Giovanni Lupetich mi telefona mentre sto buttando la pasta. «Mio papà ha potuto parlarmi
poco di Fiume e dell’esodo perché è morto quando ero bambino – mi dice – allora,
posso avere notizie da lei sul Campo Profughi giuliani e dalmati di Udine?»
Fiume 1942. Edizioni G.P., Fiume.
Collezione Conighi, Udine
Ecco com’è ormai l’approccio, nel mio caso, sulla questione del confine orientale d’Italia, dopo la seconda guerra mondiale. Altri discendenti di esuli delle terre perse mi contattano
sui social network, per posta elettronica e cartacea.
Stanno scomparendo, per motivi demografici, i protagonisti
diretti dell’esodo. Si parla di quei 350 mila italiani d’Istria, di Fiume e
della Dalmazia, fuggiti dal 1943 al 1960 circa dalle loro case e dalle loro
terre occupate dagli jugoslavi. Scappavano essi dalle prevaricazioni se non
dalla violenza fisica dei titini. Se ne venivano via per la paura di sparire,
di finire imprigionato o ammazzato nelle foibe. I miliziani di Tito
realizzarono la pulizia etnica, oppure si vendicavano dei torti subiti sotto il
fascismo, prendendosela con tutto ciò che fosse italiano.
Secondo una ricerca sociologica dell’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia, pubblicata nel 2008, la prima generazione dell’esodo
giuliano dalmata comprende i nati in quelle terre tra il 1916 e il 1951. La
seconda generazione è formata, per quattro quinti, dai nati lontano
dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia tra gli anni 1933 e il 1980, mentre solo
un quinto è nato nei medesimi luoghi dei genitori. La terza generazione dell’esodo
è costituita dai nipoti, ossia dai discendenti nati in Italia o all’estero dopo
il 1960 e fino al 1989.
La seconda e la terza generazione dell’esodo puntano tutto
sulla memoria. I discendenti degli esuli che, per motivi vari hanno saputo poco
e hanno scarse notizie sulla propria famiglia sono in cerca di informazioni sui
libri e da altre fonti. Hanno sete di storia e di memoria.
Renato
Lupetich nel 1928 a Fiume. Fotografia Andrioni & Co, Fiume. (Collezione
privata, Belluno).
Per la Storia della fotografia del Quarnaro: nel 1914 Andrioni & Co è succursale di E. Jellusich,
Fiume, Corso, 23.
Metto da parte la mia pastasciutta e rispondo al
signor Lupetich. È contento perché è riuscito a trovare in una libreria di Via
Piave a Udine il libro sul Centro di Smistamento Profughi che ho pubblicato nel
2007. Esso è esaurito dal 2013 presso la sede di Udine dell’ANVGD, ma varie
copie sono disponibili presso la Biblioteca Civica “Vincenzo Joppi” di Udine, o
in altre pubbliche biblioteche italiane.
«Ho letto sul suo
libro di mio zio Nereo Lupetti – mi dice – che aveva cambiato il cognome
secondo le norme fasciste, ma mio padre invece non ha voluto, perciò io sono un
Lupetich, poi c’era anche lo zio Pietro Lupetti e il signor Marco Cerlenco, che
era insegnante, nato a Fontane d’Istria nel 1896 e morto a Latisana nel 1973».
In effetti Nereo
Lupetti, nel 1959, risulta parte del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD,
occupandosi specificatamente del settore assistenza, mentre Marco Cerlenco
appare in veste di fiduciario per Latisana e Lignano Sabbiadoro del Comitato
Provinciale di Udine dell’ANVGD nel 1955.
Il
sodalizio dei profughi si occupava, in accordo con la prefettura, di oltre 200
esuli a Udine e di altri 300 nella provincia, per la maggior parte anziani. Quindi
gli chiedo ciò che sa e se intende raccontarmelo. Incontrarsi non è così
immediato, dato che egli vive a Belluno.
«Mio padre è venuto via da Fiume nel 1947 – risponde Lupetich – io sono nato a Udine nel 1953 e abbiamo
vissuto a Latisana, in provincia di Udine».
Come si chiama suo padre?
