venerdì 22 dicembre 2023

Sognare l’Australia per i Basso di Fiume esuli a Brescia, poi 3 vanno in Venezuela, 1951

Ecco un’altra storia italiana di esuli di Fiume vogliosi di emigrare in Australia, come quella dei Pillepich e di molti altri fiumani sparsi per il mondo. Perché fuggire da Fiume dopo il 1945? Risposta facile: per evitare i picchiatori titini, oppure gli arresti notturni dell’OZNA, il servizio segreto di Tito e il grande terrore jugoslavo comunista.

Domanda di assistenza IRO per l’emigrazione di Basso Silvio con fototessera assieme a quelle della moglie Maria Superina e del figlio Sergio, 7.1.1950 (Archivio di Arolsen)

Ecco cosa scrisse, il 7 gennaio 1950, il funzionario all’International Refugee Organization (IRO), agenzia delle Nazioni Unite dedita all’emigrazione transoceanica in seguito al colloquio con Silvio Basso, di Fiume. “Subject left country as he disliked that regime there” (Il soggetto ha lasciato il paese perché non gli piaceva quel regime lì).The people are afraid of to express their own opinion, nobody is allowed to critizy the living conditions which have been very bad” (La gente ha paura di esprimere la propria opinione, a nessuno è permesso criticare le condizioni di vita che sono pessime). “Every pass has been controlled by spies” (Ogni passaggio è stato controllato da spie). “The people have been arrested for unknown reasons, and if left free, they have been so frightened, that they did not want to speak” (Le persone sono state arrestate per ragioni sconosciute e, se lasciate libere, erano così spaventate che non volevano parlare). “The impression was that there all is based on the fear” (L’impressione era che tutto si basasse sulla paura). “Therefore subject preferred to leave, as the never knew can happen him tomorrow” (Perciò il soggetto ha preferito andarsene, poiché domani non avrebbe mai saputo che gli sarebbe potuto succedere).

Meglio stare alla larga dai nuovi violenti padroni di Fiume, descritti nei documenti per l’espatrio in modo preciso. La presente ricerca si basa sui rari documenti inediti nell’Archivio di Bad Arolsen (Germania), da poco tempo disponibili nel web.

È una famiglia numerosa quella di Silvio Basso, nato a Fiume il 29 dicembre 1896, che fece domanda di assistenza per emigrare in Australia all’International Refugee Organization (IRO) il 7 gennaio 1950. O, per meglio dire: con lui se la son filata in tanti dal Golfo del Quarnaro. Nella scheda di registrazione a lui intestata c’è la sua famiglia, quella del figlio Sergio e di vari parenti ed affini. Ecco i suoi “begleitpersonen” (accompagnatori) a cominciare dalla moglie: Basso Superina Maria, nata a Fiume il 23 ottobre 1900. Poi c’è il figlio elettricista con la sua sposa: Basso Sergio, nato a Fiume il 19 settembre 1927 e Castelli Basso Elisabetta, nata a Fiume il 6 dicembre 1921. Poi la lista contiene meno dati: “Basso od. Cavo Giulia” (in adozione?), nata a Fiume il 17 novembre 1941; Basso Umberto; Basso nata Satina Antonini; Superina Pietro; Superina nata Segnan Maria; Kovach Giuliana in Gherovo, nata il 15 febbraio 1888 e Castelli Giovanni, nato a Fiume il 6 marzo 1921. È un elenco di 11 nominativi.

Referto del funzionario IRO sulle dichiarazioni di Basso Silvio riguardo alla situazione di Fiume dopo l’occupazione degli jugoslavi. Archivio di Arolsen

Stando ai documenti dell’Archivio di Arolsen Silvio Basso, diplomatosi nella locale scuola secondaria, a conoscenza delle lingue di italiano, croato, tedesco e inglese, nel periodo 1938-1941 visse a Fiume, lavorando come impiegato bancario alla Cassa di Risparmio che, secondo la guida di Massimo Superina, aveva sede a Palazzo Modello, in piazza Principe Umberto (Superina M 2023). Nel 1941 fu richiamato in servizio militare per un breve periodo a Sussak, in territorio occupato dal Regio Esercito, svolgendo le mansioni d’impiegato all’Ufficio emissione passaporti (Archivi di Arolsen). Dal mese di maggio 1941 fu di nuovo impiegato bancario fino al mese di dicembre 1946, quando la banca fu nazionalizzata dal Comitato Popolare. Allora Silvio Basso chiese di andare in un'altra regione italiana, così riparò in aprile del 1947.

Molto probabilmente il trasferimento avvenne con la corriera della CRI, oppure in treno, passando per Trieste e per il Centro smistamento profughi di Udine, perché la sua nuova destinazione fu: “Postbellica Camp at Brescia”. Secondo i dati dell’ANVGD un Centro raccolta profughi di Brescia aveva sede presso la Caserma ‘Boito’ di via Callegari. Bassi restò, da disoccupato, nel Campo profughi fino al mese di ottobre 1948, quando fu assunto al Credito bancario di Brescia, ottenendo il certificato di cittadinanza del Comune di Brescia dal mese di luglio 1948, dopo l’accettazione delle autorità jugoslave ad optare per l’Italia. Il figlio Sergio e la nuora Elisabetta, di nazionalità jugoslava, optarono nel 1948, ottenendo nel mese di settembre dello stesso anno l’assenso dalle autorità jugoslave.

Cartolina di Fiume, Palazzo Modello, viaggiata nel 1920; qui aveva sede la Cassa di Risparmio, dove fu impiegato Silvio Basso. Collez. privata

L’analista dell’Ufficio IRO concesse l’espatrio come precisa il timbro per tale nucleo familiare vista la situazione che è di “care and maintenance legal and political protect” (cura e manutenzione protezione legale e politica). In data 7 gennaio 1950 la famiglia Basso risiedette a Brescia in via Lamarmora 43. Il supervisore dell’Ufficio IRO di Milano, S. J. Todorovic, firmò l’approvazione ad emigrare, ma dai documenti analizzabili negli Archivi di Arolsen, pare di dedurre che solo in tre partirono il 22 gennaio 1951 per il Venezuela: Sergio Basso, sua moglie Elisabetta e la nipote Giulia. Essi prima passarono per l’ultimo Campo profughi a Bagnoli (NA), da dove salpavano le grandi navi transoceaniche.

