lunedì 28 dicembre 2015

Harry caro, tua Mira. Esuli da Fiume, 1945-1946. Lettere dell’esodo giuliano dalmata

Nel primo dopo guerra del 1945 l’esodo giuliano dalmata, in alcuni casi, si è svolto dividendo le famiglie. Il capofamiglia si recava in una città del Friuli, o del Veneto, delle Marche o di altri posti d’Italia per trovare casa e lavoro. Poi faceva avvicinare la famiglia, se i titini la lasciavano partire. Il diritto d’opzione per l’Italia può essere esercitato dai profughi d’Istria, di Fiume e della Dalmazia dal 1947, dopo il Trattato di pace.
In una lettera di Miranda Brussich (Pola 11.08.1919 – Ferrara 26.12.2013), scritta a Fiume il giorno 11 giugno 1945 al marito Enrico Conighi, detto “Harry”, si può cogliere il metodo di espulsione degli italiani, mediante il sequestro dei beni da parte dei titini. Il nome completo di Harry Conighi è: Carlo Enrico Edoardo Conighi (Fiume 1914 – Ferrara 1995). La missiva, priva di francobollo, è stata recapitata a mano da un familiare o persona di fiducia che si spostava per lavoro da Fiume a Trieste.

Fiume, 1° giugno 1942, matrimonio di Miranda Brussich e Carlo Enrico Conighi. Dietro allo sposo si vedono la sorella di lui Helga Maria Conighi, poi c'è il nonno ingegnere Carlo Conighi, costruttore a Fiume, dietro a lui il padre, architetto Carlo Leopoldo Conighi, poi Ferruccio Conighi fratello dello sposo, le zie della sposa Clementina Zanetti, detta Tina, e Maria Zanetti

Tale modo di consegna della corrispondenza era utilizzato, oltre che per praticità e per il piccolo risparmio dell’affrancatura, allo scopo di evitare la censura dei miliziani di Tito, oppure quella delle truppe angloamericane, stanziate a Trieste, con conseguente ritardo o sparizione della corrispondenza. Siccome giravano molte spie titine, per motivi di sicurezza, tuttavia, le buste recano solo il nome affettivo familiare del destinatario: Harry. Nei testi manoscritti non si trovano mai nomi e cognomi diretti di persone, ma soprannomi. Si possono rinvenire alcune località, che vengono cancellate, invece, nelle corrispondenze passate sotto la censura del regime di Tito.
Nelle lettera si legge che, alla casa di Fiume, l’addetto «m’ha messo il cartellino del sequestro». Incredibile è apprendere che l’ex falegname di Sussak, sobborgo della città quarnerina, è diventato «il capo della polizia alla questura di Fiume». Nella missiva si aggiunge che: «Il partigiano del sequestro mi disse che gli sarebbe piaciuto andare ad abitare lui in casa nostra, ma non lo fece pensando al mio ritorno e al suo eventuale sfratto».
Fiume, giugno 1932 - Diplomati ragionieri (didascalia originaria). Il quarto a sinistra è Carlo Enrico Conighi, detto Harry in famiglia

Certe volte le lettere a consegna manuale recano sulla busta l’indirizzo di: «don Germano Ruotolo, capodeposito locomotive FF.SS. Trieste». La situazione alimentare era così critica che era difficile procurarsi, pur in forma razionata, persino il grasso, utilizzato per cucinare. Da una lettera di Amalia Rassmann (Trieste, 1887 – Udine 1954) al figlio Harry Conighi, scritta a Fiume il 16 settembre 1945, si legge: «(…) Purtroppo con il mangiare si sta molto male, fino al 16 che siamo oggi non ancora nemmeno un deca [decagrammo] di grasso, non si sa proprio come fare».
Tra gli italiani imperava la paura di non poter lasciare Fiume, che era sotto occupazione jugoslava dal 3 maggio 1945. I permessi dei titini venivano rilasciati col contagocce, per il timore di perdere la preziosa manodopera dei cantieri, gli addetti al commercio e gli occupati nelle industrie, come il silurificio Whitehead. Tale industria fu fusa il 31 luglio 1945 con il silurificio Moto Fides di Livorno, trasferendo la sua attività nella città toscana con la denominazione Whitehead-Motofides, mentre a Fiume l’ex stabilimento Whitehead divenne sede di un’azienda meccanica con la denominazione “Torpedo”.
Lettera e busta indirizzate a Belluno, passate sotto la censura angloamericana il 7 agosto 1946, nel Territorio Libero di Trieste (TLT)

Ecco alcune frasi da un’altra lettera di Miranda Brussich, scritta a Fiume il 6 dicembre 1945 al marito Harry Conighi, riparato “coi Inglesi” a Trieste. «Sono così in ansia, ho tanta paura che per un motivo o un altro non mi sia possibile avere il permesso di venire».
È il 9 dicembre 1945 e Miranda Brussich a Fiume prende di nuovo la matita e scrive ancora al coniuge. Ospitata presso parenti, la signora è molto impegnata col lavoro di sarta, mestiere ben appreso dalle zie e dalla madre, le sarte Zanetti, con atelier a Pola e Fiume: «Ho tanto da fare e non ho la forza di farlo. Se seguissi l’impulso, invece di lavorare andrei a letto».
Altre parole sono dedicate alla paura e al senso di insicurezza, oltre che alla generale stanchezza: «Sono stata tanto in ansia tutti questi giorni ed ho tanto sperato di non aver più questo pensiero. Speriamo vada tutto bene. Quanto soffrirei se fosse altrimenti, anche perché so che per te sarebbe terribile».
Poi ritornano le frasi sull’alimentazione scarsa e scadente: «Oggi avrei dovuto pregarti di comprarmi ½ Kg di grasso e di mandarmelo alla prima occasione».

