sabato 26 aprile 2025

Giuseppe Bentrovato, fotografo di Zara, potrebbe emigrare in Bolivia e altri in Australia, 1951

È una storia complessa e affascinante. A certi scossoni familiari si alternano grandi speranze e la voglia di una nuova vita altrove. Gli chiesero: Perché non vuole ritornare a Zara? “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported), come si vedrà più avanti.

Documento d'assistenza IRO di Giuseppe Bentrovato su carta intestata dell'ANVGZ di Bergamo (Archivio di Arolsen), particolare
Era nato sotto l’Austria, a Lussinpiccolo, il 18 agosto 1905 da Giuseppe e da Maria Eterovich, originaria dell’Isola di Brazza, in Dalmazia. Conosceva la lingua italiana e quella serbo-croata. Si chiamava Giuseppe Bentrovato e frequentò le scuole italiane elementari e quelle tecniche secondarie a Zara fino al 1919. Si sposò negli anni ’20 con Teresa Gavazzi, nata a Bergamo nel 1907. La sua primogenita Iolanda nacque a Brembate (BG) il 16 maggio 1929. Il 16 novembre 1932 gli nacque la seconda figlia Anna a Stezzano (BG). Il 25 gennaio 1935, a Zara, la moglie Teresa mise alla luce il terzogenito Giuseppe.

A metà degli anni ’30, Giuseppe Bentrovato lavorava nel suo stabilimento fotografico a Zara, Regno d’Italia. È citato così nella Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, tra i fotografi attivi a Zara: “Bentrovato G., Calle delle Carceri” (Guida… 1937 : 2087).

Dal mese di dicembre 1943, a causa della guerra, Bentrovato dovette sfollare presso parenti a Bergamo, dove lavorò come fotografo in proprio. Dal mese di ottobre 1944 fu arruolato dalla RSI tra i granatieri a Ponte San Pietro (BG) e poi venne trasferito a Vercelli. I partigiani jugoslavi di Tito occuparono Zara, enclave italiana in Dalmazia, il 1° novembre 1944, dopo che la città era stata distrutta da 54 bombardamenti angloamericani, poi i titini iniziarono a fucilare centinaia di italiani, oppure li gettarono in mare con una pietra al collo. Su 22 mila abitanti, oltre 2 mila furono i morti sotto le bombe alleate. Oltre 15 mila zaratini fuggirono per il terrore dei bombardamenti aerei e sapendo che Zara sarebbe finita nelle mani dei titini e anche i pochi rimasti se ne andarono dopo la presa del potere jugoslavo.

Nel mese di aprile 1945 il militare Giuseppe Bentrovato fu catturato dai partigiani italiani in Piemonte e portato dagli alleati al Campo di concentramento di Novara e, poi, in quello di Coltano, in comune di Pisa, fino al mese di ottobre 1945. Una volta libero, chiese ed ottenne il rilascio della carta d’identità al Comune di Bergamo, che la emise il 30 ottobre 1945. Poi Bentrovato esercitò il mestiere di fotografo in proprio a Bergamo fino al 1946, quando fece la separazione legale dalla moglie presso il tribunale di Bergamo in data 29 luglio 1946. In seguito lui, per lavoro, si spostò a Padova alle dipendenze del fotografo Greggio e, nel 1948, a Palermo, presso la ditta di fotografia Forzano, fino al mese di giugno 1950, quando perse il lavoro. Fu disoccupato fino al 1951, alloggiando presso la figlia Iolanda, a Bergamo in Via Carnevali 49. Frattanto, verso il 1948 i coniugi Giuseppe Bentrovato e Maria Eterovich, genitori del bravo fotografo di Zara, furono accolti nel Campo profughi di Novara.

Successe che dal 6 luglio 1948 la moglie separata Teresa Gavazzi e i figli minorenni Anna e Giuseppe Bentrovato, detto “Beppino”, si trovavano in Australia, partiti con i viaggi dell’IRO, via Germania, probabilmente dal porto di Bremerhaven.

