Dai documenti di una collezione familiare è possibile
documentare la presenza dei militari italiani in Istria, a Fiume, in Dalmazia e,
nell’entroterra occupato durante la seconda guerra mondiale, in Croazia e in Erzegovina, peraltro già presente in letteratura.
Cartolina
di Fiume, Viale delle Camicie Nere e Chiesa dei Reverendi Padri Cappuccini a destra,
1940. A sinistra, il palazzo dei ferrovieri e la Piazza Cesare Battisti. Coll. C. Conighi, Udine
Con l’invasione della Jugoslavia, del 6 aprile 1941, da parte
delle forze dell’Asse, guidate da Germania e Italia, l’Esercito Italiano si
disloca con oltre 350 mila militari sulla fascia costiera jugoslava e pure
nell’interno.
Vengono create la provincia italiana di Lubiana, il
Governatorato della Dalmazia, allargando la piccola enclave di Zara, già
italiana dal 1918, includendo le città con presenze italiane di Spalato, Traù a
Sebenico. Da queste città, peraltro, si era già verificato un esodo degli
italiani verso Zara e Fiume nel 1921-1929, perché i croati spaccavano le
vetrine dei loro negozi, per l’imposizione della lingua e della cittadinanza
croata nelle istituzioni pubbliche e nel lavoro e per persecuzioni varie, come raccontato da Bruno
Bonetti, nell’articolo I Bonetti di Zara nell’esodo dalmata.
Altri hanno confermato la pressione croata sugli
italiani di Dalmazia, che si rifugiarono a Zara, in Istria o nell’Isola di Lagosta negli
anni ‘20, come riferito da Elvira Dudech, Elisabetta Missoni Foffani, con avi
di Sebenico. Lo zaratino Silvio Cattalini, che fu presidente del Comitato
Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia
(ANVGD) dal 1972 al 2017, ricordava che i suoi avi Cattalinich avevano cantieri
navali a Traù poi, volendo restare italiani, furono costretti a trasferirsi a
Zara, perché la Dalmazia passò al Regno dei Croati, dei Serbi e degli Sloveni.
Giulio Orgnani alla Scuola Allievi Ufficiali di
Complemento di Pinerolo (TO) nel 1934. Fotografia di U. Monti, Pinerolo. Collezione
G. Orgnani, Udine
Un altro zaratino, come Segio Brcic, ha spiegato che i
contrasti tra italiani e croati sono proseguiti anche dopo il 1947, anno del
Trattato di pace, persino sui dati storici. Egli è uno storico della Dalmazia,
ma di recente, viene contestato il risultato delle sue ricerche storiche
orientate soprattutto ai 54 bombardamenti di Zara, enclave italiana sulla costa
dalmata dal 1918 al 1943. La contestazione viene da parte degli storici croati
di questi decenni. “La mia Zara non esiste più – afferma in modo stentoreo
Sergio Brcic – perché è stata cancellata per volere dei titini con i continui
bombardamenti anglo-americani”.
Abbiamo chiesto a Bruno Perissutti, nato a Zara, cosa sapesse
dell’esodo italiano degli anni ’20 dalle città dalmate a causa del nazionalismo
croato. “Basti pensare a Ottavio Missoni,
il noto stilista nato a Ragusa con la mamma di Sebenico e poi trasferitosi a
Zara con la famiglia – ha detto Perissutti – fu un grande amico di Silvio
Cattalini”. Ricorda qualcosa del 1943-1944? “Mio padre aveva un negozio di
alimentari a Zara - ha aggiunto Perissutti - e non fu richiamato militare perché la sua attività era
strategica per la distribuzione degli alimenti con la tessera annonaria, ma al
sabato e alla domenica era obbligato dai tedeschi ad un servizio di vigilanza,
tipo protezione civile, al lago di Scardona (Skradin), vicino
a Sebenico, dove ammaravano gli idrovolanti”. Il nome del lago, in croato, è
Prokliansko jezero – Lago di Proklian, alimentato dal fiume Cherca / Krka.
Cartolina di Gorizia viaggiata e timbrata il 9
dicembre 1940. Coll. Lucillo Barbarino, Resia (UD)
Il Montenegro nel 1941 diviene protettorato italiano e
l’Albania, già occupata e annessa all'Impero italiano nel 1939, si allarga nel
Kossovo di Pristina e per una parte della Macedonia fino al Lago di Ocrida. Gli alloglotti serbo-croati abitanti nel Governatorato
della Dalmazia sono oltre 340 mila individui, rispetto agli italiani del
litorale dell’Adriatico orientale che vivevano soprattutto nelle città della
costa, rappresentando il 10% della popolazione. Ciò contribuì a provocare gravi
attriti tra croati e italiani, iniziati sin dall’Ottocento, sotto la guida
dell’Austria in funzione anti-italiana. Sono le varie etnie, comunque, a
rappresentare un problema in Jugoslavia nel Novecento.