Fiume, Chiesa dei Cappuccini, 1943. 
Fotografia di Francesco Slocovich

Questo brano è stato scritto il 14 aprile 1946 a Roma. Stralciato da una cartolina postale, scritta da Cesare Conighi, nato a Fiume, ormai profugo a Roma, al nipote Harry Conighi, rifugiato da Fiume a Trieste “presso Perthen”. Cesare Augusto Conighi “Nelli” (Fiume 1895 – Roma 1957), fu volontario italiano nella Grande guerra e legionario fiumano col grado di tenente («Difesa Adriatica», 14-20 dicembre 1957). Nella fuga da Fiume, Cesare Conighi ha depositato la mobilia e certe sue masserizie a Fano, in provincia di Ancona, presso una famiglia di conoscenti.
«Da qui ho notato che le mie lettere vanno molto lentamente e che molte vanno smarrite – scrive Cesare Conighi –. (…) Quanto sono riuscito a salvare a Fano (ben misera cosa) finisce per andare in pezzi in una cantina di quella città».
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Le immagini e i documenti riprodotti in questo articolo sono della Collezione Conighi di Udine, che si ringrazia per la disponibilità e per la concessione alla pubblicazione nel web.
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Fiume, Teatro Giuseppe Verdi, 1943. 
Fotografia di Francesco Slocovich

Ricerca per il Gruppo di studio su “Le donne dell’esodo giuliano dalmata”, classe 5^ D  Dolciaria. Coordinamento a cura dei professori Francesco Di Lorenzo (Italiano e Storia), Elio Varutti  (Diritto e Tecniche Amministrative della Struttura Ricettiva). Dirigente scolastico: Anna Maria Zilli. - Istituto “B.Stringher”, Udine. Progetto “Storie di donne nel ‘900”, sostenuto dalla Fondazione CRUP. Referente del progetto: prof. Giancarlo Martina (Italiano e Storia); anno scolastico 2015-2016.
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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne nel '900”, che  ha ottenuto il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione e della presidenza (ingegnere Silvio Cattalini) del Comitato Provinciale di Udine dell'ANVGD.

giovedì 24 dicembre 2015

Natale dell'esule 2015, a Udine con Cattalini

Anche quest’anno, come vuole la tradizione, si è tenuto il Natale dell’esule. Ad annunciarlo è l’ingegnere Silvio Cattalini, presidente dal 1972 del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). 
La bandiera dell'ANVGD

È stato Mons. Ottavio Belfio ad officiare la Santa Messa per il Natale dell’esule 2015 a Udine. L’evento è stato organizzato dal Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, presieduto dall’ingegnere Silvio Cattalini, nato a Zara. Si ricorda che l’ANVGD di Udine conta 246 soci nel 2015. Erano 280 nel 2005.
 L'intervento di Silvio Cattalini, per ricordare "tutti i caduti e i nostri morti". 

Gradito fuori programma del Vicario Urbano Mons. Luciano Nobile all'attento uditorio di esuli dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, al termine della cerimonia religiosa

Tra gli affreschi dei Tiepolo, nello stupendo Oratorio della Purità, il monsignore Belfio prima del rito religioso ha voluto dedicare la giornata a tre preti dell’esodo giuliano dalmata. Si tratta di tre monsignori, ormai scomparsi che, dopo il 1945, si sono prodigati in Friuli per stare accanto ai profughi italiani fuggiti dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, sotto la pressione iugoslava. Ecco i loro nomi. Mons. Cornelio Stefani, Steffich, nato a Lussingrande nel 1924 e morto il 3 settembre 2015 a Pordenone. Poi c’è Mons. Giovanni Nicolich, parroco di Lavariano, nato a Lussinpiccolo il 31 dicembre 1926 e morto a Udine il 5 febbraio 2011. Infine, Mons. Giulio Vidulich, nato a Lussinpiccolo il 23 ottobre 1927 e morto il 18 ottobre 2003, pievano di Porpetto.
La predica di Mons. Ottavio Belfio, Oratorio della Purità, Udine

La cerimonia religiosa è stata accompagnata dall’Aquileiensis Chorus, diretto dal maestro Ferdinando Dogareschi. Ha fatto seguito una serie di cinque canti natalizi, tra i quali uno istriano e uno in lingua friulana, assai apprezzati dal pubblico. Dopo si è svolto il pranzo sociale all’Astoria Hotel Italia, preceduto dal calice di benvenuto e da alcuni stuzzichini, per oltre 60 partecipanti.


 L'Aquileiensis Chorus, diretto dal maestro Ferdinando Dogareschi


Verso le 15,30 i soci dell’ANVGD di Udine hanno potuto assistere ad un’interessante lettura da leggio a cura di tre attori cantanti del Gruppo Teatrale per il Dialetto istro-veneto, diretto da Gianfranco Saletta. Il pubblico si è molto divertito tra briosi ritornelli di musica popolare ed esilaranti Maldobrie, riprese dal repertorio di Carpinteri e Faraguna. Il testo presentato ha un che di didascalico, dato che gli attori spiegano l’etimologia di alcune parole dialettali ed i legami con altre lingue, come lo sloveno e il friulano. 
Molti sketch sono strettamente in dialetto, questa è la parte più applaudita dal pubblico degli esuli giuliano dalmati e dai loro discendenti. Un pezzo esilarante accenna al matrimonio nell'Isola di Lussino, dove i vecchi dicono "Costi quel che costi, basta no spender". Il brano rappresentato ha per titolo “Amor no xe brodo de fasoi”, nuova produzione del gruppo teatrale triestino, che conclude idealmente la trilogia apertasi con “Prosit in prosa”, del 2004 e “Xe più giorni che luganighe”, del 2006. Gli attori erano Gianfranco Saletta, Mariella Terragni e Giorgio Amodeo, accompagnati al piano elettrico da Stefano Klamert, su musiche di Livio Cecchelin.
 Giorgio Amodeo, Mariella Terragni e Gianfranco Saletta

 Gianfranco Saletta applauditissimo a Udine

 Stefano Klamert

               Giorgio Amodeo, Mariella Terragni e Gianfranco Saletta

Silvio Cattalini è nato il 2 giugno 1927 a Zara, quando apparteneva al Regno d’Italia.  È  figlio di Antonio e di Gisella Vucusa. Conobbe in età giovanile e fu amico di Ottavio Missoni, stilista del “made in Italy”. Cattalini (italianizzato sotto il fascismo, nel 1933, da: Cattalinich) è un cognome che si nota nella storia italiana, come accadde per un famoso successo sportivo, un primato ancor oggi, con la presenza di ben tre fratelli Cattalini (uno dei quali era il padre di Silvio) sull’imbarcazione “otto con” che vinse alle Olimpiadi di Parigi nel 1924 la medaglia di bronzo nel canottaggio. I tre fratelli Cattalinich vincitori erano Simeone, Francesco e Antonio, per la Società Diadora di Zara. Diadora è uno dei nomi di Zara, usato all’epoca dell’Antica Roma.
Silvio Cattalini, nato il 2 giugno 1927 a Zara

