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martedì 31 dicembre 2024

OSSERO - MEMORIA DELLA STRAGE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Carlo Cesare Montani sul seguente argomento: “Tumulati a Bari i resti mortali dei marò uccisi dai titini a Ossero”. Fu un tragico fatto della seconda guerra mondiale sull’Isola di Cherso, in Istria. A cura di Elio Varutti.

Un delitto contro gli Italiani per mano slava - 22 aprile 1945

BARI - SACRARIO DEI CADUTI D’OLTREMARE - 13 DICEMBRE 2024

Bari, Sacrario militare dei Caduti d’Oltremare, 13 dicembre 2024, Cerimonia di tumulazione dei resti mortali dei Caduti di Ossero (Istria). Collezione Carlo Cesare Montani

Nel segno della pietas dovuta a tutti i Caduti, e più specificamente a quelli della Seconda Guerra mondiale, un’attenzione particolare spetta a quanti furono Vittime dell’odio slavo durante la plumbea stagione degli ultimi giorni di belligeranza nei territori prossimi al confine orientale. Ciò, con speciale riguardo ai ventisette Italiani che fecero Olocausto della vita dopo una lotta senza scampo contro gli invasori slavi sbarcati nelle isole adriatiche del Golfo di Fiume a decorrere dal 19 aprile 1945. 

Il risultato era già scritto perché un solo centinaio di appartenenti a reparti dell’Asse italo - tedesca, preposto a difesa dell’arcipelago, non aveva speranze di sorta, a fronte di una massiccia offensiva jugoslava, largamente supportata dai forti trasporti marittimi degli Alleati. Questi avevano la disponibilità di quasi cinquemila uomini in armi - trasportati da una decina di navi da guerra - destinati in tempi immediatamente successivi a proseguire per l’Istria, e infine per Trieste, dove il primo maggio occuparono la città per i terribili “quaranta giorni” di nequizie e di delitti. 

Nonostante l’eroica resistenza in difesa di Ossero proseguita fino all’ultima cartuccia, la resa di quel manipolo di prodi, comprendente in larga maggioranza combattenti della Decima Flottiglia MAS comandati dal Capitano Dino Fantechi, e completato da alcuni appartenenti alle formazioni territoriali di stanza nell’arcipelago (1), ogni ipotesi di salvezza fu impossibile. Infatti, gli invasori senza divisa propria (alcuni indossavano quelle americane o britanniche), in spregio delle norme di diritto internazionale bellico che tutelano la vita dei militari fatti prigionieri ne avevano sentenziato la fucilazione seduta stante; nel caso di specie, con l’allucinante aggiunta di doversi scavare le due fosse comuni in cui i nuovi Martiri, dopo l’iniqua esecuzione, avrebbero trovato un’affrettata sepoltura anonima e collettiva (2).

Il ripudio della pietas ebbe un’ultima appendice nel rifiuto di qualsiasi conforto religioso, in criminale coerenza con l’ateismo di Stato conforme alle inveterate vocazioni del verbo comunista, ed alle conseguenti persecuzioni indiscriminate a danno di cittadini incolpevoli, ivi compresi sacerdoti, suore, uomini e donne di fede.

Immagine da Facebook: " I marò di Ossero", maggio 2024

Conviene aggiungere che il 25 aprile, trascorsi appena tre giorni dalla strage, gli invasori si fecero premura di annunciare tout court l’avvenuta annessione delle Isole in questione da parte jugoslava, e contestualmente, l’obbligo di coscrizione militare immediata nelle file dell’Armata Popolare per tutti gli abitanti appartenenti alla classe 1900 ed a quelle immediatamente successive, con una pronunzia unilaterale d’emergenza, a sua volta in evidente opposizione alle norme internazionali vigenti.

L’episodio di Ossero mette in luce, oltre all’abissale sproporzione tra le forze in campo, l’eroica decisione dell’ultima resistenza al nemico largamente maggioritario, presa all’unanimità. Nessuno ebbe la tentazione di una facile resa che avrebbe consentito - se non altro - di sperare in un esito diverso, iniziando un confronto davvero epico e tanto più commendevole in una stagione che dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943 aveva visto la dissoluzione di parecchie formazioni militari e l’abbandono delle divise, alla ricerca di un qualsiasi rifugio. Se non altro, fu la salvezza dell’onore italiano (3).

