Questa
è la storia delle osterie udinesi oltre Porta Aquileia. Don Aldo Moretti, nel
1979, ha scritto di aver trovato in biblioteca un «Indicatore della provincia
di Udine 1930-31 – VIII-IX Era fascista». Di tale pubblicazione si è servito
solo per la precisione dei titoli e degli indirizzi. Nel rione di Baldasseria e
Udine Sud, infatti, ha utilizzato anche le testimonianze degli anziani: “i loro
ricordi – ha scritto don Moretti – sono spesso imprecisi nelle date e nei
dettagli, ma in compenso hanno una freschezza venata di nostalgia che fa
rivivere cose già morte”. Poi, don Moretti continua con le seguenti parole.
1) Osteria “Al
Cason”, oppure “Alle Sbarre”
C’erano
le sbarre del passaggio a livello all’inizio di viale Palmanova, oggi
sostituite dal sottopassaggio e lì vicino c’era un’osteria. Se se le stanghe
erano calate – e lo erano di frequente – avevi tempo di entrare nel chiosco d’angolo,
che si chiamava, alla buona, «Il Casot». Potevi bervi «il taj di vin»
(bicchiere di vino), il «bùssul di
sgnape» (bicchierino di grappa). Oppure potevi comperare per i bambini «doi
centesins di bagjigjis o un centesin di luvins» (due centesimi di arachidi o un
centesimo di lupini). Ci incontravi magari i figure tipiche del tempo come
«Bons, Toni Lunc, Carlo Crûgnul». Costoro però quando erano meglio forniti di
«palanchis», passavano nell’osteria vera e grande, anche se ancora umile nel
nome «la Ostarie del Cason», che
esisteva già ai tempi antichi di Pietro Carlini mentre, poco dopo la metà del
Novecento, la gestiva siôr Toni Carlin, ovvero «Toni dal Cason».
Essa
era all’angolo tra il via e Palmanova e via Medici. Aveva anche cortile e
stallo per carri e cavalli, sia per bestiame d’acquisto, che di transito. Era
infatti, quello, punto di ritrovo per sensali e negozianti che lì contrattavano
bovini destinati ai mercati d’Italia e cavalli provenienti dall’Ungheria,
questi in genere destinati ai paesi del Friuli. La vicinanza della stazione
ferroviaria era la ragione di questa referenza.
Prima
del 1927 e fino al 1945 – secondo Mario Quargnolo – fu gestita, con il nome “Alle
sbarre”, dalla signora Giovanna Peloi. Non esiste più nel 2015.
2) Al Privilegio
Torniamo
sul viale Palmanova: da via Medici a via della Madonetta e fra la roggia e il
viale c’era la «Industria Laterizi della Società Anonima Impresa Rizzani».
(Tale industria era “sorta nel 1906” – vedi: Elio Varutti, Anelli-Monti e
Anderloni, Udine, Ribis edizioni, 1994, pag. 20).
Questa
fornace, di proporzioni maggiori a quelle della fornace Franzolini, era sorta ancor
prima di questa e fu più lungamente attiva, fino a non molti anni fa. Le
campagne della nostra zona vennero largamente scoperte – e poi ricoperte –
dello strato superiore di humus «il nembri», per prelevarvi sotto l’argilla. Sulla
carta topografica della città del 1920 è segnata una viuzza, denominata «via
dell’Argilla», che a via Medici procede, da nord a sud, fino ad incontrare via
della Madonetta. Ora ne esiste l’inizio, che si chiama via Gregorutti. Quella
“de argile” era percorsa da cavalli spinti a mano a portare il materiale dagli
«arzilârs» (i campi di estrazione) alla fornace. C’era anzi un tunnel per il
quale i carrelli sottopassavano il viale Palmanova per andare a prelevare
argilla nelle campagne a est, seguendo probabilmente un’altra stradella simile
alla precedente, segnata anche essa sulle carte topografiche d’allora e detta la «strade dai Carlins». Tale viuzza
partiva da via Fornaci, ma aveva una laterale che proveniva appunto dal tunnel
suddetto. La viuzza proseguiva per la campagna compresa tra le attuali vie
Baldasseria Media e Bassa fin molto a sud. Mi pare ovvio che di tale stradella
abbiano fatto uso tutte e due le fornaci.
