La presente ricerca si basa su una tesi di laurea di Marica Dukic, dal titolo Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX secolo, discussa all’ateneo friulano nell’anno accademico 2014-2015. Relatrice di tale originale indagine è stata la professoressa Natka Badurina, dell’Università degli studi di Udine, Corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere. La laureanda si è avvalsa della recente letteratura sul campo in lingua bosniaca, come è per l’autore Jakov Danon, col suo: Memoari na holokaust Jevreja Bosanske Krajine, del 2010.
Siamo onorati di pubblicare nel blog, con qualche integrazione, la parte riferita alla Shoah della sua tesi. La pubblicazione in anteprima di queste interessanti pagine è frutto dello studio attento di Marica Dukic, che ringraziamo per averci messo a disposizione generosamente la sua opera per il presente articolo (a cura di Elio Varutti).
Gli ebrei giungono sul
territorio della Bosnia ed Erzegovina nel 1541, passando per la Turchia,
l’Albania, la Grecia, oppure per l’Italia, o per la Repubblica di Ragusa. I
primi documenti scritti sugli ebrei risalgono al 1565, gli scritti di Sidžila,
ossia le fonti ufficiali della corte di Sarajevo. I primi monumenti ebraici in
Bosnia risalgono al 1551. La maggior parte degli ebrei che arrivano in quel
periodo sono sefarditi, espulsi dai Paesi Iberici, ma c’è anche un gruppo di
ebrei autoctoni di ascendenza askenazita, originario dei Balcani e dei Paesi
dell’Est Europa.
Gli ebrei, dopo esser
giunti in Bosnia-Erzegovina e fino ad oggi, a differenza di tutte le altre
religioni, non hanno mai come scopo la sottomissione degli altri. Nel passato cercavano
di andare d’accordo con tutti i popoli e con tutte le religioni del luogo. I
sefarditi usano il ladino come lingua, invece gli askenaziti usano lo yiddish. Si
stabiliscono maggiormente nelle città bosniache, concentrandosi intorno a
quattro grandi centri urbani: Sarajevo, Travnik, Banja Luka e Bijeljina. Prima
arrivano in piccoli gruppi o singoli individui per verificare le condizioni di
vita, conoscere meglio il posto e la gente. Quando sono sicuri che non c’è il
rischio di essere perseguitati o allontanati, comunicano alle famiglie e ai parenti
di raggiungerli. Dalle quattro città più grandi si trasferiscono a Gradiška,
Prijedor, Bosanski Novi, Kostajnica, Derventa, Bihać, Sanski Most, Foča,
Višegrad, Zenica, Jajce ed altre località (Marica Dukic, Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX
secolo, pag. 10).
Vengono accolti bene
dal sultano turco Bayezid e ciò è confermato dalla
costruzione della sinagoga nel 1581 a Sarajevo. Con il passare degli anni, tuttavia,
gli ebrei perdono il loro status di privilegiati a causa dei corrotti detentori
del potere ottomano, bramosi di arricchirsi chiedendo imposte e regali. Tale
negativa situazione cambia durante la seconda metà del XIX secolo, quando Abdul
Medžida, o Abdülmecid I, nel 1840 proclama il decreto per dare a tutti gli
ebrei della Bosnia-Erzegovina la piena autonomia, riconoscimento dei diritti
civili, la libertà religiosa e il permesso per la costruzione delle sinagoghe.
L’esercito dell’Impero
Austro-ungarico, alla fine di giugno del 1878, invade la Bosnia-Erzegovina,
instaurando una nuova amministrazione nella regione fino al 1918, provocando
l’esodo di vari musulmani. L’area è pretesa dalle Autorità Austro-ungariche a
seguito del Congresso di Berlino del 1878, sebbene continuasse a far parte
dell’Impero ottomano. Nel 1908 l’Austria-Ungheria annette la Bosnia-Erzegovina
ai propri domini, ponendoli sotto il proprio comando.
