Questa è una recensione. Il titolo completo del
libro è «Piccolo elogio della non
appartenenza. Una storia istriana». Ne è autore Michele Zacchigna, un
“cucciolo istriano” dell’esodo, sbarcato in fasce a Trieste negli anni Cinquanta. Come si legge nell’aletta
di quarta di copertina, Zacchigna, nato a Umago d’Istria, nel 1953, è morto a
Gemona del Friuli nel 2008.
Per anni è stato insegnante nelle scuole superiori
di Storia e Filosofia, prima di giungere all’Università degli Studi di Trieste
come ricercatore di Storia medievale. Nel 2005 è entrato a far parte del
Direttivo del Centro Europeo Ricerche Medievali (CERM). Ha scritto vari saggi
di carattere scientifico sulla storia medievale del Friuli Venezia Giulia.
Quest’opera, postuma, è la prima di carattere narrativo; l’unica che
testimonia, come scrive l’amico e maestro Paolo Cammarosano, la sua “estrema
cura per la traduzione del pensiero nella parola scritta”.
Il libello è potente
dal punto di vista introspettivo. Ironico e, allo stesso tempo assai colto. Il
ganglio centrale dell’intuizione filosofica dell’Autore sta in questa frase: “Non
mi restava che elaborare l’idea, di ascendenza aristotelica, che la sostanza è
l’individuo, mente le appartenenze di gruppo, di etnia, di nazionalità,
soggiacciono ad uno statuto ontologico minore” (pag. 18).
A questa sua
conclusione ci arriva pacatamente, non senza amarezza e con un tratto d’ironia
dopo aver analizzato la storia personale e quella di alcuni suoi familiari. A
mio parere, i suoi paradossi, le frasi ironiche e il crescendo che sottende
l’esposizione narrativa potrebbero essere avvicinati a un grande della
letteratura del Novecento, che risponde al nome di Franz Kafka. Non solo al
Kafka della Metamorfosi, ma anche ad
altre opere dello scrittore mitteleuropeo.
L’inizio del racconto è
questo: “Non ci bastava il perimetro del campo profughi”. Poi lo scrittore
descrive la vita dei ragazzi istriani tra le bettole di Trieste e le prime
immagini della televisione, negli anni 1958-1965. Troviamo pure le osmize dell’Altipiano (cantine di vignaioli locali, anche sloveni). Nella “Trieste radiosa di bora, di freddo e
di mare” ci sono l’odore del surrogato di caffè e il vociare delle persone, un
“vociare di caserma”, considerato che molti dei 140 campi profughi erano
caserme dismesse. Trieste ne aveva diciotto. L’ultimo chiuse i battenti nel
1972: è quello di Padriciano. “Profugo con piena certificazione” Zacchigna
rifiuta le “atmosfere mortifere” e lugubri di certi racconti dell’esodo.
“Avverto il bisogno di chiudere i conti con la memoria”, scrive da un lato, ma
la nostalgia istriana di suo padre è “forsennata”.
Trieste, anni '50
Lo stile è delicato in
certe righe, per divenire chiaro e crudo in altre pagine, ma rappresenta
efficacemente la «nuova onda» degli scrittori dell’esodo giuliano tra campi
profughi, villaggi giuliani e appartamenti dei fittavoli triestini, dove era
vietato fare qualsiasi cosa, come tenere dei bambini o farsi un greve cibo
caldo. Di lui e dei suoi compagni di gioco dice: “Le stesse ragioni dell’esodo,
con i suoi retroscena di incertezza e di paura, affiorano a spezzoni da un
racconto che non ci affascina: gli s’ciavi,
le foibe, le ‘terre perdute’ non hanno il sapore di un’epopea avventurosa. È
una storia di fuga, di ritiro, di violenza subita. Una storia che si conclude
nelle baracche di Campo Marzio, nello squallore delle stanze in subaffitto,
dove si rischia di finire sulla strada per aver tentato, nottetempo, di
cucinare un uovo al tegame, negli sguardi spaesati dei parenti” (pag. 12).
