È un libro che si legge tuto
de un fia’. È un incantevole volume del ricordo, giunto già alla seconda
edizione. Sono poche, ma intense le
58 pagine fondate su di un atto di gentilezza delle ragazze di Fiume dopo la
Seconda guerra mondiale verso i soldati tedeschi costretti ai lavori forzati.
L’umanità, in quelle terre, aveva iniziato a spegnersi dal 1943, quando un
insieme variegato di bande e di eserciti si fronteggiava con vena
nazionalistica e con tragiche uccisioni.
La copertina del libro con la fotografia che il militare tedesco Josef teneva con sé; si
vede la moglie, col figlioletto Werner
Il fatto straordinario è che l’intero testo di Cristina Scala
è stato creato sulla base di documenti familiari, come lettere manoscritte,
fotografie, dattiloscritti e vari contatti via web. Lo stile dell’autrice
appare scarno e senza fronzoli, ma è sciolto e leggibile. Certe sue frasi sono
come stilettate di bora, lanciate lì tra appunti storici e riflessioni
filosofiche. Al termine di una paragrafo potrebbe capitarvi di avere dei
brividi di emozione, perché tutto il racconto si basa su di una storia vera del
1947, come recita il titolo, con un balzo cronologico al 2016 e 2017 per le
corrispondenze di posta elettronica, quando la Scala scopre gli originali
manoscritti in lingua tedesca.
È proprio a Natale del 2016, durante un viaggio
negli Stati Uniti, in contatto con la rete dei fiumani sparsi nel mondo, che
all’Autrice vengono sottoposte alcune lettere da comprendere e tradurre. I
manoscritti, del 1949, sono opera di un soldato tedesco che si trovava
prigioniero degli slavi a Fiume, annessa alla Jugoslavia, dopo il secondo
conflitto mondiale.
Il soldato esprime la sua gratitudine per la solidarietà e la
gentilezza incontrate tra i fiumani, in particolare con una bambina di 10 anni,
Luzia, che lo aiutò, con poche e
semplici parole, a superare il brutto periodo di detenzione e di lavori forzati
per gli slavi. Dopo quasi 70 anni Cristina Scala è riuscita a mettersi in
contatto con i discendenti di quel milite e a creare l’occasione di un viaggio
del ricordo nei luoghi di detenzione e di pena.
Il libro della Scala è come una bomba d’acqua: tutto, tanto e
subito. Non c’è tempo per fare delle congetture. Non c’è sosta. C’è solo la
voglia matta di finire di leggere e di capire dove vano a parare i protagonisti
dell’avvincente faccenda. Non si vede l’ora di finire una pagina per scoprire
che cosa ci sarà in quella seguente.
Josef B., nato a Kobern, presso Coblenza, il 14 settembre
1911, morì a casa sua il 18 gennaio 1987. L'ultima di copertina del libro di Cristina Scala
La vicenda del soldato
Josef e della bambina Lucia
Come già accennato la vicenda è quella di Josef B., di
Coblenza, soldato tedesco della Wehrmacht fatto prigioniero, col suo reparto,
dagli iugoslavi a Castelnuovo d’Istria, oggi Podgrad, il 3 maggio 1945. Come
molti altri suoi commilitoni viene destinato ai lavori forzati. Gli è andata
bene, perché è ancora vivo. Nel 1947 a Fiume, in Via Torquato Tasso, diventata Ulica Kozala, fa conoscenza con Lucia, una bambina
italiana di 10 anni, che gli dà un semplice saluto, oppure un pezzo di pane e
marmellata.
I semplici atti di gentilezza della bimba italiana Lucia
danno grande conforto al soldato tedesco Josef, che ricorderà quel briciolo di
umanità. Il soldato Josef B. riesce a far ritorno in Germania, dalla sua
famiglia, il 25 gennaio 1949, dopo quattro anni di lavoro coatto duro e
pesante, come quello notturno in miniera, ad Arsia, che gli rovina la salute e
la possibilità di deambulare. Muore il 18 gennaio 1987.
Nel 1949 Josef scrive tre lettere di ringraziamento a Lucia
M., indirizzandole a Fiume, Via Tasso, raccontandole del figlio Werner, della
moglie e dei vicini, curiosi di sapere quella storia di piccola umanità. La
bambina Lucia, pur non capendo quella calligrafia, è contenta perché capisce
che Josef è riuscito a tornare dalla sua famiglia. Le missive, in tedesco, non
facilmente comprensibili per la grafia, restano in una scatola nella cantina di
Lucia fino al suo esodo da Fiume, avvenuto nel 1957, per arrivare a Genova.
La miniera di Arsia negli anni Quaranta; grazie per la
cartolina a Paolo De Luise, di Pirano, esule a Carpi, provincia di Modena
Dalla Liguria, questi originali documenti vengono ritrovati
nel 2016, scansionati ed inviati per posta elettronica all’amica del cuore
Lucilla, che da Fiume è esule negli Stati Uniti, nel Nord Carolina. Avendo
Lucilla un fratello che conosce la lingua tedesca, potrà egli tradurre i
messaggi, ma la grafia è veramente impossibile. Poi, per pura coincidenza,
arriva Cristina Scala e riesce a capire quelle frasi e a tradurle. Non solo,
ritornata in Italia, costruisce dei contatti con i discendenti di Josef di
Coblenza. Nel luglio del 2017 si incontra con Alexandra, la figlia di Werner,
in Austria. Poi se li porta a Portogruaro, a Fiume e ad Arsia, nella miniera
dove pativa Josef, in un tenero quanto europeo viaggio della memoria,
documentato nel libretto con tanto di fotografie.