Sono trascorsi 80 anni da quegli orribili episodi bellici, in un silenzio assordante interrotto di tanto in tanto dalla memoria di pochi reduci, fino a quando, grazie all’avvento della Legge 30 marzo 2004 n. 92 – approvata quasi all’unanimità e voluta con forte intento patriottico e civile dal primo firmatario On. Sen. Roberto Menia, presente alla cerimonia di Bari e partecipe della comune commozione - le indagini storiografiche, seguite da quelle sul campo, è avvenuto il “miracolo” di recuperare le Spoglie mortali di questi Martiri. Il programma si è completato con la loro identificazione maggioritaria, e infine, con l’accoglienza nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare per essere affidati alla pietas delle future generazioni e all’ammirazione dei patrioti. Se non altro, si tratta di un messaggio destinato a promuovere effetti non transeunti, perché in grado di parlare al cuore e alla mente degli Italiani.

Nell’austera e composta atmosfera del coinvolgente Sacrario pugliese, il 13 dicembre 2024 ha avuto luogo la toccante cerimonia di benedizione delle Spoglie e della conseguente unione alle 75 mila Vittime del secondo conflitto mondiale che, a decorrere dall’inaugurazione con l’intervento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat nell’ormai lontano 1967, vi hanno trovato onorata sepoltura (con l’eccezione dei quattro Caduti per cui, a richiesta delle rispettive famiglie, sono state accolte le domande di trasferimento nei luoghi d’origine) .

Il Sacrario di Bari, con il volgere del tempo e con la progressiva acquisizione di nuove Spoglie, comprese quelle di Caduti che non scomparvero in terre lontane ma in quelle contigue, se non anche nella stessa Madrepatria come accadde per quelli di Ossero, a difesa delle isole di Lussino e Cherso, romane e veneziane per millenni, infine annesse all’Italia a conclusione della Grande Guerra contro l’Austria, è stato in grado di acquisire dimensioni che non é azzardato definire universali, e come tali, degne di attenzioni analoghe.

Foto al web. Gruppo di Facebook “I marò di Ossero

Al pari di Redipuglia,  di El Alamein e dei tanti altri Sacrari che accolgono le Spoglie di troppi Caduti dei due conflitti mondiali, e non solo, quello del capoluogo pugliese è una struttura che persegue ottimamente il nobile intento di ricordare, in specie a ignari e posteri, l’immensità dei sacrifici che sono stati idonei a creare una coscienza civile e nazionale non effimera, bensì profondamente inserita nello “Spirito del popolo”, in misura non ancora completa e tuttavia, con una consapevolezza più matura e più convinta dei Valori che avevano presieduto a quei sacrifici compiuti con la “mente pura” di Giambattista Vico, in specie da parte degli umili.

La cerimonia, caratterizzata da un’alta e sentita commozione, ha trovato nell’intervento del Gen. C.A. Andrea Rispoli, responsabile del Sacrario, un momento di particolare solennità condivisa, in specie nell’affermazione secondo cui “garantire degna sepoltura a tutti i Caduti dei conflitti è un dovere morale e civile dello Stato”. Il culmine è stato raggiunto nei momenti in cui l’Ordinario Militare ha provveduto alla Benedizione delle Spoglie di ciascun Caduto, seguita dall’omaggio dell’incenso, simbolo di ascesa celeste: ciò, quasi a celebrarne l’assunzione spirituale nel cielo degli Eroi che hanno servito la Patria fino all’estremo sacrificio, col solo conforto della coerenza con l’impegno di fede e di osservanza del dovere, accolto con spontanea convinzione, e con esemplare continuità d’intenti. Considerazioni analoghe valgono per quando, alla fine della cerimonia, si sono udite le note del Silenzio, magistralmente intonate in un’atmosfera quasi surreale.

L’episodio di Ossero, al pari di tanti altri, costituisce un delitto contro l’umanità caratterizzato da momenti di particolare efferatezza, tra cui la tortura, l’oltraggio preventivo e postumo alle Vittime, il tentativo di occultare le prove del misfatto, la negazione programmata di ogni conforto e delle stesse leggi di guerra.

