«Mia mamma restò male quando i tedeschi, dopo l’8 settembre 1943,
ci hanno requisito la casa di Via Cairoli 1, a Udine così, portati un po’ di
mobili in un magazzino, siamo finiti sfollati a San Vito al Tagliamento, presso
dei parenti». Con queste
parole Federico Marconi, classe 1932, architetto allievo e collaboratore di
Gino Valle, si è raccontato in pubblico il 21 giugno 2016.
L'architetto Federico Marconi, giacca e cravatta, spiega il Monumento alla Resistenza. Fotografia di Elio Varutti
L’occasione per sfoderare la memoria gli è stata fornita dal
Fondo Ambiente Italiano (FAI) in una meritoria iniziativa per la cittadinanza:
spiegare il Monumento alla Resistenza. È stata Laura Stringari, capo
delegazione del FAI di Udine, ad aprire l’incontro per i soci e per gli
interessati. L’intelligente evento si è svolto nel tardo pomeriggio presso
l’area del Monumento alla Resistenza, in Piazzale XXVI Luglio a Udine.
Udine, 25 aprile 1969 - Inaugurazione del Monumento alla Resistenza. Fotografia ripresa da Alessandro Rizzi, nel gruppo di Facebook "Sei di Udine se..."
Così quasi 150 anni dopo che i primi reparti di cavalleggeri del
Regno d’Italia entravano a Udine, per unificarla alla nazione, un gruppo di
trenta persone si acculturava sulle bellezze museali grazie al FAI. Era proprio
il 26 luglio del 1866. Tutto avvenne senza entusiasmi, come annotarono le
autorità dei Savoia. È ben vero che c’erano stati i moti mazziniani del 1864,
dove furono coinvolti diversi giovani friulani, appartenenti a varie classi
sociali. La Udine del Novecento ha intitolato un parcheggio sotterraneo a
quell’Antonio Andreuzzi che fu a capo di una delle bande di rivoltosi
mazziniani negli scontri di Navarons contro i gendarmi austriaci. A contarla
tutta, Udine è piena zeppa di toponimi dedicati al Risorgimento; basta cercare.
Torniamo a Federico Marconi e alla sua magistrale
illustrazione del Monumento alla Resistenza. «Io sono un sopravvissuto – ha detto Marconi, schernendosi –
perché gli altri autori di questo monumento sono già morti». Gli altri
progettisti sono Gino Valle con il paesaggista belga Gissel. Fu proprio il
trio Marconi-Valle-Gissel con l’aggiunta dello
scultore Dino Basaldella a vincere il concorso del Comune di Udine nel mese di
aprile 1959, su 33 progetti presentati. Pochi di architetti.
Fotografia sopra: una delle quattro fasce quadrangolari con la scritta di Calamandrei, il Tempio Ossario sullo sfondo e (sotto) la scultura di Dino Basaldella: Monumento alla Resistenza, 1968-1969.
Fotografie di Elio Varutti
La concorrenza era forte. Ad esempio lo scultore Renato Marino Mazzacurati,
secondo certa critica cinghia di
trasmissione del PCI, aveva proposto una montagnola coi partigiani tesi a
conquistarla. Molti altri progetti erano figurativi e plastici. Alcuni facevano
il verso, o si accostavano al realismo socialista. «Rispetto allo spazio di
questa rotonda col traffico veicolare intorno – ha precisato Marconi – ogni
idea artistica scompariva, perché questa è una piazza grande e con altre opere
di grande imponenza, come il Tempio Ossario».
A chi venne l’idea di fare un monumento ai partigiani? «Facciamo
un passo indietro – ha detto Marconi – tutto cominciò nel 1958, quando il
sindaco Giacomo Centazzo e la sua giunta vollero dedicare un monumento alla
Resistenza nella rotonda di Piazzale XXVI Luglio, davanti al Tempio Ossario,
così fu indetto il concorso senza grosse restrizioni».
A questo punto c’è un’aggiunta dello scrivente. Si pensi che nel
1959, qualcuno delle ultime ondate di profughi giuliano dalmati, in fuga dalle
prevaricazioni titine, fu messo a dormire nella cripta del Tempio Ossario.