Il 7 febbraio 1951 il tale F. Frautschi, funzionario degli uffici IRO di Milano, segnò con un timbro sulla  pratica d’espatrio del fotografo Giuseppe Bentrovato: “Non rientra nel mandato IRO. Idoneo per l’assistenza discrezionale al reinsediamento e alla protezione legale” (Not within the Mandate of IRO. Eligible for discretionary resettlement assistance and L.P. protection). Il mandato dell’IRO (International Refugee Organization) in Italia riguardava la cura, il rimpatrio e il reinsediamento dei rifugiati Oltre Oceano. Vladimir Suneric, altro funzionario IRO, controfirmò la pratica di Giuseppe Bentrovato fotografo, che poteva partire per il reinsediamento e con la protezione legale.

Si tenga presente che l’IRO era l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati che organizzava le partenze delle navi da Bagnoli, presso Napoli, verso le Americhe e l’Oceania. La presente ricerca si basa sui rari documenti inediti nell’Archivio di Bad Arolsen (Germania), da poco disponibili nel web. La pratica d’emigrazione di Giuseppe Bentrovato all’Ufficio IRO di Bergamo è del giorno 30 agosto 1949, redatta su carta intestata dell’Associazione Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (ANVGZ), Comitato Provinciale di Bergamo, perché il Bentrovato risiedeva in quella città presso l’abitazione della figlia Iolanda, sposata con Hans Liebschner (1927-2012), soldato tedesco, noto nel 2020 per i suoi filmati amatoriali degli anni ‘60. La firma del presidente dell’ANVGZ di Bergamo è: Antonio (ma il cognome è illeggibile). L’ANVGZ era già trasformata in ANVGD, ma si riciclavano i moduli.

Documento IRO per l'emigrazione in Bolivia di Giuseppe Bentrovato (Arolsen Archives)

Il fotografo Giuseppe Bentrovato dichiarò e firmò il Questionario al funzionario dell’IRO, il 7 febbraio 1951. In esso è scritto che non voleva tornare a Zara per una serie di motivi. Prima di tutto “si sentiva italiano e la sua città natale, Zara, era sotto un’amministrazione straniera” (He felt as an Italian and his home town Zara got under a foreign administration). “Non aveva nessuno o niente a Zara” (He had neither anybody or anything at all at Zara). “Non aveva parenti né in campagna nemmeno nella città di Zara” (Had no relatives in the country nor in the town of Zara). “Tutti i suoi beni andarono perduti con i bombardamenti” (All his property was lost with the bomabrdaments). “Non desidera trovarsi sotto un’amministrazione straniera, soprattutto se si tratta di un regime comunista” (He does not wish under a foreign administration, and espescially when this is a communist regime). “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported). “Le informazioni fattuali mi sono state lette e certifico che corrispondono al fatto da me riferito” (The factual information has been read to mi and I certify it correspond with the fact I have related).

Il richiedente Bentrovato desiderava emigrare in Canada, Australia, o Nuova Zelanda. Il 10 maggio 1951, invece M. Connor, funzionario IRO di Bagnoli (NA) per l’emigrazione Oltre Oceano comunicò all’Ufficio IRO di Milano (Milan Area Emigration Office) che Giuseppe Bentrovato non si presentò per emigrare in Australia. Tra le tante località di questa storia si sa, sempre dai documenti IRO, che Bentrovato stava a Forlì, in Via F. Daverio 10, come da una comunicazione del 23 agosto 1951. Un ultimo documento del 30 settembre 1951 menziona il fotografo Giuseppe Bentrovato riguardo a una migrazione individuale in Bolivia, ma non si sa come finì.

Si ritiene che la cognata del nostro fotografo di Zara fosse Bentrovato Maria Irene, nata Gavazzi, del 1911 di Boltiere (BG). Dal 1924 risultò residente a Zara con i genitori e nel 1943 fu sfollata a Bergamo, in Via Carnevali 49 (proprio come il fotografo zaratino), con le figlie Graziella (nata a Zara nel 1937) e Giuliana (Zara 1943). Come dagli atti del tribunale di Genova dell’8 settembre 1949, essendo in quel periodo Maria Irene Gavazzi infermiera all’Ospedale “Gaslini” di Genova, pure lei si separò dal marito Ermenegildo Bentrovato, militare che fu internato in Germania. Maria Irene fece domanda per emigrare in Australia al solito Comitato di Bergamo dell’ANVGZ e fu dichiarata “Eligible”, ossia: idonea a partire con le figlie Graziella e Giuliana, nate a Zara.

