giovedì 29 novembre 2018

Storia del cementificio Gilardi & Bettiza di Spalato raccontata a Trieste e a Udine


È stato artefice di due intense giornate culturali, in Friuli Venezia Giulia, Stefano Gilardi, di Firenze. Per l’organizzazione del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) il giovane ricercatore ha tenuto due conferenze molto partecipate a Trieste e a Udine. Ogni evento aveva per titolo: "Storia della prima fabbrica dalmata di cemento Portland Gilardi & Bettiza - Spalato".
Trieste, 23 novembre 2018 – Conferenza di Stefano Gilardi, al centro, sul cementificio di Spalato, assieme a Bruno Bonetti e Bruna Zuccolin. Fotografia di Barbara Rossi

L’incontro nella città portuale si è svolto presso il Circolo della Stampa il 23 novembre 2018, alle ore 17,30 in Corso Italia 14. L’evento, patrocinato dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ha visto la collaborazione con l’ANVGD di Udine, che l’ha creato, del Circolo della Stampa di Trieste, dell’Associazione Giuliani nel Mondo e dell’ANVGD di Trieste.
Hanno aperto i lavori del convegno Bruna Zuccolin, presidente dell’ANVGD di Udine e Pierluigi Sabatti, presidente del Circolo della Stampa di Trieste. Ha partecipato all’incontro il direttore dell’Associazione Giuliani nel Mondo, Fabio Ziberna. Erano presenti in rappresentanza del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine Bruna Travaglia, esule da Albona, Eda Flego, esule da Pinguente e la sebenzana Barbara Rossi.
Come mai un incontro di tale tipo? “A un anno dalla morte di Enzo Bettiza – ha detto Bruna Zuccolin – proponiamo la conferenza di Stefano Gilardi, ultimo discendente della famiglia spalatina che possedeva in società con la famiglia Bettiza il cementificio Gilardi & Bettiza di Spalato, la più importante industria della Dalmazia, da cui sono uscite belle ceramiche, medaglioni, balaustre, statue leonine, colonne, fumaioli e cementi dei più importanti palazzi della Dalmazia”.
Trieste, Circolo della Stampa 23 novembre 2018, Pierluigi Sabatti, Bruno Bonetti, Stefano Gilardi e Bruna Zuccolin, presidente ANVGD di Udine. Fotografia di Barbara Rossi

La conferenza quindi verteva sulla vicenda umana ed economica delle due prestigiose famiglie e del cementificio con tutte le sue implicazioni sociali e politiche, da cui è emersa la complessa storia della Dalmazia e della locale comunità italiana. I fratelli Giovanni Antonio e Protasio Gilardi, provenienti da Mergozzo, della odierna provincia del Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte, nel 1810, quando il loro paese era nel Regno d’Italia istituito da Napoleone Bonaparte, forse per commercio si trasferiscono in Dalmazia, che apparteneva alle Provincie Illiriche sempre nel domino napoleonico. Negli anni seguenti, sotto l’Austria, i Gilardi si affermano come commercianti tra Zara e Spalato.
La famiglia Bettiza è invece autoctona della Dalmazia sin dal Settecento. In un atto di nascita del 1854 è citato un “Giovanni Giacomo figlio di Caterina Voltolini e di Marino Ossibov Smacchia, detto Bettiza” (Gilardi 2018, p. 39). Poi il cognome si assesta su Bettiza.
A cura di Bruno Bonetti, segretario dell’ANVGD di Udine, è stato fatto un cenno anche alle famiglie Bonetti di Zara e di Spalato del Novecento, la cui presenza in Dalmazia risale a molti secoli prima.
L’indagine di Stefano Gilardi, dipendente statale, ha teso a spiegare il retroterra culturale di Esilio, il romanzo capolavoro di Enzo Bettiza, che tratta dei reciproci rapporti fra le varie etnie in Dalmazia, ma è pienamente godibile anche nelle parti più strettamente biografiche. Alle oltre 40 persone presenti a Trieste egli ha presentato la sua ricerca con suggestive immagini proiettate tramite Power Point. 
Trieste, brindisi al termine della conferenza di Stefano Gilardi sul cementificio di Spalato. Proprietà della fotografia: Bruno Bonetti

Tra le figure notevoli presenti all’incontro triestino si sono notate Michela Bettiza, figlia di Enzo Bettiza, poi c’erano Antonella, Laura e Marina Tommaseo, della famiglia del celebre Niccolò Tommaseo. Erano presenti, inoltre, Andina Luxardo Motka, Emilia Gilardi, Domenico Tecilažić e Bianca Maria Gilardi Moretto Wiel, da Treviso.
Stefano Gilardi con le sue parole e le sue affascinanti immagini, frutto di anni di ricerche, ha fatto rivivere quella Spalato popolata dal patriziato mercantile e dai funzionari asburgici. Era un mondo che da molto, moltissimo tempo non esiste più; così come la fabbrica di cemento oramai non esiste più, ma di cui restano, vivissime, le tracce. Al suo posto nell’era di Tito è stato eretto uno sgraziato grattacielo cubico per un hotel; era il 1963.
La conferenza ha preso le mosse dall’Ottocento, dalla fondazione della Gilardi & Bettiza, la più antica e la più importante di tutte le fabbriche dalmate. In realtà, come ha spiegato Stefano Gilardi un piccolo stabilimento di fornace per cemento sorge nel 1865 ad opera di imprenditori prussiani che, nel 1870, vendono ai Gilardi e Bettiza l’attività.
Cartolina pubblicitaria del 1909 ca. Proprietà dell’immagine famiglia Gilardi – Fortunato Giardina

