Visualizzazione post con etichetta Dalmazia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Dalmazia. Mostra tutti i post

sabato 26 aprile 2025

Giuseppe Bentrovato, fotografo di Zara, potrebbe emigrare in Bolivia e altri in Australia, 1951

È una storia complessa e affascinante. A certi scossoni familiari si alternano grandi speranze e la voglia di una nuova vita altrove. Gli chiesero: Perché non vuole ritornare a Zara? “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported), come si vedrà più avanti.

Documento d'assistenza IRO di Giuseppe Bentrovato su carta intestata dell'ANVGZ di Bergamo (Archivio di Arolsen), particolare
Era nato sotto l’Austria, a Lussinpiccolo, il 18 agosto 1905 da Giuseppe e da Maria Eterovich, originaria dell’Isola di Brazza, in Dalmazia. Conosceva la lingua italiana e quella serbo-croata. Si chiamava Giuseppe Bentrovato e frequentò le scuole italiane elementari e quelle tecniche secondarie a Zara fino al 1919. Si sposò negli anni ’20 con Teresa Gavazzi, nata a Bergamo nel 1907. La sua primogenita Iolanda nacque a Brembate (BG) il 16 maggio 1929. Il 16 novembre 1932 gli nacque la seconda figlia Anna a Stezzano (BG). Il 25 gennaio 1935, a Zara, la moglie Teresa mise alla luce il terzogenito Giuseppe.

A metà degli anni ’30, Giuseppe Bentrovato lavorava nel suo stabilimento fotografico a Zara, Regno d’Italia. È citato così nella Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, tra i fotografi attivi a Zara: “Bentrovato G., Calle delle Carceri” (Guida… 1937 : 2087).

Dal mese di dicembre 1943, a causa della guerra, Bentrovato dovette sfollare presso parenti a Bergamo, dove lavorò come fotografo in proprio. Dal mese di ottobre 1944 fu arruolato dalla RSI tra i granatieri a Ponte San Pietro (BG) e poi venne trasferito a Vercelli. I partigiani jugoslavi di Tito occuparono Zara, enclave italiana in Dalmazia, il 1° novembre 1944, dopo che la città era stata distrutta da 54 bombardamenti angloamericani, poi i titini iniziarono a fucilare centinaia di italiani, oppure li gettarono in mare con una pietra al collo. Su 22 mila abitanti, oltre 2 mila furono i morti sotto le bombe alleate. Oltre 15 mila zaratini fuggirono per il terrore dei bombardamenti aerei e sapendo che Zara sarebbe finita nelle mani dei titini e anche i pochi rimasti se ne andarono dopo la presa del potere jugoslavo.

Nel mese di aprile 1945 il militare Giuseppe Bentrovato fu catturato dai partigiani italiani in Piemonte e portato dagli alleati al Campo di concentramento di Novara e, poi, in quello di Coltano, in comune di Pisa, fino al mese di ottobre 1945. Una volta libero, chiese ed ottenne il rilascio della carta d’identità al Comune di Bergamo, che la emise il 30 ottobre 1945. Poi Bentrovato esercitò il mestiere di fotografo in proprio a Bergamo fino al 1946, quando fece la separazione legale dalla moglie presso il tribunale di Bergamo in data 29 luglio 1946. In seguito lui, per lavoro, si spostò a Padova alle dipendenze del fotografo Greggio e, nel 1948, a Palermo, presso la ditta di fotografia Forzano, fino al mese di giugno 1950, quando perse il lavoro. Fu disoccupato fino al 1951, alloggiando presso la figlia Iolanda, a Bergamo in Via Carnevali 49. Frattanto, verso il 1948 i coniugi Giuseppe Bentrovato e Maria Eterovich, genitori del bravo fotografo di Zara, furono accolti nel Campo profughi di Novara.

Successe che dal 6 luglio 1948 la moglie separata Teresa Gavazzi e i figli minorenni Anna e Giuseppe Bentrovato, detto “Beppino”, si trovavano in Australia, partiti con i viaggi dell’IRO, via Germania, probabilmente dal porto di Bremerhaven.

Il 7 febbraio 1951 il tale F. Frautschi, funzionario degli uffici IRO di Milano, segnò con un timbro sulla  pratica d’espatrio del fotografo Giuseppe Bentrovato: “Non rientra nel mandato IRO. Idoneo per l’assistenza discrezionale al reinsediamento e alla protezione legale” (Not within the Mandate of IRO. Eligible for discretionary resettlement assistance and L.P. protection). Il mandato dell’IRO (International Refugee Organization) in Italia riguardava la cura, il rimpatrio e il reinsediamento dei rifugiati Oltre Oceano. Vladimir Suneric, altro funzionario IRO, controfirmò la pratica di Giuseppe Bentrovato fotografo, che poteva partire per il reinsediamento e con la protezione legale.

Si tenga presente che l’IRO era l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati che organizzava le partenze delle navi da Bagnoli, presso Napoli, verso le Americhe e l’Oceania. La presente ricerca si basa sui rari documenti inediti nell’Archivio di Bad Arolsen (Germania), da poco disponibili nel web. La pratica d’emigrazione di Giuseppe Bentrovato all’Ufficio IRO di Bergamo è del giorno 30 agosto 1949, redatta su carta intestata dell’Associazione Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (ANVGZ), Comitato Provinciale di Bergamo, perché il Bentrovato risiedeva in quella città presso l’abitazione della figlia Iolanda, sposata con Hans Liebschner (1927-2012), soldato tedesco, noto nel 2020 per i suoi filmati amatoriali degli anni ‘60. La firma del presidente dell’ANVGZ di Bergamo è: Antonio (ma il cognome è illeggibile). L’ANVGZ era già trasformata in ANVGD, ma si riciclavano i moduli.

Documento IRO per l'emigrazione in Bolivia di Giuseppe Bentrovato (Arolsen Archives)

Il fotografo Giuseppe Bentrovato dichiarò e firmò il Questionario al funzionario dell’IRO, il 7 febbraio 1951. In esso è scritto che non voleva tornare a Zara per una serie di motivi. Prima di tutto “si sentiva italiano e la sua città natale, Zara, era sotto un’amministrazione straniera” (He felt as an Italian and his home town Zara got under a foreign administration). “Non aveva nessuno o niente a Zara” (He had neither anybody or anything at all at Zara). “Non aveva parenti né in campagna nemmeno nella città di Zara” (Had no relatives in the country nor in the town of Zara). “Tutti i suoi beni andarono perduti con i bombardamenti” (All his property was lost with the bomabrdaments). “Non desidera trovarsi sotto un’amministrazione straniera, soprattutto se si tratta di un regime comunista” (He does not wish under a foreign administration, and espescially when this is a communist regime). “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported). “Le informazioni fattuali mi sono state lette e certifico che corrispondono al fatto da me riferito” (The factual information has been read to mi and I certify it correspond with the fact I have related).