«Era Renato Lupetich, nato a Fiume il 3 marzo 1900 e morto nel 1960, quando era direttore didattico a Palazzolo dello Stella, in provincia di Udine – precisa il testimone – mio padre si è laureato in Pedagogia all'Università di Urbino il 16 giugno 1955, col rettore Carlo Bo. Renato Lupetich era un “ufficiale postale”, poi legionario di D’Annunzio, come pure mio zio Nereo Lupetti. Essi sono citati in un libro di Amleto Ballarini, intitolato: Diedero Fiume alla patria».
«Era Renato Lupetich, nato a Fiume il 3 marzo 1900 e morto nel 1960, quando era direttore didattico a Palazzolo dello Stella, in provincia di Udine – precisa il testimone – mio padre si è laureato in Pedagogia all'Università di Urbino il 16 giugno 1955, col rettore Carlo Bo. Renato Lupetich era un “ufficiale postale”, poi legionario di D’Annunzio, come pure mio zio Nereo Lupetti. Essi sono citati in un libro di Amleto Ballarini, intitolato: Diedero Fiume alla patria».
Riconoscimento
della qualifica di profugo per Renato Lupetich, nato a Fiume il 3.3.1900,
rilasciata dalla Prefettura di Udine il 14.12.1948. (Agganciata sotto, in colore rosa): Tessera n.
1096 dell’Associazione Nazionale per la Venezia Giulia e Zara, sede di Udine,
firmata dal presidente Carlo Leopoldo Conighi, per l’iscritto Lupetich Renato
fu Giovanni “Profugo Giuliano” del 12 giugno 1947. Collezione privata, Belluno.
Posso sapere quale mestiere facesse suo padre a Fiume e i
suoi antenati erano sempre di Fiume?
«Mio padre a Fiume aveva ricevuto il lasciapassare per recarsi a Sussak, sia nel 1928 che nel 1947, in quanto era esperto nelle traduzioni dei valori patrimoniali dal serbo-croato all’italiano – è la risposta di Giovanni Lupetich – era perito contabile e lavorava alla Raffineria di Olii Minerali Società Anonima, costruita tra il 1882 e il 1883 (ROMSA), dopo l’esodo fece il maestro a Pertegada, a Latisana e a Gorgo di Latisana, in provincia di Udine. Mio nonno, che si chiamava come me, era maestro falegname a Fiume. Pure il bisnonno Francesco Lupetich era di Fiume; il mio trisnonno faceva di nome Felice ed era marinaio».
«Mio padre a Fiume aveva ricevuto il lasciapassare per recarsi a Sussak, sia nel 1928 che nel 1947, in quanto era esperto nelle traduzioni dei valori patrimoniali dal serbo-croato all’italiano – è la risposta di Giovanni Lupetich – era perito contabile e lavorava alla Raffineria di Olii Minerali Società Anonima, costruita tra il 1882 e il 1883 (ROMSA), dopo l’esodo fece il maestro a Pertegada, a Latisana e a Gorgo di Latisana, in provincia di Udine. Mio nonno, che si chiamava come me, era maestro falegname a Fiume. Pure il bisnonno Francesco Lupetich era di Fiume; il mio trisnonno faceva di nome Felice ed era marinaio».
Da una ricerca nel web, si legge
che Felice Lupetich a Fiume era “marinaio di 2^ classe dei Regii Uffizj
Capitanali di Porto”. Si veda lo Scematismo
del Littorale Ungarico, edito nel 1838.
In una telefonata successiva gli
chiedo qualcosa sulla parentela ed, eventualmente, qualcos’altro sui rimasti, ossia sugli italiani restati
nelle loro case e terre, dopo l’avvento del potere di Tito.
Signor Lupetich, per caso, ha
dei parenti sparsi per l’Italia o altrove? È mai andato a Fiume dopo l’esodo?
«Sì, ho degli zii ad Ancona e
negli Stati Uniti d’America – mi dice – e sono andato a Fiume/Rijeka coi
parenti quando avevo quindici anni dal 1968, perché abbiamo la tomba di
famiglia a sarcofago a Cosala, fabbricata dai marmisti Grubesich, quando c’era
l’Italia».
Ha dei conoscenti o parenti che sono restati a Fiume, dopo il
1945-1947?
«Sì, era il medico veterinario di Fiume. Si chiamava Stanko Veselić – risponde Giovanni Lupetich – poi c’erano suo fratello Milan Veselić e la sorella Zora Veselić».