Lasciò Fiume pure l’alpino Idalco Zamò, classe 1926, dove lavorava sin da giovane. Con la seconda guerra mondiale fu inquadrato nella Brigata “Julia”, Battaglione di Frontiera di stanza a Fiume. Dopo l’8 settembre 1943 i nazisti circondarono la caserma imponendo l’arruolamento nelle truppe nazifasciste. Al suo rifiuto, seguì l’arresto e la deportazione nella Risiera di San Sabba a Trieste. Il suo treno per i campi della morte fu bombardato dagli alleati, perciò restò in Risiera. La notte del 30 aprile fu liberato prima dell’occupazione jugoslava. Con la divisa di alpino, Idalco cercò di ritornare a Fiume, ma fu intercettato dai titini che lo rinchiusero in un loro campo di prigionia da cui, tuttavia, riuscì a scappare. Passato l’Isonzo, raggiunse certi parenti in Friuli, stabilendosi a Manzano (UD), dove morì nel 2023 (Dissegna T 2023 : 32).

Pure Giusto Mihalić (1920-2005), dopo i primi di maggio 1945, tornò ad Occisla di Erpelle-Cosina (ex provincia di Pola, oggi Slovenia), suo paese natale, “ma fu arrestato dai titini che lo incarcerarono per un certo tempo – ha detto Enrichetta Del Bianco, sua nuora – da quella volta non è più ritornato là, il suo esodo verso il Friuli è del 1947, anche suo fratello Rodolfo, detto ‘Ruda’ del 1918, scappò dai comunisti ed emigrò in Australia, morendo a Melbourne nel 2003”.

Sono dunque tanti gli italiani partiti da Fiume, dopo l’occupazione jugoslava del 3 maggio 1945. Sono circa 54 mila i cittadini in fuga, su 60 mila abitanti, stando ai dati ministeriali delle Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica.

Scheda di registrazione di Basso Silvio all’IRO, facciata anteriore.  Archivio di Arolsen

Fonti archivistiche - Arolsen Archives, Archiv zu den Opfern und Überlebenden des Nationalsozialismus, Bad Arolsen, Deutschland, personen Basso Silvio, geburtsdatum 29.12.1896, in Fiume.

Fonte orale – Enrichetta Del Bianco, Udine 1951, int. del 10.2.2006 e del 11.11.2023 a Udine.

Cenni bibliografici

- Timothy Dissegna. “È morto a 97 anni Italco Zamò. Fu prigioniero di nazisti e titini”, «Messaggero Veneto», Cronaca di Cividale, Tarcento, Remanzacco, 13 dicembre 2023, p. 32.

- Marino Micich, “Il lungo esodo dall’Istria, Fiume e Zara (1943–1958)”, in: Giovanni Stelli, Marino Micich, Pier Luigi Guiducci, Emiliano Loria, Foibe, esodo, memoria. Il lungo dramma delle terre giuliane e dalmate, Roma, Aracne, 2023, pp. 67-177.

- Ministero dell’Istruzione e del Merito, Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica: laboratorio di contemporaneità per affrontare le complesse vicende del Confine Orientale, 2022, nel web.

- Massimo Superina, Fiume a lavoro. Industrie, negozi e mestieri tra Ottocento e 1946, Padova, Associazione Fiumani Italiani nel Mondo, 2023.

- E. Varutti, I Pillepich di Fiume, esuli in Friuli e Trentino, col sogno dell’Australia, 1950, on line dal 5 novembre 2023 su varutti.wordpress.com

- E. Varutti, Altri Pillepich via da Fiume: Guerrino, Elvira e Raul a Genova, poi verso l’Australia, 1950, on line dal 29 novembre 2023 su evarutti.wixsite.com

Scheda di emigrazione in Venezuela di Basso Sergio e famiglia sulla “S/s Lugano” del 22 gennaio 1951. “Steamship Lugano” : ovvero piroscafo, battello a vapore o nave. Archivio di Arolsen

Ringraziamenti - Oltre agli operatori e alla direzione degli Archivi di Arolsen (Germania) e dei siti web menzionati, si ringraziano l’architetto Franco Pischiutti (ANVGD di Udine) e Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo) per la collaborazione alla ricerca.

Progetto e attività di ricerca di: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell'ANVGD di Udine. Networking di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Sergio Satti (ANVGD di Udine) e i professori Enrico Modotti, Ezio Cragnolini e Stefano Meroi. Copertina: Domanda di assistenza IRO per l’emigrazione di Basso Silvio con fototessera assieme a quelle della moglie Maria Superina e del figlio Sergio, 7.1.1950 (Archivio di Arolsen).

Ricerche per il blog presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 - primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. - orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/


domenica 12 novembre 2023

Teodorico Goacci, legionario a Fiume e terzino della Olympia calcio, esule a Bologna

Ecco una storia fiumana poco nota del “terzino valanga”. Teodorico Goacci nacque ad Ancona il 21 febbraio 1898 e seguì a Fiume la famiglia, per il lavoro del babbo al silurificio Whitehead. Il padre era Cesare e la madre Rosina Moroni, una parente del compositore Pergolesi. Avevano dieci figli, come ha scritto Giacomo Bollini nel 2019. Abitavano nelle case destinate agli impiegati del silurificio in viale Italia.

