C’è una grande pietra istriana a
Portogruaro, in provincia di Venezia, per ricordare le Vittime delle Foibe. È
un monumento ben tenuto per merito sia del Comune che lo ha installato nel
2005, sia di alcuni discendenti di profughi giuliani e dalmati che lo vanno a decorare
e a tenere in ordine. C’è chi porta dei fiori, una corona di rami e foglie e
chi si ferma per una prece in ricordo dei caduti. Il monumento si trova nel
Parco della Pace, nella Villa Marzotto a Portogruaro.
Tessera del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara di Elvira Casarsa, nata a Parenzo nel 1928 e dal 21 ottobre 1948 residente al Centro Raccolta Profughi di Lucca
Sicuramente, dal 2014, a fare una
tappa fissa sono le signore Elvira Casarsa e sua figlia Graziella Dainese, che
ha portato alcune piccole pietre dall’Istria per abbellire la parte bassa del
cippo.
Nelle mie 212 interviste ai
profughi italiani dell’Istria, di Pola, di Fiume, di Zara, della Valle
dell’Isonzo e della Dalmazia non mi ero mai imbattuto in una storia come quella
che vado a raccontare. Tutto è incentrato sul silenzio riguardo ai fatti dell’esodo, sul non dire ad altri, neanche ai figli. Tale comportamento,
dettato dalla vergogna o dalla paura che negli anni 1946-1960 pervadeva il profugo
giuliano dalmata, è in questo caso elevato alla ennesima potenza.
Elvira Casarsa, venuta via da Parenzo, davanti al Cippo in ricordo delle Vittime delle Foibe di Portogruaro, nel 2014
Disegno della signora Elvira Casarsa intitolato: Il Cippo di Portogruaro in ricordo dei caduti d'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Qui sotto una foto del Monumento
Il tutto è mescolato in una salsa
mitteleuropea, che Claudio_Magris non esiterebbe a definire «un mondo fatto di
microcosmi». Mi è venuto in mente Magris, quando ho sentito che la protagonista
di questa testimonianza ha per secondo nome “Anita”, che è il nome della
vecchia morosa del padre.
Torniamo al silenzio dei
profughi. È un silenzio che rende quasi trasparenti le persone protagoniste
della vicenda. È come se non esistessero. È come se non fossero mai esistite.
Perfino le istituzioni italiane di oggi negano loro la correttezza del luogo di
nascita. Le fanno nascere nel 1928 a Parenzo “in Croazia”, quando tale entità
statale nemmeno esisteva e Parenzo, nella loro amata terra, era italiana.
Approvazione per l'esportazione, intestata a Luigi Casarsa, di Parenzo, emessa dal Comitato per il commercio estero di Zagabria il 29 novembre 1948
“Mio papà non mi ha mai parlato
dell’esodo – ha detto Graziella Dainese, nata a Rovigo nel 1951 ed oggi
residente a Portogruaro, in provincia di Venezia – el me diseva de star zita
anche se vedeva carabinieri o polizia, lui gaveva sempre paura e dopo la mia
maestra alle elementari gà da el tema sulla famiglia e mi gò scrito quel che
savevo, alora la maestra gà ciamado i genitori che se gà rabiado con mi”.
I genitori della professoressa Graziella
Dainese sono Elvira Casarsa, nata a Parenzo nel 1928, “jera el Regno d’Italia”,
oggi in casa di riposo Francescon a Portogruaro e Franco Leo Dainese, nato a
San Michele al Tagliamento nel 1924 e morto a Gorizia nel 1987. Era perito
agrario e ha lavorato in diversi zuccherifici.
Essi fuggirono da Parenzo “dopo
el ribalton, ossia quando che riva i titini e i la fa da paroni”. Elvira e
Franco si conoscevano, ma non erano sposati. Franco Dainese nel 1946 si
trasferisce da certe zie di Loreo, in provincia di Rovigo, mentre Elvira
Casarsa, dopo l’assenso all’opzione per l’Italia da parte delle autorità
jugoslave, datato il 3 maggio 1948, parte in piroscafo il successivo 20
ottobre. Ha il “passaporto provvisorio” n. 11.072, del Consolato Generale
d’Italia a Zagabria, datato 25 agosto 1948.