«Sì, era il medico veterinario di Fiume. Si chiamava Stanko Veselić – risponde Giovanni Lupetich – poi c’erano suo fratello Milan Veselić e la sorella Zora Veselić».
Il maestro
Renato Lupetich con le sue scolare di Latisana nel 1948-1949. Collezione privata, Belluno.
1. La
memoria collettiva
Finisce così la mia intervista al signor Giovanni Lupetich.
Per le mie ricerche egli è la fonte orale n. 258 sull’esodo giuliano-dalmata. Essi
sono citati ed elencati nei libri ed articoli che ho scritto sul tema.
Ho iniziato a raccogliere le testimonianze in modo
organico nel 2003, mentre era dal 1995 che ascoltavo i racconti riguardo alla
biografia familiare dei Conighi di Fiume, annotandomi i particolari più curiosi,
con un totale di 12 fonti diverse, tra i discendenti e gli affini. È
altrettanto vero che sin da bambino sono stato a contatto con i figli dei
profughi istriani, fiumani e dalmati, avendo abitato con la mia famiglia, in
Via delle Fornaci, dove c’era uno degli ingressi al Centro di Smistamento
Profughi di Via Pradamano. Giocavo con loro. Abitavano essi nelle stesse case
popolari dove stavo io. E ho dovuto ascoltare le mamme del rione che ai propri
bimbi capricciosi dicevano: “Sta bon, se no te fasemo magnar dai profughi!”. Ho
conosciuto, peraltro, molti amici dei profughi; alcuni di essi sono stati pure
da me intervistati. Mi hanno riferito dati, informazioni e hanno fatto da
tramite per prendere contatto con esuli del borgo, della città o di altri
luoghi.
Ho sentito i racconti dei profughi del mio quartiere quando
mi dicevano che il loro padre aveva trovato, per l’ennesima volta in ufficio,
un cartello con la scritta: “Morte ai profughi!”.
Forse è giunto il tempo di scrivere una Topografia degli
italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia. Intendo con ciò uno studio sociologico
sulle orme del saggio di Maurice Halbwachs intitolato “La mémoire collective”,
stampato nel 1950. Certo, la ricerca di questo sociologo francese mira in alto
e mette in luce la spiegazione mitologica delle leggenda di Gesù. Le topografie
da lui indagate si riferiscono alla Palestina.
Per i discendenti dei giuliani, dei fiumani e dei dalmati è
sempre più importante la ricerca delle proprie ascendenze e dei luoghi di
famiglia – la topografia, appunto – ove vissero, a volte per secoli, i propri
antenati.
Memoria e oblio. Ecco due sfaccettature dello stesso
magazzino delle informazioni di un organismo vivente. Poi c’è il fattore della
interferenza; essa sorge quando le informazioni si contraddicono.
L’interferenza crea pasticci nella successione temporale degli avvenimenti,
creando ansia nell’individuo. In certi casi una forte nebbia avvolge le
rimembranze. C’è comunque chi preferisce l’oblio. Meglio cancellare tutto e non
riparlare di certi avvenimenti che ci provocano solo dolore.
Trieste, cartolina viaggiata e timbrata il 19 dicembre 1949, affrancatura con sovrastampa del Governo Militare Alleato Territorio Libero di Trieste, AMG-FTT(in inglese: Allied Military
Government - Free Territory of Trieste). Collezione Lucio Barbarino, Udine.
2. Fonte
1, fonte 2… sull’esodo istriano
Ricordo ancora le mie prime interviste sull’esodo istriano. Era il 2003.
Cercavo sicurezze scientifiche negli autori dei testi di ricerca sociale
studiati all’Università di Trento. Mi sono basato soprattutto sull’esperienza
acquisita, facendo indagini socio-economiche e socio-psicologiche con la stessa
università, con l’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia (ISIG) e con
altri istituti di ricerca. Ritengo che mi abbia aiutato non poco nelle
relazioni sociali il ruolo di giornalista pubblicista che ho svolto per alcune
testate giornalistiche locali
Avevo ricevuto l’incarico specifico dalla Commissione Istruzione,
Cultura e Partecipazione della Circoscrizione n. 4 - Udine Sud, del Comune di
Udine, di cui facevo parte. Il titolo della ricerca era: “Il Campo Profughi
Istriani di Via Pradamano a Udine”. La Commissione si riuniva nella sede
circoscrizionale, proprio in Via Pradamano al civico numero 21, dove operò il
Centro di Smistamento Profughi più grande d’Italia, dal 1945 al 1960, ma questo
lo scoprii durante le ricerche.
