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martedì 31 dicembre 2024

OSSERO - MEMORIA DELLA STRAGE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Carlo Cesare Montani sul seguente argomento: “Tumulati a Bari i resti mortali dei marò uccisi dai titini a Ossero”. Fu un tragico fatto della seconda guerra mondiale sull’Isola di Cherso, in Istria. A cura di Elio Varutti.

Un delitto contro gli Italiani per mano slava - 22 aprile 1945

BARI - SACRARIO DEI CADUTI D’OLTREMARE - 13 DICEMBRE 2024

Bari, Sacrario militare dei Caduti d’Oltremare, 13 dicembre 2024, Cerimonia di tumulazione dei resti mortali dei Caduti di Ossero (Istria). Collezione Carlo Cesare Montani

Nel segno della pietas dovuta a tutti i Caduti, e più specificamente a quelli della Seconda Guerra mondiale, un’attenzione particolare spetta a quanti furono Vittime dell’odio slavo durante la plumbea stagione degli ultimi giorni di belligeranza nei territori prossimi al confine orientale. Ciò, con speciale riguardo ai ventisette Italiani che fecero Olocausto della vita dopo una lotta senza scampo contro gli invasori slavi sbarcati nelle isole adriatiche del Golfo di Fiume a decorrere dal 19 aprile 1945. 

Il risultato era già scritto perché un solo centinaio di appartenenti a reparti dell’Asse italo - tedesca, preposto a difesa dell’arcipelago, non aveva speranze di sorta, a fronte di una massiccia offensiva jugoslava, largamente supportata dai forti trasporti marittimi degli Alleati. Questi avevano la disponibilità di quasi cinquemila uomini in armi - trasportati da una decina di navi da guerra - destinati in tempi immediatamente successivi a proseguire per l’Istria, e infine per Trieste, dove il primo maggio occuparono la città per i terribili “quaranta giorni” di nequizie e di delitti. 

Nonostante l’eroica resistenza in difesa di Ossero proseguita fino all’ultima cartuccia, la resa di quel manipolo di prodi, comprendente in larga maggioranza combattenti della Decima Flottiglia MAS comandati dal Capitano Dino Fantechi, e completato da alcuni appartenenti alle formazioni territoriali di stanza nell’arcipelago (1), ogni ipotesi di salvezza fu impossibile. Infatti, gli invasori senza divisa propria (alcuni indossavano quelle americane o britanniche), in spregio delle norme di diritto internazionale bellico che tutelano la vita dei militari fatti prigionieri ne avevano sentenziato la fucilazione seduta stante; nel caso di specie, con l’allucinante aggiunta di doversi scavare le due fosse comuni in cui i nuovi Martiri, dopo l’iniqua esecuzione, avrebbero trovato un’affrettata sepoltura anonima e collettiva (2).

Il ripudio della pietas ebbe un’ultima appendice nel rifiuto di qualsiasi conforto religioso, in criminale coerenza con l’ateismo di Stato conforme alle inveterate vocazioni del verbo comunista, ed alle conseguenti persecuzioni indiscriminate a danno di cittadini incolpevoli, ivi compresi sacerdoti, suore, uomini e donne di fede.

Immagine da Facebook: " I marò di Ossero", maggio 2024

Conviene aggiungere che il 25 aprile, trascorsi appena tre giorni dalla strage, gli invasori si fecero premura di annunciare tout court l’avvenuta annessione delle Isole in questione da parte jugoslava, e contestualmente, l’obbligo di coscrizione militare immediata nelle file dell’Armata Popolare per tutti gli abitanti appartenenti alla classe 1900 ed a quelle immediatamente successive, con una pronunzia unilaterale d’emergenza, a sua volta in evidente opposizione alle norme internazionali vigenti.

