È il cronista Antonio Picco a descrivere, con lo pseudonimo generico di Silvestro, il “modo impiegato in quel tempo per sussidiare le classi derelitte” (1) a causa del terribile morbo, come fu definito il “cholera”. Per organizzare i soccorsi fu creata una commissione, presieduta dall’arcivescovo di Udine, Giuseppe Luigi Trevisanato, che fu nominato in seguito patriarca di Venezia. “In quel fatale memorando anno 1855 – prosegue Picco - a ben lire 34 mila ascesero le offerte fatte dai cittadini ricchi ed agiati, senza contare quel che al filantropico, umanitario scopo elargì di moto proprio il Comune”. Interessante è la descrizione dell’organizzazione umanitaria, che fu analoga a quant’era accaduto per la stessa malattia del 1836. La solidarietà fu fondata sulla realtà delle parrocchie, ove sorse una relativa commissione “composta di benemeriti cittadini, incaricati di visitare le famiglie dei bisognosi, e constatare la miseria che le affliggeva, (e) venivano ipso facto, iscritte nel libro dei sussidi”. Dopo avere tracciato, con visite sul campo, il fabbisogno sociale, veniva svolta la distribuzione di cibo ed altri generi di prima necessità con i fondi raccolti. “A ciascheduna famiglia si rilasciava un buono valevole per sei oncie di carne, sei di riso, e quattro soldi per la legna da fuoco”. La oncia grossa udinese, corrispondente alla misura di peso veneziana, era pari a 39 grammi, come riportato da G. Ciconi. L’unità di misura era la libbra grossa, pari a kg 0,476998 per le merci comuni; era divisa in 12 once. La libbra sottile, invece, misurava i preziosi.
Se il numero dei componenti della famiglia fosse stato elevato, il sussidio veniva aumentato. “Di più, se in quella tale o tal altra famiglia, c’erano degli ammalati, il sussidio estendevasi sino alla somministrazione gratuita dei medicinali”. È una forma di assistenza pubblica, perno dei modelli più evoluti di assistenza sociale del Novecento, definita “social welfare”. Le commissioni venivano supportate dal parroco. Secondo il cronista tutto si svolgeva “con una puntualità, una premura degna veramente del massimo encomio”. La conclusione è che tale “opera di cristiana carità tornò immensamente di sollievo ai poveri, sottraendo così da sicura morte molti e molti infelici”.
Pittura di Antonio Picco sui moti del 1848. L'interno di Porta Aquileia, da piazzetta del Pozzo. Si vede la chiesa di San Giuseppe, andata poi distrutta: al suo posto oggi c'è un condominio.
Archivio del Comune di Udine
I dati riportati dall’articolista sostanzialmente coincidono con le carte reperite in Archivio di Stato di Udine (ASUD). Nel manifesto, datato 26 settembre 1855, intitolato “La Commissione Generale di Pubblica Beneficenza della R[egia] Città di Udine” e stampato in occasione del “CHOLERA ASIATICO 1855”, si può leggere lo “specchio degl’introiti e pagamenti fatti dalla Giunta Centrale, il tutto desunto dai documenti depositati presso questo Municipio, che ad ognuno è libero di ispezionare” (2).
La commissione – si legge nei medesimi documenti -, presieduta dall’arcivescovo Trevisanato, era composta da Antigono conte Frangipane, podestà, vice presidente. Gli altri membri erano: Giovanni Battista Torossi, Giuseppe marchese Mangilli, Federico nobile Bujatti, Francesco Ongaro ed Ermolao Marangoni. Tra i vari benefattori c’è il nobile Massimiliano Orgnani, che alla parrocchia del Redentore dà “A.L. 100” (Austriache Lire, ossia la valuta del tempo). Sono esposti i nomi dei 36 incaricati della questua e di coloro – sei persone – che si prestarono “caritatevolmente alla distribuzione delle razioni alimentari”. Il bilancio batte su austriache lire 33.520 e 46 centesimi. Le razioni dispensate furono in tutto 187 mila e 810. Ogni razione – differenziandosi dai valori riportati da A. Picco - consisteva in una libbra di farina per 5 centesimi e once 3 di carne gratis dal 31 luglio al 19 agosto. Solo una libbra di farina a 5 centesimi dal 20 al 31 agosto.
Nelle parrocchie urbane, i responsabili raccolsero varie somme, in lire austriache, come si legge nella tabella n. 1.
Si tenga presente che la paga di un muratore, in quel periodo, era mediamente di due lire giornaliere. Molti cittadini diedero una lira o poco più, segno che le offerte erano diffuse e radicate in ogni strato sociale, altri udinesi offrirono qualche decina di lire, chi 50 o 100 lire austriache. Carlo Giacomelli ne dà 1000 e Francesco Braida e Comp. 1500. Sono le cifre più alte.
Tab. n. 1 – Offerte raccolte nelle parrocchie di Udine per i colpiti dal colera del 1855
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S. Metropolitana (Duomo) 6.393 e centesimi 86
S. Cristoforo 1.424 “ 51
S. Giacomo 2.276 “ 23
S. Nicolò (Porta Poscolle) 1.047 “ 77
S. Giorgio 1.520 “ 30
B.V. del Carmine 1.482 “ 86
B.V. delle Grazie 221 “ 65
S. Quirino 1.474 “ 40
SS. Redentore 2.800 “ 70
15 Benemeriti Promotori 7.706 “ 50
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Tot. Carità Cittadine 26.408 “ 18
Sussidio Cassa Comunale 7.051 “ 22
Aggio Valuta 60 “ 46
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Tot. 33.520 “ 46
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Fonte: “Specchio degl’introiti e pagamenti fatti dalla Giunta Centrale…”, Udine, 26 Settembre 1855, in Archivio di Stato di Udine (ASUd), Comune di Udine, Parte Austriaca, b 588. Valori in Lire Austriache.
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2. Nel 1921, la prima cooperativa
In Via Pradamano, ancora in base alla “Guida commerciale del Friuli” del 1921, c’erano le seguenti aziende: al civico n. 2 i Fratelli Del Torso, legna da ardere; al n. 3 Cooperativa Ferrovieri, spaccio alimentari. Poi al n. 4 c’era Del Torso Alessandro, deposito e magazzino di legnami, materiale da costruzioni, falegnameria, segheria, tavole lavorate per pavimenti e segatura e al n. 25 Ferdinando Stefanutti, carradore. Un altro carradore al n. 33 era Ferdinando Plaino. Al n. 53 dello “Stradon” Vittorio Plaino gestiva un’osteria; al n. 64 Elvira Blasoni conduceva un’azienda simile.
La Cooperativa di Consumo fra Ferrovieri nasce nel 1921. Osteggiata dal fascismo, viene soppressa e rinasce il 7 ottobre 1945 con il nome di “Società Cooperativa fra Ferrovieri”; nel 1954 si apre lo spaccio di Via Pradamano (odierno Piazzale Cavalcaselle).
26 aprile 1848, manifesto sulla resa dei rivoluzionari di Udine. Fatto ai Casali di Baldasseria. Collezione Riccardo Gremese, Udine
3. Il Circolo Ricreativo fra operai di Baldasseria del 1923
Nel primo dopoguerra, con la ricostruzione, intorno al 1919-1921 gli edifici utilizzati per il commercio e l’industria aumentarono considerevolmente, come risulta dalla guida edita nel 1921 dalla Tipografia Passero.
C’era un certo fermento pure nella zona tra il Viale Palmanova e Via Pradamano, considerato che proprio lì sorse, nel 1923, un “Circolo ricreativo fra Operai delle frazioni di Baldasseria Alta e Bassa”. Vollero chiamarsi in tale modo ed andarono a sancirlo anche davanti ad un notaio, esibendo il presidente, dieci consiglieri, due revisori dei conti, due sindaci e provveditori, il cassiere - segretario e lo statuto del circolo stesso. Erano trascorsi cinquant’anni dalla scampata epidemia di colera del 1873 e dal voto fatto alla Madonna dalle gente di Baldasseria e tale circolo ricreativo fu una vera novità, ma andò a soddisfare l’esigenza di stare assieme della popolazione.
Interessante è notare che le riunioni del nuovo sodalizio, oltre che ai soci, fossero aperte alle “loro rispettive famiglie e congiunti – si legge nell’art. 1 dello Statuto -; potranno inoltre intervenire degli amici e conoscenti dei soci, purché i medesimi sieno regolarmente accompagnati da un socio inscritto”. Il fascismo era all’esordio, perciò in Baldasseria si adeguarono, come sancisce l’ultimo comma dell’art. 1 dello statuto: “Nei locali del circolo sono proibite le discussioni politiche”. Comunque era di fondamentale importanza un comportamento di “fraterna amicizia fra i soci” (art. 2); essi dovevano “considerarsi come fraternizzati nelle discussioni di civile educazione”. Assai singolare pare quel richiamo alla “fratellanza”, tanto più che nel 1972 venne utilizzata la medesima parola in un articolo de L’Antenna, per riferirsi al vecchio circolo CRAL di Baldasseria (3).
4. La Cappella dei Profughi di Via Pradamano del 1953
Una intervistata, la signora Novelli, ha ricordato che i profughi istriani nelle strutture del Campo di smistamento di Udine facevano celebrare da un cappellano della parrocchia della Beata Vergine del Carmine “una bella Messa a Natale, con belle preghiere e canti”. Quindi c’era un luogo di culto all’interno del complesso d’accoglienza di Via Pradamano, il Centro di Smistamento Profughi. Nel 1953 - secondo il Bollettino Parrocchiale della Beata Vergine del Carmine (4) - la Santa Messa si celebrava alle ore 10. Nel 1955 era prevista una celebrazione alle ore 7 dei giorni feriali, mentre nei giorni festivi l’appuntamento era per le ore 10.
La Chiesa nel Campo Profughi è ricordata anche dai signori Elvira Dudech, Remo Leonarduzzi, Maria Grazia Saccardo e Adelia Mariuz, oltre che dal Libro storico della Parrocchia del Carmine. “Se faseva messa in corridoio – ha raccontato la signora Elpida Chelleris - e dopo in una stansa e el nostro capelan el jera don Mario Stefani, che anni più tardi el jera a dir messa al cimitero de Trieste”. La cappella è stata ricordata anche dalla signora Maria Bonassin e dai fratelli Bruno e Greonlandia Chicco.
Posa della prima pietra della Cappella San Pio X, Udine - 1958. Archivio parrocchiale di San Pio X
La chiesa di San Pio X a Udine, costruita nel 1959-1961, progetto dell'architetto Giacomo Della Mea.
Archivio della parrocchia di san Pio X
Archivio della parrocchia di san Pio X
5. Nel 1958 sorge la Cappella San Pio X
L’esigenza di un luogo di culto, per i nuovi abitanti della parte a sud della ferrovia, si fece più pressante alla fine degli anni Cinquanta. Si ricorda, allora, che don Adelindo andava a recuperare mattoni tra i ruderi delle case bombardate e demolite di Via Aquileia. Il prete girava con la carriola e la tonaca tutta imbiancata dalla polvere. Alla sera, riferendosi alle case demolite, annotò nel Libro Storico della parrocchia le seguenti frasi:
“Da esse potrò estrarre, assieme ai primi volenterosi, 65.000 mattoni, 150 metri cubi di sassi, 100 metri cubi di sabbia… con un camion dell’Italscavi, carri e trattori di alcuni contadini, trasportiamo dal fiume Torre 400 q di sabbia [recte: il Torre, più che un fiume, è un corso d’acqua a carattere torrentizio, NdA]”.
I preti della parrocchia ricordavano, fino agli anni Settanta, i bambini che andarono ad aiutare don Adelindo a ripulire i mattoni, per riutilizzarli nella costruzione della Cappella. Erano i fratelli Janesi, i De Luca, Bressan e Nonino (5). Il giorno 8 maggio 1958 vi fu la posa della prima pietra della Cappella San Pio X in un appezzamento di terreno sito sulla prosecuzione di Via Celebrino, incrociando Via Amalteo, nella strada che sarà, poi, chiamata Via Mistruzzi. Si può leggere nel Libro Storico della parrocchia la seguente notizia.
“18 maggio 1958. Posa e benedizione della Prima Pietra della Cappella impartita da Sua Ecc. l’Arcivescovo. Dopo il saluto di una bambina, il sig. Giacomo Varutti presenta il programma di lavoro e le necessità del rione”.
Nei mesi successivi i lavori proseguirono di gran lena, ma furono sospesi per tutto il mese d'agosto, per gli esami dei ragazzi della scuola professionale di muratori di don Emilio De Roia. Il progetto era dell’architetto Giacomo Della Mea e la realizzazione fu seguita pure da Giacomo Fachin, padre di don Adelindo.
Il successivo 27 agosto ci fu una visita privata di Sua Eccellenza l'Arcivescovo ai lavori della Cappella. Don Adelindo espresse il desiderio di benedire la Cappella nella successiva festa dell'Immacolata. Il 2 settembre 1958 vennero ripresi i lavori nel cantiere. Nel Libro Storico parrocchiale don Adelindo scrisse, con un certo orgoglio: “Siamo al II piano”. La costruzione, nella sua semplicità formale, apparve subito solida e compatta, tanto che, quasi vent’anni più tardi, resse bene al terremoto del 1976.
6. Nasce la Parrocchia di San Pio X, 1958
Il decreto di istituzione della nuova parrocchia di San Pio X era già stato emanato e portava la data del 7 ottobre 1958. Questo è il testo, che si trova nell’archivio parrocchiale (APSPX):
GIUSEPPE ZAFFONATO
Arcivescovo della Chiesa Metropolitana Udinese
Viste le domande presentate dal Sac. Adelindo Fachin perché la Chiesa di S. Pio X sia eretta in Parrocchiale…
7. Cooperativa Cif e Zaf, 1985
Nacque il 24 gennaio 1985 alla presenza del notaio Panella. Ebbe come soci fondatori don Tarcisio e altri 15 collaboratori. Giuridicamente è una cooperativa sociale a responsabilità limitata. Lo scopo era quello di accogliere persone con gravi problemi esistenziali e familiari dando loro ospitalità, lavoro, cure mediche. Le attività lavorative riguardano: sgombero, pulizia di locali, raccolta di vetro, carta, ferro, stracci, piccola manutenzione edile e di carpenteria metallica, tinteggiature murali, verniciatura di recinzioni, sfalcio d’erba, servizi di trasloco e facchinaggio. La prima sede dell’attività fu reperita in Viale Palmanova, al civico numero 42, dove negli ultimi anni dell’Ottocento c’erano i cavalli e i carri di Comuzzi carradore. Qui gli udinesi scoprirono che funzionava la Cif e Zaf in veste di rigattiere; in tale sede si poteva comprare qualche vecchio mobile a prezzi miti. Nel 1988 ci fu il completamento di una casa di Sammardenchia di Tarcento.
Presidente per i primi quattro anni fu Arialdo Schierano. Poi l’incarico passò a Paolino Zucchini. Nel 1991 fu effettuata una raccolta di indumenti e di altro materiale per le perone in difficoltà; due TIR partirono per la Polonia e uno per la Romania. Il 23 gennaio 1992, in occasione della celebrazione del settimo anniversario della cooperativa parteciparono a un momento conviviale, oltre al parroco don Tarcisio Bordignon, l’assessore Letizia Burtulo, l’assessore Paolo Braida, il prefetto Damiani e l’ingegnere Silvio Morassutti. Nel 1992 la cooperativa terminò i lavori di ristrutturazione nella Casa Gioiosa di Mione e completò le stanze sotto la chiesa di Paparotti, a Udine. In precedenza ristrutturò gli uffici parrocchiali, oltre a Villa Ostende e l’Hotel Astoria. Ci fu, poi, la ristrutturazione dell’Albergo Venezia a Grado. In quell’anno, mentre infuriava la guerra nei Balcani, furono raccolti 30 camion di viveri, indumenti e suppellettili, che furono inviati nei paesi della ex-Jugoslavia.
Il 13 febbraio 1993 la polizia e l’Ispettorato del Lavoro individuarono quattro lavoratori extracomunitari irregolari presso la Cooperativa Cif e Zaf. Furono denunciati il Parroco, nella sua veste di vicepresidente e Paolino Zucchini, che era presidente. Il 23 aprile si tenne l’assemblea ordinaria con l’ingresso in consiglio di amministrazione di Denis Sacher e di Andrea Silverio tra i sindaci. In quell’occasione il parroco si dimise e la contabilità passò all’Associazione Cooperative e allo studio Ezio Pravisano. I soci erano 38, i dipendenti 6 e diversi i volontari.
Altri lavori edili furono svolti negli appartamenti di Sedilis, a una casa di Peonis. Poi la cooperativa assunse appalti pubblici per lo sfalcio e il diserbo per il Comune di Udine, manovalanza presso l’Ospedale Civile, la pulizia presso la Curia Arcivescovile e presso l’Associazione Allevatori, lavori di manutenzione per la Provincia e per l’Istituto Autonomo Case Popolari. Lavorò anche per l’Aster Cooperativa e le Acciaierie Bertoli Safau di Pozzuolo del Friuli.
Nel 1994, il presidente Zucchini riferì che nel corso dell’anno i soci dimessi, perché avevano trovato una migliore sistemazione erano 11. Le persone in servizio erano 27, di cui soci 23. I soci volontari erano 2 e i soci dipendenti 2. All’interno della sua struttura c’è il Club Alcolisti in Trattamento, assistito dallo psicologo dottor Iustulin. Dall’11 gennaio 1995 fu assunto un tecnico coordinatore allo scopo di programmare e organizzare le attività.
Nel celebrare il ventennale della cooperativa, nel 2005, il presidente Walter Diplotti, sul numero unico di Festa Insieme, menzionò le venti persone che operavano nell’attività, la cui sede era in Via Fabio di Maniago, dietro la farmacia di Viale Palmanova, a Udine.
“Abbiamo diversi nomadi – scrisse Diplotti – persone oneste, lavoratori con la «L» maiuscola, vedi Stefano, Massimo, Claudio, Devid, per poi passare a Gianni, Corrado, Franco, Antonio, Andrea, Mario, Maurizio, Armando e Marco. Il reparto pulizie è capeggiato da Fabiola e Annamaria. L’ufficio condotto da Marilena e per qualche ora da Monica. Abbiamo anche due persone volontarie, Mattia e Osvaldo. Come non ricordare due eccellenti pensionati Adelino e Vincenzo?”.
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NOTE
(1) Silvestro (i.e. Antonio Picco), “A proposito di beneficenza. Ciò che si faceva all’epoca del colera nell’anno 1855”, in: A. Picco, Scritti vari, 1880-1900, pag. 291-292. Le altre citazioni a seguire, se non altrimenti specificato, sono di A. Picco.
(2) ASUD, Parte Austriaca I, b 588, f 4, 5.
(3) Circolo ricreativo fra Operai delle frazioni di Baldasseria Alta e Bassa, Statuto, Tipografia Del Bianco e Figlio, Udine, 1923. Riguardo al repertorio del 1921, vedi: Guida commerciale, industriale e professionale del Friuli (Province di Udine e Gorizia), Stabilimento Ditta L. Passero di G. Chiesa, Udine, 1921. In considerazione dell’articolo de L’Antenna, vedi: “Il plui vecjo Cral dal Frûl”, pubblicato sul detto bollettino parrocchiale del 18 agosto 1972, n. 5.
(4) Vedi il bollettino n. 1, del mese di maggio 1955. Per il 1953 si veda: La Lampada, mensile religioso, Edizione della Parrocchia del Carmine, Udine, III, n. 3, marzo 1953 (APBVC)
(5) Da un documento dell’Archivio Parrocchiale di San Pio X (APSPX), redatto verso il 1979 e intitolato: “Memorie per la storia. Trasformazione fabbricato ex Cappella S. Pio X in sei mini - appartamenti” (datt.). Non è dato di sapere chi ne sia l’autore, anche se si può intuire lo stile, tra le righe, di don Aldo Moretti. Una parte del documento è stata pubblicata su Baldasseria 2007, con il titolo originale.
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