Dopo l’8 settembre 1943, data dell’armistizio italiano con
gli alleati, il reale esercito italiano si sfaldò, trovandosi allo sbando,
senza ordini precisi se non con qualche dispaccio non interpretabile in forma
univoca. È il famoso ribalton: “i
tedeschi no ze più nostri aleati”. Si pensi che il generale Mario Robotti,
comandante della 2^ Armata con sede a Sussak (Fiume) venne a conoscenza
dell’armistizio dalle feste che facevano i suoi militari nel magazzino. Avevano
saputo la notizia niente meno che dai partigiani, che l’avevano sentita da una
trasmissione di Radio-Cincinnati, subito rilanciata da Radio-Algeri, come ha
scritto Oddone Talpo.
Secondo molti la guerra era finita. In piazza, nelle grandi città, la gente faceva
festa e tirava giù gli emblemi del fascismo. A parere di certi ufficiali
italiani in Dalmazia sarebbero arrivati gli angloamericani e avrebbero portato
a casa i militari dispersi verso le coste pugliesi, controllate dagli alleati. Non
fu così. Vero è che il generale Emilio Becuzzi, comandante il presidio di
Spalato e la Divisione “Bergamo”, il 23 settembre, riuscì a sbarcare a Bari con
3.000 militari, ma i civili e gli altri italiani in divisa restarono in balia dei titini, come ha scritto Antonio Faleschini in
suo studio del 1969.
Timbro tondo del Reggimento Cavalleggeri di
Alessandria – Amministrazione, con la firma del sottotenente Alessandro Tomei
in una comunicazione del 28 luglio 1941-XIX, dattiloscr. Collezione G. Orgnani,
Udine
In ogni angolo di strada dalmata il soldato italiano veniva disarmato
da gruppi di partigiani armati. Furono assaliti i negozi, i magazzini e le case
private degli italiani; circa 800 erano di Spalato e 1.200 della Penisola, dei
quali oltre 300 insegnanti. Questurini, guardie carcerarie e carabinieri a
piccoli gruppi, dopo il disarmo, furono obbligati dai titini a spogliarsi – ha
aggiunto Talpo – poi furono portati nelle campagne e fucilati.
Molti militari di Spalato si consegnarono ai tedeschi e
finirono nei campi di concentramento, stipati in 50-60 in un carro bestiame
piombato, mentre succedeva che gli ufficiali, imprigionati dai tedeschi e
deportati al campo di concentramento di Belgrado, venissero fucilati sul posto,
come ha scritto Giacomo Scotti, a pag. 27, del suo libro Il battaglione degli straccioni. Lo stesso autore ricorda che
ammontarono a 40 mila i volontari dell’esercito italiano passati a combattere a
fianco dei partigiani jugoslavi contro i nazi-fascisti; una cifra che fa
riflettere.
A Spalato certi militari scambiavano il fucile per un pezzo
di pane. Altri, stanchi della guerra, gettavano l’arma, subito raccolta dai
partigiani, che sbucavano da ogni dove. Allo stesso tempo i titini iniziavano
le prime fucilazioni di italiani, donne incluse. Ruggero Tommaseo, direttore
del «Popolo di Spalato» fu
appunto fucilato dai partigiani jugoslavi, come ha evidenziato Antonio Faleschini.
Tale autore, inoltre, vide con i suoi occhi due civili, entrati nella sede
degli insegnanti italiani, portare via con la forza Giovanni Soglian, il
provveditore agli studi. Nessuno avrebbe mai pensato che fosse fucilato pure lui. Stessa
sorte per il preside Eros Luginbhul. La città fu tappezzata di manifesti
inneggianti a Tito, alla armata liberatrice, alla democrazia popolare, ma tutti
avevano una gran fame.
Tromba del 3° Plotone Reggimento Cavalleggeri di
Alessandria. Trombettiere: cavalleggero Giovanni Pinato, Zona di Karlovac,
estate 1941, ottone e cordone. Coll. G. Orgnani, Udine
Mancava l’acqua, mancava l’energia elettrica. I
magazzini furono presi d’assalto dai titini, perché “rappresentavano gli
alleati”. Ai soldati italiani i partigiani, in abiti borghesi con qualche
coccarda, dicevano: “Voi avete fatto l’armistizio, perciò lasciateci le armi, i
generi alimentari e andate via”.
Sulle prime pareva che 11 persone, tra i maggiorenti di Spalato,
potessero essere processate dai titini del generale Koka Popovic poiché
contrari all’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia o perché responsabili di
particolari crimini – come ha spiegato Talpo – tale accordo, del 17 settembre,
rientrava nella resa della Divisione “Bergamo”, in presenza del capitano Deakin
della missione inglese e del maggiore Burke di quella americana. Il generale
Becuzzi si oppose. Nelle trattative non si parlò più di italiani da giustiziare
e, a notte inoltrata, fu firmata la resa. Al mattino seguente sui muri della
città c’era l’avviso della eliminazione di 22 persone (non 11).
Il 27 settembre 1943 la città fu occupata dalle Waffen SS della Divisione “Prinz Eugen”.
Obbedendo all’ordine tedesco emanato immediatamente molti soldati italiani si
presentarono ai comandi germanici, anche perché la pena era la fucilazione.
Furono catturati e trattati “bestialmente e col massimo disprezzo”, ha precisato Antonio Faleschini.
