Propongo alcuni appunti per la storia del Centro raccolta
profughi (CRP) di Bari, detto delle “Baracche”, sito in via Napoli e chiuso nel
1956. Ci sono anche alcune mappe per ricordare quel Campo profughi di cui oggi
non rimane alcuna traccia, ma al suo posto ci sono invece moderni condomini,
come si può notare dalle immagini.
Bari, 26 maggio 1950, la squadra di calcio selezionata tra i Centri Raccolta Profughi giuliano dalmati della zona. Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Lo spunto della ricerca è venuto dai messaggi in Facebook
di Sergio Servi. Il 18 novembre
2017, nel gruppo “Amici profughi istriani” ha scritto: “Oggi voglio mostrarvi
dove era ubicato il campo profughi di via Napoli a Bari, voglio inoltre, sempre
se può interessare, mostrarvi una piantina del campo stesso così come io lo
ricordo. Ho solo un paio di foto da mostrarvi, in quegli anni le macchine
fotografiche erano un lusso per pochi, grazie per l’attenzione”.
Peraltro nel web si ha occasione di leggere che c’erano “insulti,
fischi e sputi a Venezia e Bari quando le navi cariche di profughi attraccarono
al porto” nel sito “Ricordare…”.
Riguardo al Campo di via Napoli, si legge sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 15 ottobre 1998,
che era costituito da 14 vecchi capannoni in legno circondati dal filo spinato.
Solo due erano i locali in muratura: per i servizi igienici e per la stalla.
“L’unica latrina che serve ai profughi ivi ricoverati – prosegue il giornalista
– è in uno stato di deplorevole abbandono, per cui detto luogo è assolutamente
impraticabile”. Venne dismesso nel 1956 quando i profughi furono spostati al
“Villaggio Trieste”, costruito dall’Istituto Autonomo Case Popolari.
La sorte di tali profughi era paradossale, si legge ancora sul
giornale citato, ritenuti a torto “stranieri”, furono espulsi dai luoghi in cui
erano radicati. Considerati “connazionali”, in realtà vissero da “Displaced
Persons” (rifugiati) nel capoluogo pugliese. A volte, parlando con i profughi
più anziani, aggiunge la «Gazzetta del Mezzogiorno», si ha la certezza che in
quegli anni solo il cappellano e il medico condotto conoscessero i drammi da
loro vissuti e le necessità dell’ora.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Ricordi viaggio. Parenzo,
Trieste, Udine e Bari, 1949
Ecco il racconto di Sergio Servi quando, nel 1949, lasciò
Parenzo con la famiglia per andare nei campi profughi del nord e del sud
Italia. “Non ricordo bene il giorno, ma erano i primi di aprile del 1949 – è
l’esordio della testimonianza – in casa c’era un gran daffare e un andirivieni
di persone. Si incominciava a imballare quelle poche cose che si erano salvate
dalle macerie dopo il bombardamento del 25 aprile 1945. C’era inoltre da
marchiare ogni masserizia e ogni cassone col numero del passaporto provvisorio
che per noi era il n. 14294. Tra le tante persone (tante forse solo per me non
abituato a vederne tante in casa), la chiusura del cassoni con le “strasse” si
doveva farla in presenza di due Drusi, che controllavano ogni cosa. Messo tutto
in una stanza, che poi veniva sigillata, noi ci siamo arrangiati in cucina e
sul pianerottolo dormendo per terra. Il mattino del giorno 9 aprile 1949, i
Drusi hanno rotto i sigilli e tutte le masserizie sono state portate al porto e
caricate su due dei tre pescherecci venuti apposta da Trieste. Visto che il
tempo si stava guastando, sono subito ripartiti.
Dislocazione del CRP di via Napoli a Bari. Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Il terzo peschereccio era per noi. Nel primo pomeriggio tutti
in dogana per il controllo personale e delle borse. A tanti hanno fatto perfino
togliere le scarpe, poi tutti a bordo del motopesca. Nel frattempo il mare si
era agitato e la partenza fu rinviata. A bordo eravamo in 115 persone. Non si
poteva più scendere a terra e non si poteva partire. In fondo al molo Venezia
hanno piazzato una mitragliatrice sul relitto mezzo affondato dall’ultimo
bombardamento, una mitragliatrice sulla Riva e un’altra su di una imbarcazione
all’ancora poco distante. Si doveva stare in 115 persone più tre
dell’equipaggio per tutta la notte su di una motopesca di circa quindici metri.