Teodorico Goacci, da "La Voce di Fiume", 1977
Nel 1914 con la Prima guerra mondiale la famiglia, come molti altri italiani, venne internata in Bassa Austria, a Sankt Pölten, dove esisteva un grande campo di raccolta per italiani. Al momento dell’internamento Teodorico, affermato calciatore a Fiume, fu notato da Hugo Meisl, una della maggiori personalità del calcio austroungarico, calciatore e poi allenatore, ed ideatore del famoso Wunderteam, la nazionale austriaca delle meraviglie degli anni ‘30. Meisl lo prese sotto la sua ala protettrice e lo fece entrare addirittura nel giro della nazionale austriaca del periodo di guerra, menomata dalle tante assenze per cause belliche. Teodorico addirittura giocò al Prater di Vienna indossando la maglia del Rapid Wien una partita amichevole contro l’MTK di Budapest, vinta 2-0 dai padroni di casa. Il trattamento privilegiato della famiglia era dovuto alla sua bravura calcistica. Di ruolo difensore, fu definito dalla stampa “il terzino valanga” (Pamich C 1977, p. 4). Gli internamenti di triestini, istriani e fiumani non avvennero solo in Slovenia e Austria. È il fiumano Rodolfo Decleva che ha trattato gli internamenti di sudditi italiani del Quarnaro in Ungheria (Decleva R 2017 : 18).

Alla fine della guerra la famiglia Goacci rientrò Fiume. Teodorico, per anni nel Villaggio operario di Sankt Pölten, era stato percorso dal desiderio di arruolarsi nel Regio Esercito italiano e dare il suo contributo alla guerra, decise di partecipare all’impresa di Fiume dannunziana: desiderando con tutto il cuore l’annessione della sua città adottiva all’Italia. Nel 1919 fu tra i primi italiani di Fiume a mettersi al servizio di D’Annunzio ed evidentemente la sua personalità e la sua intraprendenza si fecero subito notare. Divenne una delle quattro guardie del corpo del poeta-vate tanto che, anche in vecchiaia, amava ripetere con quel suo tipico accento: “Chi voleva andar dal comandante doveva passare sul mi corpo!”, come ha aggiunto Giacomo Bollini. Di notte lui e gli altri tre suoi compagni, letteralmente dormivano fuori dalla porta della camera di D’Annunzio, stesi per terra, a turno, pronti ad intervenire in caso di bisogno.

Una ricerca di Bollini fra il materiale del Vittoriale, che conserva gli archivi della Reggenzaitaliana del Carnaro, ha dato risultati sorprendenti che confermano in tutto e per tutto la storia che da anni, in famiglia, si tramanda. Teodorico è legionario fiumano (Elenco Ufficiale dei Legionari, p. 74), ma viene denunciato il 23 gennaio 1920 per non aver risposto alla chiamata alle armi del Regno d’Italia. A marzo risulta già inquadrato fra i volontari fiumani, nella Compagnia Noferi. Nelle carte dell’Associazione Nazionale Combattenti, Ufficio Stralcio Milizie Fiumane, è chiaramente scritto il suo percorso all’interno delle milizie fiumane: dapprima arruolatosi nel “Sursum Corda”, in data 7 giugno 1919, passò poi al battaglione Baccich-Ipparco– Annibale Noferi, Polizia militare e addetto alla persona del comandante Gabriele D’Annunzio. Il suo arruolamento nelle milizie fiumane è datato 12 settembre 1919. Molti dei suoi documenti sono sottoscritti da una firma eccellente del fiumanesimo: Giovanni Host Venturi.

Teodorico Goacci in età matura. Foto dal blog di Giacomo Bollini

Proprio durante il periodo della Reggenza del Carnaro, Teodorico si sposò, giovanissimo. Al suo matrimonio con l’amica di infanzia Margherita Parenzan partecipò anche D’Annunzio che vergò sulla foto ricordo dello sposalizio un suo autografo accompagnato da un “Eia Eia!”. Pochi sanno che a Fiume, durante il periodo dell’impresa dannunziana, si giocò molto a calcio. Il “vate” ne era molto appassionato e Teodorico non poteva che farsi notare anche in questo frangente. Lo stesso D’Annunzio, nell’intervallo dello storico match dell’8 febbraio 1920 fra la rappresentativa cittadina e il Comando militare dei Legionari, lo chiamò a sé, quale capitano della squadra e gli disse apertamente che, per il suo stacco superbo, pareva avesse “la testa di ferro”. Il 17 agosto 1919 fu in campo come capitano contro la Milanese, una delle partite ancora oggi ricordate dagli annali del calcio fiumano, ha precisato Giacomo Bollini.

Alla fine dell’avventura dannunziana, trovò impiego in ferrovia. Continuò, ovviamente, a giocare a calcio con i colori bianconeri dell’Olympia Fiume per diverse stagioni, fino al 1925. Coma ha scritto Rodolfo Deceva, la prima società calcistica sorta a Fiume fu il Club Sportivo “Olympia” che venne costituita nel 1904, alla quale seguirono successivamente il “Gloria” nel 1917, il Club Sportivo “Fiume” nel 1919 e nel 1920 il Club Sportivo “Tarsia” (Decleva R 2020). Il 2 settembre 1926 il Club sportivo “Olympia” si fuse con il concittadino Club “Gloria” nell’Unione Sportiva Fiumana.

La grande passione di Teodorico per lo sport non era ristretta al calcio: eccelleva anche nel canottaggio (con la società Eneo) e nell’atletica leggera dove si specializzò nel salto in lungo e nel triplo. A Fiume nacquero le sue due figlie, Laura (deceduta il 4 novembre 2023 e molto attiva nell’ANVGD di Bologna) e Verbena. Si ricorda che, nel 1943, dopo l’8 settembre, Teodorico aiutò molti soldati italiani sbandati che tentavano di rientrare in Italia, fornendo loro tute da ferrovieri per poter dismettere la divisa grigioverde e passare inosservati ai numerosi controlli. Non aderì al fascismo, continuando la sua vita di tranquillo lavoratore e padre di famiglia. I “fasti animosi” della sua gioventù ormai erano alle spalle. Quando a fine guerra Fiume venne ceduta alla Jugoslavia, non volendo vivere da estraneo in un paese straniero, trasferì tutta la famiglia, che oramai si era allargata, in Italia, raggiungendo prima uno dei fratelli, Omero, a Ferrara, e poi raggiungendo Bologna, dove aveva trovato nuovamente un impiego in ferrovia. La sua famiglia visse per breve tempo nel Villaggio dei Profughi giuliano dalmati, trovando poi presto una sua sistemazione cittadina decorosa. Nonostante i tanti racconti terrificanti fatti sul primo trattamento riservato agli esuli giuliano dalmati a Bologna, nella famiglia Goacci non risulta alcun tipo di maltrattamento ai loro danni da parte dei loro nuovi concittadini bolognesi.