La
ciminiera che si ergeva presso l’attuale via Urli e l’osteria «al Privilegio» (negli
anni 1970-1975, osteria il Manderon) erano gli emblemi più appariscenti o
almeno più osservati di quella attività, che dava sudato lavoro a tanti «fornasîrs»
(fornaciai). Fin qui le ricerche di don Aldo Moretti.
Secondo
Diego Cinello, come scrive a pag. 180 del suo libro fatto con racconti
pubblicati sul calendario Rizzardi dal 1992 al 2005, il privilegio “al è il
permès, vût par antîc dal Patriarcje, di fabricâ modons”. Vicino alla fornace,
dove si avvicendavano molti carradori assetati, doveva nascere per forza
un’osteria. Doveva chiamarsi, sempre per forza, Al Privilegio. Non
esiste più nel 2015.
Cartolina di Udine, Porta Aquileia nel 1949
3) Ai Tre Musoni
È
un’osteria friulana classica. Si trova in Via Marsala a Udine, vicino
all’osteria Bontà. Mario Quargnolo nel suo “Caffè e osterie di Udine”,
del 1983, ha descritto il locale dei Tre Musoni per filo e per segno.
L’attività
esisteva già nel 1904 sotto un altro nome. Si chiamava “Al Piccolo Torino” e
poteva vantare pure due campi di bocce, distrutti dal bombardamento americano
del 1944. Quell’evento bellico fu un fatto tragico per il quartiere. Provocò,
infatti, 43 morti in via Buttrio, che è molto vicina ai magazzini ferroviari,
vero obiettivo dei raid angloamericani, che tendevano a distruggere il treno
blindato nazista, usato nella repressione antipartigiana. Da qui uso altre fonti, come articoli di giornale e ricerche personali.
Il
28 dicembre 1944 l’attacco dal cielo si svolse in tre ondate. La contraerea
tedesca era installata ai quattro punti strategici della città: a Sant’Osvaldo,
nel Cormôr, vicino al cimitero di Paderno e in Baldasseria bassa. Quattro aerei
americani furono colpiti: uno cadde in via Marsala, uno presso Castions di
Strada e un terzo velivolo a Tavagnacco. I resti dei piloti caduti in via Marsala
erano ancor visibili, abbandonati lì, dopo un mese. La guerra è così. Alla sera
del 28 dicembre si contarono 60 morti civili e un migliaio di udinesi senza
tetto. Il 29 dicembre 1944, dopo mezzogiorno, sei formazioni per complessivi
novanta aerei USA sganciarono sulla verticale della stazione di Udine bombe di
grosso calibro, spezzoni incendiari e dirompenti. Il bilancio fu di un
centinaio di morti civili, oltre alla distruzione di 26 stabilimenti, 200
abitazioni e 6 scuole o collegi. Cinquemila furono i senza tetto. La parrocchia
del Cristo, in via Marsala, ebbe 36 morti. Devastata la zona di Gervasutta.
Ampi incendi distruggevano le costruzioni di via Cussignacco, via Percoto, via
Ronchi, via Buttrio e via Roma. Altri bombardamenti avvennero nei mesi successivi,
come ha scritto Olivio Intilia sul «Messaggero Veneto» del 29 dicembre 2005. La
guerra finì il 1 maggio 1945, quando i tank neozelandesi entrarono in città,
che era già stata liberata dai partigiani.
L’osteria
“Ai Tre Musoni”, ai primi del Novecento, era ben inserita nel settore, tanto
che metteva in mostra un’oleografia, ovvero una pittura a stampa, diffusa
nell’Ottocento, con la scritta: “Gara al boccino 1909”. Era il punto di mescita
dell’imprenditore Francesco Marzano (1862-1940), assai noto nella zona. Egli
era giunto a Udine da Gioia del Colle, in provincia di Bari, sul finire
dell’Ottocento, come operaio della ferriera. Poi, appurato che il vino Puglia,
fattosi spedire da casa, in Friuli andava a ruba, divenne imprenditore,
importando tale prodotto in grandi quantità. “Il forte vino meridionale dilagò
ben presto in città e in provincia – ha scritto Quargnolo – e l’azienda di
Francesco Marzano si ampliò fino a divenire, nel suo genere, un’istituzione”.
