sabato 31 ottobre 2015

Tecnica della pulizia etnica. Un infoibato di Pinguente, 1943

Frane, vien un momento via con noi, i gà dito”. Inizia così il triste ricordo del padre infoibato per Onorina Mattini, nata a Pinguente nel 1924. “Erano in due – aggiunge la signora Mattini – hanno portato via così mio padre, come in amicizia. Bruti cativi!”. 
Era il 15 settembre 1943. Hanno usato il diminutivo, vezzeggiativo in lingua croata “Frane”, per “Francesco”. Egli era un addetto dell’impianto pompe dell’acquedotto militare di Pinguente. Francesco Mattini, classe 1895, non era una camicia nera. Non era un militare. Era un impiegato civile. Lo hanno ammassato nella scuola del paese, divenuta per l’occasione Narodni Dom (Casa del Popolo), assieme a tanti altri italiani del posto da eliminare. 
Mio papà è stato visto prigioniero dei titini da mio fratello Vittore Mattini, lì in quella scuola – aggiunge Onorina – dove gli ha portato una coperta, dato che le guardie titine lasciavano passare i bambini. Lui gli aveva dato un biglietto da portare alla mamma. Poi è scomparso. Non abbiamo saputo più niente”. 

Acquedotto istriano civile, Pinguente. Santina Merli con i nipoti Luciana e Cesare Tancredi nel 1937.  
Collezione famiglia Tancredi, Udine

Poi c’è la frase detta da molti istriani, stupiti ancor oggi delle uccisioni in foiba. Chi mai si sarebbe immaginato che malmenavano, torturavano, uccidevano e gettavano nelle foibe i loro stessi paesani, i vicini di casa. Fin qui la testimonianza di Onorina Mattini, esule a Udine, da me ascoltata il 30 ottobre 2015.
Francesco Mattini finì con tutti gli altri italiani prelevati e imprigionati, con tutta probabilità nell’Abisso Bertarelli. “Fu infoibato nei giorni tra il 27 e 30 settembre 1943”, come hanno scritto i figli, Onorina e Vittore, il 27 dicembre 2006, in una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, per ricevere dallo stato italiano un riconoscimento pubblico.
Secondo quanto ha scritto Padre Rocchi, che cita a sua volta, una pubblicazione di G. Holzer, del 1946, la foiba Bertarelli, nelle vicinanze del Monte Maggiore, in croato Učka (m. 1.396) custodisce varie salme. “Il numero delle vittime precipitate in questa voragine – è scritto a pag. 27 – ascende a parecchie migliaia”. (F. Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani, fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 1990). La montagna è sita sopra Laurana, centro di soggiorno e balneare del Golfo del Quarnaro.  

Il racconto del 2007
Riporto ora, con qualche aggiornamento, il racconto dei fratelli Onorina e Vittore Mattini, da me intervistati il 15 febbraio e in altre giornate dello stesso mese nel 2007. Tale testo è contenuto nel seguente volume: Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
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C’è un gruppo di persone, native di Pinguente d’Istria – la croata Buzet – oggi residenti a Udine, in Via Casarsa, laterale di Via Cormor Alto, ove restano ampie tracce del Villaggio Giuliano, sorto nel 1950, per accogliere gli sventurati esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Tale gruppo di persone intervistate ha trasmesso al ricercatore un forte sentimento di appartenenza alla loro comunità originaria. Hanno voluto partecipare collettivamente agli incontri per le interviste, per il prestito e la restituzione di fotografie, di documenti personali, di cartoline e manoscritti. Hanno voluto agire come una comunità anche nel momento in cui sono stati chiamati a raccontare la storia personale, con un originale intercalare, che diceva “Se jera tuti in campo”, riferendosi al Centro di Smistamento Profughi di Udine, che accolse oltre centomila esuli dal 1947 al 1960.
Documento di arrivo al Centro Smistamento Profughi di Udine del 19 agosto 1948, passando al valico di Monfalcone due giorni prima, coi timbri del Ministero dell'Interno di Zagabria. Collezione famiglia Mattini, Udine

La vicenda di questi istriani è del tutto particolare, perché essi vissero nelle baracche di Via Gorizia, come diceva la gente, poiché vicine al primo Campo Profughi di Via Gorizia, organizzato in vecchie strutture scolastiche. In realtà la bidonville era in Via Monte Sei Busi. Veniva detto il Villaggio Metallico. “El Vilagjo de Fero”, per gli istriani. Erano una quarantina di prefabbricati di metallo ondulato, usati come casermaggio dagli inglesi fino al 1947. Dopo il loro abbandono, furono utilizzati come Campo Profughi e, poi, come provvisorie abitazioni di istriani, fiumani, dalmati e sfollati in genere, prima di ottenere delle case vivibili. Udine ebbe così quattro Campi Profughi: Via Gorizia, Via Monte Sei Busi, Via Pradamano e S. Gottardo.
I profughi pinguentini transitarono dal Campo Profughi del Silos a Trieste, per passare poi al Centro di Smistamento di Udine, al Villaggio Metallico per cinque anni circa e, infine, al Villaggio Giuliano.
“Se magnava in Via Pradaman nel 1948 – hanno detto Vittore e Onorina Mattini – stavimo soto i bidoni, in te le barache, al Vilagjo de Fero, dito anca Villaggio Metallico e jera anca la ciesa co l’altar, vigniva un frate, vigniva zente de Paderno [frazione a nord, in Comune di Udine] oltre a noi profughi per la messa”.