L’episodio di Ossero mette in luce, oltre all’abissale sproporzione tra le forze in campo, l’eroica decisione dell’ultima resistenza al nemico largamente maggioritario, presa all’unanimità. Nessuno ebbe la tentazione di una facile resa che avrebbe consentito - se non altro - di sperare in un esito diverso, iniziando un confronto davvero epico e tanto più commendevole in una stagione che dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943 aveva visto la dissoluzione di parecchie formazioni militari e l’abbandono delle divise, alla ricerca di un qualsiasi rifugio. Se non altro, fu la salvezza dell’onore italiano (3).

Sono trascorsi 80 anni da quegli orribili episodi bellici, in un silenzio assordante interrotto di tanto in tanto dalla memoria di pochi reduci, fino a quando, grazie all’avvento della Legge 30 marzo 2004 n. 92 – approvata quasi all’unanimità e voluta con forte intento patriottico e civile dal primo firmatario On. Sen. Roberto Menia, presente alla cerimonia di Bari e partecipe della comune commozione - le indagini storiografiche, seguite da quelle sul campo, è avvenuto il “miracolo” di recuperare le Spoglie mortali di questi Martiri. Il programma si è completato con la loro identificazione maggioritaria, e infine, con l’accoglienza nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare per essere affidati alla pietas delle future generazioni e all’ammirazione dei patrioti. Se non altro, si tratta di un messaggio destinato a promuovere effetti non transeunti, perché in grado di parlare al cuore e alla mente degli Italiani.

Nell’austera e composta atmosfera del coinvolgente Sacrario pugliese, il 13 dicembre 2024 ha avuto luogo la toccante cerimonia di benedizione delle Spoglie e della conseguente unione alle 75 mila Vittime del secondo conflitto mondiale che, a decorrere dall’inaugurazione con l’intervento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat nell’ormai lontano 1967, vi hanno trovato onorata sepoltura (con l’eccezione dei quattro Caduti per cui, a richiesta delle rispettive famiglie, sono state accolte le domande di trasferimento nei luoghi d’origine) .

Il Sacrario di Bari, con il volgere del tempo e con la progressiva acquisizione di nuove Spoglie, comprese quelle di Caduti che non scomparvero in terre lontane ma in quelle contigue, se non anche nella stessa Madrepatria come accadde per quelli di Ossero, a difesa delle isole di Lussino e Cherso, romane e veneziane per millenni, infine annesse all’Italia a conclusione della Grande Guerra contro l’Austria, è stato in grado di acquisire dimensioni che non é azzardato definire universali, e come tali, degne di attenzioni analoghe.

Foto al web. Gruppo di Facebook “I marò di Ossero

Al pari di Redipuglia,  di El Alamein e dei tanti altri Sacrari che accolgono le Spoglie di troppi Caduti dei due conflitti mondiali, e non solo, quello del capoluogo pugliese è una struttura che persegue ottimamente il nobile intento di ricordare, in specie a ignari e posteri, l’immensità dei sacrifici che sono stati idonei a creare una coscienza civile e nazionale non effimera, bensì profondamente inserita nello “Spirito del popolo”, in misura non ancora completa e tuttavia, con una consapevolezza più matura e più convinta dei Valori che avevano presieduto a quei sacrifici compiuti con la “mente pura” di Giambattista Vico, in specie da parte degli umili.

La cerimonia, caratterizzata da un’alta e sentita commozione, ha trovato nell’intervento del Gen. C.A. Andrea Rispoli, responsabile del Sacrario, un momento di particolare solennità condivisa, in specie nell’affermazione secondo cui “garantire degna sepoltura a tutti i Caduti dei conflitti è un dovere morale e civile dello Stato”. Il culmine è stato raggiunto nei momenti in cui l’Ordinario Militare ha provveduto alla Benedizione delle Spoglie di ciascun Caduto, seguita dall’omaggio dell’incenso, simbolo di ascesa celeste: ciò, quasi a celebrarne l’assunzione spirituale nel cielo degli Eroi che hanno servito la Patria fino all’estremo sacrificio, col solo conforto della coerenza con l’impegno di fede e di osservanza del dovere, accolto con spontanea convinzione, e con esemplare continuità d’intenti. Considerazioni analoghe valgono per quando, alla fine della cerimonia, si sono udite le note del Silenzio, magistralmente intonate in un’atmosfera quasi surreale.