Tra le più vistose attività organizzate dall’ANVGD di Udine, guidata da Silvio Cattalini sin dal 1972, ci fu nel 1996 una serie di “crociere della pace”. La prima di tali navigazioni si tenne dal 5 all’8 aprile tra le isole dalmate, Zara, Spalato e Ragusa. L’arrivo della motonave italiana Iris, con 270 partecipanti, tra i quali molti esuli e simpatizzanti, fu accolto da incredibili feste degli autoctoni: autorità pubbliche in prima fila, ragazze in costume tradizionale con mazzi di garofani, musica e canti croati. Ragusa apparve spettrale, pur nella sua grandiosità, per i segni delle granate serbe sui tetti e sulle facciate delle case. La città era presidiata dalle truppe ONU francesi e spagnole, per prevenire bombardamenti delle milizie serbe. L’approdo di quella comitiva di turisti fu interpretato, con larga eco sulla stampa croata locale, come primo segnale di ripresa economica per la storica città marinara. Dal 25 al 28 aprile la crociera fu replicata per altri 250 partecipanti. La terza incredibile crociera in Dalmazia si svolse dal 18 al 22 settembre per oltre 300 partecipanti. Tali esperienze furono riproposte negli anni successivi. Nel 1997 vi furono quattro crociere, con centinaia di partecipanti. In quegli anni si tennero varie conferenze e convegni sull’esodo giuliano dalmata.
Sotto la spinta ideale di Cattalini il 10 febbraio 1990 viene inaugurato il Monumento “Ai Giuliani e Dalmati caduti nel nome dell’Italia”, col sindaco Piergiorgio Bressani. Si trova a sinistra dell’ingresso principale del Cimitero monumentale di Udine, in Viale Firenze. Sotto la scultura dell’artista Nino Gortan, originario di Pinguente d’Istria, durante le ricorrenze degli esuli, viene deposta una corona d’alloro. Su una lapide in pietra di Aurisina, l’altorilievo in bronzo di Gortan rappresenta due uomini agganciati per un braccio che cadono nel vuoto di una foiba.
Dopo l’istituzione del Giorno del Ricordo, nel 2004, l’attività dell’ANVGD di Udine si orientò sulle iniziative culturali e religioso-patriottiche, in ricordo delle vittime nelle foibe. Il 26 giugno 2010 ci fu l’inaugurazione a Udine, col sindaco Furio Honsell, del Parco Vittime delle Foibe, in Via Bertaldia. Molte attività sulla tematica dell’esodo giuliano dalmata sono state intraprese nelle scuole nel periodo 2005-2015, in particolar modo all’Istituto “B. Stringher” di Udine, dove Anna Maria Zilli, dirigente scolastico e gli insegnanti del Laboratorio di storia hanno attivato ricerche su “Insegnare l’esodo giuliano dalmata” e sul tema de “Le donne dell’esodo”. Tali attività didattiche rientrano nel progetto "Storie di donne nel '900", di cui è referente il prof. Giancarlo Martina. Il progetto, sostenuto dalla Fondazione CRUP, è patrocinato da numerosi enti ed istituzioni del territorio, nazionali ed internazionali. 
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Il servizio fotografico è di Elio Varutti, ove non specificato altrimenti.
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 Il pranzo sociale nell'accogliente sala dell'Astoria Hotel Italia.
Il coro natalizio spontaneo delle bambine delle famiglie Fiorentin ha ottenuto ampi successi....
Altre immagini del pranzo di Natale all'Astoria 2015. In alto Giorgio Gorlato, esule da Dignano d'Istria, in piedi, accanto a Silvio Cattalini, da Zara e Armando Delzotto, da Dignano autore di un memoriale sull'esodo istriano nel 2013. Vicino a Delzotto c'è la signora Graziella Brusin Gorlato.
Nella foto sotto: Elio Varutti, Daniela Conighi (con avi di Fiume), Silvio Cattalini e Armando Delzotto. 
Fotografie di Fulvio Pregnolato e di Giorgio Gorlato
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Rassegna stampa:

Il Natale dell'esule all'Oratorio della Purità, pubblicato il il 18 dicembre 2015 su www.friulionline.
Il Natale dell'esule 2015 a Udine, pubblicato nel sito web dell'ANVGD il 18 dicembre 2015.
Domani ritorna il tradizionale Natale dell'esule, pubblicato il 19 dicembre 2015 sul <<Messaggero Veneto>>, di Udine (col refuso tipografico della messa celebrata in "Duomo", anziché all'Oratorio della Purità, come è stato veramente).
 

mercoledì 9 dicembre 2015

Bella, divina la mostra di Palazzo Strozzi a Firenze

Mi riferisco alla rassegna intitolata “Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana”, aperta dal 24 settembre 2015 al 24 gennaio 2016 a Palazzo Strozzi a Firenze. Nei primi giorni di dicembre era già un evento record, con i suoi 75 mila visitatori.
Madonna II
Edvard Munch (Løten 1863-Ekely 1944), 1895-1902, litografia colorata a mano, mm 605 x 445. Collezione privata.
Ars Longa, Vita Brevis/Tor Petter Mygland, Oslo

Vorrei iniziare questa recensione con il frammento n. 1100 di Novalis, che recita: «Il bello è il visibile per eccellenza». Ho visitato la mostra durante il ponte dell’Immacolata, come dice la gente. Ciò ha favorito un maggiore afflusso turistico, come dicono i commercianti. Anche a Palazzo Strozzi c’era il pienone, con la lunga coda per il biglietto d’ingresso, come la si poteva vedere nelle esposizioni degli anni Novanta.
Allora sono proprio belle le opere esibite con un filo conduttore di eccellenza: una bellezza da essere divina! A cominciare dal biglietto d’ingresso, che riproduce la piccola Pietà di Vincent van Gogh, del 1889 circa in possesso ai Musei Vaticani. È la stessa immagine riprodotta nei bozzetti pubblicitari dei giornali stampati. C’è il Cristo con una barba fulva e corta; è una formula iconografica fuori dai canoni estetici tradizionali. La riflessione tra arte e sacralità qui vola per ogni sala espositiva.
Che piacere vedere nugoli di bambini accompagnati da un genitore o da altri! Ognuno con la propria audioguida, essi erano impegnati a cercare il numero sotto l’opera col simbolo di bambino. Poi tutti a bocca aperta ad ascoltare ciò che dice la voce registrata. Certo, alcuni di loro correvano un po’ di qua e un po’ di là, ma educare all’arte è un compito sociale, non solo della collaudata esperienza del team didattico di Palazzo Strozzi.
Pietà
Vincent van Gogh (Groot Zundert 1835-Auvers-sur-Oise 1890), (da Delacroix) 1889 circa, olio su tela, cm 41,5x34. Città del Vaticano, Musei Vaticani, inv. 23698.
Foto © Governatorato dello Stato della Città del Vaticano - Direzione dei Musei

Altri artisti internazionali della mostra sono un giovane Pablo Picasso, col dipinto del Cristo con la testa disumana, oppure un figurativo Max Ernst. La Madonna rappresentata da Edvard Munch (1885-1902) ti lascia senza parole, con la sua espressione di dolore. Le occhiaie affossate, il corpo nudo appena percepito ed altri stilemi classici del grande pittore nordico trasmettono l’ansia, l’insicurezza, quasi la tragedia del vivere quotidiano, ancor di più enfatizzati dai fatti di terrorismo e cronaca nera di questi ultimi mesi del 2015.
Ci sono poi opere di Jean-François Millet, Henri Matisse e due inquietanti volti di Georges Rouault. I prodotti artistici in mostra sono oltre cento. Tra gli artisti italiani si ricordano: Lucio Fontana, Emilio Vedova, Renato Guttuso, Gino Severini, Felice Casorati, Gaetano Previati, Domenico Morelli e Manzù.