Ho registrato alcuni momenti critici. Certi intervistati non hanno consentito la divulgazione del proprio nome e cognome, certuni nemmeno in sigla. In cinque o sei casi ho scelto di interrompere l’intervista, scusandomi con il testimone, per il dolore arrecato dal rimestare nei tremendi fatti accaduti (familiari gettati nelle foibe). Ho sentito racconti riguardanti i profughi italiani delle terre perse al confine orientale su suicidi, ricoveri in manicomio e, addirittura, di stupri. Erano fatti sconvolgenti sui quali ho promesso di non dare i nominativi.
Ho registrato alcuni momenti critici. Certi intervistati non hanno consentito la divulgazione del proprio nome e cognome, certuni nemmeno in sigla. In cinque o sei casi ho scelto di interrompere l’intervista, scusandomi con il testimone, per il dolore arrecato dal rimestare nei tremendi fatti accaduti (familiari gettati nelle foibe). Ho sentito racconti riguardanti i profughi italiani delle terre perse al confine orientale su suicidi, ricoveri in manicomio e, addirittura, di stupri. Erano fatti sconvolgenti sui quali ho promesso di non dare i nominativi.
Belluno - Il
Monumento alle Vittime delle Foibe nel piazzale della stazione ferroviaria,
divenuto anch’esso: Piazzale Vittime delle Foibe. Inaugurazione del 10 febbraio
2016
Ho assistito ad alcune interviste di gruppo non programmate.
Nel senso che prendevo appuntamento con una fonte e mi ritrovavo quattro o
cinque esuli al tavolo dell’intervista. I più simpatici sono stati un gruppo di
italiani di Pinguente. Alla fine dell’incontro hanno tirato fuori una bottiglia
di Malvasia, quattro pezzi di formaggio e abbiamo fatto un brindisi. In altre
case ho bevuto decine di caffè.
Desideravo ascoltare la testimonianza di una signora di
Rovigno e mi son trovato di fronte tutta la famiglia schierata, con tanto di
genero e nipoti minorenni. Penso sia stato un buon collante per essere
accettato come ricercatore l’uso del dialetto veneto, appreso in famiglia
avendo una nonna veneziana. Ho provato a parlare dialetto sin dalle prime
interviste, intercalando l’italiano. Qualcuno addirittura mi chiedeva di
dov’ero, dando per scontato che pure io fossi profugo, o figlio di profughi istriani. La
figlia di una esule intervistata su una certa risposta di sua mamma alla mia domanda, se ne è uscita con questa
frase: «Mama, questo no te me gà mai contado!»
Per le mie ricerche gli esuli mi hanno dato fotografie,
documenti di espatrio, cartoline, certificati di battesimo, fogli di congedo, lettere,
diari, articoli di giornale, libri e vari cimeli di famiglia. Col loro consenso
ho fotografato tutti questi tasselli della memoria. Li ho riprodotti nelle
pubblicazioni, nelle ricerche scolastiche e li ho mostrati in diapositiva negli
oltre 50 incontri pubblici che ho tenuto, dal 2004, in Friuli Venezia Giulia e
in Veneto, soprattutto per il Giorno del
Ricordo.
La prima fonte in assoluto è stata, per la verità, un’amica
dei profughi. Si tratta della signora Quinta Cicerchia vedova Mencarelli, nata
a Fossombrone (Pesaro) nel 1922; si tratta di una mia vicina di casa. Mi ha fatto ricordare tutti gli istriani e dalmati che abitavano vicino a noi. È da loro che ho
iniziato a fare domande sull’esodo. La seconda intervistata è Cristina Dilena
in Benolich (Gorizia 1949-Udine 2004), amica di infanzia. «Io un
profugo me lo sono sposato – mi ha detto la signora Dilena – e da bambina, avrò
avuto 7-8 anni sono venuti a cercarmi a casa i figli dei profughi, amici di
giochi, perché volevano che io andassi a vedere ‘televizija’ in campo, dato che
le autorità avevano appena comprato una televisione per lo stesso Campo
Profughi».