Si è trattato - giova aggiungerlo - di una condivisione comune a tutti coloro che erano presenti a Bari, sia militari sia civili, ivi compresi diversi familiari dei Caduti, alcuni dei quali erano giunti da comprensori lontani, quali quelli di Marche, Romagna, Sardegna e Toscana, a dimostrazione del fatto che, nonostante lo scorrere irrevocabile degli anni, la memoria storica degli Italiani resta visibilmente prescrittiva, e sempre idonea al perseguimento delle “egregie cose” di poetica ispirazione risorgimentale, e con esse, alla nobile conservazione di una salvifica “eredità d’affetti” destinata a vita eterna.

                                     Carlo Montani - Esule da Fiume

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Recuperati i resti di 27 Caduti di Ossero foto del 2019 da www.difesa.it

Annotazioni

 (1)   - i Caduti del 22 aprile 1945, a parte i “territoriali” della Guardia Nazionale Repubblicana, quasi tutti di nascita locale, erano originari di varie Regioni italiane, a conferma di una diffusa sensibilità patriottica. In particolare, gli appartenenti alla Decima MAS di cui sono conosciuti i luoghi di provenienza, erano nati, nell’ordine, in Emilia, Toscana, Lombardia, Sardegna, Liguria, Marche, Veneto e Svizzera. Per quanto riguarda il grado, in larga maggioranza erano semplici Marinai, con l’eccezione del Comandante e di tre suoi Vice, per un totale di ventidue (Ezio Banfi, Sergio Bedendo, Armando Berti, Emilio Biffi, Augusto Breda, Ettore Broggi, Gaetano Civolani, Ermanno Coppi, Francesco Demuru, Dino Aldo Fantechi, Rino Ferrini, Marino Gessi, Giuseppe Lauro, Salvatore Lusio, Giuseppe Mangolini, Luciano Medri, Aleandro Petrucci, Giuseppe Ricotta, Mario Sartori, Igino Sersanti, Mario Seu, Fabio Venturi). A questi Nomi si devono aggiungere quelli degli appartenenti alle suddette formazioni locali (Domenico Bevin, Francesco Declich, Francesco Menniti, Angelo Passuello, Antonio Poli, Francesco Scrivanich), sia pure con qualche riserva storiografica, come quella concernente Bevin, che avrebbe tentato la fuga, salvo essere intercettato e ucciso poco più tardi.

(2) - Maggiori dettagli circa la prassi delle esecuzioni sommarie perpetrate dagli assassini di Ossero è reperibile nella tesi di laurea di Aurora Carnio, Eccidi della Seconda Guerra mondiale”, parzialmente pubblicata in “Panorama / News”,  Milano 12 luglio 2023. In particolare, l’Autrice, avendo partecipato alle operazioni di analisi delle Spoglie appartenenti ai Caduti del 22 aprile 1945, riferisce che la loro fine non è attribuibile alla semplice fucilazione, perché “circa metà dei militari aveva ricevuto un colpo d’arma da fuoco alla nuca”. Inoltre, “gli aguzzini avevano usato anche una mazza ferrata e un altro corpo contundente per fracassare la testa” delle Vittime, con lesioni craniche di varia natura. Al riguardo, non meno importante è la testimonianza di Francesco Introna, Direttore dell’Istituto di Medicina Legale di Bari (Ibid.) circa “l’accanimento con la mazza ferrata e la tortura nel totale disprezzo dell’essere umano”: in effetti, si trattava di “prigionieri che dovevano essere trattati come tali”, per cui non ci sono dubbi che, al contrario, sia avvenuto un vero e proprio “crimine di guerra”.

(3) - Conviene ricordare che il 21 aprile, quando il reparto aveva esaurito le munizioni e si vide forzatamente costretto alla resa, il Marinaio Mario Sartori si tolse la vita con l’ultimo colpo di rivoltella per non cadere in mano del nemico. Ecco un gesto che avrebbe assunto un particolare valore morale, indotto dalla triste conoscenza della prassi partigiana di “non prendere prigionieri”. Da questo punto di vista, l’episodio di Ossero, sopraggiunto tre giorni prima della fine ufficiale del conflitto in territorio italiano (25 aprile), assume un valore morale tutto suo, assieme ai tanti che lo avevano preceduto durante la Seconda Guerra mondiale, e in particolare, dall’otto settembre in poi: non è certamente facile decidere in un istante di resistere per la difesa dell’onore, nella tragica consapevolezza di quale sarebbe stata la prevedibile conclusione.