Non c’era il bagno. C’era il bugliolo (in marineria è: il secchio). Il capitano
o comandante ha cominciato a raccontare de frequenti viaggi che faceva tra le
coste istriane e Trieste trasportando profughi. Mi sono addormentato più tardi
del solito, ma per gli adulti deve essere stata una notte interminabile.
Appena chiaro, ci hanno dato il permesso di partire e siamo
arrivati a Trieste verso mezzogiorno. Per tanti di noi c’era la sistemazione al
Silos [un CRP vicino alla stazione]. Per me un posto orrendo. Non ricordo di
avere mai visto una lampadina accesa. Uno sgabuzzino senza finestra era la
nostra nuova casa. Le latrine erano senza acqua, però per terra era sempre
tutto bagnato. La cucina o dove servivano da mangiare era al piano terra in
fondo a destra. C’era poca luce e i muri erano anneriti dal tempo. Non ricordo
cosa ci dessero da mangiare.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Dopo qualche giorno, la partenza da Trieste è stata un
sollievo. Finalmente a Udine. Ho dormito in un camerone dove le brande erano
sistemate lungo i due muri nel senso della lunghezza. Non le ho contate, ma
dovevano essere una trentina su ogni lato, senza divisori, a portata di ogni
sguardo. Non ricordo di aver visto o sentito cose strane, dormivo
profondamente. Una cosa mi ha particolarmente colpito in quello che forse era
un campo militare o caserma: la gran quantità di filo spinato. Dopo molti anni,
solo attorno al Campo profughi di Altamura ne ho visto tanto. Dopo otto giorni
ci hanno trasferiti a Bari”.
Altre notizie interessanti si possono desumere dalle
fotografie che Sergio Servi ha messo a disposizione della presente ricerca. Il 26
maggio del 1950 viene inaugurata la sede dell’Associazione Nazionale Venezia
Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Bari con tanto di fanfara,
bandiere e gagliardetti. Curioso il fatto che la sede dell’ANVGD sia vicino all’edificio
del Campo profughi di Santa Chiara, oggi sede dei Beni Culturali. C’è pure una
squadra di calcio a festeggiare l’evento del 1950, costituita con una selezione
di calciatori dai vari CRP di Bari. I calciatori hanno la maglietta con lo
stemma dell’ANVGD.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
La famiglia Servi da
Udine a Bari
“Era il 22 aprile 1949 – ha riferito Sergio Servi – e il
treno partito da Udine il giorno prima è arrivato a Bari. Ha portato la famiglia
Servi e le altre di Orsera, Cervera, Rovigno, Fasana e di altre località al
Campo profughi di Bari. Premetto che siamo partiti da Udine il 21 aprile alle
ore 14, dopo che in stazione ci hanno rifocillati con mezza fetta di mortadella
e una fetta di pane. Dopo 32 ore di viaggio, arrivati a Bari alle ore 22 circa,
ci hanno messo a disposizione una angolo della sala d’aspetto di III classe e
il pavimento di granito ci ha fatto da letto.
L’indomani mattina, il 23 aprile 1949, a piedi per quasi due
chilometri dalla stazione al CRP di Santa Chiara. Lì c’era la direzione dei
campi profughi. Ci hanno consegnato le brande di ferro, i pagliericci, qualche
treccia di crine a testa, coperte e altre cose, indicandoci la strada da
percorrere. Ci hanno mandati via carichi come somari. Abbiamo percorso oltre
due chilometri e mezzo fino alle baracche di via Napoli. La strada era in
rifacimento e soffiava un forte vento. Non si poteva neanche tenere aperti gli
occhi tanta era la polvere e il terriccio trasportati dal vento.
Finalmente a casa, anzi in baracca. Due nuclei familiari,
nove persone in tutto in una baracca di 36 metri quadri, con una porta e una
finestra sul retro. C’era da “strefolare” [districare, sciogliere] il crine,
riempire i pagliericci, fare alla meglio i letti, darsi una lavata nonché,
fatto non trascurabile, provvedere al mangiare. Non ho idea di come gli adulti
abbiano fatto. Noi bambini, quel giorno io compievo dieci anni, siamo crollati
dal sonno. Potrò invecchiare, ma questo viaggio e questi fatti vissuti li
rivivrò per sempre. Di tutto ciò che quel giorno ci hanno dato, questi sono gli
unici oggetti che mi sono rimasti. Non sono il Sacro Graal, ma di sicuro hanno
visto cadere delle lacrime, quelle dei miei genitori”.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Com'era la vita nel Campo profughi delle "Baracche" a Bari?