Timbri doganali, firme e controfirme "per scampar con 700 chili de mobili e vestiario nei bauli e nei cassoni, no se podeva de più". Documento prestampato in cirillico, datato 21 agosto 1948
Nel giorno in cui sale in
piroscafo ha inizio il silenzioso esodo di Elvira Anita Casarsa, partita
assieme ai genitori Luigi Casarsa (Parenzo 1893 – Trieste 1963) e Giovanna
Zucco (Cividale del Friuli 1899 – Porto Tolle 1956).
La prima tappa è a Cittanova d'Istria,
diventata Novigrad in croato, dove ricevono il “visto d’ingresso” il 21
ottobre. Poi sbarcano a Trieste e stanno al Campo Profughi del Silos fino al 27
del mese. Il giorno dopo, in treno, il nucleo familiare arriva al valico di
Monfalcone, ovvero al confine tra il Territorio Libero di Trieste (TLT) e
l’Italia, per giungere al Centro di Smistamento Profughi (CSP) di Udine, in Via
Pradamano, da dove passarono oltre 100 mila individui, ovvero un terzo dell’esodo
giuliano dalmata.
La mobilia e le masserizie della
famiglia Casarsa si fermano al Magazzino 18 di Trieste, quello che ha dato il
titolo al celebre spettacolo di Simone Cristicchi, per intenderci. “I miei
nonni Giovanna e Luigi se partidi da Parenzo e i gà portà 700 chili de roba –
aggiunge la signora Dainese – no se podeva portar de più nei bauli e nei
cassoni e la mia nonna gà lassado la casa a una vicina, una certa Bratulic,
piuttosto de altri sconosciuti, dopo coi mobili e il vestiario gà portà via
anche una barca, ma a Trieste se stada rubada”.
Ecco l'elenco dei beni con i quali scappare verso l'Italia per Luigi Casarsa, fu Giovanni, di Parenzo. Si va via con la cucina e lo "sparhert", in dialetto triestino e istriano è: Spàrgher (spacher, sparghered, spagher, spraghert, sparcher, sparhert , sparghet ), ovvero la cucina a legna o a carbone. Dal tedesco Sparherd (focolare economico). Al n. 24 della lista c'è una interessante "Gabbia polli con 2 galine". Bisognava mettere in elenco persino le "lettere personali".
Luciano Guaita, direttore del CSP
di Udine, il 29 ottobre 1948 consegna a ogni profugo della famiglia Casarsa un
“sussidio straordinario di 500 lire” dalla Direzione Centrale dell’Assistenza
Post Bellica, dipendente dal Ministero dell’Interno. Poi li destina al Centro Raccolta Profughi di Lucca, dove stanno per un anno e mezzo. L’amore sgorga nel
Campo Profughi toscano: Evira e Franco, che già si conoscevano, si sposano il
12 settembre 1949, nella parrocchia di San Frediano a Lucca.
La professoressa Graziella
Dainese mi mostra documenti su documenti, con i quali ha potuto ricostruire
pezzo dopo pezzo la storia (mai ascoltata) dell’esodo dei suoi cari.
Dopo le nozze dei genitori, la
nuova famiglia si trasferisce dai parenti di lui, a Loreo, vicino, troppo
vicino, al Po. La famigliola, il 2 luglio 1951, è rallegrata dalla nascita di
una figlia, appunto Graziella Dainese. La devastante alluvione del 14 novembre 1951 li
coglie di sorpresa e si porta via tutte le masserizie ed il semplice arredo
della famiglia di lei, partite dall’Istria e recuperate dal Magazzino 18,
ricevute in regalo dai giovani sposi.
Madre e figlia alluvionate
vengono accolte, dal 17 novembre 1951 al 28 febbraio 1952, come fu per altri 32
bimbi del Polesine allagato presso l’Istituto per l’Infanzia “Santa Maria della
Pietà di Venezia”, come risulta dal registro “Legittimi dagli anni 1945-1986”
dello stesso ente.
A questo punto le tappe e gli
spostamenti dell’esodo si moltiplicano a dismisura. Nel 1953 c’è il Centro
Raccolta Profughi di Vicenza. Nel 1955-1956 la famiglia è a Porto Tolle e ad
Adria, dove si becca la seconda alluvione: quella del Canal Bianco, derivazione
dell’Adige. Nel 1957 vanno a Catanzaro, poi a Bologna, per il lavoro del babbo.