Il richiedente Bentrovato desiderava emigrare in Canada, Australia, o Nuova Zelanda. Il 10 maggio 1951, invece M. Connor, funzionario IRO di Bagnoli (NA) per l’emigrazione Oltre Oceano comunicò all’Ufficio IRO di Milano (Milan Area Emigration Office) che Giuseppe Bentrovato non si presentò per emigrare in Australia. Tra le tante località di questa storia si sa, sempre dai documenti IRO, che Bentrovato stava a Forlì, in Via F. Daverio 10, come da una comunicazione del 23 agosto 1951. Un ultimo documento del 30 settembre 1951 menziona il fotografo Giuseppe Bentrovato riguardo a una migrazione individuale in Bolivia, ma non si sa come finì.

Si ritiene che la cognata del nostro fotografo di Zara fosse Bentrovato Maria Irene, nata Gavazzi, del 1911 di Boltiere (BG). Dal 1924 risultò residente a Zara con i genitori e nel 1943 fu sfollata a Bergamo, in Via Carnevali 49 (proprio come il fotografo zaratino), con le figlie Graziella (nata a Zara nel 1937) e Giuliana (Zara 1943). Come dagli atti del tribunale di Genova dell’8 settembre 1949, essendo in quel periodo Maria Irene Gavazzi infermiera all’Ospedale “Gaslini” di Genova, pure lei si separò dal marito Ermenegildo Bentrovato, militare che fu internato in Germania. Maria Irene fece domanda per emigrare in Australia al solito Comitato di Bergamo dell’ANVGZ e fu dichiarata “Eligible”, ossia: idonea a partire con le figlie Graziella e Giuliana, nate a Zara.

Bentrovato Maria Irene Gavazzi, con la figlie Graziella e Giuliana, zaratine, nella pratica d'assistenza IRO per emigrare in Australia, dagli Archivi di Arolsen (Germania)
Per leggere altre testimonianze sull’emigrazione di istriani, fiumani e dalmati in Australia, come le vicende degli zaratini Carlo Mirelli-Mircovich e Illuminata Trentini, si può vedere ad esempio il libro di Guido Rumici e Olinto Mileta Mattiuz intitolato “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, quarto volume: Il lungo dopoguerra (Mileta Mattiuz O, Rumici G, 2015 : 77-94). Si sa che dei 300 mila profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, che costituiscono l’esodo giuliano dalmata, oltre 70 mila emigrarono in Canada, Argentina, Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Brasile e altri parti del globo mediante l’intervento dell’IRO. Certi esuli, pur non ricevendo l’assistenza dell’IRO, se ne andarono negli USA con mezzi finanziari propri pur di abbandonare i disagi delle baracche o delle camerate dei Campi profughi.

Conclusioni

La presente analisi storica, così articolata, si basa sui documenti d’archivio e sulla bibliografia citata. Si sono cercate altre notizie, poiché potrebbero esserci dei risvolti ulteriori. Si capisce che l’amore non ha confini, nemmeno linguistici, dato che il militare tedesco Hans Liebschner sposò Iolanda Bentrovato, sfollata di Zara e figlia del noto fotografo di Calle delle Carceri nel capoluogo dalmata del Regno d’Italia. Quella gente, nel dopoguerra, è disponibile ad una grande mobilità territoriale. Le sorelle Gavazzi Teresa e Maria Irene, coniugate in Bentrovato, vissute tra Bergamo e Zara e separate legalmente dai rispettivi consorti, sono disposte a emigrare, o sono definitivamente emigrate in Australia. Altri di famiglia finirono in Bolivia.

Si comprendono, infine, i modi in cui la famiglia è stata definita e regolata nel Novecento – come ha scritto Chiara Saraceno – con le forme di interdipendenza tra organizzazione familiare, sistemi economici e mercato del lavoro (Saraceno C, Naldini M 2020), aprendo uno squarcio sulla condizione della donna nelle situazioni estreme, come quelle successive a un grande conflitto mondiale.

 

Bibliografia e siti web

- Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, Trieste, Vitoppi Wilhelm & C., 1937.

- Olinto Mileta Mattiuz, Guido Rumici (a cura di), Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate. Quarto volume: Il lungo dopoguerra , Gorizia, ANVGD Gorizia-Mailing List Istria, 2015.

- Chiara Saraceno, Naldini Manuela, Sociologia della famiglia, 4^ edizione, Bologna, Il Mulino, 2020.

- Stefano Testa, Il secondo principio di Hans Liebschner, film documentario, Italia, 2020, durata 88 minuti.

- Lucio Toth, Storia di Zara dalle origini ai giorni nostri, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2016.

- Unterlagen von Bentrovato, Giuseppe, geboren am 18.08.1905, geboren in Lussinpiccolo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

- Unterlagen von Bentrovato, Maria, geboren am 22.08.1911, geboren in Boltiere Bergamo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

--

Progetto di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Bruna Zuccolin, Bruno Bonetti, Sergio Satti, Annalisa Vucusa (ANVGD di Udine) e i professori Ezio Cragnolini e Enrico Modotti. Copertina: Documento IRO di Giuseppe Bentrovato (Archivio di Arolsen). Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Fotografie dall’Archivio di Arolsen e studi presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin, che fa parte pure del Consiglio nazionale del sodalizio e, dal 2024, è Coordinatore dell’ANVGD in Friuli Venezia Giulia.  Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi.   Sito web:  https://anvgdud.it/


martedì 24 settembre 2024

Esuli ritornano a Laterina. Visita di Anna Maria Manzoni all’ex Campo profughi

Per gli esperti è il turismo del ricordo. Cresciuti tra le baracche, a volte gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia ritornano per vedere il loro posto di accoglienza dopo la seconda guerra mondiale. Nel campo profughi giocarono, andarono a scuola, ricevettero il pacco della befana, pregarono nelle processioni, fecero la prima comunione e la cresima. Sono ricordi indelebili. Così la signora Anna Maria Manzoni, nata ad Albona, provincia di Pola, nel 1940, esule a Torino, è ritornata nel Valdarno per vedere i luoghi della sua giovinezza dove giunse nel 1948 in fuga dalle violenze titine. 

