domenica 6 dicembre 2015

Elvira Casarsa da Parenzo, l’esodo del silenzio 1948

C’è una grande pietra istriana a Portogruaro, in provincia di Venezia, per ricordare le Vittime delle Foibe. È un monumento ben tenuto per merito sia del Comune che lo ha installato nel 2005, sia di alcuni discendenti di profughi giuliani e dalmati che lo vanno a decorare e a tenere in ordine. C’è chi porta dei fiori, una corona di rami e foglie e chi si ferma per una prece in ricordo dei caduti. Il monumento si trova nel Parco della Pace, nella Villa Marzotto a Portogruaro.

Tessera del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara di Elvira Casarsa, nata a Parenzo nel 1928 e dal 21 ottobre 1948 residente al Centro Raccolta Profughi di Lucca

Sicuramente, dal 2014, a fare una tappa fissa sono le signore Elvira Casarsa e sua figlia Graziella Dainese, che ha portato alcune piccole pietre dall’Istria per abbellire la parte bassa del cippo.
Nelle mie 212 interviste ai profughi italiani dell’Istria, di Pola, di Fiume, di Zara, della Valle dell’Isonzo e della Dalmazia non mi ero mai imbattuto in una storia come quella che vado a raccontare. Tutto è incentrato sul silenzio riguardo ai fatti dell’esodo, sul non dire ad altri, neanche ai figli. Tale comportamento, dettato dalla vergogna o dalla paura che negli anni 1946-1960 pervadeva il profugo giuliano dalmata, è in questo caso elevato alla ennesima potenza.
Elvira Casarsa, venuta via da Parenzo, davanti al Cippo in ricordo delle Vittime delle Foibe di Portogruaro, nel 2014

Disegno della signora Elvira Casarsa intitolato: Il Cippo di Portogruaro in ricordo dei caduti d'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Qui sotto una foto del Monumento

Il tutto è mescolato in una salsa mitteleuropea, che Claudio_Magris non esiterebbe a definire «un mondo fatto di microcosmi». Mi è venuto in mente Magris, quando ho sentito che la protagonista di questa testimonianza ha per secondo nome “Anita”, che è il nome della vecchia morosa del padre.
Torniamo al silenzio dei profughi. È un silenzio che rende quasi trasparenti le persone protagoniste della vicenda. È come se non esistessero. È come se non fossero mai esistite. Perfino le istituzioni italiane di oggi negano loro la correttezza del luogo di nascita. Le fanno nascere nel 1928 a Parenzo “in Croazia”, quando tale entità statale nemmeno esisteva e Parenzo, nella loro amata terra, era italiana.
Approvazione per l'esportazione, intestata a Luigi Casarsa, di Parenzo, emessa dal Comitato per il commercio estero di Zagabria il 29 novembre 1948

“Mio papà non mi ha mai parlato dell’esodo – ha detto Graziella Dainese, nata a Rovigo nel 1951 ed oggi residente a Portogruaro, in provincia di Venezia – el me diseva de star zita anche se vedeva carabinieri o polizia, lui gaveva sempre paura e dopo la mia maestra alle elementari gà da el tema sulla famiglia e mi gò scrito quel che savevo, alora la maestra gà ciamado i genitori che se gà rabiado con mi”.
I genitori della professoressa Graziella Dainese sono Elvira Casarsa, nata a Parenzo nel 1928, “jera el Regno d’Italia”, oggi in casa di riposo Francescon a Portogruaro e Franco Leo Dainese, nato a San Michele al Tagliamento nel 1924 e morto a Gorizia nel 1987. Era perito agrario e ha lavorato in diversi zuccherifici.
Essi fuggirono da Parenzo “dopo el ribalton, ossia quando che riva i titini e i la fa da paroni”. Elvira e Franco si conoscevano, ma non erano sposati. Franco Dainese nel 1946 si trasferisce da certe zie di Loreo, in provincia di Rovigo, mentre Elvira Casarsa, dopo l’assenso all’opzione per l’Italia da parte delle autorità jugoslave, datato il 3 maggio 1948, parte in piroscafo il successivo 20 ottobre. Ha il “passaporto provvisorio” n. 11.072, del Consolato Generale d’Italia a Zagabria, datato 25 agosto 1948.
Timbri doganali, firme e controfirme "per scampar con 700 chili de mobili e vestiario nei bauli e nei cassoni, no se podeva de più". Documento prestampato in cirillico, datato 21 agosto 1948