In terra di Bari
c’erano 8 CRP
È ancora Sergio Servi a riferire che “la vita nel campo si svolgeva come potete immaginare. Non c'era niente da fare e non si poteva fare niente, poiché non avevamo niente. Le masserizie e tutto quello che avevamo portato via dall'Istria erano chissà dove. Le baracche erano in condizioni pietose, quasi cadenti. umidità e funghi del legno le avevano danneggiate in più punti. alcune erano puntellate. alla loro manutenzione provvedeva una squadra di operai, anche loro profughi ospiti dei Campi di Santa Chiara e di Regina Elena di Bari. Erano profughi del Dodecaneso.
Tutte le mattine a piedi la squadra dei manutentori arrivava e si metteva al lavoro molto ma molto lentamente. Stendevano sul tetto della baracca un rotolo di cartone catramato, fermandolo al meglio e poi se ne andavano. Fu così da aprile a fine estate. Sul finire dell'estate con le prime piogge e le coperture non perfette, l'acqua filtrava cadendo sui letti". Fu così che il babbo di Sergio Servi, il fratello e altri adulti sfondarono la porta del deposito manutenzione, presero il materiale e in meno di una giornata completarono il rifacimento del tetto delle baracche più fatiscenti. Era ciò che la squadra di otto operai non era riuscita a fare in quattro mesi. All'indomani gli operai, visto il magazzino con porta sfondata, chiamarono la polizia. La storia si concluse sulle camionette dei questurini, che portarono in Questura gli ingegnosi operai della domenica e dopo un po' di chiarimenti furono tutti rilasciati. Figurarsi cosa hanno provato i figli di quegli operai troppo volontari nel vedersi il papà, il fratello portato via dai questurini. Se lo ricordano ancora.
Tutto il Campo profughi delle "Baracche" di Bari era circondato dal filo spinato per una recinzione alta due metri. Al cancello d'entrata, c'era la garrita per la sentinelle. L'ingresso era vietato agli estranei. La corrente elettrica era disponibile solo nelle ore diurne, dalle 7 alle 21. Proibiti i fornelli elettrici, ferri da stiro. Per cucinare veniva usata una fornacella a carbone o a petrolio. Le latrine non erano dotate di acqua di scarico; nel fabbricato dei gabinetti c'erano dei vasi alla turca separati da un muretto di un metro, niente carta igienica. Qualcuno si organizzava alla meglio con un secchiello d'acqua...
Documento sull'accoglienza a Bari dei profughi dalmati del primo esodo, quello del 1921-1922
Per lavare i piatti c'era una vasca con due rubinetti. Per la biancheria c'era una vasca lunga e stretta. L'acqua spruzzava da un tubo verso il fondo della vasca, bagnando tutto ciò che c'era intorno. Chi lavava i panni dopo si trovava tutto bagnato. Non c'era la luce elettrica. Se la notte serviva il bagno veniva usata una torcia...
Come ha scritto Nico Lorusso “in terra di Bari i CRP erano
otto”, per un totale di oltre due mila posti. Quello di via Napoli fu edificato
verso il 1935, quando c’era la guerra d’Etiopia. Con l’arrivo degli alleati
angloamericani prese il nome di “Campo Badoglio” e fu destinato a custodire i
prigionieri tedeschi.
Scrive ancora Lorusso che il primo CRP era in piazza San
Sabino alle spalle della Cattedrale, nello stabile che fino a poco tempo prima
fu una caserma della Guardia di Finanza. Ospitò fino a 146 persone, nel 1952,
anno dell’ultimo censimento. Di solito i rifugiati erano 120. Si veda, in merito
la tabella n. 1.
Sempre a Bari vecchia c’erano altri due campi: quello di
Santa Chiara, da 270 posti che fu danneggiato il 9 aprile 1945 dallo scoppio
del piroscafo americano “Charles Henderson”. Poi c’era quello “Positano” nella
caserma “Regina Elena”, ossia nell’ex convento di San Francesco alla Scarpa, da
328 posti. Il campo più grande era quello delle baracche di via Napoli (l’indirizzo
postale era proprio: “via Napoli-Baracche”). Erano delle casette di legno
costruite durante la guerra di Etiopia. Dopo l’occupazione alleata presero il
nome di “Campo Badoglio” e furono destinate ai prigionieri di guerra tedeschi.
