sabato 22 dicembre 2018

Sergio Endrigo in jazz, Concerto di Barbara Errico con l’ANVGD di Udine


La straordinaria cantante jazz Barbara Errico ha voluto condividere il suo Omaggio a Sergio Endrigo con gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia e i loro discendenti a Udine. 
Fotografia di Riccardo Bostiancich

Così è salita sul palco per l’ultimo evento dell’anno organizzato dal Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). La Errico ha riproposto i brani del suo CD “Sergio Endrigo in jazz”, uscito nel 2010 e premiato con l’Italian Jazz Award nel 2011.
L’eccezionale ed applaudito concerto si è svolto il 19 dicembre 2018, alle ore 20,30 presso la sala teatrale “Mons. Leandro Comelli”, della parrocchia di San Marco, in Viale Volontari della Libertà 61, nella zona di Chiavris, cui vanno i ringraziamenti dell’ANVGD per l’ospitalità.
Come ha scritto, il 20 dicembre 2018, in Facebook, Riccardo Bostiancich, fotografo di alta qualità con genitori di Fiume, è stata una “bella serata voluta fortissimamente dall’ANVGD con protagonista Barbara Errico, voce meravigliosa e da Renato Strukelj al pianoforte e Franco Feruglio al contrabasso, per ricordare un grande cantautore quale era Sergio Endrigo (...), nato a Pola nel 1933 e morto a Roma nel 2005”.
Fotografia di Bruno Bonetti

Buio in sala
Nel buio della sala entrano sul palco i tre artisti. Ha avuto inizio così la serata culturale e musicale con Barbara Errico, cantante famosa a livello europeo e non solo, la cui voce è un insieme di colori jazz e blues.
Si sono ascoltate le suggestive canzoni come “1947”, “Adesso sì”, “Aria di neve”, “Lontano dagli occhi” e “Perché”, composte dal grande Endrigo, talvolta in collaborazione con Bacalov e Bardotti. Appena eseguito magistralmente il primo pezzo dalla emozionante jazz vocalist, è uscita sul palco Bruna Zuccolin, presidente dell’ANVGD di Udine, con parenti di Pirano. Nel silenzio totale della sala ha letto, in ottimo dialetto, “Gente istriana” di Ester Sardoz Barlessi, nata a Pola nel 1936 e morta nel 2017. Ecco il testo dell’apprezzata poetessa e narratrice istriana.
Mi go i oci velai
e un gropo dentro
ogni volta che penso
a la mia gente
de sempre sparpaiada per el mondo
per un giogo del destin,
la mia gente inocente,
col cuor de fioi, le mani sempre in moto,
che per storie de politica
de amor o de miseria
ga dovudo far fagoto.
Bruna Zuccolin. Fotografia di Riccardo Bostiancich. Taglio redazionale

Mi go un dolor de dentro,
che nol passa,
co se se incontra
cussì, per caso,
in spiagia o visin la Serpentina
e se se domanda in tono disperado
coss’ che xe de la Giovanina,
de Carlo o de Gigi
e po ti senti che la Giovana
riposa in un altro cimitero,
la ga strussià tuta la vita,
e la voleva propio vegnir,
‘desso che la podeva, povera fia,
ma po’ la ga stroncada
una bruta malatia,
e Carlo, in Australia
el xe andà a finir
e Gigi, chissà perché,
no el ga mai volù vegnir.

Dio, che tristessa
in te la contentessa
de quel rivederse solo per le ferie,
e quante storie dolorose drio,
de poveri cristi tormentadi!
Per orgolio, per la lingua o per ideal
chi se ga trovà de qua
e chi de là de la baricada,
ma tuti ga ale spale
una famiglia sbregada.

E che pianti!
La mama voleva andar via
ma voleva restar el marì
de la fia,
un fradel se sentiva talian,
un altro druso
e i se tegniva el muso,
Tizio gaveva l’ amante che partiva,
cussì via anche lui,
perché se no el moriva.
E ‘sti pici grandi drami
ga portà dolor e afani
che ancora se strassina in te i ani
e co se trovemo tuti insieme
se magnemo coi oci,
perché savemo,
che sia noi che semo restai
che quei che ga fato le valise,
se portemo dentro le stesse radise.
Elio Varutti. Fotografia di Riccardo Bostiancich


A quel punto Elio Varutti, vice presidente del sodalizio, con parenti di Pola e di Fiume, ha presentato la serata e gli artisti, ricordando che l’associazionismo giuliano dalmata ha iniziato ad operare a Udine sin dal 1946, per dare aiuto e sostegno ai profughi, sotto la dicitura di Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara.
Poi c’è stata tanta musica, arrangiata in jazz da far restare a bocca aperta alcuni spettatori, soprattutto coloro che poco conoscevano il repertorio di Barbara Errico, che si occupa pure di didattica musicale. La Scuola di Musica di Passons di Pasian di Prato (UD), infatti nel 2018, ha varato, in corrispondenza dell’avvio dei corsi 2018-2019, un’iniziativa innovativa. Proprio la nota cantante jazz Barbara Errico ha aperto un corso dal titolo “Cantare Interpretare Emozionare”, laboratorio vocale imperniato sul metodo “Art Voice & Mental Coaching”.
Barbara Errico in una stupenda fotografia di Riccardo Bostiancich