Nel giorno in cui sale in piroscafo ha inizio il silenzioso esodo di Elvira Anita Casarsa, partita assieme ai genitori Luigi Casarsa (Parenzo 1893 – Trieste 1963) e Giovanna Zucco (Cividale del Friuli 1899 – Porto Tolle 1956).
La prima tappa è a Cittanova d'Istria, diventata Novigrad in croato, dove ricevono il “visto d’ingresso” il 21 ottobre. Poi sbarcano a Trieste e stanno al Campo Profughi del Silos fino al 27 del mese. Il giorno dopo, in treno, il nucleo familiare arriva al valico di Monfalcone, ovvero al confine tra il Territorio Libero di Trieste (TLT) e l’Italia, per giungere al Centro di Smistamento Profughi (CSP) di Udine, in Via Pradamano, da dove passarono oltre 100 mila individui, ovvero un terzo dell’esodo giuliano dalmata.
La mobilia e le masserizie della famiglia Casarsa si fermano al Magazzino 18 di Trieste, quello che ha dato il titolo al celebre spettacolo di Simone Cristicchi, per intenderci. “I miei nonni Giovanna e Luigi se partidi da Parenzo e i gà portà 700 chili de roba – aggiunge la signora Dainese – no se podeva portar de più nei bauli e nei cassoni e la mia nonna gà lassado la casa a una vicina, una certa Bratulic, piuttosto de altri sconosciuti, dopo coi mobili e il vestiario gà portà via anche una barca, ma a Trieste se stada rubada”.
Ecco l'elenco dei beni con i quali scappare verso l'Italia per Luigi Casarsa, fu Giovanni, di Parenzo. Si va via con la cucina e lo "sparhert", in dialetto triestino e istriano è: Spàrgher (spacher, sparghered, spagher, spraghert, sparcher, sparhert, sparghet ), ovvero la cucina a legna o a carbone. Dal tedesco Sparherd (focolare economico). Al n. 24 della lista c'è una interessante "Gabbia polli con 2 galine". Bisognava mettere in elenco persino le "lettere personali". 

Luciano Guaita, direttore del CSP di Udine, il 29 ottobre 1948 consegna a ogni profugo della famiglia Casarsa un “sussidio straordinario di 500 lire” dalla Direzione Centrale dell’Assistenza Post Bellica, dipendente dal Ministero dell’Interno. Poi li destina al Centro Raccolta Profughi di Lucca, dove stanno per un anno e mezzo. L’amore sgorga nel Campo Profughi toscano: Evira e Franco, che già si conoscevano, si sposano il 12 settembre 1949, nella parrocchia di San Frediano a Lucca.
La professoressa Graziella Dainese mi mostra documenti su documenti, con i quali ha potuto ricostruire pezzo dopo pezzo la storia (mai ascoltata) dell’esodo dei suoi cari.
Dopo le nozze dei genitori, la nuova famiglia si trasferisce dai parenti di lui, a Loreo, vicino, troppo vicino, al Po. La famigliola, il 2 luglio 1951, è rallegrata dalla nascita di una figlia, appunto Graziella Dainese. La devastante alluvione del 14 novembre 1951 li coglie di sorpresa e si porta via tutte le masserizie ed il semplice arredo della famiglia di lei, partite dall’Istria e recuperate dal Magazzino 18, ricevute in regalo dai giovani sposi.
Madre e figlia alluvionate vengono accolte, dal 17 novembre 1951 al 28 febbraio 1952, come fu per altri 32 bimbi del Polesine allagato presso l’Istituto per l’Infanzia “Santa Maria della Pietà di Venezia”, come risulta dal registro “Legittimi dagli anni 1945-1986” dello stesso ente.
A questo punto le tappe e gli spostamenti dell’esodo si moltiplicano a dismisura. Nel 1953 c’è il Centro Raccolta Profughi di Vicenza. Nel 1955-1956 la famiglia è a Porto Tolle e ad Adria, dove si becca la seconda alluvione: quella del Canal Bianco, derivazione dell’Adige. Nel 1957 vanno a Catanzaro, poi a Bologna, per il lavoro del babbo. Altre tappe, nel 1958 e nei decenni successivi, sono, tra le altre, Cervignano del Friuli, San Donà di Piave e Portogruaro.
Questa è un'attestazione d'inventario timbrata e controfirmata dal Comitato Popolare di Parenzo il 15 novembre 1948 per Luigi Casarsa. Tuttavia, ci pare, che il documento sia un po' tarocco, dato che la firma del segretario e quella del presidente sono uguali, oltre che dello stesso delizioso inchiostro verdulino. Con tanta gente che fuggiva le firme sui documenti erano messe un po' qui e un po' là.