“Non dimenticherò mai le donne di Via Tasso – scrive Josef
nella lettera, firmandosi Giuseppe, moglie
e Werner (il figlio) – con pane, conserve e frutta vi siete occupate per il
nostro benessere fisico, e tramite il vostro gentilissimo Buongiorno e Come Va?
siamo stati rafforzati nello spirito” (p. 25).
La storia del
pacchettino
Lucia risponde al soldato Josef con delle cartoline e delle
lettere, come quella del 20 dicembre 1950 che, racconta Josef in un altro
messaggio, viene letta assieme alla sua famiglia e a certi vicini di casa,
desiderosi di sentire raccontare ancora una volta la storia del pacchettino
delle bambine fiumane. Cos’era questo pacchettino?
Lucia, sua sorella e le altre ragazze di Fiume davano da mangiare al soldato
Josef che lavorava ad uno scavo in Via Tasso. Le bambine senza farsi notare dai
guardiani titini, lasciavano cadere o nascondevano un piccolo pacco, con dentro
un panino di marmellata, oppure un frutto, per Josef. Il pacchetto veniva
nascosto vicino ad un cancello del forno Pucikar, il nonno di Lucilla. Quando
poteva, Josef lo andava a raccogliere e si nutriva, oltre a sentire i garruli
saluti di Buongiorno delle ragazzine
di Fiume.
I discendenti di Josef, con Cristina Scala, hanno visitato a
Fiume, in Via Tasso a Cosala, il luogo di consegna del pacchettino. Lo hanno fotografato e mostrato ai parenti. Tutta la
visita a Fiume e alla miniera di Arsia si è svolta tenendosi in contatto
telefonico con Werner, in Germania, con Lucilla, in Nord Carolina, con Furio,
figlio di Lucilla che vive in Texas e con Lucia a Genova.
Arsia 1942, scuola elementare "G. Marconi"; ringrazio per la immagine Mario Tamburlini, del
gruppo di Facebook Amici profughi istriani, col suo messaggio del 21.1.2019
L’incidente del 1948
nella miniera di Arsia
La miniera di Arsia, ora Raša, non si è accontentata della
vita dei 187 minatori uccisi da un’esplosione il 28 febbraio 1940, quando
apparteneva all’Italia. Divenuta iugoslava, tornò ad esplodere nel 1948,
provocando la morte di almeno 92 minatori tedeschi prigionieri degli iugoslavi
e costretti ai lavori forzati, come Josef, il quale si salvò perché era stato spostato
a lavorare in un panificio di Draga di Moschiena. Oggi Arsia pare una città
fantasma, la miniera è chiusa e dell’incidente del 1948 si sa che “… il regime
di Tito volle insabbiare questa faccenda” (p. 46).
Chi è Cristina Scala?
Figlia di padre esule da Fiume e di madre profuga dalla
Boemia, l’Autrice è nata nel 1972 a Trieste. Nel 1978 la famiglia si
trasferisce in Germania, a Offenbach sul Meno, vicino a Francoforte sul Meno.
L’Autrice si specializza in Tecniche turistiche, conseguendo il diploma di Reisenverkehrskauffrau, corrispondente
in Italia a Perito turistico.
Per dieci anni lavora in agenzie marittime per crociere
internazionali a Francoforte e a Monaco di Baviera. Nel 2000 rientra in Italia,
stabilendosi a Portogruaro, in provincia di Venezia, dove attualmente è
responsabile dell’ufficio commerciale di un’impresa del settore metalmeccanico.
Il suo primo libro edito si intitola Ricordi
fiumani e Ciacolade di Giulio Scala, del 2014 e premiato nel 2018 con menzione d’onore speciale al Premio
letterario “Generale Loris Tanzella” di Verona. L’autrice ha un profilo Facebook, dove può essere contattata per eventuali informazioni sul suo
originale libro.
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Il libro recensito
Cristina Scala, Cuore
di bambina a Fiume nell’anno 1947, Portogruaro (VE), [s.e.], 2018, pp. 58.
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Commenti del web
In un paio di giorni l’articolo presente ha fatto registrare
nel web oltre 350 visualizzazioni e una serie di commenti positivi, compresi
quelli festosi dell’Autrice. Tra i tanti messaggi ricevuti riportiamo i
seguenti per dare un’idea della ricezione riguardo al libro di Cristina Scala.
Rudi Decleva, nato a Fiume nel 1929, sul profilo di Google il
23.1.2019, ha scritto: “Storia di una
bambina dal cuore d’oro e di un soldato prigioniero di uno Stato che per
punirlo gli impedisce di correre ad abbracciare la sua famiglia in una terra
lontana. Una vacanza negli States che fa scoprire all’Autrice gli ingredienti
di questa storia come in un gioco del destino. E le imprevedibili sorprese nei
luoghi dove venne a svilupparsi questo doloroso dramma umano che fortunatamente
si conclude con lacrime di gioiosa commozione”.
Una fiumana nel cuore,
Arianna Gerbaz, di Latina, che vive a Torino, il 22.1.2019, nel gruppo di
Facebook Un Fiume di Fiumani, ha scritto: “Una storia commovente con
protagonista la piccola Lucia”.
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Recensione di Elio Varutti. Servizio redazionale e di
Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E.
Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio
dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato
Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine.
Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di
Udine è Bruna Zuccolin.
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