Ricevuta per prestazioni sanitarie dell’Ospedale
Civile di S. Spirito di Fiume al ten. Giulio Orgnani, del 18 settembre 1941.
Coll. G. Orgnani, Udine
Il calvario dei militari italiani imprigionati e degli
“ufficiali di Spalato” iniziò proprio il 27 settembre 1943. Prima vengono
trasportati a Signo / Sinj, in Croazia a 30 km da Spalato – continua il
racconto di Faleschini, che era tra di loro. Per tre giorni, senza cibo,
vengono interrogati, insultati e maltrattati dai nazisti. “La sera del 1°
ottobre – ha aggiunto Faleschini – terminato l’interrogatorio, fummo riuniti
coi nostri miseri bagagli, svaligiati dai dobromani croati e dai tedeschi nel
cortile dove si era svolto l’interrogatorio: furono chiamati una cinquantina di
nomi. I chiamati sono stati fatti salire sopra i camion e trasportati in una
località vicina, dove furono immediatamente fucilati”. Secondo Talpo la
località della fucilazione di 46 ufficiali italiani in quella data da parte
nazista è: Treglia / Trilj.
Per quanto riguarda i dobromani
croati c’è da dire che si trattava della Hrvatsko domobranstvo (Guardia Interna Croata) faceva parte delle
forze armate dello Stato indipendente croato, 1941-1945. I dobromani furono
spesso in rivalità con gli ustascia, ma in sostanza erano milizie collaborazioniste dei
nazi-fascisti.
Poi in cinque giorni furono incolonnati fino a Mostar e
Sarajevo, dove “ci tolsero anche il denaro”. A Mostar entrarono scortati dalle Waffen SS della Divisione “Prinz Eugen”.
Dalla Serbia occupata dai nazisti, giunsero poi al campo per prigionieri di
Wietzendorf (in Bassa Sassonia, Germania), dove continuarono gli insulti, le
perquisizioni e lo scarso cibo. “Tutti dovevano rubarci qualcosa” – è sempre
Faleschini a raccontare. Caricati nei vagoni piombati e controllati da soldati
kirghisi o calmucchi filo-nazisti fino ai campi di concentramento di Wietzendorf
e di Söndbosel (recte: Sandbostel, in Bassa
Sassonia). Il calvario degli ufficiali
di Spalato continuò nelle “baracche-porcili” del lager, distesi sulla nuda
terra senza nemmeno la paglia. Faleschini si salvò.
Carta annonaria n. 56.273 del Comune di Fiume,
Provincia del Carnaro, intestata a Giulio Orgnani, per generi da minestra,
zucchero, grassi e sapone, aprile-giugno 1942-XX, stampa. Coll. G. Orgnani, Udine
Intanto a Spalato, dopo l’arrivo dei tedeschi, furono individuate
delle fosse comuni nel Cimitero di San Lorenzo dove erano stati sepolti gli
italiani fucilati dai titini. In città regnavano livore e fame. Nella fossa
comune si pensava di trovare 22 salme, ma ne furono dissepolte ben 39. Dopo
alcuni giorni, superata l’opposizione del Comune – ha aggiunto Talpo – fu
individuata e aperta una seconda fossa. Al posto di 8 eliminati citati in un secondo
avviso partigiano, furono esumati 25 corpi. Addirittura fu scoperta una terza
fossa, della quale non c’era notizia ufficiale alcuna. Conteneva 42 cadaveri.
Tutti col colpo alla nuca. In tutto furono esumate 106 spoglie e fu dato il nome a
quanti potevano essere riconosciuti.
Un’altra testimonianza
su Spalato
Un racconto su Spalato è stato riportato, nel 2005, anche da
Mario Blasoni, giornalista del «Messaggero Veneto», che l’ha poi pubblicato in
un libro. Il testimone raccolto è Rodolfo de Chmielewski, nato a Udine nel
1931, con lontani avi polacchi. Egli è figlio di un funzionario dell’Intendenza
di finanza di Spalato, il ragioniere Giorgio de Chmielewski (1885-1966), esule
nel 1921 in Friuli e a Trieste.
“Mio padre era di sentimenti italianissimi – ha detto Rodolfo
de Chmielewski a Blasoni – un vero irredentista. Nel 1921, quando la Dalmazia è
stata assegnata al Regno di Jugoslavia, non ha voluto giurare fedeltà a Re
Pietro e ha perso il posto. Ha dovuto optare per l’Italia, andando prima a
Trieste e poi a Udine”.
Questo è il primo esodo per molti italiani di Spalato,
Ragusa, Sebenico e Traù. Gli slavi in quel periodo se la prendevano solo con le
tombe o con i leoni di San Marco, presi a mazzate per far scomparire ogni
traccia storica d’italianità.
“Per mio padre era stato doloroso dover lasciare la sua amata
Spalato – ha raccontato Rodolfo de Chmielewski a Blasoni –. E nel 1941, quando
la Dalmazia venne occupata dagli italiani, volle tornarvi con la famiglia”.
Rodolfo frequenta a Spalato la quinta elementare e la prima media, poi
succedono cose truci. “Nel 1943 ci fu il 25 luglio – ha detto il testimone – e
poi cominciò la caccia agli italiani, identificati coi fascisti da parte dei
croati”.