La
figlia di Francesco Marzano, signora Giovanna Peloi, ebbe dal padre l’osteria
nel 1927. Prima lei aveva gestito l’osteria “Alle sbarre”, davanti al passaggio
a livello di viale Palmanova, dove più tardi ci fu una caserma del carabinieri.
Negli anni Trenta fu costruito il cavalcavia, vanificando tale passaggio a
livello. Verso gli anni Settanta fu aperto l’attuale sottopassaggio, che unisce
piazzale D’Annunzio con viale Palmanova. La “Siora Giovana” gestì il locale
sino al 1945. Apriva alle cinque del mattino per somministrare i quintini di
grappa agli ex colleghi del padre, ovvero agli operai della ferriera, situata
nel viale omonimo, a pochi passi da via Marsala. La chiusura era fissata per le
undici, mezzanotte. Oltre alla grappa, che i fornitori portavano a damigiane,
l’osteria vendeva vino meridionale e friulano.
Nel
1946 l’azienda fu presa in carico dal figlio Angelo Peloi, cui si deve
l’intitolazione di “Tre Musoni”. Vista su un’enciclopedia la fotografia di tre
mascheroni da fontana monumentale, il Peloi incaricò lo scultore Milan di
riprodurli in legno rivestito per il suo locale.
Il lavoro, di ottima fattura, rappresenta la fratellanza di tre razze (bianca, nera e gialla) davanti a un buon bicchiere. Fu collocato sulla parete dietro il banco nel 1955 e dalla bocca di ciascuno dei mascheroni usciva un tipo di vino diverso. Negli anni sessanta iniziò a servire pure il caffé. I Marzano ed i loro discendenti, in quel periodo, si occuparono anche di opere di beneficenza religiosa per la zona.
Il lavoro, di ottima fattura, rappresenta la fratellanza di tre razze (bianca, nera e gialla) davanti a un buon bicchiere. Fu collocato sulla parete dietro il banco nel 1955 e dalla bocca di ciascuno dei mascheroni usciva un tipo di vino diverso. Negli anni sessanta iniziò a servire pure il caffé. I Marzano ed i loro discendenti, in quel periodo, si occuparono anche di opere di beneficenza religiosa per la zona.
Il
28 giugno 1953, terminata la costruzione del campanile della chiesa del Cristo,
voluto da Giuseppe Marzano (1896-1968), furono posizionate quattro lapidi, agli
angoli della torre campanaria, col bassorilievo dei familiari Marzano. Sono
ricordati Francesco Marzano (1862-1940), Onofrio Marzano (1890-1951), Donato
Marzano (1892-1940) e Giuseppe Marzano. Fu, infine, collocata una lapide a
ricordo dei benefattori, che reca il seguente testo:
QUESTO
MONUMENTO
DONO
DELLA MUNIFICENZA DI GIUSEPPE MARZANO
E
LE
NUOVE CAMPANE ED OROLOGIO
OFFERTI
DALLA GENEROSITÁ DEI PARROCCHIANI
VENNERO
SOLENNEMENTE BENEDETTI ED INAUGURATI
IL
GIORNO 28 GIUGNO 1953
DA
S.E. MONS. GIUSEPPE NOGARA ARCIV. DI UDINE
ESSENDO
PARROCO MONS. PIETRO BALDASSI
Nel
settembre 1971 la gestione dei “Tre Musoni” fu assunta da Attilio Tomada, che
introdusse pure un servizio di cucina casalinga. Dal canto suo Angelo Peloi,
nipote dell’avventuroso Francesco Marzano, intraprese un’attività inedita per
il capoluogo friulano, inaugurando la sala di bowling di viale Palmanova. Era
il 1971 e toccò al sindaco Bruno Cadetto tirare la prima boccia
all’inaugurazione della nuova attività. Negli anni novanta il figlio del
gestore, Roberto Peloi, attualizzò l’azienda, introducendo un “Internet point”,
oltre a numerosi videogiochi a tecnologia avanzata.
Dal
1971 al 2010 la gestione dei “Tre Musoni” fu assunta da Attilio Tomada, che
introdusse pure un servizio di cucina casalinga. Dal 2013 è gestita dalla
signora Marilena Breda, che si impegna anche sulle cene a tema.