Poi si è venuti a conoscenza dei sempre più grandi e frequenti ampliamenti e rimodernamenti a cavallo dell’Ottocento e Novecento, per terminare con la vendita alla famiglia croata Ferić, negli anni Venti del Novecento, col notaio Bruno Katalinić, messa in atto a causa di un susseguirsi di circostanze storiche e politiche sfavorevoli, che si concluderanno con la liquidazione della società, avvenuta nel 1942.
Il relatore ha raccontato le origini e le vicende dei Gilardi e dei Bettiza, due delle più facoltose famiglie di Spalato, esaminando le rispettive posizioni politiche e sociali, con un’attenzione particolare ai soci fondatori Lorenzo Gilardi (1823-1899) e Marino Bettiza (1814-1901), due personalità chiave dell’economia cittadina.
La proiezione di diapositive è andata a concludersi con le immagini dello stabilimento in varie epoche, mappe, documenti ed articoli risalenti alla seconda metà dell’Ottocento e primo Novecento ed una ricca serie di fotografie raffiguranti gli elementi decorativi prodotti dallo stabilimento che tuttora ornano ed abbelliscono i palazzi di Spalato.
Trieste, 23 novembre 2018 – Gilardi & Bettiza, dopo vari decenni di nuovo assieme. Stefano Gilardi e Michela Bettiza. Fotografia di Bruno Bonetti

Gilardi a Udine
L’incontro con Stefano Gilardi è poi stato replicato a Udine, presso la sala dell’Oratorio del Cristo in via Montebello 3, il 24 novembre 2018, alle ore 17, con un’alta partecipazione di pubblico. Con il patrocinio della Confraternita dell’Oratorio della Parrocchia del Cristo, presieduto da Giuseppe Capoluongo, la serata è stata aperta da Elio Varutti, vice presidente dell’ANVGD di Udine.
Bruno Bonetti ha raccontato le vicende delle famiglie dei suoi avi di Spalato e di Zara. Poi Stefano Gilardi ha proiettato tutte le immagini oggetto della sua poderosa ricerca che è stata raccolta in oltre 500 pagine, con molte immagini di cartoline, fotografie, mappe catastali, registri parrocchiali, documenti notarili e articoli di giornale.
Al termine degli interventi di Bonetti e di Gilardi, ha parlato Bruna Zuccolin, presidente dell’ANVGD di Udine. “Siamo molto contenti di queste giornate con Stefano Gilardi trascorse a Trieste e a Udine – ha detto Zuccolin – perché ci ha fornito uno spaccato di storia che non si conosceva; la sua ricerca è approfondita, documentata e appassionata, perciò speriamo che sia oggetto di una pubblicazione in un libro, che vorremmo presentare in Friuli Venezia Giulia”.
Quattro ciacole al termine della conferenza di Stefano Gilardi a Trieste il 23 novembre 2018. Proprietà della fotografia: Bruno Bonetti

È seguito un intenso dibattito con interventi e domande da parte degli oltre 40 partecipanti. Ad esempio l’architetto Franco Pischiutti, con parenti di Fiume, ha chiesto informazioni sulla famiglia di Enzo Bettiza e su eventuali contatti con la Italcementi. Gilardi ha risposto adeguatamente, spiegando che con l’Italcementi ha avuto fruttosi contatti di natura tecnica.
Sergio Satti, esule da Pola e decano dell’ANVGD di Udine, è intervenuto per elogiare “il modo pacato e obiettivo con cui i relatori hanno esposto fatti storici densi di contrasti e di rancori”. Poi ha ricordato la vicenda di un suo zio arrestato dai titini nel 1945 e portato in prigione con molti altri a Pisino. “È riuscito a salvarsi – ha concluso Satti – perché un commissario del popolo ha detto che l’aveva sentito parlare in croato, anche se el iera italian, è stato l’unico a tornare a casa di un numeroso gruppo di prigionieri finiti in foiba”.
Udine, 24 novembre 2018 - Bruno Bonetti legge un brano da Esilio, tra Elio Varutti e Stefano Gilardi alla conferenza sul cementificio di Spalato. Fotografia di Giorgio Gorlato

Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria, si è complimentato con i relatori perché “è stata fatta un po’ di luce su alcune realtà sconosciute ed è importante che le nuove generazioni parlino di tali fatti”. Poi sono intervenute altre persone per varie domande sulla fabbrica di Spalato.
Nella riunione di Udine si sono notati i familiari dei de Michieli Vitturi di Spalato, oltre a Renata Capria D’Aronco, presidente del Club UNESCO di Udine, che si è complimentata con l’ANVGD di Udine per la interessante ed apprezzata iniziativa. In sala erano presenti anche alcuni membri del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine, come Bruna Travaglia, esule da Albona e Barbara Rossi, di Sebenico, delegata amministrativa del sodalizio. Il momento conviviale dell’incontro di Udine è stato allietato da Rosalba Meneghini, la cui mamma era esule da Rovigno.
Udine, 24 novembre 2018 - Bruna Zuccolin, presidente ANVGD di Udine porta il saluto del sodalizio alla conferenza sul cementificio Gilardi & Bettiza di Spalato, vicino a Bruno Bonetti, Elio Varutti e Stefano Gilardi. Fotografia di Giorgio Gorlato