Si sono ascoltati i brani stupendi come “Chi sei”, “Dimmi la verità” e “Canzone per te”, che rese noto Endrigo al grande pubblico del Festival di San Remo. La Errico ha proseguito con la sua splendida voce nelle interpretazioni di “La rosa Bianca”, con testo anche in lingua spagnola e “Poema degli occhi”, scritta da Vinicio de Moraes ed altri. Gli assoli di pianoforte di Strukelj hanno affascinato il pubblico, come pure quelli pizzicati o con archetto di Franco Feruglio al contrabbasso. La regina della serata tuttavia è stata Barbara Errico, che con le canzoni a “Questo amore per sempre” ha stregato il folto pubblico della sala Comelli, con applausi a scena aperta e varie grida di “Brava!”.
In seguito c’è stata un’altra fine lettrice. Col geniale sottofondo di pianoforte di Renato Strukelj, Daniela Conighi, con avi di Fiume, di Pola e di Veglia, ha interpretato la poesia “L’identità” di Boris Del Mar, nato a Fiume nel 1934 e morto a Vancouver nel 2016. Si propone qui di seguito il testo di Boris Del Mar.
Daniela Conighi. Fotografia di E. Varutti

Ma noi… Che cosa siamo papà?
Non son sicuro… per verità,
credevo di essere Italiano...
invece mi sento più fiumano.

Questa domanda semplice e diretta
merita una risposta chiara, schietta
Vorrei così tanto poterlo dire di cuore
che alla mia patria aspiravo con amore.

Ma non posso dire di essere fiero
quando i miei mi trattan da straniero
Ed infatti non è cosa da ignorare
che siamo in tanti così a pensare.

Noi le nostre terre le teniamo care
L’Istria, Pola, Zara, cinte dal mare
Fiume, Lussino, Cherso, nel Carnaro
Tra i ricordi belli c'è anche quello amaro.

Fuor di noi comunque, non è quasi nessuno
che si ricorda, che con l’Italia eravamo uno
lasciammo patria e terra con dolore
ed oggi nel mondo, ci siamo fatti onore.

Ma quello che ci ferisce vivamente
E che gli italiani di noi non sanno niente
e quando sentono dove siamo nati
automaticamente ci credono croati..
Renato Strukelj. Fotografia di E. Varutti

Un tempo eravamo parte della gloria
ora siam quasi persi nella storia
È la verità che scrivon queste mani..
purtroppo siamo noi gli ultimi mohicani!

È per questo figlio mio che non rispondo
come tè, non capisco veramente questo mondo!
lascia però che ti racconto la storia dei fiumani
Zaratini, istriani, lussignani...
per un tempo eravamo italiani...

Come vedi.. la storia è dura e lunga molto..
e ti rendi conto di quello che ci han tolto
la grande odissea di tutti noi giuliani
cominciò subito! nei campi profughi italiani

E tu figlio mio sei tanto più fortunato
perché non ci sono confusioni dove sei nato,
sei canadese, americano, italiano, australiano...
Ma se ti chiedono... diglielo che tuo papà era fiumano,
Zaratino, istriano, chersino, lussignano...
Barbara Errico jazz vocalist. Fotografia di Bruno Bonetti

Nel finale del riuscitissimo concerto Barbara Errico ha intonato “Io che amo solo te” tra lo stupore del pubblico ed è stato concesso anche un bis con “Perché” eseguita in modo superlativo.
Si ricorda, infine, che Sergio Endrigo non è solo uno dei maggiori cantautori italiani di tutti i tempi, egli è stato anche uno degli esuli istriani che ha abbandonato le sue terre d’origine in seguito alla annessione di Istria, Fiume e Dalmazia alla Jugoslavia di Tito.
La dirigenza dell’ANVGD di Udine intende ringraziare gli artisti Barbara Errico, Renato Strukelj e Franco Feruglio e i loro collaboratori, per la raffinata e indimenticabile esecuzione al concerto Sergio Endrigo in jazz – Omaggio a Sergio Endrigo, del 19 dicembre 2018. Essi hanno saputo trasformare una ovattata serata dicembrina in un’occasione di struggente ricordo e omaggio agli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia.
Fotografia di Giovanni Doronzo

Tra il pubblico si sono notati Adina Ruffini della Società Filologica Friulana, Laura Stringari, operatrice culturale, alcuni aderenti dei Lions Club del Friuli, certi operatori turistici, oltre a vari soci e membri del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine.