4) Al Ledra
Si trovava lungo Viale
Palmanova, all’incrocio con Vie della Madonnetta. L’interno, assai semplice,
metteva in mostra una raccolta di cappelli e di caschi militari. L’osteria chiuse
con la fine del Novecento.
5) Da Fusâr
Aperta ufficialmente nel 1926, si è scoperto che l’osteria da “Fusâr”, di Via Pradamano, a Udine, reca quel nome (il fusaio, o fabbricatore di fusi per filare), proprio in onore di quelle donne, chiamate "Lis Sedonariis" (da "sedon", mestolo, in friulano), che, gerla in spalla, ripiena di mercanzia, affrontavano, camminando, i percorsi dei loro tentativi di vendita domiciliare.
«A vignivin di Claut – ha detto il signor Gino Nonino, di Baldasseria – e a lavin a durmî tal toglât dai Roiats lì di Fusâr» (Venivano da Claut, in provincia di Pordenone, e andavano a dormire nel fienile dei Roiatti, da Fusâr).
Aperta ufficialmente nel 1926, si è scoperto che l’osteria da “Fusâr”, di Via Pradamano, a Udine, reca quel nome (il fusaio, o fabbricatore di fusi per filare), proprio in onore di quelle donne, chiamate "Lis Sedonariis" (da "sedon", mestolo, in friulano), che, gerla in spalla, ripiena di mercanzia, affrontavano, camminando, i percorsi dei loro tentativi di vendita domiciliare.
«A vignivin di Claut – ha detto il signor Gino Nonino, di Baldasseria – e a lavin a durmî tal toglât dai Roiats lì di Fusâr» (Venivano da Claut, in provincia di Pordenone, e andavano a dormire nel fienile dei Roiatti, da Fusâr).
In un’altra intervista si è saputo che «Me nono Zuanin
Roiatti, nassût tal 1863 e muart tal 1941 – ha riferito Elsa Roiatti - che al
faseve l’ustîr, a dave di durmî ai fusâr e a lis sôs feminis e alore ducj lu
clamavin fusâr» (Mio nonno… faceva l’oste e dava da dormire ai fusai e alle
loro donne e allora tutti lo chiamavano fusâr).
Erano donne di Cimolais e Claut, in provincia di Pordenone,
oppure della Carnia. C’era una certa Letizia Sottocorona, da Collina di Forni
Avoltri. Dalle 293 interviste, raccolte dai ragazzi dello Stringher, si è
saputo che “lis sedoneris” venivano chiamate anche con altri appellativi. Ad
esempio “lis montagnaris”, poiché scendevano coi carri e i loro uomini, dalle
montagne.
Per tali figure del commercio ambulante c’era il
nome di “Chei des cjaçutis”, ossia: quelli delle stoviglie. “Las Nardanas”
erano dette le donne che venivano da Erto (“Nert”), in provincia di Pordenone.
Naturalmente “las Clautanas cu las crassignas” erano le portatrici di Claut. La
“crassigne” è un oggetto ancora più antico, usato addirittura dai “cramars”,
gli ambulanti carnici del Settecento e dei secoli precedenti.
Era un contenitore di legno, da portare a mo’ di
zaino sulle spalle. Era in montagna e in Carnia che, durante i freddi inverni,
venivano fabbricati questi utensili in legno, per poi venderli in pianura,
mediante le donne di casa, giovani incluse.
Ecco spiegato allora
il termine “lis cjargnelis cul zei plen di robe” (le carniche con la gerla
piena di roba). Alcune donne erano definite “lis fusanis”, perché vendevano per
le strade della città i fusi per filare.
Osteria Da Fusâr in Via Pradamano a Udine. Sullo sfondo la scuola "Enrico Fermi", che fu Centro di Smistamento Profughi dell'esodo giuliano dalmata dal 1947 al 1960. Per altre info vedi: Il Centro di Smistamento dei profughi istriani a Udine, 1947-1960
Fotografia di Elio Varutti
Fotografia di Elio Varutti
6) Al Francese, lì de La Piccola
Parigi
L’osteria «Al Francese»
sorta nell’ultimo dopoguerra, era situata nel borgo di Via Baldasseria Bassa
detto “La Piccola Parigi”, come ha scritto Alfredo Orzan nel 1984 sul numero
unico della sagra di Baldasseria. La intitolò lo scomparso Gino Colle, padre
del gestore degli anni 1980-1990, emigrato in Francia per tanti anni. A così
intitolarla furono gli avventori: «anin a bevi un tai là dal Francês». Fin qui
tra storia e leggenda.