L’episodio di Ossero, al pari di tanti altri, costituisce un delitto contro l’umanità caratterizzato da momenti di particolare efferatezza, tra cui la tortura, l’oltraggio preventivo e postumo alle Vittime, il tentativo di occultare le prove del misfatto, la negazione programmata di ogni conforto e delle stesse leggi di guerra.

Si è trattato - giova aggiungerlo - di una condivisione comune a tutti coloro che erano presenti a Bari, sia militari sia civili, ivi compresi diversi familiari dei Caduti, alcuni dei quali erano giunti da comprensori lontani, quali quelli di Marche, Romagna, Sardegna e Toscana, a dimostrazione del fatto che, nonostante lo scorrere irrevocabile degli anni, la memoria storica degli Italiani resta visibilmente prescrittiva, e sempre idonea al perseguimento delle “egregie cose” di poetica ispirazione risorgimentale, e con esse, alla nobile conservazione di una salvifica “eredità d’affetti” destinata a vita eterna.

                                     Carlo Montani - Esule da Fiume

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Recuperati i resti di 27 Caduti di Ossero foto del 2019 da www.difesa.it

Annotazioni

 (1)   - i Caduti del 22 aprile 1945, a parte i “territoriali” della Guardia Nazionale Repubblicana, quasi tutti di nascita locale, erano originari di varie Regioni italiane, a conferma di una diffusa sensibilità patriottica. In particolare, gli appartenenti alla Decima MAS di cui sono conosciuti i luoghi di provenienza, erano nati, nell’ordine, in Emilia, Toscana, Lombardia, Sardegna, Liguria, Marche, Veneto e Svizzera. Per quanto riguarda il grado, in larga maggioranza erano semplici Marinai, con l’eccezione del Comandante e di tre suoi Vice, per un totale di ventidue (Ezio Banfi, Sergio Bedendo, Armando Berti, Emilio Biffi, Augusto Breda, Ettore Broggi, Gaetano Civolani, Ermanno Coppi, Francesco Demuru, Dino Aldo Fantechi, Rino Ferrini, Marino Gessi, Giuseppe Lauro, Salvatore Lusio, Giuseppe Mangolini, Luciano Medri, Aleandro Petrucci, Giuseppe Ricotta, Mario Sartori, Igino Sersanti, Mario Seu, Fabio Venturi). A questi Nomi si devono aggiungere quelli degli appartenenti alle suddette formazioni locali (Domenico Bevin, Francesco Declich, Francesco Menniti, Angelo Passuello, Antonio Poli, Francesco Scrivanich), sia pure con qualche riserva storiografica, come quella concernente Bevin, che avrebbe tentato la fuga, salvo essere intercettato e ucciso poco più tardi.

(2) - Maggiori dettagli circa la prassi delle esecuzioni sommarie perpetrate dagli assassini di Ossero è reperibile nella tesi di laurea di Aurora Carnio, Eccidi della Seconda Guerra mondiale”, parzialmente pubblicata in “Panorama / News”,  Milano 12 luglio 2023. In particolare, l’Autrice, avendo partecipato alle operazioni di analisi delle Spoglie appartenenti ai Caduti del 22 aprile 1945, riferisce che la loro fine non è attribuibile alla semplice fucilazione, perché “circa metà dei militari aveva ricevuto un colpo d’arma da fuoco alla nuca”. Inoltre, “gli aguzzini avevano usato anche una mazza ferrata e un altro corpo contundente per fracassare la testa” delle Vittime, con lesioni craniche di varia natura. Al riguardo, non meno importante è la testimonianza di Francesco Introna, Direttore dell’Istituto di Medicina Legale di Bari (Ibid.) circa “l’accanimento con la mazza ferrata e la tortura nel totale disprezzo dell’essere umano”: in effetti, si trattava di “prigionieri che dovevano essere trattati come tali”, per cui non ci sono dubbi che, al contrario, sia avvenuto un vero e proprio “crimine di guerra”.