In tale periodo si nota
un consistente sviluppo demografico della comunità giudaica. Si va dai 3.300
ebrei del 1878, dei quali 3.000 sono sefarditi, agli 11.868 individui del 1910,
dei quali i sefarditi sono 8.219 e il resto sono askenaziti. Gli ebrei sono lo
0,62 per cento della popolazione bosniaca nel 1910, che non arriva a sfiorare i
2 milioni di abitanti (Marica Dukic, p. 11).
C’è la creazione di due
distinte comunità ebraiche, una sefardita e l’altra askenazita a Sarajevo e
Banja Luka. Sono stati scelti due rabbini e si sono diffuse due lingue diverse.
Solo il 10 per cento della popolazione di fede ebraica vive in stato di
povertà, mentre il resto degli individui è suddiviso egualmente tra chi vive in
ottime, medie e modeste condizioni di vita (p. 12).
Alla fine della Grande
guerra la Bosnia-Erzegovina fa parte del Regno dei Serbi, Croati
e Sloveni, abbreviato in Regno di SHS. È
uno Stato dell’Europa, riconosciuto dopo la Conferenza di pace di Parigi del
1919. Tale stato cambia nome alla creazione del Regno di Jugoslavia nel 1929.
Con l'inizio del 1940
pian piano si inizia a sentire che la guerra e il crollo del Regno di
Jugoslavia si stanno avvicinando, ma nessuno sospettava che potesse creare
danni così grandi e prendere così tante vite. Il periodo di terrore inizia con
le leggi antisemite, emanate sotto il governo fascista dello Stato indipendente
della Croazia-NDH (Stato indipendente di Croazia-Nezavisna Drzava Hrvatska), comandato
da Ante Pavelić, che ha considerato gli ebrei come “elementi indesiderabili”, o
“di poco valore”. Queste leggi hanno impedito agli ebrei di lavorare, di studiare,
di andare a scuola, all’università, di utilizzare trasporti pubblici, di andare
al cinema o a teatro. Tutto questo, giorno dopo giorno, porta alla persecuzione
e al genocidio. La propaganda antisemitica, presente su tutto il territorio
bosniaco, è stata fatta con tutti i mezzi a disposizione: mediante i giornali,
riviste, volantini, radiotrasmissioni, film documentari, mostrando gli
avanzamenti del potere tedesco e la liquidazione degli ebrei.
Con la creazione della
NDH, che era uno stato satellite della Germania nazista, la Bosnia fu
sottomessa al nuovo potere. La politica di Hitler consisteva nel risolvere “la
questione ebraica” tramite la loro liquidazione dalla faccia della terra. I
fascisti di Bosnia, affermando che il loro scopo era giustificato, cominciano a
torturare, rubare, uccidere e rapinare la popolazione ebraica senza alcuna compassione.
Il giorno d’inizio dell’Olocausto è il 10 aprile 1941, che è anche la data
della creazione del governo NDH. È pure la data nella quale gli ustascia (ustaša) decidono di risolvere la
questione ebraica, come avevano fatto i tedeschi. Il 1° agosto 1941 furono
fucilati i primi ebrei a Vrace, vicino a Sarajevo. Alcuni ebrei sono riusciti a
salvarsi, comprando i documenti falsi, e scappando verso Spalato (3.000 persone)
e altri 3.500 ebrei si rifugiano a Ragusa (Marica Dukic, p. 13). Altre
centinaia di loro trovano la salvezza essendo internati da Mostar al Campo di
concentramento di Arbe, sotto il controllo dell’Esercito Italiano (Menachem
Shelah, Un debito di gratitudine. Storia
dei rapporti tra l’Esercito Italiano e gli Ebrei in Dalmazia (1941-1943), ristampa
anastatica della I edizione – Roma 1991, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito,
Ufficio storico, 2009).