Succedeva che il Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano fosse stracolmo
e allora i nuovi arrivi finivano accolti in questo modo abborracciato. Vedi in
merito: «L’Arena di Pola» del 28 aprile 1959.
Un altro passo indietro è stato fatto dall’architetto Marconi, per
descrivere la nascita del Tempio Ossario, dato che è opera di Provino Valle,
padre di Gino. Nata come nuova chiesa di San Nicolò, dopo la Grande Guerra, fu
trasformata sotto il fascismo in un tempio per i caduti, con l’intervento
dell’architetto Edoardo Limongelli. Era il 1930 e le autorità fasciste vollero
concentrare i resti di 25 caduti di guerra, dei quali 5 mila ignoti, sotto un
unico sacrario. Fu scavata una profonda cripta adatta all’uopo. Nel 1938
intervenne addirittura Mussolini ad inaugurare la costruzione con la facciata
terribilmente disadorna. Ci pensò l’ufficio di propaganda fascista a preparare
un bel fotomontaggio col duce in primo piano, dopo il 1940, anno della
consacrazione al culto con la facciata odierna, abbellita dalle quattro
imponenti statue militari.
Udine, Il Piazzale XXVI Luglio nel 1969 - Foto da Internet
La cupola del Tempio Ossario si scorge da varie parti della città,
tanto è grande. È alta 60 m, con una base quadrata di 21 m. Proprio a 21 m
corrisponde il lato della fascia quadrangolare del monumento progettato da
Valle-Marconi, eretto nel 1968-1969.
Già perché il Consiglio comunale di Udine impiegò ben dieci anni
prima di dare il via ai lavori di cantiere. Missini e liberali fecero il
diavolo a quattro pur di contrastare l’opera, ma con scarsi risultati. Ci mise
lo zampino pure la stampa locale, rimestando nel torbido. Furono amplificate le
polemiche, anche quelle più sterili, creando un certo astio popolare nei
confronti dell’opera giudicata dalla critica d’arte come innovativa.
Ricordo anch’io come la gente comune nelle chiacchiere d’osteria
lamentasse il fatto che «al posto de quel bruto cubo de cemento xera mejo far
una scuola, un reparto de ospedal o un zardin».
Centazzo era morto nel 1960 e, al suo posto, c’era il sindaco Bruno
Cadetto, che sette anni dopo ruppe gli indugi, decidendo di fare questo contestatissimo monumento.
Fu costruito in un anno e mezzo. Non è costato molto, perché c’è cemento
grezzo. «Sono costate molto le scandole di pietra della fontana – ha spiegato
Marconi – perché solo così si ha l’effetto delle cascatelle dei rivoli di
montagna dove erano forti i partigiani. Poi guardando in alto si vedeva il
cielo racchiuso dalla cornice quadrata sorretta da tre pilastri. Ne abbiamo
messi solo tre per dare spazio alla fontana. Sulla cornice quadrata di cemento
c’è una frase storica di Pietro Calamandrei, uno dei padri costituenti. Poi c’è
la scultura di Basaldella, costruita col ferro di una locomotiva, vedete quella
parte tondeggiante è il muso di una vecchia locomotiva ed altri pezzi di
fonderia. Poi ci sono le piante basse che ricordano tutta la vegetazione della
regione, dal Carso alla Carnia, dove marciavano i partigiani».
Tra il pubblico si è notato anche il signor Maurizio Corrado, in
rappresentanza della sezione ANPI città di Udine “Giovanni Spanghero”. È stato
lui a ricordare agli intervenuti dove era il palco delle autorità il 25 aprile
1969, giorno dell’inaugurazione ufficiale del Monumento alla Resistenza. «Era
in quello spazio lì, io ero presente con mio padre – ha indicato il signor Corrado la zona dove oggi c’è il
bar Ai Bagni – c’era il primo ministro Mariano Rumor, poi Luigi Longo, per il Corpo Volontari della Libertà e Fermo Solari, oltre al sindaco Bruno Cadetto,
poi da Via Duodo giunse un corteo di Lotta Continua con lo striscione che
diceva, se ricordo bene, ‘Questa Repubblica non è nata dalla Resistenza’, in
prima fila c’erano Toni Capuozzo, Ferruccio Montanari e Gianna Malisani».