Ponticino (AR), mostra “Forme e Colori”. Da sinistra: Gilberto Borri, Rita Tassini, Anna Maria Manzoni, Alessandra Chighine, Claudio Ausilio e Roberto Montevecchi


Non è stato un soggiorno mordi e fuggi, perché si è fermata dal 15 al 21 settembre 2024 presso una nota Casa vacanze. Al bar del paese ha pure casualmente incontrato e volentieri chiacchierato con Jacopo Tassini, sindaco di Laterina Pergine Valdarno (AR). Accompagnatori nella singolare visita d’istruzione erano Roberto Montevecchi, amico d’infanzia di Anna Maria e Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi (AR). 
Oltre a vedere cosa resta oggi del vecchio Campo profughi, la comitiva ha visitato l’interno di una ex baracca, ristrutturata a laboratorio artigianale della ditta “B&B Creazioni Moda” con Lucia e Lorenzo Bianchi. Non è mancata un tappa al santuario di Santa Maria in Valle, situato nei pressi dell’area artigianale (ex Campo profughi) del Comune di Laterina Pergine Valdarno. Pure gli esuli giuliano dalmati si recarono in quel luogo di culto nel periodo 1946-1963, finché durò aperto il Centro raccolta profughi, posto vicino all’Arno. 
Non è mancata la visita ad Arezzo, a seguire la visita a Monterchi e Citerna, antichi borghi tra Rinascimento e grandi paesaggi, al confine tra Toscana e Umbria, due piccole cittadine che custodiscono speciali opere d’arte in un contesto rurale. Nei vari giorni di permanenza la signora Manzoni è stata poi ospitata a un pranzo dalla dottoressa Manuela Micchi, figlia del farmacista Aldo Micchi che, nel 1954, aiutò in modo disinteressato e pieno di umanità la signora Vincenza Ruta Bracchitta, ospite del Centro raccolta profughi, che intendeva barattare la propria fede nunziale per un po’ di latte in polvere da neonati. 

Anna Maria Manzoni a Laterina (AR) nel 2024


C’è stato anche un altro momento culturale. Con i fidi accompagnatori (Ausilio e Montevecchi) la signora Manzoni ha visitato la mostra di pittura e scultura “Forme e Colori” a Ponticino, frazione del Comune di Laterina Pergine Valdarno. Aperta presso il Centro Culturale di Memorie e Contemporaneità la rassegna collettiva contiene opere dello scultore Gilberto Borri, della pittrice Rita Tassini, di Francesco Sordini, pittore Ponticinese e di Mark Soetebier, pittore fotografo e videomaker olandese. All’incontro era presente pure Alessandra Chighine, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Laterina Pergine Valdarno e Filippo Neri, della Commissione di Biblioteca. 
Laterina, Visita alla ditta “B&B Creazioni Moda”. A sinistra: Anna Maria Manzoni, Lucia Bianchi e Lorenzo Bianchi

Un nuovo libro - La vicenda del farmacista Micchi assieme a tanti altri fatti storici del territorio è ben descritta nel prossimo libro di Elio Varutti elaborato in collaborazione con Claudio Ausilio. Dopo il grande successo de La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, di Aska edizioni di Firenze, edito nel 2021, è in fase di stampa una nuova iniziativa editoriale. 
Si intitolerà “La patria cercata. Ricordi di italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia in Toscana”. La pubblicazione è prevista per il ‘Giorno del Ricordo’ 2025. 
Ci saranno le memorie giunte dall’Italia, persino dagli USA, Argentina e dal Canada. Ci fanno capire la vita quotidiana e i momenti di incontro-scontro con la popolazione locale, fino alla completa integrazione sociale all’estero o in patria, mediante i matrimoni con gli autoctoni e, soprattutto, col lavoro e con l’assegnazione delle case popolari. Ci saranno le storie delle famiglie Badini, Baici, Barbieri, Benvegnù, Bracchitta, Cattonar, Daddi, Daici, Danielis, Dobri, Manzin, Manzoni, Mladossich, Pacori, Paoli, Prete, Radolovich, Rauni, Rocchi, Sestan, Spogliarich, Sponza, Stipcevich, Tomissich, Travaglia, Tropea, Varesco, Vellenich ed altri ancora. 

Santuario di Santa Maria in Valle, nel Comune di Laterina Pergine Valdarno (AR), Anna Maria Manzoni e Roberto Montevecchi


-- 
Cenni bibliografici - Elio Varutti, Esodo da Fiume a Laterina. La s’ciavina per parete di giorno e per dormire la notte, 1948, on line dal 1° settembre 2020 su varutti.wordpress.com

- E. Varutti, Esodo di Annamaria Manzoni da Albona, 1948. A Trieste, Udine, Laterina e Torino, on line dal 26 settembre 2021 su  varutti.wordpress.com

- Glenda Venturini, Nel Giorno del Ricordo il racconto di Anna Maria Manzoni, arrivata al Campo profughi di Laterina a 8 anni, on line dal 9 febbraio 2020 su  valdarnopost.it

Laterina - Anna Maria con la Dottoressa Manuela Micchi

--

Progetto e ricerche di Claudio Ausilio. Elaborazione e Networking a cura di Girolamo Jacobson, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Lettori: Claudio Ausilio, Roberto Montevecchi (email al Cur. del 23.9.2024), Sergio Satti (ANVGD Udine) e i professori Annalisa Vucusa, Enrico Modotti e Marcello Mencarelli. Copertina: Anna Maria Manzoni a Laterina nel 2024.

Fotografie della collezione di Claudio Ausilio. Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Altre fotografie da collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin, che fa parte pure del Consiglio nazionale del sodalizio e, dal 2024, è Coordinatore dell’ANVGD in Friuli Venezia Giulia. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi.  Sito web:  https://anvgdud.it/

L’articolo presente è dedicato alla memoria di Aldo Micchi, farmacista buono di Laterina.

Laterina, 2024.  A volte ritornano. La visita di Anna Maria Manzoni, cucciola del Campo profughi

Mark Soetebier tiene banco nel gruppo di visitatori della mostra d’arte a Ponticino 


venerdì 30 agosto 2024

I Basso di Fiume esuli al Campo profughi di Brescia. L’assenza del mare il trauma maggiore

Certi fiumani in esilio sopportarono di tutto. Le condizioni disagevoli del Campo profughi, la mancanza di lavoro, l’incertezza del futuro, la mala accoglienza, ma non riuscirono a superare un “cerchio del dolore”, come viene descritto dagli storici che studiano i traumi e i lutti del Novecento. È il gran dolore per la mancanza del mare del Quarnaro. È un dolore da capire.

Testo della cartolina di Roma inviata da Sergio Basso ai genitori Silvio Basso e Maria Superina a Brescia nel 1950, prima di emigrare in Venezuela. Collezione Marco Mazzoleni

Questa è una storia dell’esodo, ma raccontata dai giovani. È interessante che a scoprire le proprie radici fiumane siano esuli di seconda generazione. Il signor Marco Mazzoleni, di Romano di Lombardia (BG), ci racconta la vicenda dei suoi antenati fiumani. “Mia nonna Iolanda Silvana Basso, detta Jole, lavorò come dattilografa presso la raffineria R.O.M.S.A. di Fiume. Mi è stato raccontato poco del campo profughi di Brescia, dove riparò nei primi anni ‘50 – ha detto Mazzoleni – probabilmente lo shock del trasferimento e le condizioni di vita cui erano sottoposti gli esuli nella caserma dove erano stati raccolti hanno determinato in lei una sorta di rifiuto nell’affrontare il tema. Va detto che il campo profughi le offrì l’occasione di conoscere mio nonno, Luigi Martignon, con il quale si sposò e dalla cui unione nacque mia madre Lidia. Luigi Martignon fu pittore, incisore e disegnatore, anch’egli profugo dalla Germania, appena uscita dalla guerra, rientrato a Brescia dalla sorella, insieme al figlio Franco, dopo una serie di gravi vicissitudini”.