Turismo genealogico
Dov’è il mio antenato? In Dalmazia, in Istria o a Fiume? Per trovarlo c'è il turismo genealogico! La ricerca genealogica è un fenomeno in crescita progressiva in questi decenni. Sempre più persone sono interessate al proprio albero genealogico e alla storia familiare. Ci sono alcune notizie rintracciabili nel web e negli archivi di stato. Da questi fatti è nata la figura del “genealogical traveller”. 
È un ricercatore nel settore della genealogia, non necessariamente esperto, che viaggia nei luoghi nei quali c’è o c’è stata la storia della sua famiglia. Anche Stefano Gilardi e Bruno Bonetti si sono lasciati affascinare dalle ricerche genealogiche sui propri antenati di Spalato e di Zara. Senza odio e senza rancore.
Udine, 24 novembre 2018 - Stefano Gilardi alla conferenza sul cementificio Gilardi & Bettiza di Spalato. Fotografia di Giorgio Gorlato

Si conclude questo articolo citando quanto scrive Bettiza in Esilio, il che vale con i dovuti distinguo anche per la famiglia Gilardi: “La mia famiglia faceva parte della aristocrazia mercantile già dai tempi di Venezia. Ma il padre del mio bisnonno sfruttò le grandi opportunità del periodo napoleonico, quando si promosse l’industrializzazione della zona. Ho ancora gli appunti di mio padre, un po’ joyciani dal punto di vista stilistico, tra italiano, dialetto veneto e altre lingue, e le memorie in serbo-croato del fratello di mia mamma. La prima lingua è stata il serbo-croato di mia mamma. Ma all’età di cinque, sei anni è intervenuto il papà, che pure parlava benissimo il serbo croato, col suo dialetto veneto. A 11 anni ero già a Zara, per il ginnasio italiano. Insomma, nasco quasi trilingue, perché non bisogna dimenticare il tedesco. Per me era normale vivere così. Solo quando sono diventato un esule ho capito che ero cresciuto in un posto molto complicato, e mi sono reso conto che era un ginepraio. Per me l’infanzia e l’adolescenza in Dalmazia furono un’epoca d’oro. Vivevo in una famiglia agiata, e in un ambiente naturale bellissimo. Un paradiso perduto. Potevo diventare cittadino italiano, jugoslavo o austriaco. L’esilio ha fatto di me un europeo convinto” (Bettiza 1996).
Udine, 24 novembre 2018 - Sergio Satti, Bruna Zuccolin, Luciano Bonifazi e Franco Pischiutti in prima fila con una parte del pubblico alla conferenza sul cementificio di Spalato. Fotografia di Giorgio Gorlato

Voci dell’esodo giuliano dalmata
Stefano Gilardi mi ha raccontato come è stato l’esodo della sua nonna. Si chiamava Redenta Orlich, nata a Zara nel 1919 e deceduta ad Alghero nel 2013. Sposata a Lorenzo Gilardi, scappa da Zara in treno, transita per Trieste e la destinano al Centro raccolta profughi di Reggio Calabria, poi la famiglia trova un alloggio a Fertilia, nel Comune di Alghero, provincia di Sassari. Fertilia è una città di fondazione del fascismo, sorta nel 1936, ma non completata per lo scoppio della seconda guerra mondiale. L’opera di colonizzazione in Sardegna si bloccò e la maggior parte degli edifici rimase di fatto inutilizzata. Nel dopoguerra giungono gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia, diventando un microcosmo vicino a quello di Alghero, di lingua catalana.
Vive ad Alghero, provincia di Sassari, pure la signora Marisa Brugna, esule da Orsera. “Ricordo il Centro di raccolta profughi di Marina di Carrara – ha scritto – mi ricordo la passerella per arrivare al mio padiglione, l’ultimo a sinistra, ora inesistente, lì ho trascorso dieci anni della mia vita”.
Ecco una storia sulle foibe. “Dopo essere stato partigiano delle Brigate Osoppo, mio fratello Ermano era in polizia – ha detto Enzo Bertolissi -  quando verso il 1946-1947 gli inglesi lo portano ad esumare corpi dalle foibe in Istria e mentre si abitava a Prosecco, vicino a Trieste, abbiamo visto sparire amici di famiglia nell’autunno 1944 probabilmente eliminati in foiba, così la famiglia si è rifugiata in Friuli”.
Sentiamo un’altra voce. Carla Pocecco, esule da Cittanova, mi ha detto che “semo vignudi via nel 1955 iera la Zona B appena passada sotto la Jugoslavia col Memorandum de Londra, mentre i fratelli de mia nonna iera stadi spedidi in Italia nel 1947”. È passata da qualche Campo profughi? “Sì, certo ierimo al Centro raccolta profughi de Valmaura a Trieste – aggiunge la Pocecco – me ricordo che ierimo tel fango e andavo a giogar al Campo profughi de San Sabba con tutte quelle scritte sui muri, chi ge gaveva dà el permesso de scriver su pei muri?” Poi la signora Pocecco da grande scopre che erano graffiti dei prigionieri ebrei deportati al Campo di sterminio di Auschwitz.
Udine, 24 novembre 2018 - Elio Varutti apre il convegno sul cementificio Gilardi & Bettiza di Spalato. Fotografia di Giovanni Doronzo