Chi è Barbara Errico
Barbara Errico, affermata cantante jazz e insegnante di canto, tra i suoi allievi annovera anche la celebre Elisa. La Errico inizia la sua carriera nel 1988, quando riceve il Premio Friuli ‘88. Lei è una Mental Coach certificata e riconosciuta dall’Associazione Italiana Coach professionisti (AICP); è fisioterapista specializzata nella postura e nella respirazione specifica del cantante. Vanta il Certificate of Figure Proficiency (CFP) “Estill Voicecraft International”, III Livello in Psicofonia ed è Operatore in Biomusica International – Musicoterapia evolutiva.
Nel 1999 fu votata come “Miglior nuovo talento” dalla rivista nazionale “Musica Jazz” e ricevette il Premio speciale “Moret d’Aur Fvg”. Nel 2010 rientrò tra le dieci migliori cantanti Jazz italiane selezionate dalla rivista nazionale “Jazz It” nella rassegna “Jazz It Awards 2010”. Nel 2011 ottenne la Nomination all’“Italian jazz Awards 2011” (Oscar della musica italiana). Nominata nel Premio Tenco 2014, per il CD “Sentimentale dedicato a Lelio Luttazzi”, l’anno successivo ha conquistato il riconoscimento “Segno Donna 2015”. Ha collaborato e collabora con i migliori musicisti jazz a livello nazionale. Ha inciso numerosi CD jazz e partecipato a vari festival e concerti, sia in Italia che in Europa. Ha collaborato, fra gli altri, con il celebre Robert Miles.
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Franco Feruglio. Fotografia di Riccardo Bostiancich
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Rassegna stampa

Si ringraziano le seguenti testate giornalistiche e gli autori degli articoli. 
- Dalla testata settimanale de «Il Friuli» del 14 dicembre 2018.

- Anche sulla testata medesima nel web on-line dal 15 dicembre 2018:  Andrea Ioime, “Omaggio jazz a Sergio Endrigo”. 

- “Sergio Endrigo in Jazz: concerto di Barbara Errico”, on-line dal 17 dicembre 2018 su friulionline.com

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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Fotografie di Riccardo Bostiancich, Giovanni Doronzo, Bruno Bonetti e Elio Varutti, che si ringraziano per la concessione alla diffusione in questo blog. Altre immagini dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
Artisti e dirigenti ANVGD di Udine insieme in osteria nel dopo concerto. Fotografia di Bruno Bonetti

La copertina del CD del 2010

Una immagine dell'esodo istriano

Udine, Villaggio metallico, 1956 - Monsignor Leandro Comelli celebrava messa ai profughi d'Istria, Fiume e Dalmazia


venerdì 21 dicembre 2018

Giuseppe Comand, il testimone delle foibe socio onorario ANVGD


È stata una giornata memorabile ricca di emozioni struggenti. Giuseppe Comand, nato a Latisana il 13 giugno 1920 e noto per essere uno degli ultimi testimoni oculari del recupero delle salme degli italiani infoibati, ha incontrato una delegazione dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) di Udine.
Bruna Zuccolin, presidente ANVGD di Udine, in posa col commendator Giuseppe Comand. Fotografia di Elio Varutti

I suoi racconti hanno impressionato fortemente la dirigenza dell’associazionismo giuliano dalmata che gli ha reso onore. Li riportiamo in queste righe con qualche annotazione aggiuntiva, emersa dalle ricerche sul tema e con la bibliografia.
Guidato da Bruna Zuccolin, presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, il gruppo di esuli e loro discendenti ha consegnato la tessera onoraria dell’associazione al testimone della tragedia nazionale che si adoperò nella esumazione dei resti dalle voragini carsiche dell’Istria. La sua storia è venuta a galla solo da poco tempo. Dopo aver raccontato la sua devastante esperienza a Fausto Biloslavo su «Il Giornale» del 9 febbraio 2017 e a Lucia Bellaspiga su «L’Avvenire» del 6 gennaio 2018, Comand è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica Italiana dal presidente Sergio Mattarella.
Soldato dell’11° Reggimento del Genio di Udine, Comand nel 1941, con altri suoi commilitoni della Compagnia antincendi, era acquartierato a Sussa / Sussak, presso Fiume, allora Italia, oggi Croazia. Dopo l’8 settembre 1943 il suo reggimento riparò a Pola, dove fu disarmato dai tedeschi. “Colpa del generale Roatta che era sparito – si arrabbia Comand – ci siamo trovati in 70 mila militari italiani senza comandi, senza tessere annonarie e senza acqua, così son bastati 300 tedeschi per catturarci tutti quanti e tenerci richiusi in tre caserme, quella di Francesco Giuseppe, quella dei bersaglieri e quella della Marina, poi sono stato aggregato ai pompieri di Pola, come prigioniero senza stellette” (Comand 2018, p. 6).
Certificato di conferimento dell'onorificenza di commendatore a Giuseppe Comand. Fotografia Elio Varutti