Un ultimo frammento di Novalis che desidero menzionare, dopo aver visto la interessante mostra fiorentina, è quello col n. 1111. Esso dice: «La cosa interessante è la materia che si muove intorno alla bellezza. Dove c’è spirito e bellezza il meglio di tutte le nature si accumula in vibrazioni concentriche». Questa rassegna produce vibrazioni positive e fa meditare. Per quanto mi riguarda è stata una soave esperienza-emozione.  

Firenze, il Grande Museo del Duomo, nuova veste

Ah! Come dimenticare la Sala del Paradiso? Era detta così l’area sussistente tra il Battistero e l’antica facciata della Basilica di Santa Maria del Fiore a Firenze. La Sala del Paradiso è stata ricostruita grazie ai disegni esistenti. Sono state collocate le statue marmoree nelle apposite nicchie. È una magnificenza!

La facciata del Duomo di Arnolfo di Cambio è stata ricostruita secondo un modello in resina e polvere di marmo. È bellissima! Quella vera non fu mai terminata e venne distrutta verso il 1578. Quella di oggi è del 1871. Dopo un concorso internazionale, vivaci discussioni e aspri dibattiti, fu costruita una facciata vera e propria, su progetto di Emilio De Fabris; alla sua morte il cantiere fu continuato da Luigi del Moro, fino alla conclusione dei lavori nel 1887.
Tale spazio è raggiungibile poco dopo l’ingresso al museo. L’atrio d’entrata, dove c’è la biglietteria, è stato valorizzato con marmi spettacolari del ‘700. Essi sono oggetto di fotografie dal cellulare di frotte di turisti americani appena giunti al museo. Poi c'è il corridoio coi nomi degli oltre 500 artisti che hanno contribuito alla costruzione della cattedrale e del campanile, di Giotto.

È stato valorizzato pure il sottoportico d’ingresso. «Di qui passarono Michelangelo e Brunelleschi» recita una tabella turistica, oggetto di infuriati selfie da parte dei giovani. Torniamo alla maestosa Sala del Paradiso. È la n. 5. Mi sono piaciuti tanto certi anziani turisti fiorentini stupirsi e restare a bocca aperta. Il loro affascinate accento ti lascia imbambolato. Mi hanno fatto molta tenerezza.
Questa sezione museale è stata da poco inaugurata. Contiene elementi innovativi nel modo di pensare, progettare ed esporre l’oggetto della mostra. È stata congegnata come uno spazio aperto, raggiungibile da più varchi. Si pensi che persino alcune guide turistiche si perdevano e non riuscivano poi a trovare il percorso dell’uscita. Sindrome di Stendhal in ogni dove? Non che sia un labirinto. Le sale sono ben segnate, ma le aree d’accesso plurime la trasformano in un sala tutta particolare.
Ci si perde guardando tante cose belle. Ho visto qualcuno barcollare. Oltre alla facciata ricostruita, ci sono poi le porte del Battistero. La porta più antica è la meridionale, di Andrea da Pontedera, detto Pisano (1330-1336) con le sintetiche venti Storie del Battista e l’allegoria delle otto virtù cardinali e teologali, con aggiunte di altri artisti. La porta settentrionale, a formelle, è di Lorenzo Ghiberti (1403-1424), con aiuti di Donatello, Paolo Uccello ed altri. La porta orientale, a pannelli, definita da Michelangelo “degna del Paradiso” è capolavoro di Lorenzo Ghiberti (1425-1452).
Secondo me, ti abbacina la bellezza estrema di tali capolavori. Poi ci sono tutti i lavori plastici di Arnolfo di Cambio, che trionfa in varie sale espositive. Giri e rigiri per la sala. Molti fanno fotografie con la macchina fotografica, col cellulare, col tablet. Manca solo la Polaroid.
La sala n. 7 è intitolata Frammenti di magnificenza. Qui c’è il florilegio delle decorazioni in marmo con inserti musivi sempre di Arnolfo di Cambio e della sua bottega. È stato lui ad iniziare i lavori della chiesa il giorno 8 settembre 1296. Trovo tali riferimenti su una deliziosa guida storico artistica intitolata Vedere e capire Firenze, scritta da Piero Bargellini, nel 1953, per le edizioni Macrì e Arnaud.
Soffermatevi nella sala de La Pietà Bandini, una scultura marmorea alta 2,26 metri, capolavoro di Michelangelo Buonarroti, databile al 1547-1555 circa. Da ricordare le cantorie di Donatello. È  un’opera scolpita tra il 1433 e il 1438 e posizionata davanti all'altra cantoria di Luca della Robbia. Sono considerate tra i capolavori del primo rinascimento fiorentino.
Nelle sale seguenti è un balletto continuo tra Donatello, Andrea e Luca Della Robbia, oltre alle riproduzioni della Cupola del Brunelleschi. Tutti pezzi da novanta del Rinascimento.
Giungo alla sala n. 22 intitolata Santi e soldati. Mi colpisce la beltà di un frammento di tarsia marmorea del XIV secolo. Non parliamo delle pitture, delle sculture e delle architetture qui esposte. La sala n. 25 è l’ultima. Forse non ho scritto di alcune opere molto importanti, ma mi sto organizzando…

Se non ci siete ancora andati, visitate questo museo, perché vi darà grande soddisfazione. È come un respiro dell’anima.

martedì 8 dicembre 2015

Il drago di Clauiano aiuta i bimbi

Se non fosse tutto vero, sarebbe una fiaba strabiliante. 
C’era una volta un drago. Aveva il corpo come una ghirlanda. Non era cattivo, ma molti lo temevano, guardandolo. Aveva gli occhi di bragia.
Ecco il drago di Clauiano, autore Giulio Menossi 