Suo padre, Giorgio de Chmielewski, divenuto ragioniere capo
dell’Intendenza di finanza di Spalato fu imprigionato dai titini, ma dopo
alcuni giorni lo lasciarono tornare a casa.
“Un suo fratello, invece, fu ucciso in seguito e in Italia da
un komando di partigiani rossi assieme alla moglie incinta di sei mesi – ha
concluso Rodolfo de Chmeilewski al giornalista Blasoni –. Sono ricordi
orribili”.
Carta annonaria n. 57.486 del Comune di Fiume,
Provincia del Carnaro, intestata a Giulio Orgnani, per il pane (o farina di
grano) e per la farina di granoturco, aprile-giugno 1942-XX, stampa. Coll. G.
Orgnani, Udine
Biografia di Giulio
Orgnani
Il tenente Giulio Orgnani (Udine 1912-1988) era inquadrato
del Reggimento Cavalleggeri di Alessandria di stanza a Palmanova (UD) nella
seconda guerra mondiale. Fu impegnato a Fiume, in zona d’operazioni militari
dell’Esercito Italiano. Secondo i suoi album fotografici, in base ai suoi
documenti, come rapporti, cartoline e lettere in possesso ai discendenti, il
Reggimento Cavalleggeri di Alessandria fu impegnato, nel periodo 1941-1943,
nelle seguenti località di occupazione italiana: Barilovic, D. Poloj (dove fu
ferito in combattimento il 17 ottobre 1942), Jaškovo, Josipdol (Croazia), Kamensko,
Karlovac (Croazia), Perijazica, La Plat Plaski, Ogulin (Croazia), Oshalj e
Voinic. Nel 1943 raggiunse la zona d’operazioni di Mostar (Erzegovina), quindi
fu a Betina, Kramina, Murter e Stretto (Dalmazia).
Dopo l’8 settembre 1943, essendo in convalescenza in Friuli,
Giulio Orgnani, di spirito monarchico, fu ricercato dalle Waffen SS per essere internato in Germania, come accadde a molti
militari italiani. Allora egli si mise alla macchia a Colza di Maiaso, in
comune di Enemonzo (UD) in Carnia. Col nome di battaglia di “Riccardo” – in
base alle ricerche presso l’Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli, sito a
Udine – collaborò, in zona carnica, con le Brigate partigiane Osoppo, ispirate
all’area cattolica e del Partito d’Azione. Nel 1976 a Udine sposò, in seconde
nozze, l’esule fiumana Helga Conighi (1923-2000).
Ruolino di marcia del 2° Plotone Reggimento
Cavalleggeri di Alessandria. Nell’ultima colonna si leggono i nomi dei cavalli
di tre squadre per un totale di 27 elementi, Zona di Karlovac, 13 luglio
1942-XX, ms. Coll. G. Orgnani, Udine
Tolmino, Spalato, Karlovac
Nel luglio 1941 ci sono alcune comunicazioni riguardanti
l’Orgnani col comando della Guardia di Frontiera del XI Corpo d’Armata di
Tolmino, nell’Alta Valle dell’Isonzo, allora era parte della provincia di
Gorizia, oggi Slovenia.
Il giorno 11 giugno 1941 il tenente Orgnani riceve una
lettera dal commilitone tenente Carlo Morossi, il quale gli comunica di aver
“passato un mese e mezzo al comando nel presidio di Spalato col generale Viale,
col.(onnello) Conte e maggiore Morvidi”.
Nel 1942, secondo i documenti della Collezione Orgnani, si
manifestano alcune tensioni ed attriti tra le truppe ustascia di Ante Pavelić e l’Esercito Italiano di occupazione. Da un
rapporto inviato per posta militare dal tenente Orgnani, comandante del posto
di blocco n. 2, nella zona di Karlovac (Croazia), ai suoi superiori si ha un
chiaro sentore della conflittualità emergente tra militari italiani e croati.
Ecco cosa dice il rapporto. Il 29 marzo 1942, alle ore 8.30, il
carabiniere di servizio Andrea Curcio “fermava un suddito Croato per chiedergli
i documenti”. Siccome la tessera d’identità risaliva all’anno precedente, il
carabiniere, come da disposizioni impartite, decise di accompagnare il borghese
alle autorità italiane per dargli un lasciapassare. Sopraggiungeva in quel mentre
il capitano maggiore croato Jvan Baiuk, per dare il cambio al suo collega di
servizio.
Il Baiuk fermava il carabiniere Curcio e il civile croato,
chiedendo spiegazioni. Dopo alcune parole scambiate col borghese e il
carabiniere si faceva consegnare il lasciapassare e lo strappava inveendo
contro il Curcio. Baiuk sosteneva che il suddito croato fosse libero. Poi
diceva ad alta voce che loro comandavano e che “gli italiani non avevano alcuna
autorità”. Alle rimostranze degli italiani aggiungeva che se ne “fregava
dell’Esercito Italiano e degli ufficiali italiani”.