Altre tappe, nel 1958 e nei decenni successivi, sono, tra le altre, Cervignano
del Friuli, San Donà di Piave e Portogruaro.
Questa è un'attestazione d'inventario timbrata e controfirmata dal Comitato Popolare di Parenzo il 15 novembre 1948 per Luigi Casarsa. Tuttavia, ci pare, che il documento sia un po' tarocco, dato che la firma del segretario e quella del presidente sono uguali, oltre che dello stesso delizioso inchiostro verdulino. Con tanta gente che fuggiva le firme sui documenti erano messe un po' qui e un po' là.
Si può comprendere la diffidenza
dei profughi Dainese nei confronti della “matrigna” Italia, anche dal documento
seguente, datato 18 dicembre 1973. È la prefettura di Udine a scrivere a Elvira
Casarsa, che si trova a Cervignano del Friuli, per comunicarle l’avvenuta
“trascrizione del decreto jugoslavo del 7 luglio 1948 di accoglimento
dell’opzione per la cittadinanza italiana”. Certo, la burocrazia qualche volta
ha i tempi lunghi, ma 25 anni per comunicare che “sei cittadino italiano,
essendo nato a Parenzo nel 1928”, paiono un po’ tanti! Ancora qualche anno e
nel 1980 muore Tito, poi cade il Muro di Berlino (1989), comincia a svanire la
Jugoslavia (1991).
Sempre nello spirito del
romanziere Claudio Magris, si potrebbe ironizzare sul fatto che la missiva sia
stata spedita come “raccomandata”. Se invece avesse avuto l’affrancatura
normale, in quale secolo ci chiediamo le italiche Poste l’avrebbero recapitata?
Documento del 1973; 25 anni dopo l'esodo da Parenzo per Elvira Casarsa arriva la notizia dalla Prefettura di Udine sull'accoglimento dell'opzione italiana, per lei che è nata a Parenzo nel 1928, quando era sotto il Regno d'Italia. Come meravigliarsi se gli esuli dicono che l'Italia sia stata un po' "matrigna" nei loro riguardi?
Dopo tutte queste peregrinazioni,
lutti e tante umiliazioni, negli anni 1982-1983 Elvira Casarsa, in casa di
riposo, viene apostrofata con l’epiteto di “sporca slava” da qualcuno che evidentemente
ce l’aveva su coi profughi istriani.
Come è successo per molti altri
esuli, Elvira e sua figlia alzano la testa dopo l’approvazione della legge
92/2004 sull’istituzione del Giorno del Ricordo, al fine di mantenere e
perpetuare la memoria della tragedia delle vittime delle foibe e dell’esodo
dalle loro terre dei 350 mila italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia nel
secondo dopoguerra. Secondo le stime di certi storici, come Raul Pupo,
dell’Università di Trieste, la cifra degli esuli potrebbe abbassarsi ai 250 mila
individui.
Le ultime sfide affrontate dalla
professoressa Dainese riguardano la dignità e la storia di sua madre Elvira
Casarsa, da Parenzo. Nel 2013 esse effettuano un viaggio proprio a Parenzo con
un pulmino speciale per condurre i disabili, dato che la madre è costretta su
di una sedia a rotelle. La Signora Elvira rivede la sua terra rossa d’Istria e
si commuove. Conosce e saluta caramente gli attuali abitanti della sua vecchia
casa, in Via Pietro Kandler numero 11, vicino alla settecentesca chiesa della
Madonna degli Angeli. Rivede la stupenda ed unica nel suo genere Basilica
Eufrasiana, inserita tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO dal 1997.
Graziella Dainese e sua madre Elvira Casarsa a Parenzo nel 2013
Nel Giorno del Ricordo 2014 le
due donne vengono invitate all’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “Gino Luzzato”
di Portogruaro per parlare alla scolaresca dell’esodo da Parenzo. Di questo
fatto riporta la notizia Vito Digiorgio sul portale Internet www.
portogruaro.net il 28 agosto 2014 con l'articolo intitolato Un pezzo della mia terra, ma
anche altri giornalisti si interessano del caso.
Nel 2015 Marco Corazza, col titolo Portogruaro, se n'era andata nel 1948 da Parenzo, ora il tribunale la documenta, sulle
pagine locali de «Il Gazzettino» di
Venezia, del 22 settembre, riporta la notizia della battaglia legale intrapresa
dalla professoressa Dainese, quando ha dovuto chiedere di fare da
amministratrice di sostegno della sua mamma. “Voglio tutelare la località di
nascita di mia madre, che ha studiato – ha detto – è stata radiotelegrafista a
Trieste, nella sua vita amava la pittura, leggere libri, scrivere poesie e non
si può avere poco rispetto della persona solo per il sistema informatico del
tribunale”.
Nella documentazione rilasciata
dal Tribunale di Pordenone, infatti, risulta che Elvira Casarsa è nata a
Parenzo “in Croazia”. Allora la professoressa Dainese ha intrapreso l’ennesima
sfida, “perché – sostiene – la legge 54/1989 prevede per i cittadini nati sotto
la sovranità italiana, l’obbligo di scrivere nei documenti i luoghi di nascita
nella lingua italiana, senza alcun riferimento allo stato cui attualmente
appartiene la località”. È scorretto, quindi, segnare che Elvira sia nata “in
Croazia” nel 1928 a Parenzo.
Giorno del Ricordo del 2014 per Elvira Casarsa e la scolaresca dell'Istituto Statale d'Istruzione Superiore "Gino Luzzato" di Portogruaro, provincia di Venezia
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I documenti menzionati fanno
parte della Collezione Elvira Anita Casarsa, nata a Parenzo; residente a Portogruaro,
provincia di Venezia. Intervista effettuata a Portogruaro il 28 novembre 2015 alla signora Graziella Dainese (Rovigo 1951) da Elio Varutti, che ha curato anche il servizio fotografico dell'articolo.
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Ricerca per il Gruppo di studio
su “Le donne dell’esodo giuliano dalmata”, classe 5^ D Dolciaria. Coordinamento a cura dei
professori Francesco Di Lorenzo (Italiano e Storia), Elio Varutti (Diritto e Tecniche Amministrative della
Struttura Ricettiva). Dirigente scolastico: Anna Maria Zilli. Istituto “B.Stringher”, Udine. Progetto “Storie di donne nel ‘900”, sostenuto dalla
Fondazione CRUP. Referente del progetto: prof. Giancarlo Martina (Italiano e
Storia); anno scolastico 2015-2016.
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Una parte di questo articolo è stata pubblicata su infofvg.it il giorno 1° dicembre 2015 col titolo seguente: Il silenzioso esodo di Elvira Casarsa, da Parenzo 1948
Il certificato di battesimo di Elvira Casarsa, datato 1971
Riconoscimento della qualifica di "profugo" per Luigi Casarsa, rilasciato dalla Prefettura di Lucca il 24 settembre 1949. Il documento è emesso nel 1958
Parte posteriore del "Passaporto provvisorio" dei componenti della famiglia Casarsa di Parenzo, profughi istriani che passano per Cittanova (timbro di Novigrad, in alto a destra) per il Campo del Silos di Trieste (timbro tondo in basso) e per il Centro di Smistamento Profughi di Udine (timbro in alto a sinistra)
Passaporto provvisorio di Giovanna Zucco in Casarsa, la nonna della signora Graziella Dainese
Alluvione del novembre 1951 nel Polesine a Loreo, provincia di Rovigo. Elvira Casarsa e Graziella Dainese (madre e figlia) alluvionate vengono accolte, dal 17 novembre 1951 al 28 febbraio 1952, come fu per altri 32 bimbi del Polesine allagato presso l’Istituto per l’Infanzia “Santa Maria della Pietà di Venezia”, come risulta dal registro “Legittimi dagli anni 1945-1986” dell'ente
Franco Leo Dainese quando è esule a Loreo, provincia di Rovigo dal 1946, presso alcune sue zie
Ecco una video intervista di Elio Varutti a Graziella Dainese sul tema dell'esodo istriano, clicca: QUI
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Questo articolo rientra
nelle attività del Centro
di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata,
per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari
momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di
storia dell’Istituto
Stringher di Udine, di cui è
referente il professor Giancarlo Martina. È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie
di donne del ‘900”, che ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio
di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana,
ANED,
ANVGD.
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