L’intervistata n. 5 è la signora
Alma Visintin vedova Benolich, nata nel 1936 a San Giovanni di Portole, in
presenza del figlio Fiorentino Benolich nato a Umago nel 1957. «In Campo di Via
Pradamano a Udine si aveva letto a castello con una branda vicino a noi – mi ha
raccontato la signora Visintin – io e mio marito Valentino col piccolo
Fiorentino siamo venuti via col lasciapassare e non siamo più ritornati. Era il
20 maggio 1958 e al 20 luglio 1958 ci hanno destinato al Campo Profughi di
Altamura, dove la gente del posto aveva avvelenato l’acqua. Meglio el Campo de
Udine piuttosto de San Sabba de Trieste, lì de la Risiera, dove no se podeva neanche uscir per
passeggiata. Siamo venuti via senza bagaglio se no te rimandava dendro i
graniciari. Go ancora la borsetta de quando son passada, la tegno per ricordo.
No si salutava nessuno se no i fazeva la spia e no te podevi partir. Mia
sorella Maria, il cognato Marcello e il bimbo no se passadi subito, solo dopo
un po’ de ore e i doganieri slavi se gà tignudo 16 mila dinari. Mia sorella
Bruna è passata nel 1948 a Muggia, gà domandado a un edicolante i schei per
l’autobus per andare a Opicina dove jera una zia e lui ghe gà dado anche i
schei per un caffè».
C’è chi è scappato da Zara nel 1943, come il signor Bruno
Perisutti, intervistato
n. 16. «Con la mia famiglia eravamo ospiti ad Ajello del Friuli – ha detto
Perisutti – poi al Campo Profughi c’erano gli inglesi e ogni settimana ci
davano un pacco col sapone e altri generi fino al 1947, in campo è passata
anche una mia zia, è stata lì tre mesi poi l’hanno mandata al Campo Profughi di Tortona, provincia di Alessandria, poi ero in Via delle Fornaci a Udine nelle case popolari».
Fiume, 13 agosto 1937 - Asilo Casette Operaie.
Collezione Conighi, Udine
È stato il professor Stefano Perini a comunicare alcuni dati
sul Comune di Ajello del Friuli riguardo ai profughi italiani d’Istria, di
Fiume e della Dalmazia nel 1945, durante una manifestazione pubblica al Liceo Classico “J. Stellini” di Udine, tenutasi il 22 aprile 2016. «Nel
1945 ad Ajello del Friuli – ha detto Perini – c’erano 110 profughi italiani di
Zara e molti altri dell’Istria nel 1946». Sono queste le prime forme di
accoglienza riservate a quelli che, con notevole paradosso, sono esuli in
Italia (in patria), senza che sia loro riconosciuto il fatto di essere una
parte integrante della Storia d’Italia.
Alcune fonti orali hanno
sorvolato su alcuni tristi particolari. Ad esempio la signora Maria Chialich,
nell’intervista n. 22, non mi ha detto di avere avuto ben sette parenti uccisi
nella foiba. L’ho saputo nel 2010, da altri parenti intervistati e, confermato,
dalla segreteria dell’ANVGD di Udine e dall’ingegnere Silvio Cattalini,
presidente dal 1972 del sodalizio udinese (fonte n. 19). Cattalini, da me
contattato per informarlo della mia indagine storico-sociologica mi ha accolto
fraternamente e da subito mi ha permesso di condurre alcune interviste nella
stessa sede dell’Associazione, presentandomi ai soci disponibili ad essere
sondati. «Siamo venuti via nel 1957 – ha
detto Maria Chialich, di Dignano d’Istria – e mio zio Giuseppe Gonan se gà
fermado in Campo Profughi de Udine, poi semo andadi a Imperia. Jera tanta gente
in campo e anche jera la ciesa de campo».
Ho ascoltato la signora Elvira
Dudech di Zara (fonte orale n. 24), che abitava nel mio quartiere a Udine. La incontrai varie volte
nel borgo ed ogni volta che mi rivedeva voleva raccontarmi un altro pezzo della
sua vita nei Campi Profughi. «Semo vignudi via da Zara nel 1948 con mio
fratello Arturo fino al Campo Profughi di Ancona – ha riferito la signora
Dudech – poi per quattro anni e mezzo eravamo al Campo de Laterina, in provincia di Arezzo, anche i cugini jera in campo, poi altro campo de Chiari,
in provincia de Brescia e poi a Roma con mia sorella, in campo jera fioi che i
pianzeva, i voleva la casa e le mame diseva: no gavemo più la casa».