Biglietto per il ten. Orgnani dal Comandante della 1^
Brigata Celere “Eugenio di Savoia” degli ultimi mesi del 1942, ms. Coll. G. Orgnani,
Udine
Vista la sceneggiata, giungevano il sergente Armando Ercole,
sottufficiale del posto di blocco, ed il caporalmaggiore di fazione Gino
Munerato per cercare di porre fine alla questione. Il Baiuk inveì contro tutti,
bestemmiando e mostrando la baionetta ai militari italiani in segno di
minaccia. Fra le altre disse che: “gli italiani non sanno fare nulla e non
hanno nessuna autorità di comando, sono tutti contro il capo Pavelić”.
Più tardi, chiamato a rapporto dal tenete Orgnani, il Baiuk disse
di non riconoscere gli italiani come superiori. L’Orgnani fu costretto ad
andare a cercarselo. Sempre più arrogante, solo alle intimazioni di fare
silenzio e di portare rispetto, il croato Baiuk esibì i documenti, borbottando
fra i denti.
Il rapporto sul fatto increscioso fu stilato dal tenente Orgnani
ed inviato alla 1^ Divisione Celere “Eugenio di Savoia”. In rapporti analoghi
si menzionano altri casi di scarso contengo militare delle milizie ustascia nei
confronti degli italiani o, peggio, vengono esplicitamente citate “azioni di
intralcio al servizio”.
In un altro rendiconto, datato 5 aprile 1942, è menzionato un
attacco di oltre 50 cetnici (milizie monarchiche serbe, prima alleate dei
partigiani poi, in quanto anticomuniste, coalizzate agli italiani, contro i
titini). L’assalto, con moschetti e tre fucili mitragliatori, si verifica al
presidio di Kamensko, nella zona di Karlovac. L’incursione provocò due morti:
un ustascia di sentinella e un altro militare croato ucciso nei locali della
scuola adibita a dormitorio.
Licenza per l’esercizio del commercio ambulante
rilasciata dal Comune di Resia (UD) a Luigi Barbarino per le provincie di
Udine, Gorizia, Trieste, Treviso, Venezia, Belluno per il 1941, rinnovata nel
1942. Nell’Alta Valle dell’Isonzo, allora provincia di Gorizia, i partigiani
titini nel 1943 fermarono l’ambulante, con le armi spianate, con l’accusa di
essere una spia fascista; poi fu rilasciato, stampa. Coll. Lucillo Barbarino,
Resia (UD)
I cetnici fanno bottino di un moschetto, 2.500 cartucce e 50 bombe
a mano poi, ad un segnale di tromba, rientrano a sud – sud-ovest da dove erano
penetrati. La popolazione dei villaggi è terrorizzata e teme rappresaglie da
varie parti. “I ribelli hanno ramificazioni tra gli stessi abitanti dei
villaggi” – precisa il tenente Orgnani. Altri suoi rapporti ai superiori sono
zeppi di segnalazioni di spari e lanci di bombe a mano che incrinano il morale
della popolazione e dei militari.
Nei rapporti dell’Orgnani vengono rilevati, tra i militari italiani di basso grado, anche
fenomeni di alcolismo e di gioco d’azzardo, con grave indebitamento dei
giocatori perdenti, causa di tensioni varie. Ad esempio c’è Giuseppe T., un
sergente, che il 24 febbraio 1943, con altri tre cavalleggeri, se ne va Kramina
“in passeggiata”. Il tenente Orgnani segna nel rapporto per posta militare che
i quattro soldati italiani con i cavalli di servizio “erano fuori dal presidio di
Betina e privi di scorta”. Il presidio era sull’Isola di Murter, vicino a
Sebenico. Per giunta, la passeggiata ha avuto lo scopo di fare visita al vice
brigadiere del paese comandante la brigata di finanza, con una robusta bevuta
di vino.
Fronte di Mostar (Erzegovina), 1942. Il carabiniere Alfonso Zamparo, in
piedi. Nel 1943 fu deportato nei campi di concentramento nazisti. Fotografia
della Collezione famiglia Zamparo, Scorzè, provincia di Venezia pubblicata in Alfonso Zamparo. Siamo tornati uomini.
Scritture di una deportazione, a cura di Chiara Fragiacomo e Daniele
D’Arrigo
Rientrati al presidio, il sergente Giuseppe T. ordina al caporale
Vincenzo G. di sellare altri cavalli per un’altra passeggiata. A quel punto il
caporale Vincenzo G., già ammonito in precedenza circa la scarsa pulizia degli
equini domandò, invece, a chi toccasse di pulire i quattro cavalli rientrati
sudati e stanchi. In quelle circostanze dal semplice diverbio si può passare
agli atti di indisciplina tra commilitoni. Il sergente, brillo, capita
l’antifona, minaccia il caporale di morte. Allora altri cavalleggeri si buttano
su di lui per togliergli la pistola, creando un disdicevole parapiglia e, per
fortuna, nessun ferito.
Tali fatti di nervosismo e di insubordinazione, assieme ai furti
di vivande nei magazzini o durante i trasporti, non è che siamo all’ordine del
giorno, ma non sono nemmeno casi isolati nelle poche carte custodite
dall’Orgnani. Tutti gli atti indegni sono stati debitamente segnalati ai
rispettivi comandanti di Squadrone Cavalleggeri.