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Cenno bibliografico redazionale – Giorgio Gandola, “I resti degli infoibati dimenticati tornano alle famiglie dopo 80 anni”, «La Verità», 27 dicembre 2024, p. 19.

 

Progetto e testi di Carlo Cesare Montani. Networking di Marco Birin e Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Copertina: Bari, Sacrario militare dei Caduti d’Oltremare, 13 dicembre 2024, Cerimonia di tumulazione dei resti mortali dei Caduti di Ossero (Istria). Collezione Carlo Cesare Montani. Altre fotografie dal web con relative fonti. Lettori: Carlo Cesare Montani, Bruna Zuccolin, Bruno Bonetti, Sergio Satti, decano dell’ANVGD Udine, Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo) Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine.

Ricerche presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin, che fa parte pure del Consiglio nazionale del sodalizio e, dal 2024, è Coordinatore dell’ANVGD in Friuli Venezia Giulia. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/


giovedì 27 febbraio 2020

Luigi Del Vita, bersagliere da Montevarchi ucciso nell’eccidio di Tolmino, 1945


I massacri dei titini, dopo il 1945, anche in Toscana come in altre parti d’Italia hanno lasciato qualche famiglia che non si dà pace per la perdita di un proprio parente. C’è da dire che l’Italia di Mussolini, con Hitler e soci, aveva invaso la Jugoslavia nel 1941. Poi mutarono le sorti del conflitto.

Succede a Montevarchi, in provincia di Arezzo, un comune italiano di 24.481 abitanti. È il caso di Luigi Del Vita, un bersagliere diciannovenne del Reggimento Volontari “L. Manara”, I Battaglione “B. Mussolini”. È figlio di Mario, nato a Montevarchi (AR) il 14/09/1926. La data della sua scomparsa o uccisione è fissata al mese di maggio 1945 in località “Tolmino-Santa Lucia”, nella provincia di Gorizia del Regno d’Italia, oggi Slovenia. Questi sono dati contenuti nell’Elenco “Livio Valentini”, Caduti Repubblica Sociale Italiana, disponibile in Internet. Del Vita stava nello stesso reparto del tenente Oscar Busatti, di Ferrara, di cui il redattore del blog presente ha già scritto qualche giorno fa.
In una fotografia della collezione familiare Luigi Del Vita si è fatto ritrarre in sella ad una bicicletta, con la sigaretta in mano, forse per mostrare qualcosa di più dell’età che aveva e la dedica è tutta per la “mamma Pasqualina”. La famiglia Del Vita era molto nota a Montevarchi, tanto che si ricorda il nonno Giustino, perché sin dal 1902 aveva aperto un’edicola cartolibreria, che divenne un punto di riferimento in paese (Vezzosi; vedi in Bibliografia). Nonno Giusto in effetti è citato, a pag. 1626, come “cartolaio” del mandamento di Montevarchi nell’Annuario d’Italia, Guida generale del Regno, Roma, Bontempelli, anno XIV, disponibile alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.
Il bersagliere Del Vita Luigi di Montevarchi, classe 1926, della 3^ compagnia è fra i 79 uccisi, dopo la fine della guerra, nella caverna a Tolmino. Poi i titini minano l’ingresso della grotta e fanno saltare in aria il varco, per cancellare le prove dell’orribile strage. Il suo nominativo sta nella lista ufficiale alla quale fa riferimento Onorcaduti Italia per il recupero delle salme, in collaborazione con la corrispondente Onorcaduti della Slovenia. Nel 2018 Onorcaduti della Croazia ha collaborato fattivamente per l’esumazione di nove resti umani nella fossa comune di Castua, presso Fiume, eliminati dai titini il 4 maggio 1945, tra i quali sono state identificate le spoglie del senatore Riccardo Gigante e del vicebrigadiere dei Carabinieri Alberto Diana. Alcuni di tali resti ossei, oggi, riposano nel Tempio Ossario di Udine.
Sebastiano Pio Zucchiatti, 79 bersaglieri uccisi dai titini nella caverna di Tolmino, pastelli su cartoncino, cm 21 x 29, 2020 (courtesy dell’Artista)