Era il drago di Clauiano, un meraviglioso paese del Friuli. Non era un drago in carne ed ossa. Era concreto, non era un concetto, un’astrazione, una roba campata in aria. Era stato creato da un artista. Come fa un drago a nascere da un artista? È il drago di Giulio Menossi, il più grande mosaicista del mondo. È un drago fatto di tessere luccicanti di mosaico. Ha pure dei pezzi di materiali comuni. Persino pezzi di Lego, il gioco dei bambini. È come un biscione. Ricorda gli stemmi dei comuni medievali italiani.
Il drago di Menossi è nato nel 2014 a Udine in Via Zorutti. Ha vissuto tra un’esposizione musiva e una rassegna artistica, soprattutto a Clauiano, ma anche in altre parti, come in California, negli USA. L'hanno visto in imagine alla British Association for Modern Mosaic (BAMM), allo Zeugma Mosaic Museum, Gaziantep, Turkey, al Cursos de Mosaico do "Classico ao Contemporaneo" di Porto Alegre, Mosaika Escola de Arete, Brasile e in altri primari luoghi dove si impara l'arte del mosaico alla veneziana, sotto l'egida del maestro Giulio Menossi. È un’opera d’arte di mosaico contemporaneo, il drago, che vale parecchie migliaia di euro.
Nel dicembre 2015 viene messa all’asta. Come si fa a vendere un drago? E, per giunta, con una base d’asta a metà prezzo! Un drago è una cosa seria… Non è mica un paio di scarpe, un sapone o una maionese, che si possono vendere sotto costo.

Barbara Gottardo, Alessia Tortolo, Matteo Pizzuti e Maida Zerman, al microfono, all'apertura della mostra di Clauiano il 5 dicembre 2015 nell'area espositiva “Art Exhibition Gallery”

Il fine della vendita all’asta, tuttavia, è altamente meritorio. Pure l’asta è una cosa seria, come il finale di questo racconto. Si tiene il 20 dicembre 2015 alla “Art Exhibition Gallery” di Clauiano, in comune di Trivignano Udinese, in Via della Filanda 1. Il ricavato della vendita sarà devoluto a favore della Onlus “Il Paese di Lilliput”. Quest’ultima organizzazione non ha scopo di lucro. Svolge la propria benefica attività  a favore dei neonati ricoverati e per quelli già ricoverati nel reparto di Patologia Neonatale dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine. Il Paese di Lilliput si prodiga per sostenere i genitori dei neonati prematuri, nel sovvenzionare corsi formativi per il personale sanitario del reparto, nonché per acquistare macchinari salvavita dei bimbi.
Le opere d’arte all’asta sono state presentate al pubblico il 5 dicembre 2015 e sono visibili anche in Internet, nel sito Web di “Clauiano Mosaics & More”. All’incontro hanno parlato Maida Zerman, presidente di Clauiano Mosaics & More, oltre a Barbara Gottardo, assessore alla Cultura del Comune di Trivignano Udinese. Matteo Pizzuti, altro organizzatore dell’evento, ha ringraziato le numerose imprese del territorio che collaborano attivamente con le mostre di mosaico di Clauiano. È successo così anche al Primo Simposio Internazionale di Mosaico Contemporaneo, svoltosi a giugno 2015, con un’ampia partecipazione di artiste da dieci paesi del mondo. Ha chiuso gli interventi Alessia Tortolo con una limpida nota di critica d’arte.

Il 5 dicembre è stata pure l’occasione per inaugurare la rassegna musiva intitolata “Tesserae” aperta fino al 27 dicembre nello spazio espositivo di Clauiano. Sono tre gli importanti mosaicisti in mostra. Oltre al friulano Giulio Menossi, protagonista indiscusso del mosaico contemporaneo e costruttivista, secondo una certa critica d’arte, ci sono le opere di Dino Maccini, di Piacenza, un colorista impenitente e quelle di Bruno Zenobio, materista del legno e delle paste vitree.
Ultima notizia. Il 27 dicembre 2015 a Clauiano si tiene il finissage della mostra di mosaici. Questo paese, appartenente ai Cento borghi più belli d’Italia, è conosciuto in tutto il mondo per le originali rassegne culturali di mosaico. È un vero fiore all’occhiello per il Friuli, per l’Italia e per l’Europa.
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Il servizio fotografico è di Elio Varutti

 Una delle sale espositive di Clauiano, dicembre 2015

 Un'altra opera del maestro Giulio Menossi. 
Titolo: Il respiro del mare in una notte di luna

 Una interessante opera musiva e a tecnica mista di Bruno Zenobio in mostra a Clauiano 2015

Dino Maccini, Coralli, 120 x 100, 2015

Per un approfondimento vedi qui: il Drago di Menossi, mosaicista

Manuâl di lenghistiche furlane presentât a Udin

Culì o vin un libri fondamentâl e organic pe lenghistiche furlane. Al è une vore impuartant chest volum, ancje se al è dut scrit par talian. Dome lis peraulis di contest a son in marilenghe. Al è un libri che al mostre in maniere sistematiche la forme dal furlan di cumò e dal passât. Al va jù a displeâ ancje lis varietâts dal plurilinguisim de regjon Friûl Vignesie Julie. Culì si fevele il furlan, il talian tant che lenghe dal stât, il venit (inte zone di Pordenon, ma ancje a Udin, Cividât, Tisane e Palme), il todesc (di Timau, Sauris e de Val Cjanâl, cun Malborghet, Tarvis…) e il sloven (a Triest, Gurize e tes valadis da la Tor, dal Nadison, a Resie e in Val Cjanâl, di gnûf a Tarvis, Malborghet…).
Giovanni Frau, Enrico Peterlunger, Sabine Heinemann e Luca Melchior. Fotografia di Elio Varutti