Perché siete fuggiti? “La gente italiana subiva atti di intimidazione e di violenza fisica – prosegue la Pocecco – che non potevano risolversi diversamente che nella scelta dell’esodo, avevo fatto le scuole croate, dopo me vergognavo de essere profuga e domandavo papà cosa ze successo?”. Solo quando compie diciassette anni, il babbo che era carabiniere spiega alla signora Carla Pocecco i fatti accaduti alla famiglia e la fuga dall’Istria, abbandonando i vari beni economici. “I miei decisero di partire prima che fosse troppo tardi – conclude – mi dispiace, gò perso la cultura agraria e della pesca dei nonni, quella ze la mia storia”.
Daniele De Fazio, mio amico d’infanzia, ha sposato Idanna Veggion, figlia di Antonio, esule da Rovigno, passato dal Centro smistamento profughi di Via Pradamano a Udine. “Pensa che verso il 1984-1985 – mi ha riferito De Fazio – andavo a fare il pieno di benzina in Jugoslavia con mia moglie e mio suocero Antonio Veggion, ebbene lui si faceva scaricare in Italia e ci aspettava al confine da tanta paura che aveva ancora degli slavi titini”.
Andare via da Pirano con il “lasciapassare il 20 maggio 1960”. È capitato a Mario Dugan esule a Marina di Ravenna. Egli ha voluto “ritornare in Istria nel mese di ottobre 1964 – ha concluso – e ho dovuto fare il passaporto italiano e aspettare il visto iugoslavo; non vi dico i controlli alla frontiera, molte volte le persone venivano spogliate, biancheria intima compresa. Buona giornata”.

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Rassegna stampa


Riguardo alla presentazione a Zara de Gli appunti di Stipe / Stipine bilješke di Franco Fornasaro, tanto desiderata da Silvio Cattalini, dal sito web croato http://www.057info.hr dal 10 novembre 2018 col titolo:  Stipine bilješke - priče rođenog Zadranina Silvia Cattalinija.

Il "Piccolo" di Trieste, del 23 novembre 2018.

"La Vita Cattolica", di Udine del 21 novembre 2018.

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Rosanna Turcinovich Giuricin, Nato dall’amicizia con Silvio Cattalini un testamento per le future generazioni, «La Voce del Popolo» Quotidiano italiano dell’Istria e del Quarnero, 18 novembre 2018.

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“Circolo della Stampa di Trieste”, del 21 novembre 2018 : VEN. 23-11 – SPALATO, LA FABBRICA GILARDI & BETTIZA.


Sitologia, cenni bibliografici e documenti privati
- ANVGD: ricordati Enzo Bettiza, Lucio Toth e Silvio Cattalini, on-line dal 9 agosto 2017 su friulionline.com

- Enzo Bertolissi, Note del periodo bellico 1943-1945, dattiloscritto, 2017, p. 1.

- Bettiza 1996 = Enzo Bettiza, Esilio, Milano, A, Mondadori, 1996.

- Gilardi 2018 = Stefano Gilardi, Storia della prima fabbrica dalmata di cemento Portland Gilardi & Bettiza Spalato, Firenze, edizione a tiratura limitata per le famiglie discendenti dei Gilardi & Bettiza e per l'Archivio e il Museo Civico di Spalato, 2018, pp 508.

- E. Varutti, I Bonetti di Zara nell’esodo dalmata, on-line dal 6 febbraio 2017 su eliovarutti.blogspot.com
Una cartolina del cementificio del 1904 circa. Proprietà dell’immagine famiglia Gilardi – Fortunato Giardina
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Fonti orali
Ringrazio le persone intervistate per il racconto riportato da diffondere per far conoscere questi fatti dell’esodo giuliano dalmata. L’intervista è stata condotta da Elio Varutti, con taccuino, penna e macchina fotografica, se non altrimenti indicato.
- Enzo Bertolissi, Prosecco 1937, vive a Tarvisio (UD), int. del 6 settembre 2018.

- Marisa Brugna, Orsera 1942, vive ad Alghero (SS), messaggio in Facebook nel gruppo Amici profughi istriani del 5 marzo 2018.

- Daniele De Fazio, Udine 1956, int. del 24 luglio 2017.

- Mario Dugan, Pirano 1942, vive a Marina di Ravenna (RA), messaggio in Facebook del 2 luglio 2017.

- Carla Pocecco, Cittanova 1949, int. al telefono del 27 novembre 2018; componente del Consiglio Direttivo dell’Associazione delle Comunità Istriane, Trieste.

- Stefano Gilardi, Fertilia di Alghero (SS) 1983, int. del 24 novembre 2018.

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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Bruno Bonetti e Bruna Zuccolin. Fotografie di Bruno Bonetti, Barbara Rossi, Giorgio Gorlato, Giovanni Doronzo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
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mercoledì 28 novembre 2018

Mario Sironi a Pordenone, Dal Futurismo al Classicismo 1913-1924


C’è una interessante mostra di oltre 200 opere di Mario Sironi a Pordenone. Aperta fino al 9 dicembre 2018, l’originale rassegna è stata inaugurata alla Galleria Harry Bertoia il 16 settembre 2018.
Pordenone, l’ingresso della Galleria Bertoia, per la mostra Mario Sironi. Dal Futurismo al Classicismo 1913-1924. Fotografia di E. Varutti

Come scrivono nel depliant d’ingresso Pietro Tropeano, assessore alla Cultura del Comune di Pordenone, assieme al sindaco Alessandro Ciriani “Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto”. I due civici amministratori non sono dei critici d’arte, perché citano per tale frase niente meno che Pablo Picasso, per esaltare il futurista Mario Sironi (1885-1961), pittore, illustratore, grafico, scultore, decoratore, scenografo e protagonista principale della cultura e dell’arte del tormentato Novecento.
L’esposizione è stata curata da Fabio Benzi, che si era occupato della grande e eloquente rassegna su Sironi esposta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1993. La mostra è stata realizzata dal Comune di Pordenone e dall’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale (ERPAC) con l’attiva collaborazione dell’Associazione Mario Sironi e il patrocinio della Regione Lombardia, inserendosi nelle iniziative per l’Anno Europeo della Cultura 2018 del MIBACT.
Mario Sironi, Periferia, 1921. Collezione privata