Nel 1952, qui, c’erano ancora 420 persone.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
A Fesca c’era l’ultimo campo, nella colonia “Ferruccio Barletta”
dove, nel 1952, erano ospitati 240 profughi. Era uno stabile in riva al mare,
ex colonia marina dove la vita era impossibile dopo che il mare s’era
infiltrato nelle fondamenta e aveva reso malsani gli ambienti.
Nel 1956 finalmente ci furono le case in muratura, tra via
Pola e via Mascagni. I campi furono svuotati di quei profughi e il villaggio,
composto da 296 mini appartamenti da due vani e accessori, fu presto abitato e
denominato “Trieste”. Si celebrava così la piena ammissione all’Italia della
città giuliana dopo la guerra, ha spiegato il giornalista Lorusso. Nel “Villaggio Trieste”, oltre alla parrocchia di
Sant’Enrico sorsero anche negozi e un “kafeneion”, un caffè dove si poteva
bere, fino agli inizi degli anni Settanta, il caffè alla turca. Secondo Lorusso
era un luogo “altro”, da cui i baresi volevano star lontani, anche se trent’anni
dopo quel caffè divenne di moda nei pub della movida delle nuove piazze di Bari
vecchia.
Tab. n. 1 – Centri raccolta profughi
a Bari e vicinanze 1949-1956
Nome di CRP
|
Anno
|
Via o località
|
N° posti
|
Piazza
San Sabino
|
1952
|
Bari
vecchia. Dietro la Cattedrale, nello stabile di una caserma della Guardia di
Finanza, poi Facoltà di Teologia
|
146
|
Santa
Chiara
|
Bari
vecchia. Qui c’era la direzione dei CRP d Bari. Danneggiato nel 1945 da
scoppio nave “Henderson”, poi “Casa del Profugo”. Ora sede dei Beni culturali
|
270
|
|
Positano
|
Bari
vecchia. Caserma “Regina Elena”, ex convento di San Francesco alla Scarpa,
poi sede Soprintendenza
|
328
|
|
Le
Baracche
|
1952
|
Via
Napoli, ex Campo “Badoglio” per prigionieri tedeschi
|
420
|
Lido
Massimo a Fesca
|
1952
|
Colonia
“Ferruccio Barletta”
|
240
|
Altamura
|
1950
|
500
|
|
Barletta
|
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Santeramo
in Colle
|
Fonti: N. Lorusso,
“Quell’esodo dei mille dall’Egeo, Noi italiani, trattati come stranieri”, «la
Repubblica», 17 febbraio 2004. Katia Moro, “Il
Villaggio Trieste di Bari, lì dove trovarono rifugio mille profughi”, nel web «Barinedita»
dal 16 aprile 2015. Testimonianza di Sergio Servi, Bari, del 18.11.2017
Il CRP di Santa Chiara
indagato dall’Archivio di Stato di Bari
Durante l’anno scolastico 2017-2018 l’Archivio di Stato di
Bari (ASBa) ha proposto un’innovativa ricerca cercando di coinvolgere le scuole
in un percorso storico documentario riguardo ai profughi giuliano dalmati degli
anni 1950-‘56. È molto interessante che simili istituzioni accrescano la loro
offerta formativa all’utenza con temi di tale natura. Il titolo del progetto
verteva su “La città e la memoria: S. Chiara, Centro Raccolta Profughi di Bari”.
L’obiettivo dell’originale attività didattica è quello di
effettuare una ricerca, censimento e selezione delle fonti documentarie in
collaborazione con i docenti. È stato messo a disposizione anche un laboratorio
di fotoriproduzione, legatoria e restauro. I destinatari sono le scuole di ogni
ordine e grado. Si ricorda che l’ASBa è accessibile a persone con disabilità
motoria, psico-cognitiva, uditiva e visiva. Promozione web dell'ASBa.
Le gamelle per mangiare. Dice Sergio Servi che:
"Il piatto e il pentolino di alluminio facevano parte del corredo che ci è stato dato il giorno del nostro arrivo a Bari". Robe da profughi.
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Giorno del Ricordo a
Terlizzi 2014
Il 10 febbraio 2014 Ninni Gemmato, sindaco di Terlizzi, provincia
di Bari, ha presenziato presso la Biblioteca alla proiezione del documentario
‘L’Esodo’ alle ore 18,30 all’interno della rassegna “La Biblioteca Terlizzi
ricorda le vittime delle Foibe”. Nel decennale dell’istituzione del Giorno del Ricordo, si è tenuta la
proiezione del documentario ‘Esodo’, a cura dell’Associazione Nazionale Venezia
Giulia Dalmazia, corredata dalla Mostra di documenti del Centro Raccolta
Profughi di Bari Fesca.