A son presentâts i aspiets di sociolinguisitiche e di politiche lenghistiche. Al ben ben descrit il dirit di fevelâ par furlan. A son disvilupâts i passaçs de normalizazion lenghistiche. Si pues lei ben de grafie dal furlan, dal lessic e sul mût di doprâ la lenghe furlane intai gnûfs imprescj di telecomunicazion e inte scuele.
Cumò o feveli dai autôrs, che a dan ancjemò plui lusôr a dute cheste fadie sientifiche. Chei che a àn curât dut il test a son Sabine Heinemann e Luca Melchior, de Universitâtdi Graz, in Austrie. Jê e insegne Lenghistiche Romance e lui, un fantat des bandis di Cosean, al è un studiôs de istesse Universitât de Stirie.
Tra i altris autôrs dal libri o vin Federico Vicario, Giovanni Frau, Giorgio Cadorini, Davide Turello, Paolo Coluzzi, Laura Vanelli, Carla Marcato, Fabiana Fusco, Franco Finco, Maria Iliescu, Paolo Roseano, William Cisilino e altris.
Il libri al è stât presentât inte Universitât di Udin, in Vie Margreth ai 18 di Novembar dal 2015. Al à cjacarât par prin il professôr Enrico Peterlunger, delegât dal retôr di Udin pe lenghe furlane. Marzio Strassoldo al à puartât il salût de Societât Sientifiche e Tecnologjiche Furlane, nassude tal 2001. Geremia Gomboso, conseîr de Agjenzie Regjonâl pe Lenghe Furlane (Arlef), al à visât i presints des setemanis plenis di culture furlane in chest periodi. Federico Vicario, president de Societât Filologjiche Furlane, al à dit che il libri al è une biele sodisfazion ancje pai corsiscj dal cors pal insegnament dal Furlan de Universitât di 300 oris.
Il compit plui penç al è tocjât a Giovanni Frau, professôr emerit de Universitât dal Friûl fresc di nomine, oltri che filolic di Lenghistiche Reto Romance dal Ateneu di Udin. Lui al à presentât il libri gnûf e i brâfs curadôrs de universitât austriache. E ce lus di presentazion! Di Dante Alighieri, cul so “Ces fastu?” scrit dentri dal so De Vugari Eloquentia, fintremai ai computer, ai telefonuts e ai tablet dal dì di vuê.
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Sabine Heinemann e Luca Melchior (a cura di), Manuale di linguistica friulana, Berlin-Boston, De Gruyter, 2015.
Euro 199,95. US$ 280,00



Anna dei rimedi, romanzo di Marta Mauro

Mario Turello ha presentato il romanzo di Marta Mauro, intitolato “Anna dei rimedi”, per la editrice Forum di Udine, appena stampato. L’interessante evento si è tenuto nella splendida cornice del salone nobile di Palazzo Giacomelli, sede del Museo Etnografico del Friuli, il 19 novembre 2015. In precedenza c’era stata una presentazione pubblica pure a Cercivento, in Carnia, con Luca Boschetti sindaco del Comune e col giornalista Paolo Medeossi ed un accompagnamento musicale.
Roberta Corbellini, Marta Mauro, Mario Turello e i musici al Museo Etnografico del Friuli. 
Foto di Elio Varutti

Il romanzo è nato da una approfondita ricerca in Archivio di Stato, quindi il testo ha molti spunti non solo storici, ma anche di tipo etnografico. La protagonista è una “medisinaria”, cioè una curatrice con le erbe. C’è una parte erudita e raffinata con note scientifiche e un glossario delle parole carniche. Il racconto ha una sua fisionomia narrativa, ma si passa dall’erboristeria, alla tintura vegetale, alla tessitura con una facilità estrema.
Anna è una benandante, ovvero fa parte di quelle persone raccontate da Carlo Ginzburg. È nata con la camicia (ossia col sacco amniotico ancora attaccato), come ogni benandante che si rispetti. Usa i “preenti”, che sono delle particolari facoltà, non degli “streghezzi”.
Ha parlato, in seguito, Roberta Corbellini, già direttrice dell’Archivio di Stato di Udine. “L’autrice ha studiato sui testamenti e sui contratti dotali delle famiglie friulane – ha detto Corbellini – perciò il suo lavoro di fantasia e creatività è fondato sul vero”.

Hanno accompagnato la presentazione critica un gruppo musicale con Emma Montanari, Sonia Zanier ed altri. Il folto pubblico ha risposto con lunghi applausi.

Udine - Il pubblico di Anna dei rimedi

domenica 6 dicembre 2015

Elvira Casarsa da Parenzo, l’esodo del silenzio 1948

C’è una grande pietra istriana a Portogruaro, in provincia di Venezia, per ricordare le Vittime delle Foibe. È un monumento ben tenuto per merito sia del Comune che lo ha installato nel 2005, sia di alcuni discendenti di profughi giuliani e dalmati che lo vanno a decorare e a tenere in ordine. C’è chi porta dei fiori, una corona di rami e foglie e chi si ferma per una prece in ricordo dei caduti. Il monumento si trova nel Parco della Pace, nella Villa Marzotto a Portogruaro.

Tessera del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara di Elvira Casarsa, nata a Parenzo nel 1928 e dal 21 ottobre 1948 residente al Centro Raccolta Profughi di Lucca

Sicuramente, dal 2014, a fare una tappa fissa sono le signore Elvira Casarsa e sua figlia Graziella Dainese, che ha portato alcune piccole pietre dall’Istria per abbellire la parte bassa del cippo.
Nelle mie 212 interviste ai profughi italiani dell’Istria, di Pola, di Fiume, di Zara, della Valle dell’Isonzo e della Dalmazia non mi ero mai imbattuto in una storia come quella che vado a raccontare. Tutto è incentrato sul silenzio riguardo ai fatti dell’esodo, sul non dire ad altri, neanche ai figli. Tale comportamento, dettato dalla vergogna o dalla paura che negli anni 1946-1960 pervadeva il profugo giuliano dalmata, è in questo caso elevato alla ennesima potenza.
Elvira Casarsa, venuta via da Parenzo, davanti al Cippo in ricordo delle Vittime delle Foibe di Portogruaro, nel 2014

Disegno della signora Elvira Casarsa intitolato: Il Cippo di Portogruaro in ricordo dei caduti d'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Qui sotto una foto del Monumento

Il tutto è mescolato in una salsa mitteleuropea, che Claudio_Magris non esiterebbe a definire «un mondo fatto di microcosmi». Mi è venuto in mente Magris, quando ho sentito che la protagonista di questa testimonianza ha per secondo nome “Anita”, che è il nome della vecchia morosa del padre.
Torniamo al silenzio dei profughi. È un silenzio che rende quasi trasparenti le persone protagoniste della vicenda. È come se non esistessero. È come se non fossero mai esistite. Perfino le istituzioni italiane di oggi negano loro la correttezza del luogo di nascita. Le fanno nascere nel 1928 a Parenzo “in Croazia”, quando tale entità statale nemmeno esisteva e Parenzo, nella loro amata terra, era italiana.
Approvazione per l'esportazione, intestata a Luigi Casarsa, di Parenzo, emessa dal Comitato per il commercio estero di Zagabria il 29 novembre 1948