Anche in base alle ricerche di Luigi Papo: “Del Vita Luigi, nato nel 1926 a Montevarchi, bersagliere [risulta] prigioniero nella ‘gabbia’ di Tolmino, ucciso nei primi del maggio 1945”. Si allude, forse, ad una cancellata che chiudeva l’ingresso della caverna. È menzionato dal Ministero degli Esteri Sloveno lo stesso Del Vita Luigi, secondo Nataša Nemec, ricercatrice di Nova Gorica (Slovenia) con la seguente dicitura, mostrando un lieve errore nel cognome: “De Vita Luigi, bersagliere”.
Alcune notizie sono emerse da una comunicazione e-mail a Claudio Ausilio, del 20 febbraio 2012, di Francesca-Paola Montagni Marchiori, che gestisce l’archivio storico del battaglione ed è responsabile del gruppo famigliari dei caduti e assassinati del Battaglione presso I Battaglione Bersaglieri Volontari. “Gli artefici del ritrovamento – ha scritto Francesca-Paola Montagni Marchiori – sono stati i reduci con l’aiuto dell’esule da Tolmino Dott. Liberini che da bambino fu testimone dei fatti [allora egli] ha steso una accurata perizia consegnata dai reduci a Onorcaduti del Ministero della Difesa e che è il documento che identifica i siti e sul quale si sono basate le indagini geofisiche dei periti geologi. Inoltre il battaglione fu fondato e aveva il suo comando a Verona e nacque dalle ceneri dell’8 Reggimento”.
Luigi Del Vita, in abiti borghesi, in una fotografia della collezione familiare, con tenera dedica alla mamma Pasqualina

Titini a Gorizia coi consiglieri sovietici
È risaputo che l’occupazione di Gorizia da parte dei miliziani di Tito, assistiti da consiglieri sovietici, durò 40 giorni, durante i quali furono arrestati centinaia di italiani. Gli artificieri iugoslavi fecero persino saltare i ponti sull’Isonzo, rallentando così l’arrivo delle truppe alleate, per procedere meglio alla caccia degli italiani, innalzando i cartelli "Gorica je naša" (Gorizia è nostra). Poi puntarono sul Tagliamento. Esiste un elenco di 651 civili e militari arrestati a Gorizia e deportati dai titini fra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 che, pur necessitando di ovvi aggiornamenti, rappresenta il teatro delle eliminazioni al confine orientale. In ogni pattuglia titina aggirantesi per la città con tanto di elenco, durante la cattura, partecipa pure un partigiano garibaldino italiano, per individuare meglio i potenziali catturandi (Scomparsi Da Gorizia, pag. 18).
Riguardo alla presenza di consiglieri russi Antonio Zappador, esule istriano, ha riferito che a Verteneglio due militari ucraini, in veste di consiglieri sovietici, avendo riconosciuto sua madre Olga Alexsandrovna Rackowsckij, della nobiltà ucraina, le si sono inginocchiati accanto baciandole la veste, alla faccia dell’uguaglianza socialista.
Luigi Del Vita, foto dal giornale "La Nazione", Cronaca di Arezzo del 1° agosto 1995, che si ringrazia per la pubblicazione e diffusione nel blog

Fonti orali e del web
- Comunicazione e-mail a Claudio Ausilio, di Montevarchi (AR) del 20 febbraio 2012, di Francesca-Paola Montagni Marchiori sull’eccidio della caverna di Tolmino.
- Antonio Zappador, Verteneglio 1939. Intervista di Elio Varutti del 23 febbraio 2020 a Fossoli di Carpi (MO).

Ringraziamenti
Per il presente articolo la redazione del blog è riconoscente al signor Claudio Ausilio, esule da Fiume e socio dell’ANVGD di Arezzo, che ha fornito gentilmente i materiali di ricerca, nonché la fotografia del bersagliere scomparso, contattandone i suoi familiari e proseguendo una tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine. Si ringrazia Giovanni Doronzo per la fotografia di Dignano d'Istria. Grazie a Daniela Zatta, discendente di Del Vita per l'immagine del suo caro parente.

Collezione familiare
Daniela Zatta, nipote di Luigi Del Vita, Montevarchi (AR), fotografia.