Come mai è stato tanto tempo in silenzio e solo da un anno ha parlato delle foibe? “Avevo paura dei comunisti e poi è troppo doloroso per me parlare di queste cose o sentire che c’è chi le nega ancor oggi – risponde Comand – ma mi ha convinto a parlare ai giornalisti la signora Sara Harzarich, nipote del maresciallo dei pompieri di Pola, Arnaldo Harzarich, morto esule a Merano nel 1973, che comandava le operazioni di recupero dei cadaveri nelle foibe istriane, era lui il primo a calarsi nella foiba di Vines, profonda 226 metri, da cui ha recuperato 84 cadaveri e io ero addetto al lavaggio delle tute dei pompieri che avevano un odore insopportabile, l’odore dei morti uccisi nella foiba si sentiva fino a quattro chilometri di distanza”.
A guerra finita il maresciallo Harzarich, nel 1945, avendo recuperato oltre 250 corpi putrefatti, scrisse un resoconto del recupero delle salme dalle foibe, allegando delle fotografie per gli anglo-americani, con i riconoscimenti dei cadaveri effettuati dai parenti e dai compaesani.
È vero che il maresciallo Harzarich, calandosi nella foiba di Villa Surani ha trovato per primo il corpo di Norma Cossetto, di Visinada? “Sì, è così – riferisce Comand – era una ragazza seminuda, con la schiena appoggiata ad uno sperone della cavità, con gli occhi aperti a guardare in su, come in una visione celestiale, così disse Harzarich, quella ragazza era stata sequestrata, interrogata, seviziata e stuprata da un branco di diciassette partigiani, poi la gettarono ancor viva nella foiba”.
Giorgio Gorlato, Giusepe Comand, Bruna Zuccolin e Bruno Bonetti con la bandiera dell’ANVGD a casa di Comand. Fotografia Elio Varutti

È mai ritornato in Istria dopo la guerra? “Nel novembre 1943 sono riuscito a tornare a casa – conclude Comand – passando per San Giorgio di Nogaro, poi mi sono sposato con la morosa Modesta, ho avuto due figli e solo nel 2009 sono ritornato a vedere a Fiume il mio posto di accantonamento militare, ma a rivedere le foibe di Vines o di Pisino, no, quella terribile storia mi fa star male ancora”.
La delegazione dell’ANVGD di Udine che, il 7 dicembre 2018, ha fatto visita al commendator Giuseppe Comand, di 98 anni, era composta, oltre che da Bruna Zuccolin, presidente del sodalizio, dal vice presidente Elio Varutti, dal segretario Bruno Bonetti e da Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria.

Memorie tragiche su Fiume, Sussa e Pisino
Si inizia con un’intervista del 2016. “Mio padre, Arno Dorini lavorava al Macello di Fiume – ha raccontato Chiara Dorini – e nel 1945 quando arrivano i titini in città mio papà e i miei familiari si sono nascosti in una fossa di raccolta dei liquidi di macellazione, così si sono salvati. Mia madre, Silvana Chiesa, si è ricordata per un bel pezzo l’odore nauseabondo del sangue del macello”. Nonostante l’odore ributtante dato dalla macellazione suina, la famiglia Dorini si nasconde e resiste a Fiume fino al marzo del 1946, momento dell’esodo. Come vedremo sul Macello comunale c’è una sconvolgente rivelazione di Giuseppe Comand, riportata qui di seguito.
Il maresciallo dei pompieri di Pola Arnaldo Harzarich, al centro con due suoi pompieri, 1943. Collezione Giuseppe Comand, Latisana

Come già accennato il geniere Giuseppe Comand, nel 1941, viene comandato a Sussa / Sussak, presso Fiume, nel Golfo del Quarnaro. Lì è stato testimone di alcune atrocità perpetrate dai titini, oltre all’uccisione nelle foibe.
“Da Fiume (ora Rijeka), passando il ponte sul fiume Eneo – prosegue Comand nel suo memoriale – girando subito a sinistra, c’era una via lunga, dopo circa duecento metri ci si trovava davanti al cancello di una cartiera e sulla destra, il fabbricato. Su detta via vi era anche un Macello Comunale dove lavoravano una decina circa di macellai, i quali macellavano in buona parte maiali che scaricavano tramite uno scivolo in muratura; venivano poi uccisi con un coltello molto lungo quando erano ancora in piedi liberi ed era una cosa raccapricciante da non vedere, molto impressionante, indimenticabile. Di questi macellai parlerò più avanti, su quanto ebbe a raccontarmi a Pola il carabiniere Venanzio Moscatello”.
Sussa, Fiume, 1943. Fotografia dal Memoriale di Giuseppe Comand, citato in bibliografia, p. 17