Oramai in pensione, Teodorico a Bologna fece ancora l’allenatore del settore giovanile di alcune squadre, fra cui l’Unione Sportiva Compressori Grazia-Secchiarapita. Un infarto fulminante lo portò via all’affetto dei suoi cari il 28 giugno 1977, all’età di 79 anni.

Ruolino del terzino destro Teodorico Goacci – 7° nella classifica di tutti i tempi delle presenze nell’olympia con 57 partite

Periodo

Squadra

Nazionalità

1917-1919

Libertas St. Pölten

Austria

1919-1921

Olympia Fiume

Reggenza del Carnaro

1921-1925

Olympia Fiume

III e II Divisione, Italia

1925-1927

Dopolavoro Ferroviario

Unione Libera Italiana del Calcio

1927-1929

Fiumana B

Italia

Fonte: Giacomo Bollini, 2019

Una precisazione necessaria - Da un altro contributo scritto non risulta che a Sankt Pölten vi fossero campi di internamento per italiani nella Grande guerra. Come ha precisato Igor Mandich, piuttosto le famiglie delle maestranze del silurificio furono là trasferite in conseguenza del trasloco del silurificio di Fiume, avvenuto nel 1915, per proteggerlo dai bombardamenti italiani, che infatti colpirono dal 1916. È con il massimo rispetto nei confronti dei famigliari che hanno trasmesso il loro ricordo su Teodorico Goacci che si propongono le seguenti precisazioni.

Levassich Emilio a Sankt Pölten nel 1918. Collez. Igor Mandich
“La stessa sorte – ha aggiunto Igor Mandich – capitò al mio bisnonno materno Emilio Levassich, di  famiglia triestina, ma originaria dall’isola di Brazza, che mi accomuna all’amico Bruno Bonetti. Il bisnonno lavorò presso il silurificio a Sankt Pölten nel periodo 1915-1918. Come si vede dalla cartolina allegata, che lui spedì a casa per salutare la famiglia, le condizioni non erano certo quelle di un prigioniero o di un osservato speciale, ma semplicemente quelle di un impiegato in trasferta, trattato anche piuttosto bene direi”.

Retro foto Sankt Pölten, Levassich Emilio 1918. Collez. Igor Mandich

“Sono molto chiare invece le condizioni nei campi di prigionia Austriaci e Ungheresi, attivi durante la prima guerra mondiale – ha concluso Mandich – che non lasciavano certo lo spazio per coltivare il giuoco del calcio: Tápiósülyi (149 morti), Wagna (2.920), Pottendorf (650) e Wurmberg (90). Conosco bene questa parte di storia, in quanto Compassi Guido, nato a Fiume nel 1899 (fratello di mio nonno Compassi Gustavo) fu rinchiuso a 16 anni a Tápiósülyi (Ungheria) e tornò vivo, ma si trascinò tutta la vita con grossi problemi polmonari che lo uccisero a soli 43 anni (anche in questo caso allego cartolina che i suoi genitori, Gustavo Sr. e Margherita, gli indirizzarono presso il campo in cui era confinato). All’inaugurazione del monumento che ricorda i morti italiani, avvenuta nel 1996, era presente mio padre Alfio Mandich, di Fiume”.

Margherita Bursa e Gustavo Compassi. Collez. Igor Mandich
Proprio Alfio Mandich, nato a Fiume il 9 ottobre 1928 e deceduto a Genova l’11 gennaio 2006, è stato un grande calciatore italiano, di ruolo jolly difensivo. Come molti fiumani, dopo l’esodo, fu accolto nel Centro raccolta profughi di Laterina, in provincia di Arezzo.

Margherita Bursa e Gustavo Compassi, retro. Collez. Igor Mandich

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Cenni bibliografici

- Giacomo Bollini, Storie di famiglia: il nonno di mio zio Teodorico Goacci, legionario fiumano, on line dall’8 agosto 2019 su emiliaromagnaalfronte.com

- Rodolfo Decleva, Piccola storia di Fiume 1847 – 1947, ilpigiamadelgatto, II edizione, Sussisa di Sori (GE), 2017.

- Rodolfo Decelva, Calcio fiumano. Il Club sportivo “Tarsia”, post in Facebook del 19 settembre 2020.

- Luca Di Benedetto, El balon fiuman quando su la Tore era l’Aquila, Borgomanero (NO), Litopress, 2004.

- Elenco ufficiale dei legionari fiumani depositato presso la fondazione del Vittoriale degli italiani in data 24/6/1939, PDF.

- Igor Kramarsich, “Olympia. Così il pallone si racconta”, «La Voce del Popolo», 25 novembre 2021.

- Igor Mandich, lettera e-mail all’Autore del 10 novembre 2023.

- Cesare Pamich, “Teodorico Goacci”, «La Voce di Fiume», 3 marzo 1977, p. 4.

Altri riferimenti nel web

- Fernando Pellerano, “Il Villaggio dimenticato con gli eredi degli esuli”, «Corriere della Sera, Corriere di Bologna» 2 giugno 2015, p. 1.

- Elio Varutti, Antologia del calcio a Fiume, 1904-1956, on line dal 5 ottobre 2020 su varutti.wordpress.com

Ringraziamenti – Gran parte dell’articolo presente è liberamente ripresa dalle parole di Giacomo Bollini, discendente del “terzino gladiatore” Teodorico Goacci. Ringraziamo sentitamente, quindi, il blog di Bollini per la pubblicazione in queste pagine. Si ringrazia pure Igor Mandich per le precisazioni qui contenute.

