e sull’esodo a Firenze.

UN PROGETTO SCOLASTICO
Classe 5^ C turistica Istituto "B. Stringher" Udine, Maieta istriana, installazione con maglia di cotone (Collezione privata Gradisca d’Isonzo), carta, pietra e borraccia militare italiana del 1940-’45 (Collezione privata, Udine), dicembre 2011, a cura del professor Elio Varutti.

Maieta istriana, testo plurilingue

Maglia dell’Istria del 1955 aggiustata dalle zie e dalla nonna.

Malla de Istria de 1955 se ha ajustado a sus tías y su abuela (Spagnolo).

Jumper from Istria dated 1955 repaired by grandmother and aunts (Inglese).

Pull de l’Istrie de 1955 reparé pour les tantes et le grand-mère (Francese).

Bluse aus Istrien aus dem Jahr 1955 von den Tanten und von der Grossmutter reparient (Tedesco).

Triket e Istriës e 1955 ishin të punuara nga Tezet dhe nga gjyshja (Albanese).

Maiute istriane dal 1955 justade des agnis e de none (Friulano).

Maieta istriana del 1955 agiustada da le zie e da la nona (Istriano).

Ala (TN), collegio "Silvio Pellico" per i figli degli esuli, 1965. Immagine dal web