Detto carabiniere Moscatello è cugino del pittore impresario Nello Moscatello, sposato a una signora Pitacco di Latisana, conoscenti di famiglia dello stesso Comand. A Pola, alcuni giorni dopo l’armistizio, Comand e il carabiniere Moscatello si ritrovano con molto altri militari in disarmo. “Era molto agitato – riporta Comand – mi venne vicino e mi disse: Ti ricordi che il giorno dopo l’armistizio dell’8 settembre, per due giorni e fino a che non ce ne siamo andati dal posto, si vedeva passare diverse volte al giorno, anzi, per tutto il giorno, il furgone nero della Polizia italiana che era stato requisito o rubato non si sa bene da chi?”. A quel punto Comand risponde annuendo “me lo ricordavo bene, avendo notato che gli venivano aperti i cancelli della cartiera molto velocemente dal portinaio e come, sempre velocemente, il mezzo entrasse nello stabilimento della cartiera che era alla fine della via stessa”.
Sussa, Fiume, 1943. Fotografia del 2009 dal Memoriale di Giuseppe Comand, p. 19. L'autore ha segnato la sede del suo accantonamento militare e la zona della Cartiera della morte, dove i titini eliminavano brutalmente gli italiani

Così il racconto si fa terrificante. “Mi raccontò che di nascosto, entrò nella cartiera ed attento a non farsi notare – scrive Comand in merito alla confessione di Moscatello – una volta dentro, assistette a una cosa impressionante. Devo premettere che nella stessa via che era cieca, in quanto finiva alla cartiera, 200 metri prima c’era il Macello Comunale, come già detto, dove ogni giorno venivano macellati suini a camionate. I macellai, che io vedevo sempre al lavoro, erano circa una decina, vestiti con stivaloni di gomma alti alla coscia ed una falda pure in gomma che li avvolgeva; erano muniti di un lungo coltello appeso alla cintola da una catenella che serviva per ammazzare i maiali. Abituati a questa carneficina, sempre secondo il racconto del carabiniere Moscatello, dal furgone nero, appena entrato in cartiera, facevano scendere le persone che vie erano all’interno e le ammazzavano, facendole a pezzi. Lui presunse che i pezzi poi venissero caricati sul solito carretto dei maiali, per essere trasportati nell’adiacente saponificio, passando per un piccolo ponticello di legno sul fiume Eneo, entrando in territorio italiano. io avevo ben presente il carretto del macello in quanto passava davanti al nostro accantonamento fuori a lato della cartiera: era su due ruote d’auto con due manici, noi tutti sapevano che conteneva gli scarti della lavorazione della macellazione. Moscatello continuò raccontandomi che, inorridito e non potendo fare niente, sempre di nascosto, si ritirò, perché se lo avessero visto di certo avrebbe fatto la stessa fine” (Comand 2018, pp. 7-8).
Tersatto, presso Fiume. Fotografia del 2009 dal Memoriale Comand, p. 20. Si nota lo spazio dell'accantonamento militare del 1943 e la scalinata per Tersatto

Sulla cartiera di Fiume c’è un cenno nel Diario Dalcich, dove si legge: “Fiume, 3 novembre 1944 – Sbucando improvvisamente tra i colli di Santa Caterina e Tersatto, proprio sulla cartiera, alle cinque del pomeriggio quattro – cinque caccia bombardieri americani bombardano il naviglio da guerra tedesco ormeggiato al molo Genova. I cannoni delle navi aprono il fuoco e uno degli aerei si allontana lasciandosi dietro una lunga scia di fumo” (Dalcich 1987, p. 11). Come risulta dal memoriale di Comand, si ha conferma dunque, dalle pagine di Dalcich, che la cartiera si trovava nei pressi di Tersatto. Pure Dalcich come Comand riferiscono di sabotaggi alla ferrovia da parte dei partigiani, di attentati vari, accoltellamenti contro i militari italiani. In particolare Dalcich descrive il clima di crisi alimentare in cui vive la città di Fiume, con la presenza dei bagarini d’oltre ponte a Sussak, attivi nel novembre 1944. Viene descritto bene il borsaro nero Ambrosich, padre di Ive, uno che denuncia ai titini gli italiani da eliminare (Dalcich 1987, p. 12-15).
Comand opera anche a Pisino, dove si trova una foiba gigante. Di recente è stato contattato dal signor Costantino Maracchi, nato a Pisino nel 1945, perché suo padre l’ingegnere Camillo Maracchi, lavorava in Comune e poi coi pompieri. “Sottotenente del Genio, al suo rientro dal fronte – così scrive Comand – e non sapendo nulla del pericolo che lo aspettava a casa, riuscì a salvarsi dalla squadracce comuniste che stavano andando a prenderlo, grazie ad una persona amica che lo avvertì; anch’egli si nascose calandosi nel fognone comunale e risalendo, dopo un breve tragitto, dentro il convento dei Frati”. Costantino Maracchi confermò al Comand che a salvarsi dai titini e dall’eliminazione nella foiba di Pisino, in quel modo rocambolesco fu proprio suo padre, l’ingegnere comunale.
Giuseppe Comand in divisa del Genio, 1941-1943. Dal Memoriale Comand, p. 20