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Progetto e ricerche a cura di Elio Varutti. Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Chiara Sirk (ANVGD Bologna), Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo), Igor Mandich (Genova), Sergio Satti (ANVGD Udine) e i professori Enrico Modotti ed Ezio Cragnolini. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/


venerdì 6 ottobre 2023

Istria 1948, Narciso Chersin issa la bandiera italiana sulla boa tra Brioni e Fasana

In Istria c’erano italiani che non mollavano nel 1948. Il regime titino ormai stava prendendo piede, dopo il trattato di pace del 10 febbraio 1947, che assegnava gran parte dell’Istria alla Jugoslavia. C’erano fotografie di Tito sulle vetrine dei negozi privi di merce e bandiere jugoslave in ogni dove. “Sucedeva che Narciso Chersin sul Canal de Fasana – ha detto Armida Villio – de note meteva la bandiera italiana sulla boa tra Fasana e Brioni, cussì i titini e quei dell’OZNA se inrabiava, anche Narciso Barattin ga messo la bandiera italiana sul campanil de Fasana, perché tanti i pensava che tornava l’Italia”.

Cartolina di Fasana, primi del ‘900. Proprietà: J.M. Marincovich, Fasana

Tutte quelle bandiere italiane issate, con eroismo, in vari posti persino sul campanile e sulle boe del tracciato marittimo erano una vera spina nel fianco per l’OZNA (poi UDBA), il servizio segreto di Tito, che proprio a Fasana aveva una delle sue roccaforti. Dovevano sloggiare dall’Istria quegli italiani che non si piegavano alla dittatura comunista e al tricolore jugoslavo. Così fu fatto. Come mai restare, se molti italiani invece partirono col piroscafo ‘Toscana’?

Noi semo vignudi via coi documenti nel 1947 col ‘Toscana’ per andar al Silos de Trieste [Centro raccolta profughi], ma in pratica semo stadi caciadi via – ha spiegato Armida – invece mia cugina Anna xe restada, perché pensava che no restava Tito, cussì dopo i ghe gà portà via tuta la roba de la botega e anche l’oro de famiglia, la xe finida in preson a Dignan, i ghe portava via col camion la lana, la xe morta a Trieste, forse nel 1950. Mio papà iera Bartolomeo Villio, nato a Fasana nel 1903, el contava che i antenati Villio nel Seicento iera tagliapietre vignudi de Verona, infatti gò parenti a Muggia, Dignan e Rovigno, dove cualchedun fa de cognome Tagliapietra Vilio”.

Armida Villio a Gorizia per un raduno ANVGD. Foto Varutti
Un’altra testimonianza è quella di Marcela Perich, di Umago, esule al Campo profughi di Padriciano (TS), poi emigrata nel 1956 con la famiglia in Argentina. La Perich ha scritto in Facebook il 30 settembre 2023: “Mio marito Gianni Giobbe era piccolino di 7 o 8 anni, lo hanno portato alle ‘Casarmete’ di Gorizia [Campo profughi] con la mamma e tre fratelli. Loro sonno stati 4 o 5 anni di campo in campo. Tratati pegio che le bestie. Li hanno portati per tanti campi di Italia, hanno pasato abastanza male, racontava sempre la mia suocera. Le cose che contava essa ti veniva da piangere e anche tanto. Un caro saluto a tutti li Istriani pure li esuli, come me, con un grande dolore nel mio cuore. Con tutto quello che abbiamo sofferto. Moltissimo”.

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Fonti orali e digitali Si ringrazia, per la collaborazione riservata, la signora Alda Devescovi, nata a Rovigno ed esule a Grado (GO). Le interviste sono state condotte da Elio Varutti con penna, taccuino e macchina fotografica.

- Marcela Perich, Umago (PL) 11.4.1940, esule a Buenos Aires (Argentina) Post in Facebook del 19 ottobre 2022.  

- Armida Villio, Fasana (PL) 1933, esule a Grado (GO), int. a Gorizia del 1° ottobre 2023.

L'istriana Marcela Perich, al centro, con Gianni a sinistra in Argentina
La famiglia Giobbe di Fasana esule a Gorizia e in Argentina - Nell'immagine sottostante c'è il ritratto in esterno a figura intera dell’emigrante istriano Giacinto Giobbe (Fasana 1935) il giorno della sua cresima (il primo seduto a destra) assieme ad un gruppo di parenti, tra i quali si riconosce sua mamma Marcella Coslovich (Umago 1916), seduta al centro ed i fratelli Ferruccio (Fasana 1939) e Giovanni Giobbe (Fasana 1938 - marito di Marcela Perich) seduti accanto alla mamma. La fotografia è scattata a Gorizia, pochi mesi dopo l’esilio della famiglia dalla loro casa natale di Fasana (Istria). Luogo e data dello scatto: Gorizia, 1947. Emigrazione, provenienze dall’attuale Croazia, Istria, Fasana. Emigrazione, destinazioni finali extraeuropee: Argentina, Provincia di Buenos Aires, Partido di La Matanza, San Justo. Fonte: Ente Regionale Patrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia (ERPAC), Scheda F 5748, che si ringrazia per la diffusione nel blog.

