Il film di Christiane Rorato è eccezionale. Si intitola “I
dimenticati della Transiberiana”, ma ha anche il titolo in francese: “Les
Oubliés di Transsiberiéne”, viste le origini francesi della regista, che vanta
delle ascendenze friulane, di Rivignano.
È stato proiettato, alla sera, al
cinema Visionario di Udine il 22 marzo 2017. La sala più grande del Visionario
era stracolma di persone. Alla fine della proiezione c’è stato un lungo applauso
per lei. E pure un dibattito con la regista Rorato. Oltre alla regista era presente
Bruno Beltramini che ha effettuato le riprese e Maria Grazia Renier, pittrice
delle opere mostrate nel film. Già perché la regista non voleva le fotografie,
che avrebbero trasformato l’opera in un documentario.
In realtà, a mio modesto parere, il suo film è un grande
affresco sull’epopea dei friulani quando costruirono una parte della ferrovia
transiberiana. È un interessante crogiolo di lingue, perché usa il friulano, il
francese, il russo e l’italiano, con le didascalie di traduzione.
A volte il “cjast”
(solaio, in friulano, o anche: granaio nella soffitta) può riservare delle
autentiche sorprese. Tanti anni fa il
“cjast”, luogo asciutto, secco, nelle case contadine del Friuli, serviva a
conservare i grani.
Anche se si doveva intraprendere una lotta dura contro i roditori (topolini), combattuti a suon di trappole molto ingegnose, il “cjast” era quasi un posto catartico. Nel “cjast” filtrava un raggio di sole dalle piccole finestre adatte solo a dare una buona aereazione alle granaglie.
Russia 1876. Una locomotiva a legna della linea
transiberiana. Vi lavorarono molti emigranti di Osoppo, Buja, Lauco, Forni di
Sotto, Forni di Sopra, Nimis. I tredici colossali piloni di Sizran sono stati
costruiti dall’impresa Leonardo Perini di Artegna. Fotografia dal volume di Gino di
Caporiacco, L’emigrazione dalla Carnia e
dal Friuli.
Il libro e il grano
Anche se si doveva intraprendere una lotta dura contro i roditori (topolini), combattuti a suon di trappole molto ingegnose, il “cjast” era quasi un posto catartico. Nel “cjast” filtrava un raggio di sole dalle piccole finestre adatte solo a dare una buona aereazione alle granaglie.
Nel caso in questione, nel “cjast” viene riposto anche un
libro di orazioni. Il libro e il grano sono vicini. Li scombicchera (“ju
scribice”) solo l’Orcolat (Il Brutto Orco, ossia il terremoto). Li rimescola.
Li ribalta. Il terremoto li butta a terra, ma non riesce a distruggerli. Qualcuno
ritrova il libro e poi... Il film nasce da lì. Prima ci sono tante ricerche del
signor Romano Rodaro, ottimo attore nelle sequenze filmiche.
Il tutto sgorga da un libro di preghiere ritrovato a Buja,
dopo il terremoto del 1976. Nell’ultima pagina contiene una giornata di diario a
Missaavaja, in Siberia.
La città della Russia asiatica dove vanno a lavorare un folto
gruppo di friulani è proprio Missaavaja, in altre grafie: “Mysovsk”. Tale denominazione
della città dura dal 1902 al 1941, anno in cui assume il nome attuale di “Babuškin”,
in onore di Ivan Vasil'evič Babuškin, rivoluzionario russo fucilato dagli
zaristi nel 1906, proprio a Mysovsk.
È così che un anziano signore va alla ricerca delle
tracce di Luigi Giordani, lo sconosciuto che ha scritto sulla retro-copertina del
libro di preghiere le seguenti parole: “Primo gennaio 1900, io Luigi Giordani e
13 altri friulani, sfidando un freddo intenso… a Missavia, Siberia”.
L’anziano signore è interpretato con una grinta da fare
invidia alle scuole di cinema da Romano Rodaro, artigiano muratore, emigrato in
Francia. Ecco gli straordinari incroci tra Friuli, Francia Siberia e altri
posti ancora. C’è inoltre una incredibile Contessa (interpretata dalla stessa
Rorato), che ha ricevuto il messale da un capitano giapponese nel porto di Vladivostok,
nella Russia estrema, ai confini con la Cina e la Corea.
Un impellicciato emigrante di Lusevera nei cantieri della
ferrovia transiberiana, tra fine '800 e primi del '900. Il revolver era prerogativa dei capi reparto, come è
detto nel film di Christiane
Rorato, del 2017. Fotografia dal volume di Gino di Caporiacco, L’emigrazione dalla Carnia e dal Friuli.
I personaggi di questa sorta di romanzo filmato ci fanno fare
un tuffo nel passato. Si va all’inizio del Novecento, quando alcuni scalpellini,
muratori e falegnami friulani erano andati a costruire la Transiberiana sulle
rive del lago Baikal. È un film che apre il dibattito sul modo di affrontare la
storia del territorio, secondo un’ottica che inizia dal particolare per andare
al generale. Da un lato ci sono i fatti veri (Luigi Giordani è esistito, come
pure gli oltre 450 friulani finiti in Siberia per qualche guadagno). Si va dall’autenticità
delle cose alla fantasia della sua rappresentazione. La vicenda regge. La ricerca
degli anni 2012-2016 delle tracce dei Dimenticati è centrale nel film. Si mette in gioco una realizzazione spontanea, fuori
dalle regole e con il piglio del plurilinguismo.