Nelle belle sale espositive sono ben collocate le poche opere ad olio su tela e le molte, moltissime chine o tempere su carta e su cartone. Molti disegni, persino minuscoli, cm. 10 x 15 circa, provengono da collezioni private, come diverse altre opere presenti nell’esposizione.
Si comprende bene il passaggio dell’artista dal futurismo ante Grande Guerra al classicismo dei primi anni Venti, con vari sconfinamenti verso il bozzetto pubblicitario, dato che il tratto di Sironi era richiesto sui giornali dell’epoca, come Noi e il Mondo, oppure Gli Avvenimenti, fino a Industrie Italiane Illustrate, per finire, dopo un aiutino da parte di certe grazie femminili, al Popolo d’Italia.
È l’artista che disegna i primi camion militari, i cannoni, i siluri, i dirigibili, i primi aerei, le navi corazzate e i primi carrarmati. 
Nel dopoguerra dipinge con tonalità smorte le ciminiere, le periferie informi, i tram, i ferrovieri, oppure – chissà come mai? – ieratiche donne tremendamente sole, col titolo, ovviamente di Solitudine.
Mario Sironi, Figura futurista (Antigrazioso), 1913/1914, olio su tela, cm 84,5 x 59,5

L’approccio di Sironi alla pubblicità non è di mera propaganda, come sostiene certa critica. Altri autori dubitano di ciò, vista la sua fideistica adesione al fascismo, ben documentata dalle vivaci caricature per il Popolo d’Italia, il giornale di Mussolini. In Sironi c’è satira contro il capitalismo, contro gli ebrei, contro il Partito Popolare, contro Lenin, ma nulla di critico nei confronti di certe dittature del Novecento che sconvolsero l’Europa.

Sebastiano Pio Zucchiatti, Dedica ai futuristi, 1999, olio su cartone, cm 17 x 14. Courtesy del'artista
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Orari della mostra
Da martedì a venerdì dalle 15 alle 19. Sabato e domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19. MARIO SIRONI. DAL FUTURISMO AL CLASSICISMO 1913-1924. Pordenone, Galleria Harry Bertoia (corso Vittorio Emanuele II, 60). 16 settembre - 9 dicembre 2018.

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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo e E. Varutti. Fotografie di E. Varutti, ove segnalato. Si ringrazia Sebastiano Pio Zucchiatti per la pittura messa a disposizione della presente recensione, intitolata Dedica ai futuristi. 

Pordenone, sulla destra c’è l’ingresso della Galleria Bertoia. Fotografia di E. Varutti


domenica 25 novembre 2018

Sigeardo de Civitate, libro di Fornasaro presentato a Cividale


Nella splendida cornice del Museo Archeologico Nazionale si è tenuta a Cividale del Friuli la presentazione del romanzo storico di Franco Fornasaro, intitolato Sigeardo de Civitate
Cividale del Friuli, 23 novembre 2018, Museo Archeologico Nazionale – Sala coi reperti del Patriarcato, oltre ai 5 figuranti in costume, Piero Tolazzi, da destra coi baffoni, Franco Fornasaro, Angela Borzacconi, Livio Bearzi e Elio Varutti

L’evento si è aperto il 23 novembre 2018, alle ore 17,30 con l’intervento di Angela Borzacconi, direttore del Museo stesso. “Siamo lieti di ospitare la presentazione di questo libro – ha detto Borzacconi – perché si può dire che esso sia nato fra le antiche carte di questo museo dove l’autore ha studiato e voglio aggiungere che gli archivi cividalesi sono uno scrigno prezioso di microstoria”.
La serata culturale, che aveva il patrocinio del Polo museale del Friuli Venezia Giulia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC), ha ricevuto il saluto dell’Amministrazione civica nella persona di Angela Zappulla, assessore alla Cultura del Comune di Cividale del Friuli. Tra gli altri erano presenti, nell’affollata sala, Livio Bearzi, autore della Postfazione al volume, Diego Causero, nunzio apostolico di vari stati africani, della Siria, Cechia, Svizzera e Liechtenstein, Roberto Cassina, della Banca di Cividale, Lorenzo Pelizzo, della Società Filologica Friulana e Giovanni Aviani, editore soddisfatto perché il libro di Fornasaro, in men che non si dica, è già arrivato alla seconda edizione.
Cividale del Friuli, 23 novembre 2018, Museo Archeologico Nazionale – Franco Fornasaro parla accanto a Elio Varutti e Piero Tolazzi