Incarico di comandante del presidio di Betina
(Dalmazia) affidato al ten. Giulio Orgnani il 5 febbraio 1943, con firma
autografa del colonnello Guido Da Zara, comandante del Reggimento Cavalleggeri
di Alessandria, datt. Coll. G. Orgnani, Udine
Dopo el ribalton del 1943 c’è il rientro a casa dei militari
In una lettera di Antonio Guan dell’8 novembre 1943 indirizzata al
tenente Giulio Orgnani di Udine, viene descritta la fuga dal fronte verso casa
a Sorrento, nel Meridione d’Italia. Ci sono alcuni errori di ortografia, segnalati
qui di seguito con le parentesi tonde, tranne che per i numerosi accenti che
sono stati corretti per un’agevole lettura. Nelle parentesi tonde vi sono pure
alcune precisazioni redazionali.
Il cavalleggero Antonio Guan, ad un certo punto del suo convulso
ritorno a casa, si trova a Loreo, in provincia di Rovigo, allora il 17 ottobre
1943 scrive una cartolina postale al suo tenente per chiedere rispettosamente
sue notizie. In queste corrispondenze ci sono molte notizie sui cavalli del
Reggimento, segno che i cavalleggeri erano, in un certo senso, affezionati
all’animale, loro compagno di sventura balcanica.
Nella seconda parte dell’affettuosa lettera dell’8 novembre,
recante un timbro tondo col n. 39, forse di un ufficio di censura, si può
leggere: “Ed ora vi sarà qualche piccola spiegazione su come (h)o fatto a
recarmi a casa. Quando al nostro bel tempo che si stava tutti riuniti col
nostro Regg.to (Reggimento di Cavalleria Alessandria in Zona d’operazioni tra
Karlovac e Mostar) si diceva di essere stufi della Cavalleria, erano tutte id(d)ee
sbagliate, perché ancora non si aveva provato la Fanteria (allude al fatto che
il rientro si svolge per lo più a piedi). Ma io che ora per recarmi a casa a
Sor(r)ento (ho dovuto) cam(m)inare la bel(l)ezza di 14 giorni e sempre in mezzo
a montagna e bosco vi giuro che avrei preferito aver fatto altri 3 anni di
Cavall.(e)ria.
Ordine permanente n. 47 del 10 febbraio 1943 del
Comando del Reggimento Cavalleggeri di Alessandria firmato dal comandante Guido
Da Zara e dal colonnello addetto R. Posentino, datt. Coll. G. Orgnani, Udine
Sono arrivato alla mia casa – aggiunge il cavalleggero Antonio Guan
– che nessuno più mi conosceva, ero ridotto peg(g)io di un zinghero (zingaro).
Tutto stracciat(t)o scalzo e con tutti i piedi rotti (a) forza di cam(m)inare.
Per riprendere il cam(m)ino (h)o fatto 12 giorni di riposo. Vorrei es(s)ervi
vicino per rac(c)ontarvi tutte le mie venture, vi gi(u)ro che si potrebbe
descrivere un romanzo, ma speriamo di rimanere in corrispondenza e così in
seguito vi darò mi(g)liori spiegazioni da quell’ultima volta che ci siamo
lasciati ad Abbazia, mi sembrava di sentirmi che suc(c)edesse (q)ualcosa non ci
ero molto allora come le prime volte. E poi è stat(t)o vero che non ci siamo
più visti ed ora vi chiedo scusa del mio mal scritto. Vi ringrazio di vero
cuore della gentilezza di rispondermi, se vi farà piacere non mancherò mai di
darvi mie notizie. Molti cari saluti a parte degli Amici e così pure della mia
Famiglia. Da me distinti saluti. Affez(z).mo Antonio Guan”.
È il caso di ricordare – in conclusione – che dopo l’8
settembre 1943 iniziò in Istria, a Fiume e in Dalmazia l’esodo degli italiani
per la paura di finire uccisi nelle foibe, o annegati o fucilati dai titini. La
città di Udine accolse oltre cento mila profughi italiani al Centro di smistamento di via Pradamano, vicino alla stazione ferroviaria, per
sventagliarli negli oltre cento Centri di raccolta profughi di tutta Italia.
L’esodo coinvolse oltre 350 mila persone fino agli inizi degli anni ’60 sotto
la pressione jugoslava, in piena guerra fredda. Oltre 65 mila di loro si
fermarono in Friuli Venezia Giulia, in base al Piano abitativo dell’Opera
Profughi di Roma. Poi ci sono tutti quelli che non hanno fatto domanda per
avere la casa e che si sono arrangiati da soli, lavorando sodo e patendo molto.
Ordine del giorno n. 1 del 17 febbraio 1943-XXI del
generale C. Lomaglio contenente il necrologio del colonnello Guido Da Zara, 33°
Comandante del Reggimento Cavalleggeri di Alessandria, caduto in combattimento
il 16 febbraio, contro i ribelli, “in terra di Balcania”, ciclostil. Coll. G.
Orgnani, Udine
Fonti archivistiche e
collezioni familiari
- Archivio del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione
Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), che ha la sua sede in Vicolo Sillio,
5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203. Presidente dell’ANVGD di Udine è
Bruna Zuccolin.
- Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli, Udine.
- Collezione Lucillo Barbarino, Resia (UD).
- Collezione famiglia Conighi, Udine.
- Collezione famiglia Riccato, Udine.
- Collezione famiglia Zamparo, Scorzè (VE).
- Della collezione Giulio Orgnani, Udine, oltre a quelli qui riprodotti in immagine, sono stati citati i
seguenti documenti nel presente articolo:
Lettera del tenente Carlo Morossi al ten. Orgnani dell’11
giugno 1941, dattiloscritto.
Rapporto del ten. Orgnani al Comando della 1^ Divisione
Celere “Eugenio di Savoia”, Karlovac, del 29 marzo 1942, XX, datt.
Rapporto del ten. Orgnani, Comandante del 3° Squadrone
Reggimento Cavalleggeri di Alessandria al Comando della 1^ Divisione Celere
“Eugenio di Savoia”, Karlovac, del 5 aprile 1942, XX, datt., cc 2.
Rapporto del ten. Orgnani, Comandante del 2° Plotone del
Reggimento Cavalleggeri di Alessandria, al Comandante del 3° Squadrone Regg.to
Cavalleggeri di Alessandria, Stretto / Tisno, del 24 febbraio 1943, XXI, datt., cc 2.
Lettera del cavalleggero Antonio Guan al ten. Organi dell’8
novembre 1943, ms.
Busta affrancata per una lettera espresso al capitano
Ferdinando Comotti, spedita per posta militare, timbrata a Udine il 4 settembre
1943-XXI e restituita al mittente, essendo molto ravvicinata la data
dell’armistizio del’8 settembre 1943 e la conseguente confusione, datt. Coll.
G. Orgnani, Udine
Fonti orali
Si ringraziano e si ricordano le seguenti persone,
intervistate a Udine, con taccuino, penna e macchina fotografica, a cura di
Elio Varutti, ove non altrimenti indicato:
- Lucillo Barbarino, Matiònawa,
Resia (UD), 1941, intervista del 7 luglio 2015.
- Bruno Bonetti, Gorizia 1968, int. del 18 dicembre 2016.
- Sergio Brcic, Zara 1930, int. del 10 febbraio 2016, storico
della Dalmazia.
- Silvio Cattalini (Zara 1927 – Udine 2017), int. del 10
febbraio 2016.
- Elvira Dudech (Zara 1930 – Udine 2008), int. del 28 gennaio
2004.
- Elisabetta Missoni Foffani, Roma 1949, int. a Clauiano di Trivignano Udinese del 6 marzo 2016.
- Bruno Perissutti, Zara 1936, int. del 23 luglio 2018.
Cartolina postale inviata dal commilitone Antonio Guan
al ten. G. Orgnani il 17 ottobre 1943 da Loreo (RO), ms. Coll. G. Orgnani,
Udine
Riferimenti
bibliografici
- Mario Blasoni, “De Chmielewski, autore di teatro e
chansonnier”, in M. Blasoni, Cento
udinesi raccontano, Udine, La Nuova Base, volume III, 2007, pp. 36-38.
- Emilia Calestani, Memorie.
Zara, 1937-1944 (1.a edizione Libero Comune di Zara in esilio e
Associazione Nazionale Dalmazia, Modena, 1979), 2.a edizione a cura di Sergio
Brcic e Silvio Cattalini, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia, 2013.
- Antonio Cattalini, La
mia città. Zara oggi (ediz. originale: Trieste, L’Arena di Pola, 1975),
ristampa Udine, ANVGD, 1995.
- Antonio Cattalini, I
bianchi binari del cielo (ediz. originale: Trieste, L’Arena di Pola, 1990),
3^ ediz. a cura di S. Cattalini, Udine, ANVGD, 2005.
- Diego Degan "I taccuini di Mario il soldato" «Il Gazzettino», 5 dicembre 2018, p. 18.
- Diego Degan "I taccuini di Mario il soldato" «Il Gazzettino», 5 dicembre 2018, p. 18.
- Antonio Faleschini, “Italiani a Spalato (Insegnanti e
militari)”, «Rivista Dalmatica», XL,
fasc. I, 1969, pp. 79-82.
- Chiara Fragiacomo, Daniele D’Arrigo (a cura di), Alfonso Zamparo. Siamo tornati uomini. Scritture di una deportazione, Udine, Associazione Nazionale ex Deportati (ANED), 2015.
- Giuseppina Mellace, Una
grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe, Roma, Newton
Compton, 2014.
- Flaminio Rocchi, L’esodo
dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Edizioni Difesa Adriatica, Roma,
1990.
- Giacomo Scotti, Il battaglione degli “straccioni”. I militari italiani nelle brigate jugoslave: 1943-1945, Milano, Mursia, 1974.
- Giacomo Scotti, Il battaglione degli “straccioni”. I militari italiani nelle brigate jugoslave: 1943-1945, Milano, Mursia, 1974.
- Oddone Talpo, “Le terre adriatiche nel dramma delle due
guerre mondiali”, in Alessia Rosolen, (coordinamento), I dalmati per Trieste. Storia del ‘900 nell’area dell’Adriatico
orientale, Dalmati italiani nel mondo, Libero Comune di Zara in esilio,
Delegazione di Trieste, Trieste, 2001, pp. 23-47.