“Mio papà non mi ha mai parlato dell’esodo – ha detto Graziella Dainese, nata a Rovigo nel 1951 ed oggi residente a Portogruaro, in provincia di Venezia – el me diseva de star zita anche se vedeva carabinieri o polizia, lui gaveva sempre paura e dopo la mia maestra alle elementari gà da el tema sulla famiglia e mi gò scrito quel che savevo, alora la maestra gà ciamado i genitori che se gà rabiado con mi”.
I genitori della professoressa Graziella Dainese sono Elvira Casarsa, nata a Parenzo nel 1928, “jera el Regno d’Italia”, oggi in casa di riposo Francescon a Portogruaro e Franco Leo Dainese, nato a San Michele al Tagliamento nel 1924 e morto a Gorizia nel 1987. Era perito agrario e ha lavorato in diversi zuccherifici.
Essi fuggirono da Parenzo “dopo el ribalton, ossia quando che riva i titini e i la fa da paroni”. Elvira e Franco si conoscevano, ma non erano sposati. Franco Dainese nel 1946 si trasferisce da certe zie di Loreo, in provincia di Rovigo, mentre Elvira Casarsa, dopo l’assenso all’opzione per l’Italia da parte delle autorità jugoslave, datato il 3 maggio 1948, parte in piroscafo il successivo 20 ottobre. Ha il “passaporto provvisorio” n. 11.072, del Consolato Generale d’Italia a Zagabria, datato 25 agosto 1948.
Timbri doganali, firme e controfirme "per scampar con 700 chili de mobili e vestiario nei bauli e nei cassoni, no se podeva de più". Documento prestampato in cirillico, datato 21 agosto 1948

Nel giorno in cui sale in piroscafo ha inizio il silenzioso esodo di Elvira Anita Casarsa, partita assieme ai genitori Luigi Casarsa (Parenzo 1893 – Trieste 1963) e Giovanna Zucco (Cividale del Friuli 1899 – Porto Tolle 1956).
La prima tappa è a Cittanova d'Istria, diventata Novigrad in croato, dove ricevono il “visto d’ingresso” il 21 ottobre. Poi sbarcano a Trieste e stanno al Campo Profughi del Silos fino al 27 del mese. Il giorno dopo, in treno, il nucleo familiare arriva al valico di Monfalcone, ovvero al confine tra il Territorio Libero di Trieste (TLT) e l’Italia, per giungere al Centro di Smistamento Profughi (CSP) di Udine, in Via Pradamano, da dove passarono oltre 100 mila individui, ovvero un terzo dell’esodo giuliano dalmata.
La mobilia e le masserizie della famiglia Casarsa si fermano al Magazzino 18 di Trieste, quello che ha dato il titolo al celebre spettacolo di Simone Cristicchi, per intenderci. “I miei nonni Giovanna e Luigi se partidi da Parenzo e i gà portà 700 chili de roba – aggiunge la signora Dainese – no se podeva portar de più nei bauli e nei cassoni e la mia nonna gà lassado la casa a una vicina, una certa Bratulic, piuttosto de altri sconosciuti, dopo coi mobili e il vestiario gà portà via anche una barca, ma a Trieste se stada rubada”.
Ecco l'elenco dei beni con i quali scappare verso l'Italia per Luigi Casarsa, fu Giovanni, di Parenzo. Si va via con la cucina e lo "sparhert", in dialetto triestino e istriano è: Spàrgher (spacher, sparghered, spagher, spraghert, sparcher, sparhert, sparghet ), ovvero la cucina a legna o a carbone. Dal tedesco Sparherd (focolare economico). Al n. 24 della lista c'è una interessante "Gabbia polli con 2 galine". Bisognava mettere in elenco persino le "lettere personali". 

Luciano Guaita, direttore del CSP di Udine, il 29 ottobre 1948 consegna a ogni profugo della famiglia Casarsa un “sussidio straordinario di 500 lire” dalla Direzione Centrale dell’Assistenza Post Bellica, dipendente dal Ministero dell’Interno. Poi li destina al Centro Raccolta Profughi di Lucca, dove stanno per un anno e mezzo. L’amore sgorga nel Campo Profughi toscano: Evira e Franco, che già si conoscevano, si sposano il 12 settembre 1949, nella parrocchia di San Frediano a Lucca.
La professoressa Graziella Dainese mi mostra documenti su documenti, con i quali ha potuto ricostruire pezzo dopo pezzo la storia (mai ascoltata) dell’esodo dei suoi cari.
Dopo le nozze dei genitori, la nuova famiglia si trasferisce dai parenti di lui, a Loreo, vicino, troppo vicino, al Po. La famigliola, il 2 luglio 1951, è rallegrata dalla nascita di una figlia, appunto Graziella Dainese. La devastante alluvione del 14 novembre 1951 li coglie di sorpresa e si porta via tutte le masserizie ed il semplice arredo della famiglia di lei, partite dall’Istria e recuperate dal Magazzino 18, ricevute in regalo dai giovani sposi.
Madre e figlia alluvionate vengono accolte, dal 17 novembre 1951 al 28 febbraio 1952, come fu per altri 32 bimbi del Polesine allagato presso l’Istituto per l’Infanzia “Santa Maria della Pietà di Venezia”, come risulta dal registro “Legittimi dagli anni 1945-1986” dello stesso ente.
A questo punto le tappe e gli spostamenti dell’esodo si moltiplicano a dismisura. Nel 1953 c’è il Centro Raccolta Profughi di Vicenza. Nel 1955-1956 la famiglia è a Porto Tolle e ad Adria, dove si becca la seconda alluvione: quella del Canal Bianco, derivazione dell’Adige. Nel 1957 vanno a Catanzaro, poi a Bologna, per il lavoro del babbo. Altre tappe, nel 1958 e nei decenni successivi, sono, tra le altre, Cervignano del Friuli, San Donà di Piave e Portogruaro.
Questa è un'attestazione d'inventario timbrata e controfirmata dal Comitato Popolare di Parenzo il 15 novembre 1948 per Luigi Casarsa. Tuttavia, ci pare, che il documento sia un po' tarocco, dato che la firma del segretario e quella del presidente sono uguali, oltre che dello stesso delizioso inchiostro verdulino. Con tanta gente che fuggiva le firme sui documenti erano messe un po' qui e un po' là.