“Mio papà fu poi comandante dei pompieri di Pisino – ha detto il signor Costantino Maracchi intervistato dal sottoscritto – e anche lui operò col maresciallo Harzarich al recupero delle salme di italiani uccisi nelle foibe”. Quando siete venuti via? “Siamo venuti via nel 1947 – ha risposto Maracchi – siamo passati dal Centro smistamento profughi di Udine e poi a Belluno”.
A Pisino Comand scopre che c’era una foiba “molto profonda dove sotto scorreva l’acqua sparendo nelle caverne – aggiunge Comand – il castello faceva da prigione e buona parte delle persone che avevano subito interrogatori sommari, vennero fatte sparire, attraverso un cancello interno, direttamente nella voragine della foiba, inghiottite dalle acque sottostanti” (Comand 2018, p. 11).
Comand ricorda di aver “sentito di altri poveri disgraziati che, dopo esser stati processati dai comunisti slavi, nel castello, vennero legati col filo di ferro vecchio e ruggine, avambraccio con avambraccio l’uno all’altro, stretti fino all’osso con le tenaglie – è la conclusione di Comand – tra le urla tremende questi poveracci (forse con la condanna per essere italiani) durante le notti venivano caricati su una corriera (era famosa e riconoscibile in quanto di colore rosso) e portati nelle località delle foibe, gettati dentro legati a gruppo ancora vivi, perché sembra che sparassero solo al primo per far tirare gli altri dietro. A questo seguiva il buttare dentro nella foiba un cane vivo, ma non so spiegarne il motivo, so solo che lo sentii raccontare dalle persone che ebbe ad incontrare, istriani italiani, ma soprattutto dalle due sorelle che erano incaricate a Pisino, dietro compenso, di farci da mangiare e che mi raccontarono che in famiglia loro avevano avuto purtroppo due fratelli infoibati”.

La gavetta di Giuseppe Comand, spesso vuota perché c'era poco da mangiare, esposta nel suo studio. Fotografia di Elio Varutti

C’è un’opinione contraria rispetto al racconto di Giuseppe Comand riguardo a Pisino. È il parere di Vittorio Pesle; ecco quanto ha sostenuto egli in un’intervista: “è molto difficile che ci siano state delle eliminazioni nella foiba di Pisino – ha precisato Pesle – perché i croati non erano così stupidi da buttare i corpi degli uccisi nella foiba vicino al paese, dato che tale fatto avrebbe provocato la puzza della putrefazione, che si sente a distanza di chilometri”. Vero è che il signor Pesle, esule a Pagnacco (UD), che ha avuto lo zio di 53 anni Francesco Castro, farmacista di Parenzo, ucciso e gettato nella foiba dai titini, riconosce che dal 1943 al 1945 ci fosse una grande confusione in paese, come pure a Trieste, nei quaranta giorni di occupazione titina. Come a dire che poteva succeder di tutto in quei frangenti.
L’uccisione in foiba di Francesco Castro è contenuta nel libro di Flaminio Rocchi ed è avvenuta tra il 20 e il 22 settembre 1943. Gli arrestati dai titini a Parenzo, Villanova e a Torre sono 94. Senza processo, legati col filo di ferro, vengono buttati nelle foibe di Vines, Zupogliano, Cimino e Surani (Rocchi 1990, p. 532)
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Giuseppe Comand muore il 2 gennaio 2020 a Latisana (UD).
Latisana, 7.12.2018 - Bruna Zuccolin, presidente ANVGD di Udine consegna la tessera onoraria dell’Associazione al commendator Giuseppe Comand. Fotografia Elio Varutti

Fonti orali e del web
Si ringraziano sentitamente le seguenti persone, intervistate a Udine, con taccuino, penna e macchina fotografica, a cura di Elio Varutti, se non altrimenti specificato:
- Giuseppe Comand, Latisana (UD) 1920, int. del 7 dicembre 2018 a Latisana (UD) in presenza della figlia Marialuisa Comand. Giuseppe Comand muore il 2 gennaio 2020.
- Marialuisa Comand, Latisana 1952, int. del 7 dicembre 2018 a Latisana.
- Chiara Dorini, Fiume 1945, int. del 18 dicembre 2016.
- Costantino Maracchi, Pisino 1945, int. del 10 febbraio 2016.
- Vittorio Pesle, Pisino 1928, int. del 21 dicembre 2018. Pesle muore il 16 dicembre 2019 a Udine. 

