martedì 14 aprile 2020

L’esodo da Veglia di Celina Maracich, esule in Toscana

Certi esuli preferiscono dimenticare tutto e andare avanti. Lasciano perdere, per non avere rancori, per non riaccendere i dolori e i patimenti subiti, forse perché erano molto giovani durante la seconda guerra mondiale. Mi è sembrato il caso di Celina Maracich Pardi, nata a Veglia nel 1933 ed esule a Ripafratta di San Giuliano Terme (PI). “Son venuta via da Veglia il 19 marzo 1949, avevo 16 anni – inizia così il racconto della testimone – con me c’erano la mia mamma Maria Fiorentin e il babbo Giovanni Maracich, nati alla fine dell’Ottocento”. La signora Celina è la sorella di Maria Maracich, scappata clandestina nel 1944 con una zia e le cugine, per sfuggire dalle grinfie dei titini e dei nazisti di cui ho già descritto la sua esperienza nel 2016.
La scuola italiana di Veglia nel 1920. Fonte: da Internet

Celina, Mario e Maria Maracich, sono tre fratelli che, con i genitori e parenti vari, fanno parte di quel gruppo di esuli di Veglia (Krk, in croato) definiti “italiani all’estero”, in quanto nati in un’entità statale diversa dall’Italia, anche se molto vicina territorialmente a Fiume e al Regno d’Italia. Bisogna accennare al fatto che, nel mese di aprile 1941, l’Italia di Mussolini, con truppe di altri stati, invade la Jugoslavia, che adotta tale denominazione dal 1929. Gli italiani di Veglia vengono evacuati fino a Verona, per tre settimane. Si tratta di oltre 1.500 individui. Gli optanti alla cittadinanza italiana a Veglia città, nel 1927, sono 1.162. Poi l’isola è annessa all’Italia, fino al 1943, quando arrivano i partigiani di Tito e i nazisti che la riprendono per poco tempo. Oggi fa parte della Croazia.
“Ricordo che si andava a messa nella chiesa di San Quirino, vicino al Duomo – aggiunge Celina Maracich – e la funzione era in italiano; avevamo le scuole italiane e il Consolato italiano in città, poi noi con l’esodo si fa tappa al Centro smistamento profughi di Udine”.
Come mai siete finiti in Toscana? “Mio fratello don Mario Maracich, nato nel 1925, dopo l’esodo studia a Udine, Venezia e poi a Pisa, dove dal 1948 è arcivescovo monsignor Ugo Camozzo, prima vescovo di Fiume – risponde la signora Celina – così, per motivi di famiglia, ci hanno destinato al Centro raccolta profughi  (CRP) di Migliarino Pisano, dove mia sorella Maria si è sposata nel 1950, mentre il mio matrimonio è del 1960 ed a Ripafratta è cominciata un’altra vita. Certo, ho perso tutti gli amici d’infanzia e a Veglia sono ritornata una volta sola nel 1986 con mia sorella, il cognato e il marito”.
Perché siete andati a Ripafratta? “Mons. Camozzo, nel 1951, assegna la parrocchia a mio fratello don Mario Maracich proprio lì – replica la signora – così noi siamo potuti uscire dal CRP di Migliarino Pisano, dato che siamo andati a vivere in canonica. Il babbo si lamentava, perché essendo emigrato negli Stati Uniti d’America, negli anni ’20, aveva guadagnato i soldi per comprarsi la casa a Veglia, poi abbiamo perso tutto. Papà sperava che gli dessero un indennizzo per i beni perduti, ma non ha avuto mai nulla. Don Mario ha vissuto con me per 22 anni ed è deceduto nel 2006, è stato un parroco benvoluto da tutti, perché ricordava proprio il prete di campagna vicino alla sua gente”.
Dove sono oggi i suoi parenti? “Oggi mi ritrovo con una nipote in Australia – conclude Celina Maracich – ed altri parenti in Olanda e in Finlandia; eh già, gli istriani, fiumani e dalmati sono sparsi per il mondo".
Cartolina di Veglia con porta Pisana, ricordo delle Repubbliche marinare: Venezia, Pisa, Amalfi e Genova