Il documentario, che si compone delle due parti dal titolo ‘La
Memoria Negata’ e ‘L’Italia dimenticata’, entrambe per la regia di Nicolò
Bongiorno, e che ha riscosso il favore unanime di istituzioni e critica, già
nel titolo rimanda all’esodo degli Italiani dall’Istria e dalla Dalmazia,
territori occupati dalle truppe di Tito. Un esodo causato dall’evento noto come
eccidio delle Foibe, le insenature carsiche ove trovavano la morte tutti coloro
che, durante la seconda Guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra,
diffidavano dal nuovo governo jugoslavo.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Oltre 20 mia profughi
italo-tunisini
Il signor Giuseppe Rizzo, nato in Tunisia nel 1946, è pure
lui un profugo italiano. È rientrato in patria nel 1960. Secondo lui, sono circa
20 mila i profughi italo-tunisini rientrati dal dopoguerra. Ecco la sua storia.
“Arrivati in Italia noi profughi italiani dalla Tunisia siamo stati ospitati nel
Centro raccolta profughi di Bari [non CRP delle Baracche, che chiude nel 1956].
Quando il capo famiglia, una volta individuata la città dove voleva ricostruire
il futuro, avesse trovato lavoro e abitazione, allora tornava al CRP a
riprendere la famiglia. Ai suoi componenti la direzione del CPR riconosceva una
cifra che doveva servire secondo loro come rimborso spese per rimettere in
piedi una abitazione per l’acquisto di mobili e vari per ricominciare a vivere”.
“Nel nostro caso – ha ricordato Giuseppe Rizzo – la cifra è
stata di cinquantamila lire a componente, erano gli anni sessanta ma
cinquantamila lire erano molto pochi per quello che dovevano servire, se
considerate che un operaio specializzato prendeva in quegli anni la stessa
cifra di paga al mese”.
Riporto ora un solo dato finale riguardo al “CRP di Altamura,
in provincia di Bari – come ha raccontato la signora Albina Visintin – so che
la gente del posto per dispetto aveva avvelenato l’acqua”.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Fonti orali e digitali
- Sergio Servi, Parenzo 1939, messaggi in Facebook del 18-20
novembre 2017
- Albina Alma Visintin vedova Benolich, S. Giovanni di Portole
1936, int. del 27 dicembre 2003.
Collezione privata
- Coll. Sergio Servi, Bari, fotografie, mappe (che si ringrazia per la gentile concessione alla pubblicazione e diffusione).
Bibliografia e sitologia
- «Gazzetta del Mezzogiorno» del 15 ottobre 1998.
- Nico Lorusso, “Quell’esodo dei mille dall’Egeo. Noi italiani,
trattati come stranieri”, «la Repubblica», 17 febbraio 2004.
- Katia Moro, “Il Villaggio Trieste di Bari, lì dove trovarono rifugio mille profughi”, nel web dal 16 aprile 2015.
- Giuseppe Rizzo, “I magnaccioni dei centri”, on-line dal 13 luglio 2017.
Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Altro Campo profughi per la famiglia Servi: Bagnoli. Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Dislocazione dei CRP a Bari vecchia su immagine odierna. Didascalia in sovrimpressione a cura di Sergio Servi
Nelle "baracche" di via Napoli c'era un congruo numero di profughi provenienti dall'Egeo. Nel 1956, alla chiusura del campo e con l'attribuzione di case popolari, i profughi furono ripartiti tra le palazzine vicine allo stadio,il rione Japigia e a Carrassi (come la mia famiglia).
RispondiEliminaGrazie per l'aggiunta. Cordialità.
EliminaSalve prof. Varutti, potrebbe contattarmi via mail all'indirizzo bari@10febbraio.it ? avrei necessità di chiederle delle informazioni su un campo profughi.
EliminaGrazie.
In ritardo, ho scritto nella email, come da sua richiesta. Distinti saluti.
EliminaCon emozione ho rivisto alcune immagini dei luoghi dove putroppo ho vissuto la mia infanzia. La mia famiglia non era profuga ma semplicemente povera a causa di vicissitudini familiari.Per lo stato di assoluta indigenza la mia famiglia è stata ospitata prima a S.Chiara via Pier l'Eremita, poi nelle baracche di via Napoli infine nella colonia ex Gil di Fesca.
RispondiElimina