Fonti originali
- Giuseppe Comand, Memorie 11° Reggimento Genio Udine, Trasferimento alla Compagnia Antincendi a Susak, dattiloscritto, 2018, pp. 21, di cui 6 di fotografie e documenti.
- Torquato Dalcich (alias di Aldo Quattrocchi), Un diario (1944-1945), Larghi stralci tratti da…, Firenze, 1987, testo in PDF nel web.
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Latisana, lo studio del commendator Giuseppe Comand. Fotografia di Elio Varutti

Bibliografia
- Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Difesa Adriatica, 1990.

Sitologia
- Una parte del presente articolo, con il titolo seguente, è stata pubblicata nel web dal sito friulionline.com

- Serenella Bettin, Fausto Biloslavo, “Quei rastrellamenti partigiani rimasti nascosti per 75 anni”, «Il Giornale», 10 febbraio 2018.



Latisana, una immagine del commendator Giuseppe Comand, 7 dicembre 2018. Fotografia di Elio Varutti
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Ricerca storica di Elio Varutti. Grazie al sito  web friulionline.com  e poi si ringrazia per la collaborazione alle fotografie l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

lunedì 17 dicembre 2018

Gita a Zagabria per i mercatini di Natale


La capitale croata, che conta 809 mila abitanti, è una città con due anime diverse. C’è la Città Alta, in croato Gornji Grad. 
Zagabria, 8 dicembre 2018, il tram di Babbo Natale. Fotografia di Daniela Conighi

Al suo interno c’è il Captol, forse stazione militare romana e capitolo religioso dal 1093, anno di fondazione della diocesi, con le parti più antiche dell’abitato urbano. Qui si trovano le pittoresche stradine avviluppate attorno alla Cattedrale e al Castello. Poi c’è la Città Bassa (Donji Grad), una zona a pianta ortogonale, più vivace con prestigiosi edifici barocchi e palazzi ottocenteschi.
Nel periodo natalizio a Zagabria si respira un’atmosfera incredibile e festosa, grazie ai meravigliosi addobbi nelle vie del centro storico. È il periodo dell’Avvento. Quest’anno ci ha partecipato anche un gruppo di soci del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). Bruna Zuccolin, presidente dell’ANVGD di Udine e Elio Varutti, vice presidente del sodalizio erano tra di loro.
Zagabria, la Città alta. Fotografia di Elio Varutti

Il 2018 è stato un anno intenso riguardo alle attività turistico istruttive dell’ANVGD di Udine con gite istriane a Antignana per la festa del prosciutto, alla basilica Eufrasiana di Parenzo, a Zagabria (Croazia), a Cilli (Slovenia), a Magdalensberg, vicino a Klagenfurt (Austria) e varie visite di delegazione a Grado (GO) con i dirigenti ANVGD di Gorizia e di Trieste. Poi una delegazione di Udine si è recata a Padova e a Roma per il congresso nazionale. Un’altra delegazione è stata a Laterina per la visita ai resti del locale Campo profughi giuliano dalmati con la delegazione ANVGD aretina, a Montevarchi (AR), Buccari Piccola (vicino a Fiume), Nona e Zara (in Dalmazia) per incontrare la locale Comunità degli italiani.
Per la visita a Zagabria il programma di Julia Viaggi prevedeva i seguenti punti. I gitanti da Udine si sono ritrovati sabato 8 dicembre 2018 alle ore 5 davanti alla Stazione Ferroviaria. Alle ore 05.10 partenza del pullman GT in direzione di Trieste. Fermate a Monfalcone e Palmanova per caricare altri partecipanti. Alle ore 6.15 ritrovo a Trieste, Piazza Oberdan, lato Palazzo della Regione ed arrivo del pullman. Proseguimento quindi  alle ore 6.30 in direzione della Slovenia e della Croazia. Breve sosta in corso di viaggio a Novo Mesto, per far salire un’altra gitante. Ingresso in Croazia e proseguimento per Zagabria. Arrivo a Zagabria alle ore 10.30 circa e incontro con la guida, la signora Maja, per la visita della città.
Zagabria, il Teatro Nazionale. Fotografia di Daniela Conighi