(3) - Conviene ricordare che il 21 aprile, quando il reparto aveva esaurito le munizioni e si vide forzatamente costretto alla resa, il Marinaio Mario Sartori si tolse la vita con l’ultimo colpo di rivoltella per non cadere in mano del nemico. Ecco un gesto che avrebbe assunto un particolare valore morale, indotto dalla triste conoscenza della prassi partigiana di “non prendere prigionieri”. Da questo punto di vista, l’episodio di Ossero, sopraggiunto tre giorni prima della fine ufficiale del conflitto in territorio italiano (25 aprile), assume un valore morale tutto suo, assieme ai tanti che lo avevano preceduto durante la Seconda Guerra mondiale, e in particolare, dall’otto settembre in poi: non è certamente facile decidere in un istante di resistere per la difesa dell’onore, nella tragica consapevolezza di quale sarebbe stata la prevedibile conclusione.

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Cenno bibliografico redazionale – Giorgio Gandola, “I resti degli infoibati dimenticati tornano alle famiglie dopo 80 anni”, «La Verità», 27 dicembre 2024, p. 19.

 

Progetto e testi di Carlo Cesare Montani. Networking di Marco Birin e Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Copertina: Bari, Sacrario militare dei Caduti d’Oltremare, 13 dicembre 2024, Cerimonia di tumulazione dei resti mortali dei Caduti di Ossero (Istria). Collezione Carlo Cesare Montani. Altre fotografie dal web con relative fonti. Lettori: Carlo Cesare Montani, Bruna Zuccolin, Bruno Bonetti, Sergio Satti, decano dell’ANVGD Udine, Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo) Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine.

Ricerche presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin, che fa parte pure del Consiglio nazionale del sodalizio e, dal 2024, è Coordinatore dell’ANVGD in Friuli Venezia Giulia. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/


giovedì 9 maggio 2024

La libertà e un mandarino. Testimonianza di Massimo Speciari esule di Fiume in Brasile, 1951

Buongiorno, gentile Massimo Speciari, nato a Fiume nel 1937: come era la vita nel Centro smistamento profughi di Udine? Ricorda qualcosa? Grazie. “Siamo rimasti solo pochi giorni a Udine, era il 1951 – ha detto il testimone – poi siamo partiti subito per il Campo profughi di Servigliano e da lì per il campo IRO, poi in nave per il Brasile. La mia mamma, Anna Stradiot Speciari fece domanda di opzione per l'Italia nel 1947”. 

Carta del Registro stranieri di San Paolo del Brasile, del 14 luglio 1952, intestata a Massimo Speciari.  Collezione Massimo Speciari

Il comune di Servigliano è in provincia di Fermo, nelle Marche. Si ricorda che l’IRO era l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati ("International Refugee Organization" = IRO) che organizzò partenze delle navi di migranti da Bagnoli, presso Napoli, verso le Americhe e l’Oceania.

“Io mi ricordo che appena arrivati a Udine verso sera, da Fiume, eravamo tutti affamati – ha aggiunto Speciari – ci hanno dato la cena più un mandarino che io ho salvato per consumarlo più tardi. Durante la notte mi sono svegliato per gustarmelo e ho mangiato anche le scorze. Erano proprio buone tutte quelle bucce del mandarino da tanta fame che avevo, perché eravamo partiti da Fiume alla mattina, siamo stati tutto il giorno in treno senza mangiare niente, non lo dimenticherò mai quel mandarino. Un abbraccio Fiumano dal Brasile”.