Come vivevano in Campo profughi? “Uno dei frammenti di cui ho memoria riguarda la sistemazione in grandi camerate, all’interno delle quali le zone assegnate ai singoli nuclei famigliari erano divise da grandi tende – è la risposta – mi ha sempre colpito che dell’arrivo a Brescia nonna Jole dicesse: ‘Il trauma maggiore fu il percepire l’assenza del mare”.

Dagli Archivi di Arolsen (Germania) si sa che una parte della sua famiglia emigrò in Venezuela, fuggendo dalle violenze titine, come già documentato (Varutti E 2023), ricorda qualcosa d’altro?

Il fiumano Sergio Basso (1927-2016) in Venezuela nel 1952. Collezione Marco Mazzoleni

In questi giorni sono riuscito a recuperare del materiale relativo al mio bisnonno Silvio Basso e la bisnonna Maria Superina, come l’attestazione ufficiale dello status di profugo firmata dall’allora prefetto di Brescia del 23 febbraio 1949. Poi c’è una cartolina scritta dal mio prozio Sergio Basso, (1927-2016) da Roma, che conferma il citato articolo del 2023 e la successiva partenza da Bagnoli di Napoli per il Venezuela, dove poi si stabilì, oltre ad alcune fotografie dello stesso Sergio Basso scattate in Venezuela nel 1952”.

Signor Mazzoleni è mai stato a Fiume, la città dei suoi antenati? “Io sono nato e cresciuto in Lombardia – ha concluso il testimone – per tutta una serie di coincidenze e storie di vita, come accadde per molte famiglie. Vero è che, nonostante sia stato a Fiume solo in due circostanze da bambino, sento ancora oggi una piccola parte delle mie radici, del mio sangue, legato a quella terra”.

Secondo Massimo Superina la Raffineria di Olii Minerali Società Anonima  (ROMSA) si occupava di: “benzina extra raffinata Avio e Auto, petrolio Cristallo, Tre Stelle e Due Stelle, acquaragia minerale, olii lubrificanti, olio per motori diesel, grasso consistente, paraffina, candele, asfalto, coke di propria produzione. La sede e gli stabilimenti erano in viale Italia n. 76, direttore Wagner Z. ed uffici in via Mazzini (1922 e 1925). Fino al 1922 fu di proprietà della ‘Photogen’ di Amsterdam, poi fu nazionalizzata e la maggioranza delle azioni andò al Governo Italiano con sede in viale Italia n. 76-80 (1931): Olii per auto Italoil, olii lubrificanti minerali Romsa, grassi Lubrifix e paraffine, in viale Italia n. 78 (1937 e 1939). Infine, nel 1941-1942, la sede centrale passò in viale Costanzo Ciano n. 66, ufficio finanziario in viale Ciano n. 74 e stabilimento al civico n. 78” (Superina M 2023 : 150).

Attestazione di profugo per i fiumani Basso Silvio e Superina Maria, firmata dal Prefetto di Brescia il 23 febbraio 1949. Collezione Marco Mazzoleni, pp. 1 e 2.



Su Luigi Martignon, il nonno del testimone, si è scoperto che passò a Mittenwald, nel Campo transitorio per rifugiati, gestito dall’UNRRA (“United Nations Relief and Rehabilitation Administration” - Amministrazione delle Nazioni Unite per l'assistenza e la riabilitazione). Nella sua scheda personale è definito di professione: “Kunstmaler” (artista). Alloggiò nella baracca n. 5, camerata n. 11. Mittenwald è un comune tedesco, situato in Baviera, vicinissimo al confine con l’Austria. Martignon entrò in quel Campo il 28 giugno 1946 e fu rilasciato il 7 luglio seguente per l’Italia, secondo i dati dell’Archivio di Arolsen (Germania), pubblicati da poco nel web (DocID: 68191964).

Furono oltre 9 milioni i tedeschi cacciati dalle proprie case di mezza Europa Centro Orientale e finiti, assieme ad altri sfollati, nei campi profughi come in quello di Mittenwald. Fu notato pure a Udine, dal mese di giugno 1945, il passaggio di tanti disperati usciti dai campi di concentramento, dai vari fronti di guerra o dalle terre conquistate e annesse dai vincitori. Secondo padre Pietro Damiani si trattò di oltre 500 mila individui (Damiani P.C. 1946). Una cifra enorme, dato che la città contava 55 mila abitanti circa. Eppure andarono avanti tra mille difficoltà. Si sta studiando e omaggiando proprio la figura di padre Pietro Damiani (Pesaro 1910-1997), cappellano militare del primo Campo profughi giuliano dalmati e reduci a Udine (1945-1946) sito in un vecchio edificio scolastico, vicino al Villaggio Metallico di Via Monte Sei Busi (1947-1956) dove furono accolti Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in patria. Nel 1946 don Damiani, partendo da Udine, fondò il Collegio Zandonai a Pesaro per accogliere i figli degli esuli, togliendoli così dalle baracche dei campi profughi (Sturmar B 2024).

L’eleganza italiana del fiumano Sergio Basso in Venezuela il 15 settembre 1952. Collezione Marco Mazzoleni

--

Fonte digitale - Marco Mazzoleni, di Romano di Lombardia, 1981, email del 22 e 26 agosto 2024. Autorizzazione alla diffusione e pubblicazione del 28 agosto 2024.

Archivi consultati – Arolsen Archives, Archiv zu den Opfern und Überlebenden des Nationalsozialismus, Bad Arolsen, Deutschland, personen Martignon Luigi, geburtsdatum 26.11.1911, in Milano.

- Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli, Padre Pietro Calvino Damiani, “Relazione sull’attività del Campo N. 4 AMG DP Centre Udine”, 1° febbraio 1946, Cartella T1, f 7, presso la Biblioteca Arcivescovile di Udine.

Cenni bibliografici e dal web

- Rodolfo Decleva, Piccola storia di Fiume 1847 – 1947, II edizione, Sussisa di Sori (GE), [s.e.] impaginato da ilpigiamadelgatto, 2017.

- Barbara Sturmar, “La prima nota di un canto d’amore. Padre Damiani da Udine al Collegio Zandonai”, in via di pubblicazione su «La Panarie», giugno 2024, n. 231, LVII.