Progetto di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori:  Armida Villio, Alda Devescovi (ANVGD di Gorizia), Tulia Hannah Tiervo e Sergio Satti (ANVGD di Udine). Fotografie di Elio Varutti. Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e la delegazione provinciale dell’ANVGD di Arezzo. Ricerche d’archivio all’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

sabato 16 settembre 2023

Memorie del viaggio a Zara nel 2000 con 160 esuli, partiti da Mestre

Siamo lieti di ospitare un articolo di Franca Balliana Serrentino per un resoconto di una visita turistica e di sentimenti a Zara, effettuata nel 2000 da 160 esuli dalmati. La signora Franca è la moglie dell’avvocato Pietro Serrentino (1921-2010), figlio dell’ultimo Prefetto italiano di Zara, fucilato a Sebenico nel 1947 dai titini. Oltre alla visita della città il gruppo si è soffermato per alcuni riti religiosi molto sentiti dagli zaratini. La devozione mariana non si ferma alla Pasqua di Borgo Erizzo, di antica etnia albanese, e i suggestivi rituali con cui veniva festeggiata dalla comunità. È la festa della Nostra Signora (“Gospa naša - Zonja Jon”), dedicata alla Madonna di Loreto, cui è intitolata la chiesa del rione, celebrata ancora oggi con grande afflusso popolare e con la tradizionale processione. È un racconto nostalgico di una gita in tre pullman, partiti da Mestre. Noi lo dedichiamo alla gioventù della parte alta di Borgo Erizzo, allontanatasi per sempre con l’esodo. In parentesi riquadrate vi sono rare spiegazioni del curatore. (a cura di Elio Varutti, per la redazione del blog).

Menego Mazzoni?, Zara, pittura, collezione Silvio Cattalini

Il nostro grand-père Ulisse Donati anche quest’anno si è fatto carico di organizzare il viaggio a Zara; che fatica! [Ulisse Donati era nato il 6 agosto 1913 a Zara e scomparve il 20 marzo 2013 a Venezia, NdR]. In gran numero, lunedì 8 maggio di buon’ora, noi tutti partecipanti siamo pronti ai punti di partenza alla stazione di Mestre-Venezia. Sotto una pioggia torrenziale provvediamo, aiutati dai bravi autisti della Ditta Faresin, a sistemare i nostri bagagli per poi salire sul pullman tutti bagnati dalla testa ai piedi.

Naturalmente le signore a bordo brontolano pensando ai loro capelli bagnati: alla cosiddetta “messa in piega”. Noto invece che io sto pensando ai miei piedi bagnati ed al possibile raffreddore che mi potrebbe colpire, date le molto ore che dovrò passare in pullman. Una volta sistemati ai propri posti incominciano i saluti: “Oh, ciao, ci sei anche tu! E Piero?”. Questa è una domanda che mi verrà rivolta ogni qualvolta che uno zaratino mi saluterà: quindi sempre.

Miriam Paparella, assessore del libero Comune di Zara, provvede a fare l’appello di tutti i passeggeri presenti leggendo i nomi dall’elenco fornitole dal bravo Ulisse, tutto battuto a macchina ed in ordine alfabetico. Sì, sembra che ci siamo proprio tutti! Ed alla fine si può partire anche se la pioggia continua a cadere inesorabile, ma noi sappiamo che niente ci fermerà, arriveremo a Zara all’ora stabilita. L’interno del pullman subito si anima ed incominciano i chiacchierii. Sembra di essere con una scolaresca in vacanza. Chi domanda questo, chi domanda quello. Chi chiede quanti chilometri dista Trieste, chi quanti alla frontiera. Chi vuole essere informato sul tempo che farà a Zara. Chi sul cambio e sul valore delle Kune, chi sul mangiare Bonkulovich. [I dalmati erano, secondo Enzo Betttiza, buongustai o, meglio, «bonculovich» come si diceva in quelle terre].

Dal posto di comando del pullman veniamo informati dal nostro Ulisse, organizzatore-navigatore, che stiamo per arrivare alla frontiera, quindi bisogna preparare i documenti. Subito un grande aprire e chiudere borse e una guardatina alla fotografia del proprio documento: “Eh, gli anni passano!”

Prima sorpresa del viaggio, il nostro bravo assessore Miriam, sempre perfetta, questa volta ha dimenticato i documenti personali. “Oh, non è possibile, guarda bene – dice qualcuno – Zitti, zitti, non fate confusione, lasciate che Miriam guardi bene”. Ogni zaratino in quel momento era disposto a dividere il suo di documento, anche a pagare una gabella, purché servisse a far passare la nostra Miriam. Ma no, niente da fare. L’assessore deve scendere dal pullman e ritornare con i propri documenti – impresa ardua, ma non difficile conoscendo Miriam. Per fortuna con noi è rimasta un’altra autorità di questo Comune: il “Ministro degli Esteri, onorevole Pitamitz”. Il pullman riparte e questa volta l’unico rumore che si sente è quello del motore. Gli zaratini sono tutti in silenzio: cosa assai rara!

I nostri occhi continuano a guardare dai finestrini. Finalmente il cielo è più azzurro, la costa e il mare sono clami. Tutto prosegue come da programma. Sosta a Buccari, panini, caffè e quant’altro: tutto bene. La nostra attenzione è sempre catturata da questo meraviglioso mare e dalla costa dura ed accogliente alo stesso tempo. Notiamo che qualche lavoro di sistemazione della strada percorsa due anni or sono è stato fatto e ci sentiamo più sicuri. Lara è più vicino e i tre pullman corrono uno di seguito all’altro.

Finalmente, verso le ore 18, si leva una voce per avvertirci che siamo in arrivo a Zara. Immediatamente tutti i passeggeri si alzano in piedi e vengono abbagliati da un sole infuocato. Ulisse chiede all’autista di fare un giro della città per farci ammirare il tramonto. Per tanti viaggiatori è un tramonto che non vedono da più di 55 anni. Mi vengono in mente le parole di Piero: “Vedrai Franca, i tramonti di Zara sono più belli di quelli sul Bosforo”. Devo ammetterlo anche questa volta Piero aveva ragione. Il mare, la città, le palme, le barche, il cielo, tutto è un colore arcobaleno: azzurro, rosa, rosso, arancione, il buon Dio non si è risparmiato.

Tutti noi siamo senza parole e all’interno del pullman regna un rispettoso silenzio. Finalmente approdiamo all’Hotel Kolovare, dove ognuno di noi viene adeguatamente sistemato. Ulisse ha scelto bene, come sempre. Ormai è fatta: siamo a Zara, dove ci attendono giorni molto intensi. Tutti hanno molte cose da rivedere, tanti posti da rivisitare e doni da consegnare a parenti ed amici. È un ritornare… con il cuore in gola.