Spreco un po’ di spazio
sul toponimo de “La Piccola Parigi”, con le parole del maestro Alfredo Orzan. «Una
manciata di vecchie case – scrive Orzan – a levante e ponente di via
Baldasseria Bassa, fra i paralleli di via Lauzacco e Lavariano; qualche muro
annerito, stradine, orticelli curati e aiuole fiorite. Una borgata tranquilla
che ha mantenuto inalterato nel tempo l’aspetto del tipico insediamento
operaio-rurale di due secoli fa: un esempio di architettura spontanea modesta,
se vogliamo, ma suggestiva e in stridente contrasto con la monotona mole del
«Modulo commerciale» vicino, che non poteva trovare collocazione più infelice.
Carletto Domenico
nell’agosto del 1971 (allora aveva 79 anni) in occasione della sagra, intervistato,
dichiarava al periodico della comunità, in quegli anni intitolato «Parrocchia
di S. Pio X»: «I Casali di Baldasseria Bassa vennero denominati «Piccola
Parigi» all’inizio del 1800, quando anche la Baldasseria Bassa era un covo di
contrabbandieri... il centro della borgata era costituito dallo stallone o
stazione dei cavalli, fabbricato adibito ad abitazione».
Non esistono, però,
fonti storiche per documentare il battesimo di questo toponimo. Le ricerche di
Orzan alla Biblioteca Comunale sono state infruttuose. A sentir gli anziani la
denominazione ha origini più remote. L’avevano già sentita dai nonni e
bisnonni. Evidentemente (e su questo punto le testimonianze orali tramandate
sono concordi) nel borgo esisteva una stazione di posta per il cambio dei
cavalli alle diligenze che provenivano da Trieste e Gorizia ed erano dirette a
Vienna.
Questa sosta favoriva
il contrabbando di merci facilmente reperibili nel porto giuliano, ma attirava
anche donne compiacenti in cerca di zerbinotti denarosi. Forse il toponimo
nacque allora per definire, come dice Carletto, il luogo poco raccomandabile e
malfamato simile a certi quartieri della capitale francese. Dopo l’avvento
della ferrovia, questa stazione rimase inattiva e si trasformò in rimessa per
carrozze, probabilmente, di privati e facoltosi cittadini che avevano in
affitto anche qualche stanza per le loro scappatelle.
«Entravano da quel
portone» e mostra il rustico abitato nel 1984 dalla famiglia Sdrigotti; così
un’anziana signora che l’aveva spesso sentito da sua nonna. E mi fa certe
allusioni che non lasciano sottintesi. Tornando all’origine del toponimo, esso
potrebbe derivare anche dalla presenza di qualche contingente di soldati
francesi stanziatosi nei dintorni durante il periodo napoleonico o che frequentavano
questo posto in cerca di evasioni amorose».
Così conclude il
maestro Orzan.
Bibliografia
- Mario
Blasoni, In periferia nei locali di fine ‘800, «Messaggero Veneto», 2
gennaio 2008, pag. V.
-
Diego
Cinello, Tes cjasis dai vons, Udine, Rizzardi, 2006.
-
Indicatore della provincia di Udine 1930-31 – VIII-IX
Era fascista.
-
Paolo
Medeossi, Osterie in Baldasseria, Udine, Numero Unico «Baldasseria 87»
1987.
-
Aldo
Moretti, Attività economica dal primo anteguerra nel nostro rione,
Numero Unico per la sagra di Baldasseria, 1979.
-
Alfredo
Orzan, La Piccola Parigi, Udine, Numero Unico per la sagra di
Baldasseria, 1984.
-
Mario
Quargnolo, Caffè e osterie di Udine, supplemento al n. 308 del
«Messaggero Veneto» del 30 dicembre 1983.
-
Elio
Varutti, Anelli-Monti e Anderloni, Udine, Ribis edizioni, 1994.
-
Elio
Varutti, Lis sedoneris a cjaminavin, «Camminare
per conoscersi», 2009.
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