- Massimo Superina, Fiume a lavoro. Industrie, negozi e mestieri tra Ottocento e 1946, Padova, Associazione Fiumani Italiani nel Mondo, 2023.

- Testimonianze per un documentario sul Centro Raccolta Profughi di Brescia, on line dal 15 settembre 2023 su anvgd.it

- Elio Varutti, Sognare l’Australia per i Basso di Fiume esuli a Brescia, poi 3 vanno in Venezuela, 1951, on line dal 22 dicembre 2023 su eliovarutti.blogspot.com

Scheda personale di Luigi Martignon, il nonno del testimone, che passò a Mittenwald, nel Campo transitorio per rifugiati nel 1946. Special thanks to Arolsen Archives

Ringraziamenti - Per alcune immagini grazie al Museo di Carattere Nazionale C.R.P. di Padriciano, Trieste. Oltre agli operatori e alla direzione degli Archivi di Arolsen (Germania) e dei siti web menzionati, si ringrazia Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo) per la collaborazione alla indagine.

Progetto e attività di ricerca di: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Primo lettore: Marco Mazzoleni. Altri lettori: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Mauro Tonino, Sergio Satti (ANVGD di Udine) e i professori Enrico Modotti, Marcello Mencarelli e Ezio Cragnolini. Copertina: Testo della cartolina di Roma inviata da Sergio Basso ai genitori Silvio Basso e Maria Superina a Brescia nel 1950, prima di emigrare in Venezuela.  Fotografie – Collezione familiare Marco Mazzoleni, Brescia.

Ricerche per il blog presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 - primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. - orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/

Una camerata del Campo profughi di Brescia nel 1949. Fotografia del Museo di Carattere Nazionale C.R.P. di Padriciano, Trieste



 

mercoledì 7 agosto 2024

Dall’Australia a Udine, Servigliano e Firenze per vedere i luoghi dell’esodo della sua famiglia

Per gli economisti è il turismo del ricordo. Si riferisce ai viaggi sui luoghi dei propri avi. Per i ricercatori si tratta di analizzare il turismo della memoria in una prospettiva geopolitica. Questa è solo una storia di grandi emozioni. Batte forte il cuore se leggi il nome dei tuoi nonni nell’elenco dei rifugiati di un campo profughi toscano. È successo alla signora Afrodita Pengelly. Al centro raccolta profughi di Laterina, provincia di Arezzo, passarono oltre 10 mila fuoriusciti soprattutto cacciati dall’Istria, Fiume e Dalmazia a causa della violenza comunista dei titini. Molti di loro provenivano da Udine.

Claudia Sain, La Decisione. Il dramma dell’esodo. Difficile decisione di dover partire e lasciare tutto, pittura, 2020. Immagine diffusa in Facebook il 13 febbraio 2024. Taglio redazionale

È partita dalla lontana Australia la signora Afrodita Pengelly per arrivare a Udine, in via Pradamano 21, dove dal 1946 al 1960 esisteva il più grande Centro di smistamento profughi d’Italia per accogliere gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia, ma pure di altri paesi del Centro Europa e dell’area dei Balcani. Dal 2007 una lapide ricorda il passaggio di oltre 100 mila fuoriusciti in quel posto. Oggi nell’edificio c’è la scuola ‘E. Fermi’.

Ho fatto un viaggio molto emozionante visitando tutte le città che ho letto nei timbri sul passaporto di mia madre – ha scritto Pengelly – il suo fu un viaggio in veste di rifugiata dalla Romania. Potete immaginare le mie lacrime quando ho letto quella targa posta sul muro della scuola di Udine in ricordo dei profughi. E poi prendere un caffè nel bar vicino, che fu aperto verso il 1948, lo stesso anno in cui mia madre era al Centro di smistamento. Forse aveva cenato in quel bar”.

Proprio al bar Franzolini, di via delle Fornaci, a pochi metri dall’ingresso dell’ex campo profughi, la signora Pengelly parlando con la barista Giannina, ha scoperto che c’è un’associazione con dei ricercatori che raccontano le vicende dell’esodo, perciò ha lasciato il suo recapito per eventuali contatti. Così è nata la ricerca presente.

Marietta Battoja, la mamma di Afrodita, nacque a Sinaia, in Romania. La grafia “Battoja” risulta dai documenti d’identità dell’archivio familiare. Poi nell’esodo, assieme a lei, c’erano suo nonno Luigi Battoja, la nonna Elena Melnich e la zia Lucia Battoja. La famiglia è di origine italiana.

Luigi Battoja, imprenditore in Romania e ospite del Centro raccolta profughi di Laterina, passando per quello di Udine. Collezione Afrodita Pengelly

Il cognome Battoia (scritto con la “i”), infatti, è molto diffuso in Friuli, come a Cassacco, in provincia di Udine. Il passaporto di Maria Battoja (con la “j”) fu rilasciato il 17 dicembre 1946 dalla Legazione d’Italia in Bucarest a firma di L. Dominici (Collezione Afrodita Pengelly). È diffuso pure in Toscana. Battoia è cognome endemico di Cesariis, in Comune di Lusevera, provincia di Udine, documentato sin dal Settecento. Forse deriva dal nome di santo e di persona, Battista (Costantini E 2002 : 76).

A Lusevera è presente anche con la seguente grafia: Battoja. Ciò è dimostrato, oltre che dagli archivi italiani, pure da quello di Bad Arolsen (Germania) International Center on Nazi Persecution. Si riporta, sperando di non fare confusione al lettore, anche la grafia usata dagli italo-rumeni per lo stesso cognome: Battoya.

I coniugi Battoja di questa storia, con le loro figlie, sono stati per diversi anni nei campi profughi italiani e persino in uno austriaco. “Dopo la seconda guerra mondiale, mia madre Marietta riuscì a ottenere i passaporti italiani in Romania per la sua famiglia – ha aggiunto Pengelly – prima di fuggire dal regime comunista, attraversando l’Ungheria, l’Austria, la Slovenia e poi arrivare in Italia. Erano una famiglia benestante con una fabbrica di ceramica, alloggi per i lavoratori, servitù nella casa di famiglia e due automobili americane (Ford e Dodge). Fu molto inquietante lasciare la loro patria”.

Dopo essere passata per i Centri raccolta profughi (Crp) di Servigliano, oggi in provincia di Fermo, nelle Marche, nel Crp di Laterina, in provincia di Arezzo, la famiglia Battoja nel 1955 si stabilì a Firenze. “Tuttavia, mia madre si sposò in uno di quei campi – ha detto la testimone – e poi emigrò in Australia nel 1951, ma visse in altri due campi profughi. Abbiamo visitato insieme l’Italia nel 1975-1976. Fu l’unica volta che io e mia madre rivedemmo la sua famiglia. Potete immaginare quanto fu emozionante una riunione del genere dopo 25 anni”.