L’indomani mattina, dopo un’abbondante colazione e tanti, tanti saluti – finalmente tutti i 160 zaratini sono insieme e le loro voci si sentono tutte – la nostra prima mattinata è dedicata ai nostri Cari Defunti. Davanti al Cimitero c’è un certo fermento, ad attenderci troviamo il nostro Vanni Rolli con Donna Vittoria [Maria Vittoria Barone, del Madrinato dalmatico] che vorrei ringraziare a nome di tutti per il generoso e nobile impegno, qui lo si vede tutto, che Donna Vittoria ed altri continuano a portare avanti senza mai lamentarsi.

Un caro saluto zaratino.         Franca Balliana Serrentino

Zara viale Ghisi, primi del '900. Collezione provata

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Documento originale - Franca Balliana Serrentino, “III Maggio zaratino (8-14 maggio 2000). Nostra Signora di Borgorizzo”, testo in Word, pp. 3.

Cenni bibliografici del curatore – Enzo Bettiza, Esilio, Milano, Mondadori, 1999.

– Gabriella Vuxani, “Recensione del libro ‘Borgo Erizzo. Scritti dedicati al quartiere albanese della città di Zara”, on line dal 3 maggio 2023 su anankenews.it

Nota di cronaca – Non c’è più Miriam Paparella Bracali, assessore del libero Comune di Zara in esilio. Sua figlia, Donatella Bracali, è presidente del Comitato provinciale di Pescara dell’ANVGD.

Antonio Pitamitz, nato a Zara il 23 agosto 1936, è deceduto nel 2022. A metà del 1983, pubblicò sulle pagine del mensile «Storia Illustrata» la prima inchiesta seria e documentata sulle foibe e sugli eccidi commessi da partigiani italiani e titini sul fronte orientale.

Nel 1982 nacque il Madrinato Dalmatico per la Conservazione del Cimitero degli Italiani di Zara fondato dalle donne dalmate che decisero di occuparsi delle tombe, tra le quali Maria Vittoria Barone Rolli.

Ringraziamenti – La redazione del blog, per il saggio presente, è riconoscente alla signora Franca Balliana Serrentino, che vive a Jesolo (VE), per aver cortesemente concesso, il 15 settembre 2023, la diffusione e pubblicazione dei suoi materiali d’archivio. Si ringrazia per la collaborazione riservata Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi (AR) delegato provinciale dell’ANVGD di Arezzo.

Note generali – Autrice principale: Franca Balliana Serrentino. Ricerca e Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Lettori: Franca Balliana Serrentino, assessore alle Attività promozionali del Libero Comune di Zara in Esilio, Bruno Bonetti, Bruno Stipcevich, Claudio Ausilio e la professoressa Annalisa Vucusa (ANVGD Udine). Aderisce il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e ANVGD di Arezzo. Copertina: Menego Mazzoni?, Zara, pittura, collezione Silvio Cattalini. Altre fotografie da collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/


venerdì 2 giugno 2023

25 aprile 2023: Patrioti o Partigiani. Igino Bertoldi denuncia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera di Igino Bertoldi, nato a Tavagnacco (UD) nel 1926. È stato partigiano, o meglio come scrive lui: patriota. Nomi di battaglia:  Ercole, Bogomiro, o Ragamir. Già Volontario della libertà, verso il 1948 è stato uno dei Volontari Difesa Confini Italiani VIII (VDCI-VIII). Al Bosco Romagno, in Comune di Cividale del Friuli (UD), il 21 giugno 2015, ha ricevuto, assieme ad altri partigiani osovani superstiti, la medaglia appositamente coniata dal Governo a ricordo del settantesimo anniversario della Liberazione. Si ricorda che le Brigate Osoppo-Friuli furono formazioni partigiane autonome fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine, il 24 dicembre 1943, su iniziativa di volontari di ispirazione laica, socialista e cattolica. I partigiani osovani furono spesso contrastati dai partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi. Il culmine delle ostilità fu l’ecidio di Porzûs, del 7 febbraio 1945, quando un centinaio di gappisti comunisti filo-titini fucilò, o uccise barbaramente, diciassette partigiani (tra cui una donna, loro ex prigioniera) delle Brigate Osoppo. La redazione del blog riproduce l’intervento scritto di Igino Bertoldi, senza apportare alcuna modifica. In parentesi riquadrate ci sono delle brevi spiegazioni. L’autore polemizza con certi “professori” che scrivono dei fatti di Porzûs a sfondo ideologico, persino in forma romanzata, senza aver vissuto quei tragici momenti ma, soprattutto, tirando l’acqua al proprio mulino. (a cura di Elio Varutti).
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Igino Bertoldi
Sono andato a sfogliare il vocabolario Zingarelli per verificare l’esatto significato dei due termini. Patriota: chi ama la patria e lo dimostra lottando e sacrificandosi per essa. Partigiano: fautore, seguace o difensore di una parte o di un partito.

Nella grande confusione di stampa e manifestazioni, grandi interventi, grandi discorsi per dimenticare la verità dei fatti che noi combattenti osovani abbiamo dovuto sostenere. Non mi rincresce rivangare la storia che ci ha coinvolti.

Bandiere rosse, berretti con la stella rossa (di Tito), camice rosse… viste a Udine! questa la piazza del 25 aprile! Non si parla di foibe, semmai si negano, non si parla di Porzûs, semmai lo si riduce a uno scontro fra fazioni avversarie!

Ma poi quelli “nati dopo” gli eventi e che la storia l’hanno vista sui giornali o sui libri di parte dicono: “Dobbiamo parlare di più con i giovani e raccontare loro i valori della storia”.

Ma di che storia, questi “nati dopo”, possono parlare ai giovani? Possono parlare per sentito dire o per aver letto notizie di una parte, o di partiti sulla carta stampata. Partigiani, secondo il vocabolario Zingarelli!