Udine, Villaggio Metallico, 1952. La Cjesa del Vilagjo de Fero. Da sinistra: Maria Osso, Maria Cerri, Ugo Cerri, Pietro Buttignoni (l'artigliere), Onorina Mattini, Bruno Mambelli, Angelo Totaro (bambino) figlio di Uliana Buttignoni e Maria Buttignoni. Collezione famiglia Mattini, Udine

Quante baracche c’erano al Villagjo de Fero? “Sarà stae una quarantina de barache – hanno aggiunto i fratelli Mattini – jera l’osteria con l’oste Piero, un napoletan guardiacarceri con la moglie de Fiume, dopo jera un negozio de alimentari, jera sfolai anche udinesi, perché i molava la casa, per avere la buona uscita e cussì i viveva in baraca”.
Come fu la partenza dall’Istria? “Gavevo el cuor tanto duro de andar via – ha detto Onorina – ma no torneria più”.
Come mai? “Mio papà el se stà infoibà – ha detto Vittore – el se stà portà via de casa al Narodni Dom… me ricordo che dopo del 2 de otobre, tre giorni prima de l’arivo dei tedeschi, tanti de lori se stai prelevadi e xe sparidi”.
Ricordate altri fatti? “Dopo che se andadi via i tedeschi, che i gà fato saltar l’acquedoto – ha aggiutno Vittore – in piaza jera i croati che i balva el kolo [ballo collettivo da effettuarsi in cerchio].
La chiesa al Villaggio Metallico di Udine, 1956, con don Leandro Comelli

Com’era la vita in Istria dopo la guerra? “A Pinguente nel 1945-1946 i rivava i pacchi dei aiuti angloamericani – hanno detto i fratelli Mattini – e i croati ne li vendeva per tre jugo-lire, la paga de un mese in jugo-lire o in dinari bastava per la stofa de un vestito da far dal sarto. Le scarpe jera impossibile comprarle. Per la carne jera una coda de cento persone. Una volta xe rivada in paese una madria de muche argentine per poder magnar. Xera fame. Tanta polenta e salada [insalata].
Nelle baracche del Vilagjo de Fero c’erano persone di altre nazionalità? “Sì el jera un tedesco – risponde Vittore Mattini – se ciamava Max Jenke, el stva co la famiglia numerosa de Bianca la Bergamasca, se zogav a carte, a ramin, lui el ne gà iudà a far el trasloco con un camion del genio el 23 de genaio del 1953 da la baraca a la casa”.
Gli altri intervistati di Pinguente sono stati: Cesare (1933) e Luciana Tancredi (1935), che assieme ad altri due fratelli loro Norma (1939) e Sergio Tancredi (1945), oltre che a Pinguente (oggi Croazia), vissero a Castelnuovo d’Istria (oggi Slovenia), prima dell’esodo del 1948. Anche Pietro Buttignoni “Piero de Patacela” (1917) fuggì da Pinguente nel 1948 per Udine, dopo essere sfuggito alla strage di Cefalonia, alla campagna di Russia e ad un campo di concentramento nazista. Ho intervistato Buttignoni il 28 febbraio 2007, in compagnia di Vittore Mattini, Cesare e Luciana Tancredi. 
Altre informazioni ho potuto raccogliere da: Eda Flego, Pinguente (1950), intervistata il 31 dicembre 2005, che ha riportato molte impressioni del padre Viecoslav Luigi Flego, Pinguente (1917) e della madre Emma Micolaucich, Pinguente (1921). L’esodo della famiglia Flego è del 1963, quando con l’autogestione di Tito i primi ad essere espulsi dai luoghi di lavoro furono gli italiani.    
Lettera di Francesco Mattini alla moglie, 1943. 
Collezione famiglia Mattini, Udine

Lettera di un infoibato, 1943
Ecco il testo del breve messaggio scritto con un lapis da Francesco Mattini, dopo il 15 settembre 1943, mentre si trovava imprigionato nella Narodni Dom di Pinguente, sorvegliato dai partigiani titini. Accartocciato il messaggio, vergato su un pezzetto di carta geografica (che sul retro riproduce il Governatorato della Dalmazia, annesso all’Italia nel 1941 da Mussolini) fu consegnato al figlio Vittore, che lo recapitò a casa alla mamma Maria Osso. La famiglia non seppe più nulla del prigioniero dei partigiani slavi.

“Maria
ti raccomando
di non prendere
paura, né tu né
i bambini. Qui
siamo in tanti.
Io spero che sarò presto
libero in quanto che
come lo sai, io non
ho nulla sulla
            coscienza
mandami una
coperta.

            Un bacio a

            tutti”.
 Retro della lettera di Francesco Mattini alla moglie, 1943 su una carta geografica con le annessioni territoriali di Mussolini, in rosso. Collezione famiglia Mattini, Udine
 Dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà dei fratelli Onorina e Vittore Mattini, del 27.12.2006, per ricevere dallo stato italiano un riconoscimento pubblico. 
Collezione famiglia Mattini, Udine
 Cartolina di Pinguente, divenuta Buzet, viaggiata il 12 febbraio 1952, all'indirizzo del Villaggio Profughi di Udine
Collezione famiglia Mattini, Udine

 Udine, Vilagjo de Fero, 1952. Da sinistra: Tonin, Uliana Buttignoni, Pio Ceri, Ugo Ceri, Maria Ceri, Cesare Buttignoni (col cappello scuro), la signora Buttignoni, Angelo Totaro, Pietro Buttignoni (col berretto militare), Onorina Mattini, Giovanna Mambelli, Maria Osso, Bruno Mambelli e Vittore Mattini Collezione famiglia Mattini, Udine
Il passaporto provvisorio n. 8897 di Vittore Mattini del 14 luglio 1948, vista l'opzione, timbrato e firmato dal Consolato italiano di Zagabria. Collezione famiglia Mattini, Udine
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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che  ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD di Udine.
 

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