Il transito dal Campo profughi di Bagnoli della famiglia Speciari-Squasa è documentato da una carta d’imbarco dell’Archivio di Bad Arolsen (Germania). Si tenga presente che gli Archivi Arolsen sono un Centro internazionale di documentazione sulla persecuzione nazista. Costituiscono l’archivio più completo al mondo riguardo alle vittime e i sopravvissuti del nazionalsocialismo. Lì sono confluiti pure certi documenti sui movimenti dei rifugiati nel dopoguerra. Si deve sapere che determinati Campi di concentramento nel dopoguerra vennero utilizzati per accogliere rifugiati, sfollati, apolidi e optanti per l’Italia provenienti dall’Istria, Fiume e Dalmazia appena annesse alla Jugoslavia, secondo il trattato di pace del 10 febbraio 1947. Erano i Campi IRO e furono utilizzati per il disbrigo delle pratiche concernenti l’emigrazione, solitamente Oltre oceano.

Ruolo nominale del trasporto via nave, il penultimo nucleo familiare in elenco è quello della famiglia Squasa Speciari, partita da Bagnoli (NA) il 27.11.1951. Arolsen Archives, Bad Arolsen, Germany

C’erano Campi IRO a Trieste, a Carinaro (CE), a Trani (BA), a Pagani (SA), a Bagnoli, di Napoli, a Palese (BA) e in altre parti d’Italia. Ce n’erano anche in certi paesi d’Europa, come a Bremerhaven, Aurich e a Berlino (Germania), come hanno raccontato i Salucci Bazzara, passando dall’Istria all’Australia, con incubi tremendi sulle uccisioni nelle foibe.

Reso pubblico da poco tempo, il documento di Arolsen, alla data del 27 novembre 1951, nel porto di Bagnoli, contiene il riferimento a Eugenio Squasa, nato a Fiume nel 1917, patrigno del nostro testimone, di mestiere carpentiere in legno. Il documento lo cita come: “Squassa”. Poi c’è Anna Stradiot, già vedova Speciari, la mamma di Massimo, nata a Fiume nel 1912, sotto l’Austria-Ungheria. Ci sono, infine, i fratelli del testimone, tutti nati a Fiume: Aldemira Speciari, fu Gualtiero, detta Mira, nata nel 1935 e Gualtiero Speciari, detto Walter, nato nel 1939. Poi c’è un fratellastro: Angelo Cantiello del 1941.

Udine, marzo 1951, Eugenio Squasa (patrigno di Massimo Speciari) e sua moglie Anna Stradiot, vedova Speciari, sul cavalcavia della stazione, vicino al Centro smistamento profughi. Collezione Massimo Speciari

Dai documenti familiari si sa che Eugenio Squasa ottiene la qualifica di profugo per sé e tutti i familiari il 31 dicembre 1951 dal prefetto di Ascoli Piceno, dato che Servigliano, a quel tempo, era in provincia di Ascoli Piceno. Si viene a sapere, com’era d’uso, che il prefetto nel concedere la qualifica al richiedente sentì “il parere del Comitato Provinciale Venezia Giulia e Dalmazia, sede di San Benedetto del Tronto”. Quest’ultimo comune italiano è della provincia di Ascoli Piceno, nelle Marche.

La famiglia fiumana Speciari Squasa sbarcò a Rio de Janeiro il 30 gennaio 1952 in esilio e cominciò una nuova vita, molto lontano dal Golfo del Quarnaro.

Per sfuggire alle violenze titine e col desiderio di libertà, in conclusione, si sa che circa 70 mila esuli giuliano dalmati emigrarono in Canada, Argentina, Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Brasile e altri parti del globo, mediante l’intervento dell’IRO (Micich M 2023 : 155).

Attestato di profugo di Eugenio Squasa e 5 familiari, tra i quali Massimo Speciari, rilasciato dalla Prefettura di Ascoli Piceno il 31 dicembre 1951. Collezione Massimo Speciari

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Fonte digitale – Massimo Speciari, Fiume 1937, esule a Itatiba, San Paolo, Brasile; messaggi in Messenger dei giorni 8-10 aprile 2024 ed autorizzazione alla pubblicazione del giorno 8 maggio 2024.