Noi, invece, testimoni dei fatti, fortunatamente ancora viventi, patrioti, siamo qui a testimoniare ciò che abbiamo vissuto sulla nostra pelle e ci sentiamo preoccupati del fatto che questi “nati dopo” vogliano raccontare ai giovani una storia che noi abbiamo fatto e che loro, senza alcun merito e soprattutto senza alcuna cognizione di causa vogliono tramandare come verità.

Noi non possiamo dimenticare le grida di dolore degli abitanti di Nimis, Faedis, Attimis e Barcis, paesi bruciati per rappresaglia agli atti di qualcuno che aveva gli obiettivi da raggiungere, incurante delle sofferenze della povera gente!

Non possiamo e non vogliamo dimenticare il terrore di quelle persone che si sono trovare nella lista che i “Compagni” dovevano eliminare perché non la pensavano come loro! Il mio nome e quello di mio padre era su quella lista!

Erano tre le dittature nel conflitto: due vennero sconfitte, la terza risultò vincitrice e, in seguito, si persero i territori della Dalmazia e dell’Istria. i comunisti locali si fecero forti della vittoria. A noi non rimanevano che due scelte: o lasciarsi sottomettere o reagire. Con l’aiuto degli alleati abbiamo reagito non accettando la nuova dittatura, mettendo a repentaglio la nostra vita.

Diversi gruppi minacciavano i nostri territori e noi osovani: i fascisti, i “Diavoli Rossi”, il IX Corpus di Tito e i GAP, la Garibaldi e il Partito Comunista: dico a voi che andate sulle piazze alzando la voce come nuovi profeti depositari della verità, ma la realtà era quella.

Chi furono i veri resistenti? Noi Volontari della Libertà che abbiamo penato fino al ’48 quando con elezioni libere vinse la democrazia. Però restava ancora un problema: non c’era esercito italiano in Friuli e noi ragazzi ci siamo offerti come volontari per la difesa dei confini orientali d’Italia. Il comunismo forte si era già impadronito della Slovenia, Dalmazia, Istria e il Friuli era molto appetibile.

Il sangue dei nostri martiri ci spronò e con grande forza abbiamo resistito. Fermi sulla linea del fuoco. Con noi anche ufficiali e alpini della Divisione Julia. Una verità storica che però i “Compagni” hanno cercato di nascondere con ogni mezzo.

Nel ’54 l’esercito italiano era pronto ad entrare a Trieste e gli alleati ci aiutarono a costituire la “Gladio”, sentinella fra i due blocchi. Vorrei rammentare al professore l’incontro di Campoformido: dopo due ore di lezione, per dimostrare le falsità su Porzûs con pochissime parole del mio intervento è fuggito andando a nascondersi in mezzo ai suoi compagni del pubblico.

Porzûs era un avamposto di confine tenuto da patrioti osovani, comandato da un ex ufficiale degli alpini del Battaglione Tirano, Francesco De Gregori, con lo scopo di impedire a Tito di impadronirsi del nostro Friuli. Ora ho visto di nuovo il professore, non più con filmati ma con libri romanzati e trattati filosofici per coprire la verità: il sangue e il valore dei nostri martiri non si tocca. A proposito della Turchetti [Elda], splendida ragazza uccisa nell’eccidio di Porzûs, a Povoletto l’hai decantata, professore. In realtà fu usata come una doppia esca. La prima: ai gappisti risultava essere una spia tedesca, “ve la portiamo a giudicare”, così salirono e controllarono il posto. Pochi giorni dopo fecero il colpo. La seconda: “siamo saliti a fare giustizia perché avevate una spia tedesca”. Esecuzione a sangue freddo. 120 gappisti contro 20 osovani. Ecco caro professore come si sono svolti i fatti!

Pasolini [Guido], uno dei martiri di Porzûs, al Bosco Romagno: due giorni sotto i cadaveri dei compagni denudati e uccisi a randellate perché non si dovevano riconoscere i corpi, né sentire i colpi delle armi da fuoco nel vicino abitato. Pensavano di averlo colpito a morte, ma rinvenne e fuggì. Venne ritrovato ai Quattroventi [frazione di Corno di Rosazzo, UD]. In questo luogo una signora lo accompagnò, credendo di fare del bene, proprio in mano ai “Compagni” gappisti che lo uccisero con un colpo di piccone, dopo avergli fatto scavare la fossa!

Ecco professore, la storia che lei vuole romanzare è un racconto non di uomini, ma di belve feroci. Ecco perché non possiamo parlare né di perdono, né di riconciliazione. Se lei avesse letto di Tarcisio Petracco, edito da Ribis e anche “Il ribelle” del professor Nilo D’Osualdo edito da Gaspari, forse non sarebbe ricaduto in simili leggerezze. Tarcisio Petracco e Nilo D’Osualdo erano mei compagni d’arme: la nostra divisa era il cappello alpino e il fazzoletto verde, in battaglia non portavamo bandiere rosse o bandiere con la stella rossa, ma portavamo il tricolore italiano: eravamo patrioti osovani!.

Cavaliere Igino Bertoldi. Nome di battaglia “Ercole”

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Progetto e ricerca di Elio Varutti, Docente di “Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata” – Università della Terza Età (UTE), Udine. Networking a cura Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Marco Birin. Copertina: Igino Bertoldi, 2023. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull'esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo.

La foiba di Norma Cossetto 1943, collage su cartone, cm 23 x 31, 2015. Gruppo di studio sull'Ultimo Risorgimento, Gruppo creativo interclasse per l’inclusione dei soggetti diversamente abili e classe 4^ C  Enogastronomia, anno scolastico 2014-2015: allievi Gianfranco D.A. ed altri cinque. Coordinamento a cura dei professori Maria Carraria (Italiano e Storia), Elio Varutti (Diritto e Tecniche Amministrative della Struttura Ricettiva).  Dirigente scolastico:  Anna Maria Zilli. Istituto Statale d'Istruzione Superiore "B. Stringher" Udine.