Il Centro di raccolta
profughi di Campo Marzio, a Trieste, è ricordato pure da Mario Fragiacomo, come
si vede in un articolo, intitolato "L'esodo nella tromba di latta di Fragiacomo" de «Il Piccolo»
del 20 febbraio 2015, nel suo libro-CD Quella
tromba di latta. Questo altro libro, come capita alla gente dell’esodo
giuliano dalmata, che si è sparpagliata in tutto il mondo, è stato presentato
in pubblico prima a New York, poi a Milano ed, infine, a Trieste. Mario Fragiacomo è un musicista triestino definito, da Giorgio Gaslini, come uno dei veri e pochi artisti italiani che si
distinguono nell’area della musica totale, tra jazz, improvvisazione libera e
musiche popolari mitteleuropee.
Zacchigna parla pure
del nonno, repubblichino di Salò, “per altro regolarmente infoibato” (pag. 15).
Catturato di notte, come usava tra i partigiani titini, “fra gli strepiti delle
figlie”, il nonno fu poi riesumato e riconosciuto da Giovanna, la madre
dell’Autore, quando aveva sedici anni.
In chiave storica,
Gianni Oliva e Guido Rumici rappresentano la “nuova storiografia”, come hanno
scritto Raoul Pupo e Roberto Spazzali nel loro “Foibe”, Editore Bruno
Mondadori, Milano, 2003. Ebbene Michele Zacchigna è senz’altro uno scrittore
della “nuova onda”, alla stessa stregua di Frediano Sessi, Mauro Tonino, Simone Cristicchi e Annalisa Vucusa.
Restando all'interno della letteratura sull'esodo giuliano dalmata, vediamo qualche altro scrittore. Un’altra autrice nuova
è Giorgia Gollino; nata a Gemona del Friuli nel 1987, da giovane si
è trasferita a Palmanova, in provincia di Udine. Dopo gli studi classici, si è
laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Udine, con una tesi in
Diritto internazionale e pubblico comparato sui beni abbandonati
dagli esuli giuliano dalmati. Nel volume miscellaneo “Terra mia, addio! Riflessioni umanistiche sui beni italiani abbandonati
in Slovenia e Croazia”, affronta tale tematica con poche ma chiare parole, dal
Trattato di pace del 1947 fino al Trattato di Osimo del 1975. Il testo contiene
altri interventi, come quello del professore Guido Rumici, noto per i suoi
studi sul confine orientale italiano, e quello del professore Angelo Viscovich,
esule da Albona, dove è nato nel 1948, mente ora vive a Udine con la famiglia.
Per renderla accessibile al grande pubblico la curatrice ha aggiunto, nella
pubblicazione, un brano di Sergio Endrigo, una poesia di Bepi Nider (citata dal
volume Magazzino 18, di Simone
Cristicchi) due poesie di Biagio Marin, nonché un paio di interviste a Mario
Grabar Garbari, da Parenzo, e Giuliano Mattiassi, da Pisino d’Istria, già
pubblicate da Rumici.
Vedi: Giorgia Gollino (a cura
di), Terra mia, addio! Riflessioni
umanistiche sui beni italiani abbandonati in Slovenia e Croazia, Palmanova
(UD), Collana Appunti di Storia, vol. XIX, Circolo Comunale di Cultura “Nicolò
Trevisan”, 2015. ISBN
978-88-940683-0-6
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Michele Zacchigna, Piccolo elogio della non appartenenza. Una
storia istriana, Trieste, Nonostante Edizioni, con una Postfazione di Paolo Cammarosano, 2013, pagg. 68, euro 10.
ISBN 978-88-98112-00-5
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Una versione di questo
articolo è apparsa nel web su “Il
Giornale del Friuli” del giorno 11 aprile 2015, col titolo: “Una storia istriana di Michele Zacchigna – recensione di Elio Varutti”.
Lo stesso brano
è menzionato anche su "it.geonews.com" - una piattaforma di notizie
geo localizzate (Geo-located NewsReader) facilmente consultabili attraverso
l’uso delle mappe di Google.
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