Fonte archivistica (consultazione del 2.5.2024) – Arolsen Archives, Archiv zu den Opfern und Überlebenden des Nationalsozialismus, Bad Arolsen, Deutschland, personen Speciari Massimo, geburtsdatum 12.08.1937 geburtsort Fiume. Doc. ID: 81730254

 

Cenni bibliografici e del web 

- Marino Micich, "Il lungo esodo dall'Istria, Fiume e Zara (1943–1958)", in: Giovanni Stelli, Marino Micich, Pier Luigi Guiducci, Emiliano Loria, Foibe, esodo, memoria. Il lungo dramma delle terre giuliane e dalmate, Roma, Aracne, 2023, pp. 67-177.

- E. Varutti, Vines. Mio marito con Harzarich in foiba a tirar su italiani uccisi dai titini, on line dal giorno 8 ottobre 2020 su  evarutti.wixsite.com

Dichiarazione della Scuola Magistrale Italiana di Fiume circa la frequenza della quarta classe di Massimo Speciari, rilasciata il 23 marzo 1951. Notare la sigla finale “M. F. – L. P.” che sta per: “Morte al fascismo - Libertà a popoli”. Collezione Massimo Speciari

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Progetto e attività di ricerca di: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Massimo Speciari, Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Bruno Bonetti, la professoressa Elisabetta Marioni (ANVGD di Udine), i professori Stefano Meroi e Enrico Modotti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e ANVGD di Arezzo. Copertina: Documento brasiliano dal Registro stranieri di Massimo Speciari. Fotografie della collezione di Massimo Speciari, esule in Brasile. Ricerche per il blog presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Oltre a ringraziare la direzione degli Archivi di Arolsen, grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Sito web: https://anvgdud.it/

Centro smistamento profughi Udine, 1957; fonte: ISTORETO, Torino

Passaporto di sola andata di Anna Stradiot Speciari tra gli altri con i timbri, del 1951, del Centro smistamento profughi di Udine e del Centro raccolta profughi di Servigliano. Collezione Massimo Speciari


"Abbiamo viaggiato sottocoperta (ultima classe) con la nave 'Florida' fino in Brasile" - ha raccontato Massimo Speciari. Ricerche di Massimo Speciari, di Fiume, esule a Itatiba, San Paolo, Brasile


mercoledì 17 gennaio 2024

Giovanni Fio, dalmata di Lesina, esule a Bari, in Trentino e a Udine dopo il 1943

“Se può interessare – ha detto Sergio Marino – racconto una vicenda che vissero mio suocero e mia suocera, italiani fuggiti dalla Dalmazia. Questo fatto me l’ha riferito mio suocero Giovanni Fio, ora deceduto, quando lo accompagnai per la prima volta a Lesina, o Hvar, come si chiama in croato, verso il 1998-1999. Mi ha raccontato che fuggì dalla sua città con la moglie Antonietta Fabris, rifugiandosi a Bari. Abbandonarono tutto, casa e terreni in centro del paese. Riuscì a lavorare subito come cuoco di albergo, poi andò a San Martino di Castrozza (TN), a Tarvisio (UD) presso l’Hotel ‘Lussari’ e infine a Udine nell’Hotel ‘Cristallo’. Noi andammo a Lesina a rivedere i luoghi della loro infanzia, la casa e i terreni. La casa era stata occupata da tre famiglie dell’entroterra. Per quello che so, in tanti anni ha cercato di avere dei rimborsi dallo stato italiano per i danni subiti, ma non ha mai avuto nulla. A Lesina vive ancora suo fratello più giovane che abbracciò la causa di Tito, forse per convenienza – ha concluso Sergio – è un piccolo impresario edile che ha diversi figli emigrati in America”. 