Cenni bibliografici
- Annuario d’Italia, Guida generale del Regno, Roma, Bontempelli, anno XIV.
- Associazione Congiunti dei Deportati in Jugoslavia, Gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945, a cura del Comune di Gorizia, Gorizia, 1980.
- Guglielmo Vezzosi, “Massacrato. A guerra finita”, «La Nazione», Cronaca di Arezzo, 1 agosto 1995 (o 1° settembre).

Sitologia
Giovanni Doronzo, Muro di Dignano d'Istria con storiche pitture, febbraio 2020 (courtesy dell'Autore)
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Testi e ricerche di Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo che si ringraziano per la cortese concessione alla diffusione e pubblicazione nel blog presente e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI – 33100 Udine.– orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

mercoledì 1 maggio 2019

Piccolo omaggio a Norma Cossetto, dall’ANVGD di Udine

A quasi 99 anni dalla sua nascita, noi la ricordiamo con queste parole. Dalle fotografie del cimitero di Santa Domenica di Visinada, oggi Croazia, si vede che la sua tomba reca solo il nome e la dicitura della “medaglia d’oro”. 

Le fu conferita nel 2005 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Sulla lastra di marmo nulla si legge riguardo al motivo della morte. Norma Cossetto era nata a Visinada il 17 maggio 1920 e fu uccisa e gettata nella foiba di Villa Surani, Comune di Antignana, il 4 o 5 ottobre 1943. Sedici partigiani di Tito l’avevano violentata e torturata prima di buttarla nella foiba ancor moribonda con altre persone tra le quali alcune donne, pure stuprate.
Ecco la motivazione della medaglia d’oro al valor civile: “Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio”.
Il cimitero di Santa Domenica di Visinada. Fotografia di Giovanni Doronzo

Segniamo qui di seguito le parole di una intervistata del 2014. Si tratta di Marisa Roman di Parenzo nel 1929, che ebbe alcuni parenti infoibati o massacrati dai titini. “Io ero adolescente – ha detto la Roman – e frequentavo la scuola magistrale di Parenzo e la mia insegnante di italiano era Norma Cossetto, che fu stuprata da 16 aguzzini, gettata nella foiba di Villa Surani e recuperata dai pompieri di Arnaldo Harzarich. Noi compagne di classe restammo sconvolte da quel fatto atroce. Come si fa a fare quelle cose?”.
La tomba della famiglia Cossetto. Fotografia di Giovanni Doronzo

Chi è il maresciallo Harzarich? È colui che dal 21 ottobre 1943 andò a riportare alla luce ben 84 salme nella foiba di Vines, presso Albona, in Istria, secondo «Il Piccolo» del 22 ottobre 1943. Dopo l’8 settembre 1943, con l’esercito italiano allo sfascio, i partigiani titini occuparono l’Istria. In quel frangente, per vendetta contro i soprusi patiti sotto il fascismo, effettuarono le uccisioni nelle foibe. “Mio zio Carlo Alberto Privileggi, fratello di mia madre – aggiunge la signora Roman – fu fatto prigioniero con altri ‘per accertamenti’, dissero e dalla caserma dei carabinieri di Parenzo i titini lo portarono al castello di Pisino”. Poi finì ucciso nella foiba di Vines, durante la pulizia etnica. 
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Girolamo Jacobson e E. Varutti. Fotografie di Giovanni Doronzo, che si ringrazia per la gentile concessione alla pubblicazione e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia 29 – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

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venerdì 5 ottobre 2018

Criminali nazisti alla sbarra, libro presentato a Udine, con IFSML e APO


Colpa o merito dei giornalisti? Quando un interlocutore la dice grossa e viene riportata dai mass-media, è difficile che egli affermi di essersi sbagliato. È meglio dare la colpa ai giornalisti, che hanno riportato la notizia con troppa enfasi.
Udine - Monica Emmanuelli, Paolo Pezzino, Marco De Paolis e Paolo Volpetti alla presentazione del libro sui crimini dei nazisti il 4 ottobre 2018. Fotografia di E. Varutti