Secondo il mio modesto parere, certe interviste sembrano dei piccoli poemi di
umanità.
Fiume, Chiesa di San Romualdo e Ognissanti, nel cimitero di Cosala, detta pure Tempio votivo, eretta su progetto dell’architetto Bruno Angheben del 1934. Cartolina stampata per il 2° raduno degli Esuli del Quarnaro, svoltosi ad Ancona il 16 settembre 1956.
Aggiornamento del 2021
Il 15 dicembre 2021 ho avuto il piacere di sentire il signor Francesco Lupetich, anche lui figlio di Renato Lupetich, esule fiumano e direttore didattico di Palazzolo dello Stella (UD), deceduto nel 1960. Ho avuto così conferma che l’esodo fiumano spezzava le famiglie. Mentre la famiglia esule di Fiume stava a Latisana (UD), Francesco Lupetich (del 1959), rimasto senza babbo da bambino, ha dovuto andare, nel 1966, al Preventorio “Venezia Giulia” di Sappada (BL), invece suo fratello Giovanni va al Convitto collegio “Silvio Pellico” di Ala (TN), un posto non molto felice. Poi Francesco viene inserito nel Convitto Enam (Ente Nazionale di Assistenza Magistrale) di Farra di Soligo (TV). I migliori ricordi per Francesco si riferiscono a don Tarcisio Lucis, buon parroco di Sappada dal 1958 al 1978,il quale trasferitosi a Latisana (UD), quando rivede Francesco adulto e pronto per il matrimonio, lo celebra nel 1979 con piacere nella veste di arciprete. Monsignor Lucis viene a mancare nel 2017. Altri ricordi riferiti dal signor Francesco Lupetich riguardano i numerosi complimenti ricevuti dai maestri della Bassa friulana, ormai pensionati, riguardo all'attività paterna; essi erano colleghi o alle dirette dipendenze del direttore didattico Renato Lupetich, suo caro babbo.
RINGRAZIAMENTI E FONTI ORALI
Ringrazio sentitamente il signor Giovanni Lupetich,
con padre di Fiume. Egli è nato a Udine nel 1953 ed è residente a Belluno; è
stato da me intervistato al telefono il 10-14 giugno, il 7 agosto 2016, oltre
ad un contatto faccia a faccia del 1° settembre 2016, verificatosi a Udine assieme a sua figlia Marianne Lupetich.
Nello stesso mese di giugno 2016 egli ha avuto anche vari
contatti telefonici con la segreteria dell’Istituto “B. Stringher” di Udine,
per ricevere il libro Ospiti di gente
varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di
Udine 1943-1960, edito nel 2015.
Sono riconoscente alle seguenti persone
intervistate all’inizio delle mie ricerche sull’esodo giuliano dalmata. Le
interviste si sono svolte a Udine, in casa degli interessati con taccuino, penna
e macchina fotografica a cura dello scrivente. Talvolta ho provato a registrare
la voce, con il permesso del testimone, ma ciò che veniva raccontato era molto
soffuso, rispetto al racconto ricopiato con carta e penna. L’effetto di
autocensura è ancora più evidente nelle interviste video-registrate, mentre il
soggetto si dilunga su particolari insignificanti e fuorvianti, mescolando
fatti di allora con la contemporaneità. Tali tecniche di ripresa del sonoro e
delle immagini sono state abbandonate nella gran parte delle successive
interviste, nonostante siano piuttosto apprezzate dai docenti universitari di
Storia.
1) Silvio Cattalini, Zara, 1927, intervista del 22 gennaio 2004.
2) Quinta
Cicerchia vedova Mencarelli, Fossombrone, provincia di Pesaro, 1922 - Udine 2021, intervista
del 23 dicembre 2003.
3)
Cristina
Dilena in Benolich (Gorizia 1949 - Udine 2004), int. del 23 dicembre 2003; è vissuta a Udine.
4)
Alma
Visentin vedova Benolich, San Giovanni di Portole, 1936, int. del 27 dicembre
2003, in presenza del figlio Fiorentino Benolich, Umago, 1957, con i saluti di
Leonora, una istriana vicina di casa, dispiaciuta di non poter assistere
all’intervista per la malattia del marito.