Si può comprendere la diffidenza dei profughi Dainese nei confronti della “matrigna” Italia, anche dal documento seguente, datato 18 dicembre 1973. È la prefettura di Udine a scrivere a Elvira Casarsa, che si trova a Cervignano del Friuli, per comunicarle l’avvenuta “trascrizione del decreto jugoslavo del 7 luglio 1948 di accoglimento dell’opzione per la cittadinanza italiana”. Certo, la burocrazia qualche volta ha i tempi lunghi, ma 25 anni per comunicare che “sei cittadino italiano, essendo nato a Parenzo nel 1928”, paiono un po’ tanti! Ancora qualche anno e nel 1980 muore Tito, poi cade il Muro di Berlino (1989), comincia a svanire la Jugoslavia (1991).
Sempre nello spirito del romanziere Claudio Magris, si potrebbe ironizzare sul fatto che la missiva sia stata spedita come “raccomandata”. Se invece avesse avuto l’affrancatura normale, in quale secolo ci chiediamo le italiche Poste l’avrebbero recapitata?
Documento del 1973; 25 anni dopo l'esodo da Parenzo per Elvira Casarsa arriva la notizia dalla Prefettura di Udine sull'accoglimento dell'opzione italiana, per lei che è nata a Parenzo nel 1928, quando era sotto il Regno d'Italia. Come meravigliarsi se gli esuli dicono che l'Italia sia stata un po' "matrigna" nei loro riguardi?

Dopo tutte queste peregrinazioni, lutti e tante umiliazioni, negli anni 1982-1983 Elvira Casarsa, in casa di riposo, viene apostrofata con l’epiteto di “sporca slava” da qualcuno che evidentemente ce l’aveva su coi profughi istriani.
Come è successo per molti altri esuli, Elvira e sua figlia alzano la testa dopo l’approvazione della legge 92/2004 sull’istituzione del Giorno del Ricordo, al fine di mantenere e perpetuare la memoria della tragedia delle vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre dei 350 mila italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia nel secondo dopoguerra. Secondo le stime di certi storici, come Raul Pupo, dell’Università di Trieste, la cifra degli esuli potrebbe abbassarsi ai 250 mila individui.
Le ultime sfide affrontate dalla professoressa Dainese riguardano la dignità e la storia di sua madre Elvira Casarsa, da Parenzo. Nel 2013 esse effettuano un viaggio proprio a Parenzo con un pulmino speciale per condurre i disabili, dato che la madre è costretta su di una sedia a rotelle. La Signora Elvira rivede la sua terra rossa d’Istria e si commuove. Conosce e saluta caramente gli attuali abitanti della sua vecchia casa, in Via Pietro Kandler numero 11, vicino alla settecentesca chiesa della Madonna degli Angeli. Rivede la stupenda ed unica nel suo genere Basilica Eufrasiana, inserita tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO dal 1997.
Graziella Dainese e sua madre Elvira Casarsa a Parenzo nel 2013