Nel caso che segue, invece, i giornalisti si sono presi tanti meriti. A dirlo è stato Marco De Paolis, procuratore generale militare presso la Corte militare di appello di Roma. “Per fare arrestare Erich Priebke, responsabile della strage delle Fosse Ardeatine tutto nacque da un’inchiesta giornalistica – ha detto De Paolis – è così che è stato individuato a San Carlos de Bariloche, in Argentina e poi con i dovuti atti estradato e processato a Roma”.
Il magistrato De Paolis è coautore con Paolo Pezzino del volume intitolato La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013. Il testo è stato presentato a Udine il 4 ottobre 2018 presso la sala conferenze della Fondazione Friuli di Via Manin, in presenza di varie autorità militari e di un attento pubblico.
Udine, 4 ottobre 2018 - Sala Fondazione Friuli, tra le molte autorevoli autorità militari presenti anche il generale Luigi Federici. Fotografia di E. Varutti

L’occasione per tale interessante incontro è stata fornita a Udine dall’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione (Ifsml) e dall’Associazione partigiani Osoppo-Friuli (Apo). il volume di De Paolis e Pezzino, uscito nel 2016, è il primo testo della nuova collana I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia. L’originale iniziativa editoriale fa parte delle attività dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri – Rete dei 64 Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea per il 70° anniversario della Resistenza ed è stata realizzata con il contributo della Regione Toscana.
È stato Roberto Volpetti, presidente facente funzione dell’Apo di Udine, ad aprire l’incontro, ricordando le stragi e gli incendi dei paesi di Nimis, Attimis e Faedis perpetrati dai tedeschi. “Senza l’attività partigiana della Osoppo-Friuli – ha precisato Volpetti – queste terre sarebbero state annesse alla Jugoslavia fino al Tagliamento”. Ha poi preso la parola Monica Emmanuelli, direttrice dell’Ifsml, che ha voluto presentare la nuova collana editoriale, inaugurata dal volume di De Paolis-Pezzino, sottolineando il clima di collaborazione instauratosi tra l’Ifsml e l’Apo. “È molto interessante – ha concluso Emmanuelli – che in questi testi ci sia un approccio alla storia, con altre discipline come la giurisprudenza e l’archivistica, per corroborare il dato storico ed è con le iniziative come questa di oggi che noi intendiamo fare formazione della cittadinanza”.
Udine - Il pubblico in sala alla presentazione del volume La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013

Il primo coinvolgente relatore è stato Paolo Pezzino, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa. “Fare i processi dall’inizio di questo secolo contro i crimini commessi dai tedeschi – ha detto Pezzino – è un atto di giustizia e questo è un libro generale sul tema cui sono seguiti già il secondo volume sulla strage di Sant’Anna di Stazzema e sul massacro di 4000 militari italiani a Cefalonia, mentre nel secolo scorso tutto è stato insabbiato per ragioni di stato e della guerra fredda”. Ogni volume reca una parte storica e un’altra giuridica. “Fino al 1960 ci furono 700 indagini di polizia e carabinieri sui crimini nazisti – ha detto Pezzino – poi il tutto fu illegittimamente sottoposto ad una archiviazione provvisoria, che non esiste in campo giuridico”.
Nel 1994 fu scoperto il cosiddetto Armadio della Vergogna, che in realtà è l’intero archivio insabbiato nel 1960. Ecco perché il titolo del volume fa riferimento alla Difficile giustizia.
Come ha spiegato il giudice Marco De Paolis, che ha lavorato nei Tribunali di La Spezia, Verona e Roma. “Dal 2003 al 2008 ho attivato undici processi – ha detto De Paolis – e dal 2003 al 2013 ci sono state ben 57 condanne inferte ai criminali tedeschi, oltre alle sentenze di altri tribunali europei come quello tedesco”. Verso il 2001 i politici dicevano al magistrato di lasciar perdere, dato che non c’erano responsabili ancora in vita e poi c’era la prescrizione, ma “25 mila morti per atti criminali dell’esercito tedesco meritavano giustizia – ha spiegato De Paolis – forse è bene ricordare l’articolo 112 della Costituzione riguardo all’azione penale obbligatoria e poi c’è la imperscrittibilità dei fatti gravi, come gli eccessi militari delle Fosse Ardeatine e di altre stragi tedesche contro donne, vecchi e bambini italiani”.
Nel breve dibattito che è seguito all’incontro ha preso la parola il professor Furio Honsell per chiedere notizie ai relatori circa gli eccidi dei tedeschi in Friuli, come la strage di Avasinis. La risposta della Emmanuelli ha fatto riferimento agli atti del tribunale di Padova riguardo a certi eventi accaduti nella zona pordenonese. Tra il pubblico un signore goriziano ha voluto chiedere informazioni sui crimini italiani perpetrati in Slovenia e ciò che ne seguì. Il magistrato ha dovuto rispondere che i tribunali italiani si occupano di militari, perciò non sono di loro competenza certe efferatezze come le uccisioni nelle foibe, effettuate da miliziani. La conclusione della serata è, dunque, che il deficit di giustizia è incolmabile.