Maria Battoja nella fotografia del passaporto del 1946. Collezione Afrodita Pengelly

In effetti Luigi Battoia (con la “i”), sua moglie Elena Melnich e la figlia Lucia Battoia risultano nell’Elenco alfabetico profughi giuliani del Comune di Laterina, al fascicolo n. 36. Secondo tale registro, in conclusione, mamma e figlia risultano uscite dal Crp “il 10 dicembre 1955” per la nuova residenza di Firenze, mentre Luigi Battoia va a Sansepolcro (AR) il 6 febbraio 1956, ma potrebbero esserci degli errori. E la ricerca genealogica della signora Afrodita Pengelly non finisce qui.

Nelle mie ricerche avevo un contatto con l’istriano Armando S., di Gallignana, classe 1940. Ho saputo che dopo varie vicissitudini familiari, nel 1958, la famiglia ottenne l’opzione e giunse al Campo profughi di via Pradamano. Un cugino di Armando S. è stato ucciso dai titini comunisti assieme ad altri ragazzi del paese, perché stavano scappando verso l’Italia. Armando S. ha poca voglia di raccontare adesso e si può capirlo. Oggi Gallignana, in croato Gračišće, è un paesino con molte case abbandonate.

Da ultimo, si ricorda che l’impiegato presso la direzione del Centro smistamento profughi di Udine fu il signor Leonardo Cesaratto, che era nato proprio a Bucarest, in Romania, discendente della grande emigrazione friulana verso i Balcani.

Il bar “Franzolini” a pochi metri dall’ingresso dell’ex Centro di smistamento profughi. Fotografia di E. Varutti 2024

Fonti orali e digitali – Leonardo Cesaratto (Bucarest 1926-Udine 2011), int. a Udine del 26 gennaio 2004. – Afrodita Pengelly, Melbourne 1958 (Australia), vive a Sidney, e-mail all’A. del 26 giugno e 7 luglio 2024 in lingua inglese. – Armando S., Gallignana 1940, risiede in Friuli, notizie di fine luglio 2022, grazie alla professoressa Maria Piovesana.

Archivi consultati – La presente ricerca è frutto della collaborazione fra l’ANVGD di Arezzo e il Comitato Provinciale dell’ANVGD di Udine. La consultazione e la digitalizzazione dei materiali d’archivio aretini è stata effettuata nel 2015 e 2022 a cura di Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi (AR). Grazie al Comune di Laterina Pergine Valdarno (AR) per la collaborazione all’indagine. Un sincero ringraziamento vada, infine, alla signora Giannina Rieppi, del bar Franzolini di Udine. Grazie a Claudia Sain per la copertina.

– Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, pp. 1-78, ms.

La lapide in memoria del Centro smistamento profughi di Udine. Fotografia di E. Varutti 2024


Cenni bibliografici – Enos Costantini, Dizionario dei cognomi del Friuli, Udine, Editoriale Friuli Venezia Giulia, 2002.

- E. Varutti, Il campo profughi di via Pradamano e l'associazionismo giuliano dalmata a Udine: ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell'esodo. 1945-2007, Udine,  Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato provinciale di Udine, 2007.

- E. Varutti, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Aska edizioni, Firenze, 2021. In formato e-book dal 2022. Seconda edizione cartacea dal 2023.

L’artista di copertina - Claudia Sain (Bahía Blanca, Buenos Aires, anni ’60?), vive a Puerto Madryn (Argentina). L’artista si è ispirata ai ricordi di suo padre esule fiumano per dipingere una serie di quadri in occasione del Giorno del Ricordo 2024. È il suo modo di rendere omaggio ai propri genitori, entrambi fiumani, e a tutti gli esuli che hanno vissuto le stesse vicissitudini. Suo padre Arnaldo (Aldo) Sain, nato a Fiume il 26.10.1927 e morto a Buenos Aires il 18.08.2003, emigrò in Argentina a 22 anni, nel 1950. Da giovane era stato soldato alpino ed era sempre orgoglioso del cappello alpino con la penna nera e della stella alpina, trovata sui monti.

  La scuola secondaria di primo grado “Enrico Fermi”, via Pradamano 21 a Udine, dove dal 1946 al 1960, funzionò il Centro smistamento profughi più grande d’Italia. Fotografia di E. Varutti 2024 

Progetto e testi di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking e traduzioni a cura Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Afrodita Pengelly, Bruna Zuccolin, Cesare Costantini, Annalisa Vucusa, Barbara Rossi (ANVGD di Udine), Claudio Ausilio e i professori Marcello Mencarelli, Stefano Meroi, Ezio Cragnolini e Enrico Modotti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull'esodo giuliano dalmata, Udine e ANVGD di Arezzo. Copertina: Claudia Sain, La Decisione. Il dramma dell’esodo. Difficile decisione di dover partire e lasciare tutto, pittura, 2020. Immagine diffusa in Facebook il 13 febbraio 2024. Taglio redazionale. Fotografie di Afrodita Pengelly e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell'ANVGD di Udine. Sito web:  https://anvgdud.it/

Udine, ingresso dell’ex Centro smistamento profughi e, a destra, il bar Franzolini. Fotografia di E. Varutti 2024


Elenco del Centro raccolta profughi Laterina con il nome dei Battoia


domenica 29 gennaio 2023

La Porporela de Zara

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Ulisse Donati, zaratino “patoco”. Inviatoci da Franca Balliana Serrentino, è intitolato “La Porporela”. Fu da lui diffuso ai suoi corrispondenti con un cartoncino d’auguri per le festività natalizie 2003-2004. Il vocabolo veneziano “porporèla” significa “scogliera artificiale”, ben documentato nel XVI secolo. Ha per sinonimi “sesame, nafo, poto, mula, barìgola” ed altri, come ha scritto Franco Crevatin, di Trieste, in “Etimi Istriani”, pubblicato su < academia.edu > nel web. Il vocabolo è utilizzato in altri porti dell’Istria e della Dalmazia, per secoli “Stato da Mar” dei Dogi. Riguardo all’etimologia, c’è un’ipotesi. La barriera frangiflutti è costituita da massi, o conci di pietra carsica chiara, che assume facilmente i colori dell’alba e del tramonto, rosa, rosso e rosso porpora, da cui: Porporela.

Nel proporre qui il testo di Ulisse Donati, nato il 6 agosto 1913 a Zara e scomparso il 20 marzo 2013 a Venezia, si è cercato di rispettare la grafia originale del dattiloscritto, pur sciogliendo alcune abbreviazioni. In parentesi riquadrate si sono inserite rare note redazionali, o traduzioni in italiano dal dialetto zaratino. A cura di Elio Varutti, per la redazione del blog.

Cartolina di Zara con la Fabbrica Luxardo, anni 1930-1940. Collez. privata.