Nota storico-geografica. Tante bandiere, un campanile
La basilica romanica di San Quirino, a Veglia (Krk) è appoggiata alla cattedrale, notevole monumento architettonico della città, come ha scritto Zdenko Šenoa, pag. 47. Tale basilica reca dei ricchi ornamenti plastici sulle facciate e frammenti di dipinti murali in stile romanico. La cattedrale, originariamente basilica paleocristiana, è un edificio a tre navate, costruito e ampliato a più riprese. Fabbricata nelle forme attuali all’inizio del XII secolo, ha un campanile eretto tra il XVI e il XVII secolo. Nella navata di sinistra è situata a Cappella dei Frankopani, del XV secolo, con volta gotica a rete. Tra le varie opere notevoli si nota la Deposizione di Cristo di Giovanni Antonio Pordenone nel cappella in fondo alla navata destra. Veglia (Krk) è l’antica Splendidissima civitas Curictarum, che in epoca romana era un abitato con amministrazione municipale. Dal VI secolo è sede vescovile. La dedizione di Veglia a Venezia è del 1481, mentre l’Istria e il Friuli lo fanno nel 1420. Nel 1797, col Trattato di Campoformido, Veglia passa all’Austria come le Isole quarnerine (Cherso e Lussino), per volere di Napoleone. Nel 1805, dopo la cosiddetta terza coalizione contro Napoleone, divenuto imperatore dei francesi il 2 dicembre 1804, l’Austria perde Venezia e Dalmazia (con Veglia) passate al Regno d’Italia, la corona del quale è di Napoleone stesso. Nel 1809 sorge lo stato napoleonico delle Provincie Illiriche dell’Impero francese con Trieste, Pola, Fiume (Isole quarnerine incluse), Zara, Spalato e Ragusa, con capitale Lubiana. Le Provincie Illiriche dell’Impero francese (1809-1813), comprendono l’Istria, Dalmazia, Ragusa, Cattaro, con ampie presenze di italofoni, assieme a Carinzia (Austria), Carniola (Slovenia) e a una parte della Croazia, con le quali le prime entità, in precedenza, nulla avevano avuto a che fare, secondo Flavio Fiorentin. L’effimero stato franco-imperiale si sgretola nel 1813, con la disfatta di Napoleone, Veglia ripassa all’Austria-Ungheria, che la possiede sino al 1918, al termine della Grande Guerra. Nel 1919 Veglia è occupata dai Legionari di D’Annunzio e, per qualche tempo, fa parte della Reggenza italiana del Carnaro. Poi è parte di un nuovo stato: il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, che muta denominazione in Jugoslavia nel 1929. Come già accennato Veglia è occupata e annessa al Regno d’Italia nel 1941 fino al 1943, con l’arrivo dei partigiani di Tito, che l’assegnano alla Jugoslavia. Al discioglimento iugoslavo, nel 1991, Veglia diventa croata.

Le cartoline di Veglia
Oltre che di editori asburgici, molte cartoline illustrate di Veglia, prodotte sin dal 1896, sono opera con tutta probabilità del fotografo Ilario Carposio. Nato a Trento nel 1852, Carposio muore a Fiume nel 1921. Quale fotografo di Fiume, attivo dal 1869, è menzionato nelle raccolte fotografiche del Museo Marittimo e Storico del Litorale Croato di Fiume, come sostiene Margita Cvijetinović Starac, curatrice delle collezioni fotografiche del Museo di Fiume. Nel 1869 Carposio fotografa la visita a Fiume dell’Imperatore Francesco Giuseppe e la visita imperiale alla Raffineria del 1891. Esegue dei ritratti a tale Germana Canarich, nel 1889, con dicitura: “Cherso, Fiume” (Arch. Anvgd, UD), dimostrando di avere uno stabilimento fotografico a Cherso, isola vicina a Veglia, nel Golfo del Quarnero.
L'Isola di Veglia, in alto, vicino a Fiume

Fonte orale
Celina Maracich Pardi, Veglia 1933, vive a Ripafratta di San Giuliano Terme (PI), intervista telefonica di Elio Varutti del 14 aprile 2020. L’autore ringrazia il signor Roberto Loru per la collaborazione ricevuta.

Sitologia e bibliografia

- Flavio Fiorentin, L’eredità del Leone, dal Trattato di Campoformio (1797) alla Prima Guerra Mondiale (1918), Udine, Aviani & Aviani, 2018.
- Lauro Giorgolo, “50 anni di sacerdozio di don Mario Maracich, di Veglia”, «Il Dalmata», IV, n. 3, maggio 2000, p. 10.
- Maria Maracich, Il Viaggio di Meri, Codroipo (UD), Edizioni Beltramini, 2013.
- Zdenko Šenoa, Litorale jugoslavo. Guida e atlante. Trieste, Lukovo, Cres, Lošinj, Krk, traduz. italiana di Dušanka e Roberto Orlandi, Jugoslavenski Leksikografski Zavod, Zagreb, 1971.
- E. Varutti, Il viaggio di Meri. Esodo da Veglia, 1944, on line dal 21 febbraio 2016.