Poi è intervenuto il professor Elio Varutti, del Consiglio generale della Società Filologica Friulana, di cui si scrive poco più sotto. Un intervento accorato è stato quello di Piero Tolazzi, etnologo, cultore della storia di Cividale ed esperto conoscitore delle tecniche di combattimento medievale.
Circondato dai figuranti della Messa dello Spadone e del Palio di San Donato, Franco Fornasaro ha iniziato il suo accattivante contributo dicendo di sentirsi un friulese, nel senso di essere un immigrato nella città di Cividale, patrimonio dell’UNESCO. Poi, l’Outsider, come si sente Fornasaro, ha descritto come è nata l’dea del romanzo storico su “Sigeardo, ottantenne, figlio illegittimo con enormi qualità umane e competenze, eppur inviato per lavoro in tutte le parti del Patriarcato multietnico di Aquileia, che andava da Como a Salisburgo fino a Fiume nel Quarnero, oltre che in altri posti”. L’autore si è soffermato, infine, sul valore storico e giuridico delle Costituzioni della Patria del Friuli, emanate da Marquardo di Randech, un altro grande patriarca di quel periodo storico.
Il pubblico in sala, oltre 80 persone attente e partecipi alla serata di presentazione di Sigeardo de Civitate 

Il contributo di Elio Varutti
Sin dai tempi dei Longobardi, che nel 569 costituirono il loro primo ducato proprio a Cividale, c’era una certa conoscenza medica basata sullo studio delle opere di Ippocrate, di Galeno e di altri autori classici latini e greci. Ne ha scritto lo stesso Franco Fornasaro nel 1996. Si veda: “I longobardi e la medicina (con notule di alimurgia e di cucina)”.
A proposito di erbe medicinali esemplare pare l’elenco delle numerose specie vegetali che devono far parte dell’orto botanico, secondo l’ultimo capitolo del “Capitulare de villis”, elaborato negli ambienti della corte di Carlo Magno, secondo quanto riportato da Enzo Marigliano nel suo “Il Capitulare de Villis. Vita quotidiana di una realtà agraria al tempo di Carlomagno”, edito a Udine nel 2013. Alle erbe medicinali si è dedicato persino il poeta Ermes di Colloredo (1622 – 1692) nel suo manoscritto “Libro I. Rimedi, o sia ricette per alcune malattie del corpo umano”.
Cividale del Friuli, 23 novembre 2018, Museo Archeologico Nazionale – Elio Varutti, al microfono, Franco Fornasaro e Piero Tolazzi, con 3 figuranti in costume

Si parla proprio di medicamenti a base di erbe nell’ultimo romanzo di Franco Fornasaro. È un libro bello, intrigante ed istruttivo. È bello perché è legato a un territorio, anzi è collegabile a un comune, come quello di Cividale in particolare, ricco di bellezza romana, longobarda, medievale ed altro. Scrivere un libro sul territorio di adozione, com’è per Fornasaro, è la dimostrazione dell’attaccamento manifestato per una stupenda realtà territoriale. Il fatto è da lui denunciato sin dalle prime pagine del volume.
Ha dato molto alla città di Cividale lo scrittore Franco Fornasaro, cividalese di adozione, essendo nato nella entità non italiana del Territorio Libero di Trieste, con avi di Pirano e babbo di Veglia, ambedue località della Jugoslavia dal discusso Trattato di pace del 1947. Poi la Jugoslavia si scioglie nel 1991 con violente guerre. Pirano (Piran) oggi sta in Slovenia, mentre l’Isola di Veglia (Krk) è in Croazia. Mi viene in mente un altro cividalese di adozione, come il toscano Amelio Tagliaferri, mio insigne maestro di Storia economica all’Università di Trieste. Anche il pistoiese Tagliaferri riguardo agli studi storici e alle ricerche diede molto alla nota città longobarda, poi della Serenissima Repubblica di Venezia.
Cividale del Friuli, 23 novembre 2018,– Apre l’incontro Angela Borzacconi, direttore del Museo Archeologico Nazionale

Spero che il lettore non si annoi leggendo nelle presenti righe diversi nomi di storici e di ricercatori. È che per inquadrare la stupenda opera di Fornasaro bisogna fare ricorso ad altri studiosi. Non potrei liquidare tutto menzionando solo il grande Le Goff.  
Il romanzo di Fornasaro è istruttivo perché presenta vari periodi storici, con una cronologia ben definita pagina dopo pagina. Ci sono il presente e l’attualità con i giovani ricercatori un po’ precari che cercano e trovano un antico manoscritto. Ci sono le rievocazioni storiche tipiche di Cividale del Friuli, Forum Iulii poiché fondata da Giulio Cesare e Civitas Austriae, per il periodo carolingio. Per Civitas Austriae si intende città allocata nella parte orientale (Austriae) del regno di Lotario I.
Dopo l’anno Mille presero vigore gli ordini “Militari ospitalieri”, sulla scorta dell’esperienza dei Benedettini. A Cividale un ospedale venne gestito dalla Confraternita dei Battuti, operativa peraltro a Udine, Maniago, Porcia, Sacile e San Vito al Tagliamento.
Come ha scritto Pier Carlo Caracci nel suo  Appunti per una storia della medicina in Friuli del 1973-1975, a Udine c’è un medico stipendiato dal Comune sin dal 1282. Nei contratti si legge del “phisicucus”, ben distinto dal “ciroicus” (chirurgo) e dallo “speziale” (farmacista). È dal 1222 che l’Università di Padova ha aperto i battenti. Alla scuola medica della città veneta fanno riferimento gli antichi studenti friulani di medicina. Da tale università esce, ad esempio, Mondino Friulano, cividalese, allievo di Pietro d’Abano, ben citati da Sigeardo-Fornasaro nelle prossime pagine con precisione, oserei dire, anatomica.
Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli – L’intervento di Piero Tolazzi alla presentazione del libro di Fornasaro Sigeardo de Civitate