Lesina 18 novembre 1918. Accoglienza alle truppe italiane. Cartolina a cura del Circolo Dalmatico “Jadera” di Trieste nel decennio della sua costituzione 1960-1970. Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine


Giovanni Fio nacque a Lesina il 16 gennaio 1925 e morì a Udine il 2 febbraio 2005. Il suo funerale si celebrò nella chiesa parrocchiale della Beata Vergine del Carmine in via Aquileia, assai nota agli esuli giuliano dalmati. Sua moglie Antonietta Fabris nacque il 3 ottobre 1925 e morì a Udine il giorno 11 novembre 2022. Il loro esodo da Lesina risale, probabilmente, al settembre 1943 dato che in seguito all’invasione comunista jugoslava furono interrotti i collegamenti con la Puglia 
Antonietta Fabris raccontò varie volte ai figli e nipoti che la fuga da Lesina fu così precipitosa “da lasciar la pentola de la pastasuta sul fogo”. Poi con una barca si rifugiarono in un’isola vicina, nutrendosi per una settimana di sola uva dalle viti, in mancanza di altro cibo, fino ad avere la possibilità di un’altra imbarcazione diretta in Puglia.

Esodi e fucilazioni – Nel mese di novembre 1918 la gente italiana di Lesina, con bandiere bianco-rosso e verdi e la fanfara aspettarono sulla riva l’arrivo delle navi italiane, ma l’isola fu assegnata al Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Diverse famiglie italiane di Lesina, con molte vestigia veneziane, allora dovettero affrontare un primo esodo nel 1920. In seguito a tali spostamenti forzati, gli italiani si riversarono nella vicina Lagosta, unica tra le grandi isole dalmate assegnata al Regno d’Italia dal trattato di Rapallo, oppure a Zara, unica città dalmata annessa al Regno d’Italia, o a Fiume. Nonostante le leggi antitaliane dei nuovi arrivati, nel 1927, si contavano sull’isola 509 italiani, concentrati soprattutto a Lesina città. Dal 1941 al 1943 Lesina fece parte del Governatorato della Dalmazia, pertinenza amministrativa del Regno d’Italia. 

Udine, Hotel Cristallo, piazzale D’Annunzio, cartolina viaggiata 1965


Altri dalmati italiani di Lesina furono costretti ad andar via con l’arrivo dei violenti titini, dopo il 1943, trasferendosi in Puglia o in altre regioni italiane. Non giovarono ai rapporti fra croati e italiani le rappresaglie partigiane, né il comportamento delle truppe italiane, come i reparti delle camicie nere. Il giorno 11 settembre 1943 Guido Rocchi Lusic, di 68 anni, venne prelevato dai titini jugoslavi nella “Casa del Vecchio” e portato, insieme a una bara, nel cimitero di Lesina. Venne arrestata anche la figlia Dora di 24 anni. In piena notte, abbracciati, furono fucilati mentre gridavano: “Viva l’Italia”. Nello stesso cimitero venne fucilato Fortunato Marchi, dopo essersi scavato la fossa, come riportato da Wikipedia, alla voce “Lesina (isola)”.
 L’isola di Lèsina (in croato Hvar, in dialetto locale ciacavo Hvor o For, in greco antico Phàros, Φάρος, in latino Pharia) è la più lunga fra le isole della Dalmazia, situata nel mare Adriatico tra le isole di Brazza, Lissa e Curzola. L’isola, ha 11.077 residenti (dati del 2015), che ne fanno la quarta più popolosa delle isole della Croazia. È una ricca fonte di turismo sin dai primi del Novecento. L’esodo del 1943-1945 portò molti dalmati di Lesina verso la Puglia. Si sa che in terra di Bari c’erano ben otto Centri raccolta profughi. Come ha scritto Nico Lorusso “in terra di Bari i CRP erano otto”, per un totale di oltre due mila posti. Quello di via Napoli fu edificato verso il 1935, quando c’era la guerra d’Etiopia. Con l’arrivo degli alleati angloamericani prese il nome di “Campo Badoglio” e fu destinato a custodire i prigionieri tedeschi. Poi accolse gli Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia come si vede dalla tabella n. 1.