Musei e Archivi citati
- Archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine.
- Museo Marittimo e Storico del Litorale Croato di Fiume (Croazia).
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

lunedì 6 aprile 2020

Buchtel de Fiume, Pola, Zara e Trieste


Si tratta di dolci ripieni di marmellata di albicocche o di prugne, secondo il Gottardi. Sono detti anche Buchteln. Ogni ricettario scritto a mano delle vecie none de Fiume contiene la ricetta dei Buchtel, che hanno un’articolata preparazione distinta in più lievitazioni. Per le successive indicazioni si seguono i dati de La cucina triestina di Maria Stelvio, poiché sono più universali di altri testi consultati.

INGREDIENTI. Per 15 porzioni, o come dicevano, alla tedesca, certe nonne di Fiume: stück (pezzo). 30 gr. di lievito, ¼ litro di latte, 150 gr. di farina, 60 gr. di zucchero, 2 uova, raschiatura di limone, sale - 350 gr. di farina, 60 gr. di burro, 200 gr. di marmellata, 180° per 30 minuti circa.
PREPARAZIONE. Mescolare in un recipiente il lievito sminuzzato con un cucchiaio di zucchero e il latte tiepido. Unire la farina ottenendo una pastetta morbida, densa come una crema. Coprire la terrina con una pezza e lasciare lievitare al caldo, ad esempio in un forno elettrico con la sola luce accesa. Quando la pastella ha raddoppiato il suo volume, frullare un uovo alla volta dei due previsti. Aggiungere pian piano la farina rimasta, lo zucchero, la raschiatura del limone e il sale. Manipolare decisamente la massa ottenuta, aggiungendo il burro liquefatto e intiepidito. Continuare a sbattere fino a quando si noteranno in superficie alcune bollicine. Allora lasciare lievitare l’impasto al caldo coprendolo con la solita pezza finché raddoppia. Stendere sul tavolo infarinato l’impasto facendogli assumere lo spessore di 1 cm. Tagliare dei rettangolotti di cm. 14 x 7, piazzando al centro di ognuno di essi un cucchiaio di marmellata tiepida. Piegare poi ogni rettangolotto, in modo da ottenere un cubo (buchtel). Disporre i pezzi ottenuti, una quindicina, uno accanto all’altro in una teglia imburrata e cosparsa di farina, avendo cura di ungere lateralmente ogni cubo, per poterli staccare comodamente dopo la cottura. Coprirli con la pezzuola infarinata e lasciarli lievitare al caldo. Cuocerli, infine, a forno moderato per 30 minuti ca. Staccare i singoli pezzi e cospargerli di zucchero velo.
VARIANTE. I ripieni di ricotta, noci e semi di papavero sono suggeriti, ma come spiega Gottardi, a Fiume erano poco noti e ancor meno adottati. Si tratta forse di una variante istriana o dalmata.
CURIOSITÀ. Sempre il Gottardi ricorda che le nonne fiumane spesso sono state indispettite dai tremendi nipoti che traducevano il dolce Buchtel con la parola italiana “tettine”, vedendo la teglia appena sfornata. La desueta parola tedesca deriva dal ceco “buchticky” (bocconcino); in ceco moderno: “buchty”. Oggi è scritta e pronunciata come: Wuchtel (Gottardi). I Buchteln sono serviti anche in Alto Adige.
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Fotografia di Elio Varutti e Daniela Conighi. Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo e E. Varutti. Si ringrazia Daniela Conighi per la collaborazione alla realizzazione dei dolci e Tiziana Menotti per la lingua ceca.

Bibliografia e sitologia
- Francesco Gottardi, Come mangiavamo a Fiume nell’Imperial Regia Cucina Asburgica e nelle zone limitrofe della Venezia Giulia1.a ediz.: Fiume, Edit, 1998; 2.a edizione, Treviso, AG Edizioni, 2005, pag. 200.
- Missclaire, Buchteln. Dolci ricordi d’infanzia, nel web dal 24 febbraio 2018

- Salvatore Samani, Dizionario del Dialetto Fiumano, a cura dell’Associazione Studi sul dialetto di Fiume, Venezia – Roma, 1978.
- Maria Stelvio, La cucina triestina, Trieste (1.a edizione: 1927), Lint, 18.a edizione, 2013, pag. 389.