Si può comprendere la diffidenza dei profughi Dainese nei confronti della “matrigna” Italia, anche dal documento seguente, datato 18 dicembre 1973. È la prefettura di Udine a scrivere a Elvira Casarsa, che si trova a Cervignano del Friuli, per comunicarle l’avvenuta “trascrizione del decreto jugoslavo del 7 luglio 1948 di accoglimento dell’opzione per la cittadinanza italiana”. Certo, la burocrazia qualche volta ha i tempi lunghi, ma 25 anni per comunicare che “sei cittadino italiano, essendo nato a Parenzo nel 1928”, paiono un po’ tanti! Ancora qualche anno e nel 1980 muore Tito, poi cade il Muro di Berlino (1989), comincia a svanire la Jugoslavia (1991).
Sempre nello spirito del romanziere Claudio Magris, si potrebbe ironizzare sul fatto che la missiva sia stata spedita come “raccomandata”. Se invece avesse avuto l’affrancatura normale, in quale secolo ci chiediamo le italiche Poste l’avrebbero recapitata?
Documento del 1973; 25 anni dopo l'esodo da Parenzo per Elvira Casarsa arriva la notizia dalla Prefettura di Udine sull'accoglimento dell'opzione italiana, per lei che è nata a Parenzo nel 1928, quando era sotto il Regno d'Italia. Come meravigliarsi se gli esuli dicono che l'Italia sia stata un po' "matrigna" nei loro riguardi?

Dopo tutte queste peregrinazioni, lutti e tante umiliazioni, negli anni 1982-1983 Elvira Casarsa, in casa di riposo, viene apostrofata con l’epiteto di “sporca slava” da qualcuno che evidentemente ce l’aveva su coi profughi istriani.
Come è successo per molti altri esuli, Elvira e sua figlia alzano la testa dopo l’approvazione della legge 92/2004 sull’istituzione del Giorno del Ricordo, al fine di mantenere e perpetuare la memoria della tragedia delle vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre dei 350 mila italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia nel secondo dopoguerra. Secondo le stime di certi storici, come Raul Pupo, dell’Università di Trieste, la cifra degli esuli potrebbe abbassarsi ai 250 mila individui.
Le ultime sfide affrontate dalla professoressa Dainese riguardano la dignità e la storia di sua madre Elvira Casarsa, da Parenzo. Nel 2013 esse effettuano un viaggio proprio a Parenzo con un pulmino speciale per condurre i disabili, dato che la madre è costretta su di una sedia a rotelle. La Signora Elvira rivede la sua terra rossa d’Istria e si commuove. Conosce e saluta caramente gli attuali abitanti della sua vecchia casa, in Via Pietro Kandler numero 11, vicino alla settecentesca chiesa della Madonna degli Angeli. Rivede la stupenda ed unica nel suo genere Basilica Eufrasiana, inserita tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO dal 1997.
Graziella Dainese e sua madre Elvira Casarsa a Parenzo nel 2013

Nel Giorno del Ricordo 2014 le due donne vengono invitate all’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “Gino Luzzato” di Portogruaro per parlare alla scolaresca dell’esodo da Parenzo. Di questo fatto riporta la notizia Vito Digiorgio sul portale Internet www. portogruaro.net  il 28 agosto 2014 con l'articolo intitolato Un pezzo della mia terra, ma anche altri giornalisti si interessano del caso.
Nel 2015 Marco Corazza, col titolo Portogruaro, se n'era andata nel 1948 da Parenzo, ora il tribunale la documenta, sulle pagine locali de «Il Gazzettino»  di Venezia, del 22 settembre, riporta la notizia della battaglia legale intrapresa dalla professoressa Dainese, quando ha dovuto chiedere di fare da amministratrice di sostegno della sua mamma. “Voglio tutelare la località di nascita di mia madre, che ha studiato – ha detto – è stata radiotelegrafista a Trieste, nella sua vita amava la pittura, leggere libri, scrivere poesie e non si può avere poco rispetto della persona solo per il sistema informatico del tribunale”.
Nella documentazione rilasciata dal Tribunale di Pordenone, infatti, risulta che Elvira Casarsa è nata a Parenzo “in Croazia”. Allora la professoressa Dainese ha intrapreso l’ennesima sfida, “perché – sostiene – la legge 54/1989 prevede per i cittadini nati sotto la sovranità italiana, l’obbligo di scrivere nei documenti i luoghi di nascita nella lingua italiana, senza alcun riferimento allo stato cui attualmente appartiene la località”. È scorretto, quindi, segnare che Elvira sia nata “in Croazia” nel 1928 a Parenzo.


Giorno del Ricordo del 2014 per Elvira Casarsa e la scolaresca dell'Istituto Statale d'Istruzione Superiore "Gino Luzzato" di Portogruaro, provincia di Venezia

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I documenti menzionati fanno parte della Collezione Elvira Anita Casarsa, nata a Parenzo; residente a Portogruaro, provincia di Venezia. Intervista effettuata a Portogruaro il 28 novembre 2015 alla signora Graziella Dainese (Rovigo 1951) da Elio Varutti, che ha curato anche il servizio fotografico dell'articolo.

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Ricerca per il Gruppo di studio su “Le donne dell’esodo giuliano dalmata”, classe 5^ D  Dolciaria. Coordinamento a cura dei professori Francesco Di Lorenzo (Italiano e Storia), Elio Varutti  (Diritto e Tecniche Amministrative della Struttura Ricettiva). Dirigente scolastico: Anna Maria Zilli. Istituto “B.Stringher”, Udine. Progetto “Storie di donne nel ‘900”, sostenuto dalla Fondazione CRUP. Referente del progetto: prof. Giancarlo Martina (Italiano e Storia); anno scolastico 2015-2016.

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Una parte di questo articolo è stata pubblicata su  infofvg.it  il giorno 1° dicembre 2015 col titolo seguente: Il silenzioso esodo di Elvira Casarsa, da Parenzo 1948

Il certificato di battesimo di Elvira Casarsa, datato 1971

Riconoscimento della qualifica di "profugo" per Luigi Casarsa, rilasciato dalla Prefettura di Lucca il 24 settembre 1949. Il documento è emesso nel 1958

Parte posteriore del "Passaporto provvisorio" dei componenti della famiglia Casarsa di Parenzo, profughi istriani che passano per Cittanova (timbro di Novigrad, in alto a destra) per il Campo del Silos di Trieste (timbro tondo in basso) e per il Centro di Smistamento Profughi di Udine (timbro in alto a sinistra) 

Passaporto provvisorio di Giovanna Zucco in Casarsa, la nonna della signora Graziella Dainese

Alluvione del novembre 1951 nel Polesine a Loreo, provincia di Rovigo. Elvira Casarsa e Graziella Dainese (madre e figlia) alluvionate vengono accolte, dal 17 novembre 1951 al 28 febbraio 1952, come fu per altri 32 bimbi del Polesine allagato presso l’Istituto per l’Infanzia “Santa Maria della Pietà di Venezia”, come risulta dal registro “Legittimi dagli anni 1945-1986” dell'ente

 Franco Leo Dainese quando è esule a Loreo, provincia di Rovigo dal 1946, presso alcune sue zie

Ecco una video intervista di Elio Varutti a Graziella Dainese sul tema dell'esodo istriano, clicca:  QUI
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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che  ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD.