mercoledì 24 giugno 2015

La donna del chiosco sul Po, di Maurizio Mattiuzza

Un poeta fine che canta il mondo d’oggi: ecco chi è Mattiuzza. Ha vinto, nel 2014, con questa raccolta la sezione di poesie di InediTO – Premio Colline di Torino, XIII edizione. Le sue liriche affondano le radici nel passato, nei luoghi dove ha vissuto da giovane. Ariano Polesine, in provincia di Rovigo, è una località sul delta del Po che compare nel settimo verso della poesia che dà il titolo all’intera raccolta del 2015: “La donna del chiosco sul Po”. Il testo è edito da La Vita Felice, di Milano.



Chi era questa donna? E perché è addirittura finita nel titolo del suo quarto libro di poesie? Maurizio Mattiuzza ci regala, in questa sua poesia, un quadretto socio-economico italiano degli anni intorno al 1970, di cuant che al jere un frut (“quando era piccino”). Mi permetto di inserire qualche parola in lingua friulana – con traduzione – perché Mattiuzza è un poeta plurilingue. Perciò, pure il modesto recensore si sbizzarrirà in più lingue. Almeno con quelle del cuore: friulano (del papà), italiano, veneziano (della nonna) e trentino (degli studi universitari). In questo senso mi sembra di percepire una strana vicinanza esperienziale con questo grande poeta.
Egli nacque nei pressi di Zurigo nel 1965, per passare a vivere in Friuli dal 1976, ma c’è una nonna della Valsugana nella sua crescita linguistica. La se questa popetta trentinazza (“è questa bambina del Trentino”, bambina in senso figurato) che gli ha trasmesso le parole, le arie, gli accenti, le ninne nanne, nonché i fenomeni e le produzioni della cultura popolare – direbbero gli antropologi – della Valsugana, realtà economica di radicata tradizione contadina del Trentino, con uno sguardo alla fabbrica.
Allora la donna del chiosco sul Po è realmente esistita. E Mattiuzza ce la racconta poeticamente. Era una contadina che lavorava quotidianamente la terra con i suoi stivali di gomma, sognando il posto in una fabbrica. Negli anni 1960-1970 si sviluppò l’industrializzazione, soprattutto in Italia settentrionale. Ci furono pure le prime lotte sindacali.
La donna del chiosco sul Po non capisce gli operai col posto fisso che scioperano dietro i cancelli della fabbrica. L’unica sua paura è quella dell’acqua. Come nei proverbiali capitoli de Il mulino sul Po di Riccardo Bacchelli, del 1957, a portarsela via sarà proprio una lunga piena più larga di quella del Po, come scrive Mattiuzza.


Lo splendido libro di poesia è stato presentato il 21 giugno 2015 a Cividale del Friuli, nel sottoportico di Casa Costantini, nell’ambito della rassegna Mittelibro, con la presentazione di Michele Obit, che ha letto una versione in lingua slovena di una poesia di Mattiuzza.
Dopo le presentazioni di Torino e di Muzzana del Turgnano, il volume La donna del chiosco sul Po, ha goduto oltre che della incantevole location, con il delizioso frescolino cividalese, pure di un job enrichment, costituito dalla chitarra e dalla voce di Renzo Stefanutti, con la sua affascinante e coinvolgente variante carnica. “Par fuarce, o soi di Dalès!”(Per forza, sono di Alesso - frazione di Trasaghis) – mi ha detto Stefanutti, dopo il concerto – presentazione. E non è tutto!

Maurizio Mattiuzza

Non vorrei sembrarvi un venditore di piatti dei Baracconi di Santa Caterina, ma la serata di Cividale aveva un altro elevato valore aggiunto. È stata arricchita, infatti, dalla spumeggiante lettura di Stefania Carlotta Del Bianco, nonché dal contributo virtuoso e spettacolare di Susan Franzil al violoncello. I diciotto pezzi presentati, oltre ad un richiesto bis, sono filati via lisci... che neanche ti accorgi che il tempo passa. Erano solo in lettura, in italiano, friulano e sloveno, oppure sono stati anche cantati con l’accompagnamento degli strumenti citati, oltre a qualche percussione suadente. Ecco spiegato il nome che si sono dati i quattro artisti citati per questa “perfomance”: Alberi di Argan poetry Quartet.
Il libro, di cento pagine, è da leggere e rileggere, per assaporarlo pienamente in tutta la sua bellezza. Mattiuzza ci presenta qui, pure alcune esclusive traduzioni in lingua slovena (di Jolka Milič), in lingua asturiana (di Martìn Lòpez Vega) e greca (di Massimiliano Damaggio).
I suoi versi hanno una marcia in più. Alcune rime sono riprese da Gli alberi di Argan, la sua precedente raccolta poetica, del 2011.
Mattiuzza ha fatto parte del gruppo di poeti di Usmis, movimento letterario e musicale friulano degli anni 1990-2000. In quel periodo ha partecipato al collettivo artistico dei Trastolons. Ha scritto «La cjase su l’ôr» nel 1997. La seconda raccolta di poesie è del 2004 ed ha per titolo «L’inutile necessitâ(t)», editore Kappavu, con interventi di Luciano Morandini e del cantautore Claudio Lolli. Nel 2001 Mattiuzza, col cantautore nostrano Lino Straulino, ha pubblicato l’album «Tiere Nere». 

Poeti Trastolons sul palco.  Una "Reunion Trastolona al Cormòr nel 2010" dal sito web di:  lussia di uanis

Le composizioni artistiche di Mattiuza sono inserite nelle antologie, ove compare il poeta “beat” Jack Hirschman, oppure alcune firme della musica leggera italiana, come Elisa e Neffa. Mattiuzza ha vinto il premio «Naghèna d’Arjent» tal 2008. Dopo ha ricevuto il premio Città di Ceggia e, a Torino, per la rassegna «Onde d’arte in versi per l'Abruzzo». Nel 2009 si è portato a casa pure il premio "Laurentum", per una poesia inedita in italiano. Ha ottenuto la selezione al premio "Alda Merini" nel 2013. Con alcune liriche contenute nel volume appena uscito è stato recentemente inserito nella terzina finalista del premio nazionale "Mario Soldati".
«Mattiuzza fa un uso libero delle lingue nella sua poetica, perché è molto sensibile alla fonetica – ha dichiarato a Udine, nel 2011, Marina Giovannelli, scrittrice e critico d’arte – ed è sulla linea di Saba e di Morandini, ma menziona pure Giacomini, Zannier, Tavan, Endrigo e De André».
La poesia di Mattiuzza è stata definita “civile”, come quella di Pasolini del 1957-1960. Mattiuzza descrive i gruppi sociali, le loro problematiche, i conflitti ed i successi. Egli racconta della emigrazione, delle case operaie, del caffè autarchico delle piccole comunità montane, dei piccoli paesi abbandonati di montagna, del giro delle osterie, dei capannoni industriali con l’orologio dei Fratelli Solari, del mutuo da pagare, delle fabbriche che chiudono, dopo il sogno dell’industrializzazione e così via.
Mi sia consentita un’ultima considerazione - un po' divergente -, ma utile a fare un collegamento con la poesia civile di Pasolini in un modo del tutto personale, perchè Mattiuzza - a mio modesto parere - ne ripercorre le tracce... lis olmis, lis usmis.
Mentre Mattiuzza un po’ leggeva e un po’ recitava una sua poesia, dove è citato un gatto (forse è quella intitolata “In diagonale” nella raccolta fresca di stampa) nel cortile di Casa Costantini, che era allo scuro, alle spalle del Quartetto che si esibiva, spunta il gatto dei padroni di casa. Il felino era molto seccato di vedere tutta quella gente, tutti quei fili e sentire le voci amplificate. Poi è zompato via. “Povero come un gatto del Colosseo, / vivevo in una borgata tutta calce / e polverone, lontano dalla città…” (Pier Paolo Pasolini, Il pianto della scavatrice, II, in Le ceneri di Gramsci, 1957).

Renzo Stefanutti e Maurizio Mattiuzza

Nei versi di Mattiuzza compaiono altri animali. Sono nominati in vari contesti, in forma specifica o generica. Ci sono farfalle, delfini, conchiglie, draghi, pesci, uccelli, lucertole, rondini, allodole e ghiandaie.
Un mio amico, esperto di estetica, mi dice che persino nei toponimi, utilizzati da uno scrittore nel suo lessico, è possibile scorgere la sua Weltanschauung (ossia la sua “visione del mondo e delle cose”). Ecco perché i nomi dei luoghi, nelle odi di Mattiuzza, possono fornirci altre possibilità di lettura critica. A parte il “deus Padus” che fa la sua bella mostra sin dal titolo del libro, ce ne sono molti altri e di ogni continente, non solo delle terre nostre. Cincischiare sulle “identità fluviali”, come le ha definite Michele Zacchigna – nel suo libro intitolato Piccolo elogio della non appartenenza. Una storia istriana, Trieste, Nonostante Edizioni, con una Postfazione di Paolo Cammarosano, 2013 – non è che porti a molto, tuttavia può rappresentare la definizione di un campo di appartenenza.
La grossa questione è che bisogna fare in modo che non sia un campo di ortiche, zeppo di vipere, in cui un novello homo tribunus va a muoversi solo con la ruspa.
Del toponimo di Ariano dove, tra l’altro, è vivace il dialetto ferrarese, si è già detto. Anche l’Istria, nelle raccolte di Mattiuzza, è come il cammeo nei film dei grandi autori. Per non dire della Valsugana, che è quasi un assioma nella poetica di Mattiuzza, con la specificazione questa volta dei paesi di: Cismon, Solagna e Fontariva. Mi si permetta una digressione personale. Non potrò mai dimenticare un certo Paolo da Solagna. Arrivava ogni settimana alle case dell’Opera universitaria di Trento, dove si alloggiava, con un bottiglione di Clinto. “Sennò come te fa per bevere” – diceva con candida semplicità. L’acqua, per lui, serviva per la ruggine. Paolo era una persona veramente unica. Mi verrebbe da dire: un sociologo legato al territorio.
Tra i toponimi utilizzati da Mattiuzza c’è Padova, mentre come un fulmine a ciel sereno compare Fuerteventura – isola tropicale delle Canarie, Spagna – un  suo luogo di creazione dei versi.
Ci sono poi Berlino, l’Europa, l’Asia. Pure Sesto San Giovanni e Milano. Nella sezione delle traduzioni, possiamo trovare Atene, la Bosnia, Sežana (Slovenia), Duino, Poo de Llanes (nelle Asturie, Spagna), Braga, Roma, lo stato dello Iowa (USA) e Argan (Marocco).  

 La location della Casa Costantini a Cividale del Friuli, 21 giugno 2015. Maurizio Mattiuzza, a sinistra, Stefania Carlotta Del Bianco, Susan Franzil e Renzo Stefanutti per la presentazione de La donna del chiosco sul Po

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