Per la loro attività in medicina nel capoluogo friulano Maestro Mannino e Bonaventura sono pagati annualmente 12 marche di denari d’argento ciascuno. Caracci ha aggiunto che c’era pure una dottoressa rispondente al nome di “Donna Gerarda Medicatrix in Castello dal 1396 al 1404”. Come pure viene rilevato sempre dal Caracci che San Daniele e Cividale ebbero il loro medico condotto fin dal secolo XIV.
Siamo dunque nel Trecento. È il periodo di “Sigeardo de Civitate”. La sua autobiografia è il tema centrale del manoscritto, oggetto della fantasia dell’Autore. È la parte più affascinante del libro, a mio parere. Personaggi e vicende storiche, invece, sono autentici. Si intersecano in un crogiuolo di eventi e di periodi storici. Ne fa fede l’attenta citazione delle fonti documentarie, cui già Fornasaro ha abituato i suoi lettori nelle varie esperienze editoriali precedenti. Si nota il suo cipiglio didascalico nel mare magnum della creatività romanzesca.
Nel Medio Evo la cultura era prerogativa delle persone inserite nei monasteri, nelle abbazie e nelle fradagle, ossia le confraternite laiche e religiose. Si sa che la chiesa di Santa Maria della Cella di Cividale, con annesso monastero, aveva varie proprietà. Dal 1267 il cameraro (o amministratore) della congregazione religiosa teneva bene annotato nel Libro contabile i sussidi, le bolle, le delegazioni e i beni in diverse località. Ora questo importante documento storico è custodito in Archivio di Stato di Udine (ASUd), Congregazioni religiose soppresse, busta 123.
Il bello è che la chiesa di Santa Maria della Cella, tra gli altri, possedeva beni immobili, dal 1283, non solo nell’area cividalese, come a Firmano, Premariacco, Cormons (dal 1294), Borgnano, ma fino a Collalto e Treppo Piccolo (dal 1329), Nogaredo di Corno, Pasian Schiavonesco (divenuto poi Basiliano) e addirittura a Ronchis di Monfalcone (dal 1377).
Studiosi come Jacques Le Goff, Steve Runciman, Giovanni Vitolo e Paolo Lino Zovatto, tra i tanti, hanno rimarcato un certo ritorno dell’ordine da parte di Carlo Magno, dopo le conquiste arabe. Tale ricrescita, pur stentata e non certo florida, generò alcune positive conseguenze sui traffici mercantili, tanto che i ricercatori parlano di “rinascenza carolingia”, verificatasi intorno ai secoli VIII-IX. Così si giunge all’epoca di Sigeardo.
A dimostrazione del rilancio economico, oltre che politico-religioso dei Franchi, attivi pure a Cividale e in altre parti del Nord Italia, altri storici hanno effettuato le seguenti considerazioni. Lo sviluppo urbano e portuale dei secoli XI-XII nelle città del Centro Nord Italia è strettamente legato a una preesistente economia in fase di sviluppo. In determinate aree geografiche si ristabilisce un interessante mercato economico intorno all’anno Mille, pur sulle antiche strade romane aggiustate, ristrutturate o rimesse alla meglio. Nell’Italia settentrionale sono proprio gli scambi locali di beni e di servizi a rivelarsi sufficienti ad alimentare i primi fenomeni d’urbanesimo, come hanno scritto Tito Maniacco nel 1985, Michael McCormick nel 2001 e Giovanni Vigo nel 2009.
Un’altra immagine del folto pubblico presente in sala a Cividale per il nono romanzo di Franco Fornasaro

Affascinante è poi la tecnica letteraria utilizzata da Fornasaro per questo suo Sigeardo de Civitate. Troviamo ancora il tema dialogante, come ne Gli appunti di Stipe, suo importante romanzo del 2015, edito dal Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). In qualche scritto l’Autore accenna alle sue origini istriane e anche qui l’Istria fa capolino ogni tanto. Sono solo dei piccoli cammei. Il mondo della frontiera ha sempre coinvolto l’Autore. Non a caso Gli appunti di Stipe, nel 2017, sono stati tradotti in croato. Anche in Sigeardo, pur essendo prodotto in gradevole lingua italiana, il plurilingue Fornasaro ci spiega qualcosa in lingua friulana, oppure in sloveno. Forse, con tali approcci, possiamo intendere meglio la complessità delle terre di confine, come ci ha insegnato Fulvio Tomizza, scrittore di frontiera per eccellenza.
Devo confessare, tuttavia, che le ricerche ardite, le tensioni politiche e conflitti armati entrano a gamba tesa tra le pagine di Sigeardo. Curiosa e, a tratti, scabrosa o macabra è la descrizione delle prime anatomie svolte dai ciroici, i chirurghi medievali. Il libro segna troppi punti a favore di Cividale. La prima anatomia su cadaveri della storia del Friuli avvenne a Cividale, secondo Sigeardo. La prima università degli studi fu creata là. Era il 1° agosto 1353 quando il sovrano Carlo IV, re di Boemia, re dei Romani e, di lì a poco, imperatore del Sacro Romano Impero (1355), riconosceva la prima Università friulana e transfrontaliera, avviata anni prima dal patriarca aquileiese Bertrando di Saint Geniès. “Carolus Dei Gratia… in metis Alemaniae, Hungariae, Sclavoniae, atque Italiae consistit…”, come si vede nel testo “Antiquitatum civitatis fori Iulii libri quatuor” di Basilio Zancarolo, stampato in Venezia nel 1669.