--

Per quei che no xe [non sono] Zaratini, devo precisar che con questo nome se vol indicar quela diga che se trova quando che se entra nel porto de Zara, e se gà in zima [cima] una lanterna con luce rossa. L’altra, con luce verde, xe [è] su la ponta de la riva Derna.

Mi, che gò un zerta età, ve posso parlar de do [di due] Porporele. Quela vecia, costruida da la Serenissima, jera fata de grossi sassi. Scopo principal de ‘sti sassi jera de spacar le onde che le forti ponentade e maestraloni alzava [onde dei venti Ponente e Maestrale]. E come i xe riussidi a farla tanto longa e grossa? Se dixe che Venezia gaveva obligado i Scojani [abitanti delle isole vicine a Zara], che veniva in porto, de portarse adrio [dietro], come biglieto de entrada, un grosso sasso. E così, sasso su sasso, xe saltà fora la diga che mi me ricordo da mulo [ragazzo].

Quela che vedè oggi, xe quela che el Genio Civil gà fato nei anni 1926, ’27 e ’28. La xe longa 175 metri, in fondo la gà quatro scalini per poder montar in barca e passar su la riva de fronte. Podè veder la zima de la Porporela, a destra, su la foto che ghe sul cartonzin de auguri [qui mancante]. Xe un bon posto per ormegiar barche e navi de una zerta grandezza.

Ricordo che dopo la Prima Guera Mondial, se gaveva ligado el cacciatorpediniere “Missuri”. Comandante da sempre, e per sempre, el maressiallo De Franceschi, a Zara per anni e anni. Magro, alto con la sua divisa squasi in bon stato. Però, quando che jera qualche giorno de festa, el tirava fora la divisa bela con decorazioni. El fazeva, alora, la sua bela figura.

Altra barca granda jera la “Croce del Sud”. El suo paron jera Graneli, de la Magnesa San Pelegrino. Jera un tre alberi, fato, su disegno de l’ingegner Gino Treleani, a Lussinpicolo. No so se la xe ancora in vita, ma ogi la podaria far ancora invidia a qualchedun. Altro cuter [cutter= parola inglese per barca a vela con una randa e due fiocchi], el “Corsaro”, con rispeto parlando, jera un vero casson [grande cassa]. No gò mai avudo el piazer de vederlo con le vele alzade. Po’ el gà cambiado posto, metendose davanti la casa Gilardi. A un zerto momento se gà parlà ch’el Corsaro andava in crociera. Preparativi a non finir, rifornimenti de viveri, de spagnoleti e acendini. El giorno che i doveva partir, i gà trovà la barca a fondo, unica coxa visibile la zima de l’albero. Non se gà mai savudo coxa jera nato. Se parlava de tapi no ben streti.

Ligado proprio vizin el Circolo Canottieri Diadora, el motoscafo de la Polizia, el P9. Comandante, motorista e marinaio el solo agente Fiorucci, venezian. De quei che frequentava la Canotiera el saveva tuto de tuti, da bon polizioto.

A Zara la Canotiera jera ciamada “Ponton”. Nome ciapado da un poton fisso inclinado, che aiutava i vogatori de meter le barche in mar. El Ponton, sempre pien de giovani pieni de vita, el gaveva de fianco la Porporela, dove sfilava la gente che andava a ciapar la barca per andar a Zara [nel centro città].

Gò sempre presente quando passava la Rosy Ledwinca, sorela de un bon canotier, el Nico Ledwinca che nel 1926, con Menego Brazzani, Giulio Colombani e Mario Bina, timonier Massi Cettineo, gà vinto a Pola. Xe stà l’unico armo [equipaggio], a quatro, che gà battudo la famosa “Pulino” de Isola d’Istria [Società nautica ‘Giacinto Pullino’, sorta nel 1925]. Po’ per anni e anni, la Pulino gà vinto tuto: gare nazionali, internazionali e Olimpiadi.

Davanti passava un mucio [mucchio] de gente, ma ghe jera uno che, quando el passava, el meteva in rivoluzion tuto el Ponton. Jera el Bek (Böck), basso, squasi inoservado, coi cavei rossi e un naso a pissinboca [volgare: piscio in bocca]. El portava pegola, se dixeva. El primo che lo vedeva, el dava un urlo: “el Bek!”. E ‘sto nome passava de boca in boca, come una eco. Zà, quando ch’el passava, el girava la testa verso Val de Ghisi, come voler parar ‘sta valanga de urli. E in Ponton, al primo urlo “Bek”, tuti se portava le man avanti per scongiurar l’efeto “Bek”. Povero Bek, quanto semo stai cativi con ti!

Francobollo emesso sotto l'occupazione tedesca di Zara, 1943.

E no ghe jera solo el Bek che passava davanti el Ponton, ghe jera una signora che andava a ciapar la barca, in fondo a la Porporela, ogni matina. Ma el belo jera che ogni matina la coreva, per arivar prima de le oto, e pagar zinque centesimi inveze de diexe [dieci]. Se vede che la sortiva tardi da casa, e per tuta la Porporela jera una corsa. Ti vedevi ‘ste masse de carne che se spostava da l’alto in basso, da destra a sinistra e viceversa. La jera un donon, sempre vestia de nero. Qualche volta mi con la bici, con discrezion, la seguivo a debita distanza per veder se la ciapava la barca o se la ciapava un colpo. La gà sempre ciapà la barca. Ma conveniva ris’ciar, ghe jera zinque centesimi de sparagno [risparmio]. E no jera poco!

Ghe jera, po’, un momento che la Porporela cambiava el suo muxo [muso], e jera quando veniva a Zara la Squadra Naval de la Regia Marina. Le navi grosse come la “Duilio” e la “Cavour”, se fermava nel Canal de Zara, mentre le picole, i caciatorpedinieri, veniva a ligarse a la Porporela. Ti vedevi, alora, ‘sti sete o oto cacia [cacciatorpedinieri] tuti alineadi, come soldatini, ligadi a le colone de la diga. I Cacia i jera pituradi di un grigio ciaro ciaro. Le corde de un cacia andava a incrosarse con quele de l’altro cacia vizin, così da formar una ragnatela de corde.

Standoghe vizin ti sentivi quel particolar odor de catrame de le corde, missiado a quelo de le cuxine [cucine] e de qualche motor sempre impizado [acceso]. ‘Sto insieme de odori jera un vero profumo, el “profumo de nave”. Su le pupe [poppe] ghe jera el nome del cacia, scrito in letere de oton, sempre lucido, filetado de color rosso, per fa risaltar meo [meglio] el nome. E tuto quelo che ghe jera a bordo de oton e rame, sluxava [luccicava]. Ma el belo jera veder quela selva de stendardi dai vivi colori che i dava un senso de gioia. Me sentivo fiero de esser italian. A pupa la grande bandiera bianco, rosso e verde che tocava squasi el mar. Al centro el stema sabaudo con la bela corona. I stendardi no gaveva in zima el solito pomolo, ma una corona intajada de legno. E, quando mi jero in brodo de sixole [giuggiole] nel amirar le nostre bandiere, no jera ancora nato quel italian che gavaria dito de butar in cesso la bandiera italiana. Me usavo sentar, per meze ore, su una colona piena de corde del cacia ligado.