- Lucio Toth, Storia di
Zara. Dalle origini ai giorni nostri, Pordenone, Edizioni Biblioteca
dell’Immagine, 2016.
- Elio Varutti, Il Campo
profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca
storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo
1945-2007, Udine, Edizioni ANVGD Comitato provinciale di Udine, 2007.
- E. Varutti, Italiani
d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi
giuliano dalmati a Udine e dintorni, Udine, Provincia di Udine / Provincie
di Udin, 2017 (disponibile anche nel web: 2^ edizione, Udine, 2018).
Marcello Tomadini, Donne
polacche a Sandbostel 1944, in Marcello Tomadini, Venti mesi fra i reticolati, LX tavole con prefazioni di don Pasa e
Guglielmo Cappelletti, Vicenza, Editrice Società Anonima Tipografica, 1946. Si ringrazia per tali materiali di ricerca la famiglia
Riccato di Udine
Sitologia
- E. Varutti, Donne fucilate a Spalato 1943, on-line dal 25 febbraio 2016.
- E. Varutti, I Bonetti di Zara nell’esodo dalmata, on-line dal 6 febbraio 2017.
- E. Varutti, Un libro di Menachem Shelah sugli ebrei jugoslavi salvati al Campo di Arbe (Rab),
on-line dal 10 luglio 2018.
- E. Varutti, A Udine un ulivo e un’area verde per ricordare la strage di Arsia del 1940, on-line
dal 19 luglio 2018.
--
Servizio giornalistico e fotografico di Elio Varutti.
Ricerche storiche e Networking a cura di Gerolamo Jacobson e E. Varutti. Siamo grati
per la collaborazione artistica a Sebastiano Pio Zucchiatti.
Per le fotografie dei documenti e dei cimeli storici si è
riconoscenti ai familiari di Giulio Orgnani di Udine, che si ringraziano per la
gentile partecipazione e per la concessione alla diffusione e pubblicazione nel
blog presente.
Zara sotto i
bombardamenti 1943-1944, opera del professor Giampiero Bertolini, 2005. La riproduzione su carta (Archivio ANVGD di Udine) è
diventata il manifesto della
Giornata del ricordo 2008
Buongiorno Sig. Varutti,
RispondiEliminasono capitato nel suo blog per puro caso, facendo una ricerca su Zara.
Così, giusto per cronaca Le voglio raccontare un poco della mia famiglia, da parte di padre.
Mio nonno era di base a Pola sui MAS. Non conosco bene le sue vicissitudini, a parte che si arruolò a 16 anni provveniente da un paese montanaro in Sardegna (Tempio Pausania) e non sapeva neppure nuotare. Sposò una bella donna di Sinj, Ana Cavcich, mia nonna e non so neppure come si connobbero, vista la distanza chilometrica tra le due località. Mio padre naque a Pola il 04/07/1922, ma poi si trasferirono a Zara, dove vissero sino alla fine della guerra. Naquero altri 3 figli, purtroppo tutti scomparsi, l’ultimo, zio Guido Marco viveva a Grions del Torre. Alla fine della guerra, mio padre era in Africa, mio nonno sicuramente in missione in Istria. Mia nonna raccontava della sua fuga da Zara con due figli, per poi raggiungere credo Trieste. Alla fine della guerra, mio nonno che apparteneva alla “Xma MAS”, con oltre 40 anni di marina militare, venne trasferito alla base navale di Cagliari e così ri ricongiunsero in Sardegna. So che mio padre, scomparso a 51 anni, si diplomò o almeno frequentò sino alla 4° la scuola di ragioneria a Zara, dopo partì per la guerra in Africa. Mia zia fece le medie a Zara e sino alla sua morte rimase in contato con altri Zaratini, ricordo anche che riceveva regolarmente la gazzetta di Zara, almeno sino agli anni 80. Anche mio padre rimase in contato con ex compagni di scuola. Da bambino sono stato con mio padre a Zara 2 o 3 volte, dove trovammo la loro casa del periodo pre guerra, nella zona del porto, ancora esistente (ma sto parlando della fine anni 60), ora un mio collega croato che abita proprio a Zara (sono anch’io un marinaio) mi ha detto che sicuramente è stata demolita nel corso degli ultimi anni. Mio padre e mia zia Liliana parlavano correntemente il croato, gli altri due figli più piccoli credo di no. Quando ero bambino, mia nonna mi insegnava tante parole in croato e ancora oggi, 64enne, ne ricordo alcune. Mi faceva le palacinche, di cui andavo pazzo.
Di tutti i parenti lasciati a Zara, Zagabria e Sinj, non ricordo molto e scomparendo lo zio Guido di Grions, abbiamo perso tutti i contatti. Ho qualche foto dei miei nonni e credo che mio cugino di Grions abbia anche lui qualche foto.
Spero di non averLa annoiata e le porgo i miei più cordiali saluti.
Domenico Scano
Buongiorno, grazie del commento molto centrato col tema dell'articolo. Eh, le palacinche son proprio buone!
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