Nel Giorno del Ricordo 2014 le due donne vengono invitate all’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “Gino Luzzato” di Portogruaro per parlare alla scolaresca dell’esodo da Parenzo. Di questo fatto riporta la notizia Vito Digiorgio sul portale Internet www. portogruaro.net  il 28 agosto 2014 con l'articolo intitolato Un pezzo della mia terra, ma anche altri giornalisti si interessano del caso.
Nel 2015 Marco Corazza, col titolo Portogruaro, se n'era andata nel 1948 da Parenzo, ora il tribunale la documenta, sulle pagine locali de «Il Gazzettino»  di Venezia, del 22 settembre, riporta la notizia della battaglia legale intrapresa dalla professoressa Dainese, quando ha dovuto chiedere di fare da amministratrice di sostegno della sua mamma. “Voglio tutelare la località di nascita di mia madre, che ha studiato – ha detto – è stata radiotelegrafista a Trieste, nella sua vita amava la pittura, leggere libri, scrivere poesie e non si può avere poco rispetto della persona solo per il sistema informatico del tribunale”.
Nella documentazione rilasciata dal Tribunale di Pordenone, infatti, risulta che Elvira Casarsa è nata a Parenzo “in Croazia”. Allora la professoressa Dainese ha intrapreso l’ennesima sfida, “perché – sostiene – la legge 54/1989 prevede per i cittadini nati sotto la sovranità italiana, l’obbligo di scrivere nei documenti i luoghi di nascita nella lingua italiana, senza alcun riferimento allo stato cui attualmente appartiene la località”. È scorretto, quindi, segnare che Elvira sia nata “in Croazia” nel 1928 a Parenzo.


Giorno del Ricordo del 2014 per Elvira Casarsa e la scolaresca dell'Istituto Statale d'Istruzione Superiore "Gino Luzzato" di Portogruaro, provincia di Venezia

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I documenti menzionati fanno parte della Collezione Elvira Anita Casarsa, nata a Parenzo; residente a Portogruaro, provincia di Venezia. Intervista effettuata a Portogruaro il 28 novembre 2015 alla signora Graziella Dainese (Rovigo 1951) da Elio Varutti, che ha curato anche il servizio fotografico dell'articolo.

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Ricerca per il Gruppo di studio su “Le donne dell’esodo giuliano dalmata”, classe 5^ D  Dolciaria. Coordinamento a cura dei professori Francesco Di Lorenzo (Italiano e Storia), Elio Varutti  (Diritto e Tecniche Amministrative della Struttura Ricettiva). Dirigente scolastico: Anna Maria Zilli. Istituto “B.Stringher”, Udine. Progetto “Storie di donne nel ‘900”, sostenuto dalla Fondazione CRUP. Referente del progetto: prof. Giancarlo Martina (Italiano e Storia); anno scolastico 2015-2016.

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Una parte di questo articolo è stata pubblicata su  infofvg.it  il giorno 1° dicembre 2015 col titolo seguente: Il silenzioso esodo di Elvira Casarsa, da Parenzo 1948

Il certificato di battesimo di Elvira Casarsa, datato 1971

Riconoscimento della qualifica di "profugo" per Luigi Casarsa, rilasciato dalla Prefettura di Lucca il 24 settembre 1949. Il documento è emesso nel 1958

Parte posteriore del "Passaporto provvisorio" dei componenti della famiglia Casarsa di Parenzo, profughi istriani che passano per Cittanova (timbro di Novigrad, in alto a destra) per il Campo del Silos di Trieste (timbro tondo in basso) e per il Centro di Smistamento Profughi di Udine (timbro in alto a sinistra) 

Passaporto provvisorio di Giovanna Zucco in Casarsa, la nonna della signora Graziella Dainese

Alluvione del novembre 1951 nel Polesine a Loreo, provincia di Rovigo. Elvira Casarsa e Graziella Dainese (madre e figlia) alluvionate vengono accolte, dal 17 novembre 1951 al 28 febbraio 1952, come fu per altri 32 bimbi del Polesine allagato presso l’Istituto per l’Infanzia “Santa Maria della Pietà di Venezia”, come risulta dal registro “Legittimi dagli anni 1945-1986” dell'ente

 Franco Leo Dainese quando è esule a Loreo, provincia di Rovigo dal 1946, presso alcune sue zie

Ecco una video intervista di Elio Varutti a Graziella Dainese sul tema dell'esodo istriano, clicca:  QUI
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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che  ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD.
 

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