Guardavo senza secar nissun, come se svolgeva la vita a bordo. A pupa jera el solito Guardiamarina, ne la sua imacolada divisa bianca con una fassa azura de traverso. I marini, ne le divise bianche, che i se moveva a bordo senza dar l’idea che i fazessi qualcosa che i doveva far. I soliti marinai de cuxina con le maie a meze manighe, de estate e de inverno, e la traverseta [grembiule] davanti, che i butava in mar i resti del rancio. I marinai che i andava in libera uscita, prima de prender el pontil per andar a tera, i salutava la bandiera.

A proposito de bandiere, mi conosso uno che, fato prigioniero da le SS de la Panzer Divisionen “Prinz Eugen”, davanti a la Corte Marzial che ghe fazeva zerte proposte, le rifiutava dixendo che lù se sentiva ancora ligado dal giuramento fato su la bandiera. La Corte Marzial gaveva fato fucilar 49 sui coleghi, inveze lù se la gà cavà con soli do anni de lager tedeschi. El xe tornà da la prigionia pele e ossi, ma drento forte. Tornando ancora a le bandiere, co ti me posso confidar: a mi quele bandiere de i cacia ligadi su la Porporela, le me xe rimaste nel cor [cuore]. Le jera una lezion de amor de Patria al solo guardarle. Se qualchedun me sentissi dir ‘ste coxe [cose], ogi, el me daria sicuro del fassista, coxa che no me ofende. Me ofendaria se i dixesse che son comunista.

La Porporela, el Ponton e la Fabrica de Maraschino Luxardo ghe stava tuti in un fazoleto, tanto jerimo vizini. Quando finiva el lavoro in Fabrica, i operai sortiva e i se sparpajava, chi da una parte, chi da l’altra, a pie o in bici. No i gaveva le machine, parchegiade fora, come se vede ogi ne le fabriche. E pur se viveva ben e tuti jera contenti e felici. De vista li conosevo tuti. Per no parlar po’ de le done che andava in fabrica per cior la paja [paglia]. Le sortiva co muci de paja soto el brazo in bici. A casa le preparava el rivestimento de le famose botilie impajade de maraschino de Zara.

Se uno volaria parlar de el Ponton, el dovarìa spender una vita, tanto ghe sarìa de scriver. Per tanti giovani el xe stado una vera scola [scuola]. Drento ghe jera gente de tuti i colori che, squasi per magia, se amalgamava tra de lori. No xe nato, in tanti anni, nissun incidente, no xe mai mancado niente. Inveze a chi ghe xe venudo a mancar qualcoxa xe stada la Fabrica de Maraschino Luxardo, quando arivava le marasche [ciliegie]. Noi muli del Ponton ne butajmo [ci buttavamo] su le marasche come mosche su el zucaro [zucchero]. Per dir la verità, i Luxardo no ne scazava via, podejmo magnar quanto volejmo, però “sul posto”, senza portar via gnente. Quando finivimo de magnar, cambiavimo de speto. Ve ricordè che tanti anni fa jera sortidi do film americani: “El cantante del Gez” e “El cantante mato” con Al Gionson? [Il cantante di jazz, “The Jazz Singer”, film del 1927, diretto da Alan Crosland e interpretato da Al Jolson]. Lù, negro, el se gaveva fato, in bianco, una granda boca e le man anca bianche con do ocioni [occhioni] spalancai. Nojaltri, inveze, co le marasche gavejmo una granda boca nera e le man nere. Adesso no ricordo ben, ma credo che, andajmo a far pipì, fazejmo amarena. Senza zucaro.

Adesso la Fabrica, a vederla, la xe come prima. Al zentro, in alto, la grande scrita: “Maraska”. Xe scrito “Marasca”, ma se leze: Luxardo. Ve podaria scriver ancora tante coxe, ma mi gò rispetto per i mii amizi e no li vojo anojar e farghe perder tempo. Tanto più che ogni anno i me lassa scriver de monade su Zara. E mi de questo ghe son grato.

Adesso mi devo confessar una coxa: ve gò parlado de la Porporela, ma mi no so dove xe saltà fora ‘sto nome. No so se za i Veneziani la ciamava così, lori che la gà costruida. O chi xe stà el primo. Sarìa grato a chi me lo savessi dir. Sarìa grato anca a chi me savessi dir coxa vol dit “garofolin”.

Quelo che ve volevo dir, xe che ne sentiremo el prossimo anno, sempre sperando che…

Ulisse

Nota finale – Bruno Stipcevich il 29.1.2023 ci ha scritto che: “Non so dire di preciso se ancora oggi si accende la luce rossa alla lanterna e quella verde sulla ponta della riva Derna, come si sa, adesso, c’è il porto a Gaseniza [Gaženica, in croato]. Alla lanterna c’è ancora il barcaiolo per andare alla fabbrica Luxardo”.

Cenni bibliografici

- Ruggero Botterini, Parlavimo e scrivevimo cussì in casa Mocolo. Vocabolario del dialetto polesano-istriano, Mariano del Friuli (GO), Edizioni della Laguna, 2014.

- Giovanni (Nino) Bracco, Piccolo dizionario dell’antica parlata slava di Neresine, 2009.

- Franco Crevatin, “Etimi Istriani”, on line su academia.edu

Edizione originale – Ulisse Donati, La porporela, dattiloscr., s.l. [Venezia], 2003, pp. 2.

Collezione privata - Franca Balliana Serrentino, dattiloscr.

Ringraziamenti – La redazione del blog, per il saggio presente, è riconoscente alla signora Franca Balliana Serrentino, che vive a Jesolo (VE), per aver cortesemente concesso, il 16 gennaio 2023, la diffusione e pubblicazione. Si ringraziano per la collaborazione riservata Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi (AR) delegato provinciale dell’ANVGD di Arezzo e Bruno Stipcevich, esule di Zara a Meldola (FC).

Zara con la Porporela, in alto a destra, 1930-1940

Note varie – Autore principale: Ulisse Donati. Lettori: Franca Balliana Serrentino, assessore alle Attività promozionali del Libero Comune di Zara in Esilio. Altri lettori: Bruno Bonetti, Claudio Ausilio, i professori Annalisa Vucusa e Marcello Mencarelli. Aderiscono il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’ANVGD di Arezzo.

Ricerche e Networking di Girolamo Jacobson e Elio Varutti. Copertina: Cartolina di Zara con la Fabbrica Luxardo, anni 1930-1940. Collez. privata. Altre fotografie da collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/