Chi è De Paolis?
Come si legge da un sito web dell’Apo: “Il dottor Marco De Paolis, ora Procuratore Generale Militare presso la Corte Militare di Appello di Roma all’epoca in servizio presso il piccolo ufficio giudiziario di La Spezia è riuscito ad istruire, in qualità di pubblico ministero, oltre 430 procedimenti di indagine per crimini di guerra. Di questi, 313 definiti tra i 2002 e il 2008 e undici conclusi dal 2003 al 2008, data della soppressione dell’ufficio. Dopo il ritrovamento, nel 1994, del famoso Armadio della Vergogna, con dentro centinaia di fascicoli sui crimini di guerra commessi sulla popolazione italiana tra il 1943 e il 1945, non seguirono interventi normativi per recuperare il tempo perduto e restituire cosi giustizia alle persone colpite. I morti a Sant’Anna di Stazzema, Civitella Val di Chiana, Monte Sole – Marzabotto, Cefalonia (tutti processi dove De Paolis ha svolto il ruolo di pubblico ministero) non bastarono per spingere il Parlamento ad una accelerata in tema normativo: semplicemente ci fu una trasmissione dei fascicoli ritrovati alle procure militari. In particolare, 38 fascicoli furono mandati alle procure di Napoli, Bari e Palermo e gli altri 657 furono divisi nelle cinque procure militari di Roma, Padova, Verona, Torino e La Spezia. Di fatto, quasi un terzo di tutti i 695 fascicoli e quasi la metà di quelli dell’Italia settentrionale furono inviati a La Spezia, la cui giurisdizione  territoriale  comprendeva quattro regioni e ventitré province  “tra cui  - spiega il magistrato - le aree toscane, emiliane e marchigiane nel cui territorio correva la linea Gotica, ossia quella posizione difensiva fortificata ove le truppe tedesche in ritirata avevano attestato le proprie linee di difesa nel tentativo di contrastare l’avanzata alleata L’unico modo possibile per riacquistare fiducia nella giustizia – racconta il magistrato – era dimostrare loro, con i fatti, e cioè con il compimento di indagini approfondite, che sussisteva un reale impegno della magistratura militare ad accertare fatti e responsabilità a prescindere dal decorso del tempo, senza lasciare nulla di intentato e senza trascurare nessuna posizione individuale, nessuna vittima”.  Il secondo pilastro necessario era la costruzione di un rapporto di collaborazione internazionale con le autorità straniere, “in particolar modo con quelle tedesche e austriache, ma anche britanniche e statunitensi nei cui archivi è conservata un’ingente documentazione”, spiega il magistrato, che istituì anche un ufficio investigativo bilingue a La Spezia”.
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Tra il folto pubblico in sala c’era una delegazione del Comitato Provinciale di Udine, dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine. Oltre a Elio Varutti, vice presidente del sodalizio, si sono notati Renzo Piccoli, esule da Fiume, Enzo Bertolissi, Luciano Bonifazi e l’architetto Franco Pischiutti, con parenti di Fiume.

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Marco De Paolis, Paolo Pezzino, La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013, Roma, Viella, 2016.
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Per le scuole
Per gli insegnanti delle scuole è possibile fare delle ricerche storiche con le scolaresche telefonando al numero telefonico 0432.295475, oppure al fax fax 0432.296952, o scrivendo al seguente indirizzo di posta elettronica archivio@ifsml.it
Per alte notizie si può scrivere, in posta cartacea, anche a: Istituto Friulano Storia Movimento Liberazione, Viale Ungheria, 46 - 33100 Udine.


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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Elio Varutti e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

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