Un po’ di Storia
Nel 1242 il re d’Ungheria e di Croazia Bela IV, sotto la pressione dei mongoli, si rifugia a Zagabria bene accolto. Decide allora di elevarla a città libera. Così rimase, pur tra i continui contrasti tra potere religioso e laico, fino all’incorporazione nell’Impero Austro Ungarico avvenuta nel 1815. C’è da accennare al fatto che le terre venete dell’Istria e della Dalmazia, governate per secoli dalla Repubblica di Venezia, con il Trattato di Campoformio del 1797, vengono cedute da Napoleone all’Austria. Nel 1805, col Trattato di pace di Presburgo, poi detta Bratislava, l’Istria, la Dalmazia e Cattaro sono trasferite dall’Austria al Regno d’Italia, governato dal Vicerè Eugenio di Beauharnais.
L’Austria, nel 1809, attacca in forze il Regno d’Italia filo-napoleonico, lungo il confine dell’Isonzo. Le truppe napoleoniche italo-francesi, riorganizzatesi, sbaragliarono quelle austriache, giungendo alla Pace di Schönbrunn, presso Vienna. Napoleone crea, allora, il nuovo stato delle Provincie Illiriche dell’Impero francese, includendovi l’Istria, la Dalmazia e Ragusa, unendole alla Carinzia (Austria), alla Carniola (Slovenia) e a una parte della Croazia, alla cosiddetta Croazia civile e a quella militare. Le Provincie Illiriche durano dal 1809 al 1814. Viene introdotto il Codice civile napoleonico, l’uguaglianza di tutti i cittadini, la coscrizione militare obbligatoria e la scuola in lingua italiana in Istria e il lingua slovena a Lubiana, capitale delle Provincie Illiriche (Fiorentin 2018).
Col 1815 la Croazia appartiene all’Impero Austro Ungarico fino al suo dissolvimento del 1918 con la Prima guerra mondiale. La scuola in lingua croata, oltre a quella tedesca, è attivata a Zagabria solo dopo i moti del 1848, che infiammano l’Europa. Le truppe croate, agli ordini di ufficiali austriaci, si distinguono in Friuli per la feroce repressione dei moti risorgimentali del 1848, perpetrando saccheggi, stupri e incendi di paesi, come emerge dai racconti di Caterina Percoto.
Zagabria, luminarie per i mercatini di Natale 2018. Fotografia di Elio Varutti

Nel 1918 nasce, ricco di gravi tensioni etniche, il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, chiamato Regno di Jugoslavia nel 1929. Le forze dell’Asse, guidate da Germania e Italia, invadono la Jugoslavia nel 1941 smembrandola. Lubiana è annessa al Regno d’Italia e sorge il Governatorato della Dalmazia italiana, con Zara, Sebenico, Spalato e Cattaro. La Croazia indipendente, con capitale Zagabria, è autoproclamata e condotta, dal 1941 al 1945, dal sanguinario dittatore filo-nazista Ante Pavelić, fondatore delle milizie nazionaliste anti-serbe ustascia. Al termine della Seconda guerra mondiale sorge la Federativa Repubblica Socialista di Jugoslavia, con a capo Tito. Alla sua morte, avvenuta nel 1980, rincomincia la disgregazione dei popoli slavi del sud, con le guerre iugoslave fratricide degli anni 1991-2001.
La Croazia ha aderito alla NATO il 1º aprile 2009 e col 1º luglio 2013 è il ventottesimo Stato membro dell’Unione europea. La moneta in corso è la kuna.
Zagabria, capitale della repubblica croata indipendente dal 1991, si estende nella pianura del fiume Sava ed è oggi il centro politico, economico e culturale del paese. Nelle sue eleganti architetture, nei grandi monumenti e nell’impianto urbanistico si possono intravvedere le vicende storiche della città. Sviluppatasi nel medioevo come importante centro commerciale ed artigianale, una vocazione che ancor oggi si conferma, la città è ricca di numerosi negozi e dalla celebre Fiera internazionale.
Zagabria, panorama con la Cattedrale. Fotografia di Daniela Conighi

Al termine della visita con guida turistica, c’è stato il pranzo con piatti tipici nel ristorante/trattoria Kaptol, vicino al Duomo. Nel pomeriggio c’era il tempo a disposizione dei partecipanti per la visita libera dei mercatini di Natale, con la curiosità del tram di Natale, addobbato per l’occasione.
I mercatini si trovano lungo la via Bogoviceva e in alcuni giardini, con la fontana e l’albero di Natale in Piazza del Bano Jelacic. Alle ore 17.30 c’è stata la partenza da Zagabria per il rientro nelle località di provenienza, con una breve sosta in corso di viaggio. Dopo le fermate a Novo Mesto, Trieste, Monfalcone e Palmanova, si è arrivati a Udine, davanti alla Stazione Ferroviaria alle ore 23 circa, al termine della gita.
Zagabria, visita guidata verso il Duomo. Fotografia di Daniela Conighi

Riferimenti bibliografici
- Flavio Fiorentin, L’eredità del Leone dal Trattato di Campoformio (1797) alla Prima guerra mondiale (1918), Udine, Aviani, 2018.
- Caterina Percoto, Scritti friulani, con uno studio di Bindo Chiurlo, Udine-Tolmezzo, Libreria Aquileia, 1929.
- Caterina Percoto, Novelle, Udine, Biblioteca del Messaggero Veneto, 2003.
- Marco Tamborini, Iugoslavia, Guida d’Europa, Milano, Touring Club Italiano, 2^ ediz., 1982.
 Zagabria, il mercatino di Natale. Fotografia di Daniela Conighi

Zagabria, la zona del Captol. Fotografia di E. Varutti

Zagabria, strada del centro storico. Fotografia di E. Varutti


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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Daniela Conighi e E. Varutti e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.