Il primo alambicco della zona per ottenere la grappa dove poteva essere usato se non a Cividale? La prima volta dell’uso della polvere da sparo nel Patriarcato di Aquileia avvenne a Cividale, la cittadina patrimonio dell’UNESCO. Sono molto intriganti queste “prime volte” nella storia del Friuli.
Sigeardo si lancia poi in una serie di elencazioni di natura varia. Forse a qualcuno verrà in mente “Il nome della rosa”, di Umberto Eco (1980), nel leggere i lunghi elenchi delle armi bianche per colpire, ferire, uccidere o squartare il nemico. Eppure Sigeardo non si scompone. Ci propina anche i nefasti malanni della peste nera del 1348, con attente spiegazioni riguardo alle tipologie e colori dei bubboni, cui nemmeno il buon Alessandro Manzoni ci aveva abituato. Come notizia a latere possiamo accennare al Santuario di Sant’Osvaldo a Sauris, località che, essendo scampata alla pestilenza, divenne meta di pellegrinaggi data la sua potenza taumaturgica.
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Il libro presentato
- Franco Fornasaro, Sigeardo de Civitate. Romanzo storico, prefazione di Elio Varutti, postfazione di Livio Bearzi, Udine, Aviani & Aviani, 2018, pp 192, euro 20.

ISBN 978 8877 722720.
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Daniela Conighi, che si ringrazia per la concessione alla diffusione e pubblicazione nel blog presente.

mercoledì 21 novembre 2018

Tombe italiane a Zara

Post Tenebras Lux si legge sul portale d’ingresso del Cimitero italiano di Zara, in croato: “Gradsko groblje”, ossia “Cimitero cittadino”. La scritta latina, La luce oltre le tenebre, sta a significare la speranza e la luce che si possono intravvedere oltre le brutture della società, come le malattie e gli orrori dell’uomo, come la guerra.
Tomba italiana con fiori nel cimitero di Zara. Fotografia di E. Varutti

Edificato nel 1934 in stile neoclassico, il portale è resistito alla furia del tempo e degli uomini. Lo si trova nella parte destra del nuovo cimitero, nella periferia sud di Zara, sulla strada che porta a Spalato.
L’ingegnere Silvio Cattalini, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) Comitato Provinciale di Udine, dal 1972 al 2017, mi raccontava che durante i 54 bombardamenti della sua città natale “la zente de Zara se rifugiava in cimitero e qualchedun el stava anche a dormir, se gaveva perso la casa distrutta dalle bombe o per paura, dato che i druzi diseva de no star in zità ‘sta sera perché sarà tanta festa e tanto rumor”. 
Cimitero di Zara, parte italiana. Ingresso monumentale eretto nel 1934. Fotografia di E. Varutti

Si ricorda che con la parola druzi, si intendono i partigiani di Tito, anche i fiancheggiatori. È una deformazione lessicale della parola drug, che in serbo-croato significa: compagno. I croati del contado filo-partigiani davano il consiglio di non fermarsi nel centro della città dalmata, italiana dalla fine dalla Grande Guerra, perché erano i loro stessi caporioni ad aver segnalato agli alleati angloamericani di bombardare la città, non tanto per la sua importanza militare, quanto invece perché troppo italiana. Era pulizia etnica.
Da una fonte nel web si sa che, durante i bombardamenti del 1943-1944, gli zaratini si rifugiavano “in cimitero, dove nacque anche una bambina che fu battezzata nella cappella mortuaria. Una tomba custodisce anche i resti straziati di zaratini ignoti che mani pietose avevano raccolto tra le macerie e calato nella fossa comune avvolti in coperte”.
Tomba Millicich a Zara. Fotografia di E. Varutti

È una bella cosa che in ogni tomba italiana ci sia un fiore. C’è un’associazione che si è impegnata di effettuare la mesta, ma virtuosa operazione. È il Madrinato dalmatico. 
Così nel cimitero italiano si vede la tomba familiare degli Alesani, dei Millicich, dei Catalinich, dei Gherdovich, dei Battara e di molti altri, che non si possono qui riportare, poiché l’elenco sarebbe assai lungo.
“Il Cimitero di Zara, eretto e benedetto nel gennaio 1821, veniva denominato comunale, mentre la sua denominazione attuale, per la verità, è Gradsko groblje, ossia Cimitero cittadino” (precisazione di Walter Matulich del 22.3.2023).
Tomba italiana nel cimitero di Zara. Fotografia di E. Varutti

Tomba Gherdovich a Zara. Fotografia di Giorgio Gorlato

Tomba Battara a Zara. Fotografia di Giorgio Gorlato

Mappa plurilingue del Cimitero di Zara; la parte storica italiana è a destra. Fotografia di Giorgio Gorlato
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Fonti orali e del web: - Silvio Cattalini (Zara 1927-Udine 2017), intervista a Udine del 18 dicembre 2016 di Elio Varutti. - Walter Matulich, Zara 1943, post in Facebook del 22 marzo 2023 nel gruppo “Esodo istriano, per non dimenticare”.

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Sitologia
- Madrinato dalmatico per la conservazione dei cimiteri per gli italiani a Zara, Cimiteri d’Europa, luglio-agosto 2006.

Cimitero di Zara, 11 novembre 2018. La delegazione ANVGD di Udine, guidata dalla presidente Bruna Zuccolin (a destra) rende omaggio alle tombe di italiani. Fotografia di E. Varutti
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Si ringrazia per la collaborazione: Bruno Bonetti. Fotografie di Giorgio Gorlato, di E. Varutti e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30.
e-mail: anvgd.udine@gmail.com.      Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.