Tab. n. 1 – Centri raccolta profughi a Bari e vicinanze 1949-1956

Nome di CRP

Anno

Via o località

N° posti

Piazza San Sabino

1952

Bari vecchia. Dietro la Cattedrale, nello stabile di una caserma della Guardia di Finanza, poi Facoltà di Teologia

146

Santa Chiara

 

Bari vecchia. Qui c’era la direzione dei CRP d Bari. Danneggiato nel 1945 da scoppio nave “Henderson”, poi “Casa del Profugo”. Ora sede dei Beni culturali

270

Positano

 

Bari vecchia. Caserma “Regina Elena”, ex convento di San Francesco alla Scarpa, poi sede Soprintendenza

328

Le Baracche

1952

Via Napoli, ex Campo “Badoglio” per prigionieri tedeschi

420

Lido Massimo a Fesca

1952

Colonia “Ferruccio Barletta”

240

Altamura

1950

 

500

Barletta

1950

ex Caserma “Ettore Fieramosca”

200?

Santeramo in Colle

1950

 

200?

Fonti: N. Lorusso, “Quell’esodo dei mille dall’Egeo, Noi italiani, trattati come stranieri”, «la Repubblica», 17 febbraio 2004. Katia Moro, “Il Villaggio Trieste di Bari, lì dove trovarono rifugio mille profughi”, nel web «Barinedita» dal 16 aprile 2015. Testimonianza di Sergio Servi, Bari, del 18.11.2017, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea 'Giorgio Agosti'. Messaggio in Facebook, del 24 ottobre 2019, nel gruppo “Un Fiume di Fiumani!” di Giancarlo Straub, Castellaneta (TA); permesso di diffusione nel blog del 15 dicembre 2022.

Cartolina viaggiata dell’Hotel “Elisabeth” di Lesina-Hvar, 1912. Editore B. Kovačević. Fotografo P. Ruljančić. Collezione privata

Fonti orali, digitali e ringraziamenti - Sergio Marino, Udine 1950, int. del giorno 11 novembre 2023 e 10 gennaio 2024 a Udine con e-mail del 18 maggio, 10 novembre 2023 e 17 gennaio 2024. Grazie a Sara Marino, figlia di Sergio, per la ricerca genealogica familiare sui suoi nonni dalmati di Lesina. Grazie al professor Guido Rumici, ANVGD di Gorizia, per la collaborazione alla ricerca.  

- Sergio Servi, Parenzo 1939, messaggi in Facebook del 18-20 novembre 2017.

Collezioni private e archivi

- Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine, cartolina del 1918.

Bibliografia

- Nico Lorusso, “Quell’esodo dei mille dall’Egeo. Noi italiani, trattati come stranieri”, «la Repubblica», 17 febbraio 2004.

- Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia, Firenze, Le Lettere, 2007.

- Katia Moro, “Il Villaggio Trieste di Bari, lì dove trovarono rifugio mille profughi”, nel web dal 16 aprile 2015.

- Giuseppe Rizzo, “I magnaccioni dei centri”, on-line dal 13 luglio 2017.

- Marzio Scaglioni, La presenza italiana in Dalmazia, 1866-1943, Università di Milano, Facoltà di scienze politiche, anno accademico 1995-1996. Tesi di laurea, relatore prof. Edoardo Bressan, correlatore prof. Maurizio Antonioli.

– E. Varutti, Campo profughi Le Baracche e gli altri CRP di Bari, on line dal 21 novembre 2017 su eliovarutti.blogspot.com

Progetto del professor Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Primo lettore: Sergio Marino. Altri lettori: Emilio Fatovic, Livio Sessa, Bruno Bonetti, Claudio Ausilio, i professori Annalisa Vucusa, Ezio Cragnolini e Elisabetta Marioni. Aderiscono il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’ANVGD di Arezzo.

Ricerche e Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Copertina: Lesina 18 novembre 1918. Accoglienza alle truppe italiane. Cartolina a cura del Circolo Dalmatico “Jadera” di Trieste nel decennio della sua costituzione 1960-1970. Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine. Altre fotografie dalle fonti citate e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

Comunità Italiani di Lesina -Zajednica Talijana Hvar. Foto da Facebook