Il fascista croato Ante
Pavelić, con i suoi ustascia, fa costruire decine di campi di concentramento,
dove raccogliere dissidenti, serbi, ebrei, rom e antifascisti, soggetti a
torture e lavori massacranti fino allo sterminio nei forni crematori.
Al Campo di concentramento
di Jasenovac – spiega Marica Dukic – sono stati uccisi 20.000 bambini di
nazionalità ebrea, serba e rom. Le donne sopravvissute e i loro figli sono
stati uccisi il 20 aprile 1945. Per nascondere i loro crimini, gli ustaša hanno
deciso di liquidare quelli che erano rimasti ancora in vita, anche se si
trattava solo di un piccolo gruppo. Essi hanno provato a fuggire, ma la maggior
parte non è riuscita nemmeno a uscire dalla porta, sono stati uccisi subito, e
un piccolo numero di sopravvissuti (90 persone) si è avviato verso il fiume
Sava. Le truppe partigiane jugoslave sono entrate nel campo Stara Gradiška il
23 aprile 1945 e a Jasenovac il 2 maggio 1945, senza però trovare anima viva,
ma solamente cadaveri e rovine dei campi distrutti, le uniche testimonianze del
crimine avvenuto. Il numero delle persone uccise non è mai stato stabilito con
precisione: si parla all’incirca di 700.000 persone, e tra questi 33.000 ebrei,
che rappresentano l'80% di tutta la popolazione ebraica presente sul territorio
bosniaco in quel periodo (pp. 15-16).
Lo sterminio delle
comunità ebraiche in Bosnia, dal punto di vista quantitativo, è illustrato
nella tabella n. 1, che considera anche i pochi cambiamenti dopo il 1945 e le
guerre sorte allo scioglimento della Jugoslavia, avvenuto dal 1991.
Tab.
n. 1 – La Shoah in Bosnia-Erzegovina
Città
|
Ebrei
nel 1941 |
Nel
2009 |
Banja Luka |
480 |
92 |
Bihać |
168 |
- |
Sanski Most |
79 |
- |
Prijedor |
47 |
- |
Derventa |
136 |
- |
Doboj |
105 |
Morti
il 93% |
Sarajevo |
7.065
circa |
1.413
nel 1946 750
nel 2014 |
Fonte: Nostra elaborazione su dati di Marica Dukic, Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX secolo, tesi di laurea, Relatrice prof.ssa Natka Badurina, Università degli studi di Udine, Corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere, Anno accademico 2014-2015.
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L’opera
inedita analizzata - Marica Dukic, Gli ebrei della Bosnia ed Erzegovina e la loro letteratura nel XX
secolo, tesi di laurea, Relatrice prof.ssa Natka Badurina, Università degli
studi di Udine, Corso di Laurea in Lingue e Letterature straniere, Anno
accademico 2014/’15, pp. 106.
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Cenni
bibliografici e sitologici – E. Varutti, “Libro di Menachem Shelah sugli ebrei jugoslavi salvati al Campo di Arbe (Rab)”, on line dal 10
luglio 2018 su eliovarutti.blogspot.com/
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Note
-
Autore di riferimento: Marica Dukic. Altri testi a cura di Elio Varutti, per il
Circolo culturale della Parrocchia di San Pio X, Udine. Networking a cura di
Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Tiziana Menotti, Gregorio Zamò, Marco
Balestra e il professor Stefano Meroi. Copertina: cartolina di Sarajevo;
collez. privata. Si ringrazia Silvia Fina, assessore alle Politiche inerenti al
turismo, alla promozione dei siti storici e naturalistici e alla Biblioteca del
Comune di Tarcento (UD) che in occasione del Giorno della Memoria 2022 ha messo
in contatto Marica Dukic con l’Autore dei testi. Aderiscono: il Centro studi,
ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’Associazione
Nazionale Ex Deportati politici (ANED) di Udine.
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