Qualcuno ha detto che non è un film storico, né un romanzo. La
nuova opera di Christiane Rorato si apre alla storia del Friuli. Ci mostra
spazi insospettati (la Siberia) ed allo stesso tempo cerca di risolvere un
enigma.
È stata un’occasione per comprendere dalla viva voce di
Christiane Rorato le scelte di regia, i problemi e i fatti ridicoli o
incresciosi accaduti durante le riprese del film, dedicato ai dimenticati
costruttori friulani della transiberiana.
Siamo nel pieno dell’epopea degli emigranti friulani, tra
fine ’800 e inizio ’900. Si partiva per la Americhe, per il Centro Europa. Questi
Dimenticati partono per la Siberia,
dove contribuiscono alla costruzione della ferrovia lunga oltre 9 mila
chilometri. Le riprese sono iniziate a Buja e più precisamente a Ursinins
Piccolo. È stato proprio lo spunto del manoscritto ritrovato dopo il terremoto
a dare l’idea del film. Nella casa diroccata della famiglia di Celso Gallina si
ritrova lo scritto di Luigi Giordani (1857-1921). È uno dei tanti scultori,
scalpellini e muratori friulani che in quel tempo lontano prendono la strada
del lago Bajkal, nella Siberia meridionale. Sembra una favola, ma è tutta
verità. Essi vanno in cerca di lavoro.
Luigi Giordani è un misterioso bujese, perché si è scoperto pochissimo di lui. Si
sa che sul principio del ventesimo secolo si trovava in una baracca con altri
13 colleghi di cantiere a Missaavaja, nel lontano e freddo Est asiatico. Luigi
Giordani era figlio di Vincenzo Giordani, detto “El Mago Bide” (1820-1892). Costui
realizzò una bella ancona nella borgata.
Locomotiva storica della ferrovia Transiberiana. Fotografia dal sito web Transiberiana 2016 che si ringrazia per la riproduzione
Christiane Rorato è stata autrice, nel 2003, del film intitolato:
“I guerrieri nella notte”. Argomento ripreso
dai “Benandanti” di Carlo Ginzburg. Nel 2011 ha prodotto “La rugiada nel tempo,
i cantori di Cercivento”. In questi ultimi tempi ha creato mesi “Les Oubliés di
Transsiberiéne”. Le prime riprese sono state effettuate a Ursinins Piccolo,
grazie alla collaborazione del Comune di Buja.
Come accennato nel film la Rorato interpreta la contessa Pierina di Brazzà Savorgnan Cergneu (1846-1936). Tale donna dell’emigrazione era discendente di una nobile famiglia friulana di Gorizia vissuta tra l’Austria e il Friuli. La contesa Pierina, a 50 anni di età, decide di seguire il marito, titolare della ditta Floriani di Tarcento, proprio in Siberia.
La contessa si fece conoscere come “la madre degli italiani”, poiché aiutava gli operai a preparare i documenti e a spedire le loro lettere alle famiglie. Nel film, il suo destino ha un percorso parallelo a quello di Luigi Giordani, che a un certo punto prende una nave per ritornare in Friuli. Lei sola finirà i suoi giorni a Nimis, mentre il misterioso Giordani muore nella nave sul tragitto Vladivostok – Trieste, come si scopre all'Archivio del Tribunale di Tolmezzo.
Come accennato nel film la Rorato interpreta la contessa Pierina di Brazzà Savorgnan Cergneu (1846-1936). Tale donna dell’emigrazione era discendente di una nobile famiglia friulana di Gorizia vissuta tra l’Austria e il Friuli. La contesa Pierina, a 50 anni di età, decide di seguire il marito, titolare della ditta Floriani di Tarcento, proprio in Siberia.
Emigranti friulani della zona di Pordenone in Siberia. Fotografia dal sito web Occhimentecuore, che si ringrazia per la diffusione
La contessa si fece conoscere come “la madre degli italiani”, poiché aiutava gli operai a preparare i documenti e a spedire le loro lettere alle famiglie. Nel film, il suo destino ha un percorso parallelo a quello di Luigi Giordani, che a un certo punto prende una nave per ritornare in Friuli. Lei sola finirà i suoi giorni a Nimis, mentre il misterioso Giordani muore nella nave sul tragitto Vladivostok – Trieste, come si scopre all'Archivio del Tribunale di Tolmezzo.
Approfondimenti nel web
e cenno bibliografico
Le fotografie di emigranti qui riprodotte sono riprese dal libro
esemplare di Gino di Caporiacco, L’emigrazione
dalla Carnia e dal Friuli, Udine, Ente Friuli nel Mondo, 1983.
Per chi fosse curioso di approfondire la ricerca iconografica
e statistica sull’emigrazione di genere, sulla donna friulana emigrante, come
lo fu la contessa Pierina di Brazzà Savorgnan Cergneu, può vedere nel web: E.
Varutti, Feminis tal forest (Donne
all’estero), 2014.
Le copie del film della Rorato sono in vendita al cinema Visionario di Udine, Via Fabio Asquini n. 33 - 33100 Udine. Telefono: 0432 227798.
Siberia 1895. Un gruppo di emigranti di Clauzetto, occupati
nei lavori di costruzione del tratto italiano della transiberiana, vicino al
lago Baikal. Fotografia dal volume di Gino di Caporiacco, L’emigrazione dalla Carnia e dal Friuli.
Nessun commento:
Posta un commento