Qualche storico riporta erroneamente che all'inaugurazione intervenne pure Ferruccio Parri, ma l'importante personaggio era solo annunciato, poi venne Rumor, "che durante la lotta partigiana era un imboscato", dice la gente comune. Anche il signor Maurizio Corrado smentisce la presenza di Parri, già Presidente del consiglio dei ministri.
Federico Marconi ha poi parlato alle singole persone che gli rivolgevano domande più specifiche. Non ha nascosto la sua esecrazione per il nazismo. Del resto come potevano essergli simpatici i tedeschi, dato che la sua famiglia venne sloggiata una seconda volta dalla casa di San Vito al Tagliamento, presso la quale si erano sistemati, dopo essere sfollati da Udine? Anche nell’abitazione di San Vito dovevano piazzare un comando tedesco o delle Waffen SS. E cosa dire dei conoscenti e dei parenti finiti nei campi di concentramento?
Federico Marconi ha poi parlato alle singole persone che gli rivolgevano domande più specifiche. Non ha nascosto la sua esecrazione per il nazismo. Del resto come potevano essergli simpatici i tedeschi, dato che la sua famiglia venne sloggiata una seconda volta dalla casa di San Vito al Tagliamento, presso la quale si erano sistemati, dopo essere sfollati da Udine? Anche nell’abitazione di San Vito dovevano piazzare un comando tedesco o delle Waffen SS. E cosa dire dei conoscenti e dei parenti finiti nei campi di concentramento?
Era dal 1946 che a Udine c’era la fissazione di costruire case. La
fissa non era solo del sindaco Giacomo Centazzo. Dopo la guerra e i
bombardamenti anglo-americani c’era effettivamente una gran fame di case. La
gente, non solo i profughi istriano dalmati, viveva nelle baracche di San
Rocco, di San Domenico e di Via Cividale. Oppure vivevano nella bidonville del
Villaggio Metallico di Via Monte Sei Busi (passato agli zingari dopo il 1960)
e, perfino sotto il Cavalcavia Simonetti.
C’era una gran voglia di abbattere gli edifici colpiti dalle
bombe. Si volevano tirare giù pure le case vecchie, qualche cinema Liberty e
tutto ciò che era antico. Il sindaco Centazzo e la sua giunta, ad un certo
punto, presi dal furore distruttivo, intendevano demolire l’intero isolato
della farmacia Beltrame in Piazza Vittorio Emanuele II o, come fu denominata
dopo lo sfrecciare delle autoblinde neozelandesi del 1945, Piazza Libertà. Ai
tempi della Serenissima Repubblica di San Marco: Piazza Contarena.
Era il 1955 circa. Fu così che tre studenti sbarbatelli di architettura scrissero una
lettera al direttore del «Messaggero Veneto» in difesa delle antiche case. Esse
furono salvate. Il sindaco cambiò idea uno dei tre studentelli era Federico
Marconi. Noi oggi abbiamo la Piazza Libertà con edifici storici e anche qualche
casa, negozio o ufficio in quell’antico agglomerato che sorge sul fronte
meridionale della Loggia del Lionello.
Laura Stringari, capo delegazione del FAI di Udine, al centro con le maniche corte, apre l'incontro presentando l'architetto Federico Marconi il 21 giugno 2016
Targa esplicativa dell'opera
Udine 25 aprile 1969, sfilata dei labari dei Comuni medaglia d'oro, per l'inaugurazione del Monumento alla Resistenza. Fotografia ripresa da Alessandro Rizzi, nel gruppo di Facebook "Sei di Udine se..."
Udine 25 aprile 1969, Sfilata delle bandiere delle formazioni partigiane. Fotografia ripresa da Alessandro Rizzi, nel gruppo di Facebook "Sei di Udine se..."
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