5)
Bruno
Perisutti, Zara, 1936, int. del giorno 11 gennaio 2004, vive a Udine.
6)
Maria
Chialich vedova Pustetto (Dignano d’Istria, 1919 - Udine 2010), int. del 27
gennaio 2004.
7)
Elvira
Dudech (Zara, 1930 – Udine 2008), int. del 28 gennaio 2004
8) Francesco Lupetich, Latisana (UD) 1959, vive a San Michele al Tagliamento (VE), int. telefonica del 15 dicembre 2021.
Carlo Ferruccio Conighi (Fiume 1912 - Roma 1998), La nonna di Fiume, 11 novembre 1932, matita su carta, cm 33 x 41. Collezione Conighi, Udine
BIBLIOGRAFIA ORIENTATA
- Amleto Ballarini (a cura di), Diedero Fiume alla patria
(12/9/1919 Marcia di Ronchi - 27/1/1924 Annessione all'Italia), Società di Studi Fiumani, Roma, 2004.
- Alberto Gasparini, Maura Del Zotto, Antonella Pocecco, Esuli in Italia. Ricordi, valori, futuro per
le generazioni di esuli dell’Istria-Dalmazia-Quarnero, ISIG-Istituto di
Sociologia Internazionale di Gorizia, ANVGD-Associazione Nazionale Venezia
Giulia Dalmazia, Gorizia, 2008.
- Maurice Halbwachs, La
mémoire collective, Parigi, Les Presses Universitaires de France, 1950.
- Scematismo del
Littorale Ungarico, Fiume,
Tipografia Regia Governiale, 1838.
- Elio Varutti, Il problema del confine orientale
nella storia italiana,
[S.l. : s.n.], 1997-98. - 12 p.; ill.; 30 cm., Tesi di perfezionamento presso
l'Università degli Studi di Udine, Corso di perfezionamento per la formazione
degli insegnanti delle scuole secondarie.
- Elio Varutti, Il Campo
Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca
storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo
1945-2007, ANVGD, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
- Elio Varutti, Cara
maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e dell’Istria scolari a
Udine. 1948-1963, «Sot la Nape», Udine, LX, n. 4, otubar-dicembar 2008, pp. 73-86. (Clicca qui per la versione nel web con il titolo medesimo).
- Roberto Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina, Elio
Varutti, Ospiti di gente varia. Cosacchi,
esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960,
Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher”, Udine, 2015. (Si può cliccare qui per la versione nel web con lo stesso titolo).
SITOLOGIA
Specificatamente ho scritto nel mio blog i seguenti articoli
su Fiume e sugli italiani in fuga dalla loro città dal 1943 sino agli anni
cinquanta.
- Fiume, 1945. Compagno Zutti, libera il mio papà.
- Quella vecchia zia di Pola. Un racconto sull’Istria e sull’esodo a Firenze.
- Quella vecchia zia di Pola. Un racconto sull’Istria e sull’esodo a Firenze.
UN PROGETTO
SCOLASTICO
Classe 5^ C turistica Istituto "B. Stringher" Udine, Maieta istriana, installazione con
maglia di cotone (Collezione privata Gradisca d’Isonzo), carta, pietra e
borraccia militare italiana del 1940-’45 (Collezione privata, Udine), dicembre
2011, a cura del professor Elio Varutti.
Maieta istriana, testo
plurilingue
Maglia dell’Istria del 1955 aggiustata dalle zie e dalla
nonna.
Malla de Istria de 1955 se ha ajustado a sus tías y su
abuela (Spagnolo).
Jumper from
Istria dated 1955 repaired by grandmother and aunts (Inglese).
Pull de
l’Istrie de 1955 reparé pour les tantes et le grand-mère (Francese).
Bluse aus
Istrien aus dem Jahr 1955 von den Tanten und von der Grossmutter reparient
(Tedesco).
Triket e Istriës e 1955 ishin të punuara nga Tezet dhe nga
gjyshja (Albanese).
Maiute istriane dal 1955 justade des agnis e de none
(Friulano).
Maieta istriana del 1955 agiustada da le zie e da la nona
(Istriano).
Ala (TN), collegio "Silvio Pellico" per i figli degli esuli, 1965. Immagine dal web
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