Bentrovato Maria Irene Gavazzi, con la figlie Graziella e Giuliana, zaratine, nella pratica d'assistenza IRO per emigrare in Australia, dagli Archivi di Arolsen (Germania)
Per leggere altre testimonianze sull’emigrazione di istriani, fiumani e dalmati in Australia, come le vicende degli zaratini Carlo Mirelli-Mircovich e Illuminata Trentini, si può vedere ad esempio il libro di Guido Rumici e Olinto Mileta Mattiuz intitolato “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, quarto volume: Il lungo dopoguerra (Mileta Mattiuz O, Rumici G, 2015 : 77-94). Si sa che dei 300 mila profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, che costituiscono l’esodo giuliano dalmata, oltre 70 mila emigrarono in Canada, Argentina, Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Brasile e altri parti del globo mediante l’intervento dell’IRO. Certi esuli, pur non ricevendo l’assistenza dell’IRO, se ne andarono negli USA con mezzi finanziari propri pur di abbandonare i disagi delle baracche o delle camerate dei Campi profughi.

Conclusioni

La presente analisi storica, così articolata, si basa sui documenti d’archivio e sulla bibliografia citata. Si sono cercate altre notizie, poiché potrebbero esserci dei risvolti ulteriori. Si capisce che l’amore non ha confini, nemmeno linguistici, dato che il militare tedesco Hans Liebschner sposò Iolanda Bentrovato, sfollata di Zara e figlia del noto fotografo di Calle delle Carceri nel capoluogo dalmata del Regno d’Italia. Quella gente, nel dopoguerra, è disponibile ad una grande mobilità territoriale. Le sorelle Gavazzi Teresa e Maria Irene, coniugate in Bentrovato, vissute tra Bergamo e Zara e separate legalmente dai rispettivi consorti, sono disposte a emigrare, o sono definitivamente emigrate in Australia. Altri di famiglia finirono in Bolivia.

Si comprendono, infine, i modi in cui la famiglia è stata definita e regolata nel Novecento – come ha scritto Chiara Saraceno – con le forme di interdipendenza tra organizzazione familiare, sistemi economici e mercato del lavoro (Saraceno C, Naldini M 2020), aprendo uno squarcio sulla condizione della donna nelle situazioni estreme, come quelle successive a un grande conflitto mondiale.

 

Bibliografia e siti web

- Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, Trieste, Vitoppi Wilhelm & C., 1937.

- Olinto Mileta Mattiuz, Guido Rumici (a cura di), Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate. Quarto volume: Il lungo dopoguerra , Gorizia, ANVGD Gorizia-Mailing List Istria, 2015.

- Chiara Saraceno, Naldini Manuela, Sociologia della famiglia, 4^ edizione, Bologna, Il Mulino, 2020.

- Stefano Testa, Il secondo principio di Hans Liebschner, film documentario, Italia, 2020, durata 88 minuti.

- Lucio Toth, Storia di Zara dalle origini ai giorni nostri, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2016.

- Unterlagen von Bentrovato, Giuseppe, geboren am 18.08.1905, geboren in Lussinpiccolo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

- Unterlagen von Bentrovato, Maria, geboren am 22.08.1911, geboren in Boltiere Bergamo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

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Progetto di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Bruna Zuccolin, Bruno Bonetti, Sergio Satti, Annalisa Vucusa (ANVGD di Udine) e i professori Ezio Cragnolini e Enrico Modotti. Copertina: Documento IRO di Giuseppe Bentrovato (Archivio di Arolsen). Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Fotografie dall’Archivio di Arolsen e studi presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin, che fa parte pure del Consiglio nazionale del sodalizio e, dal 2024, è Coordinatore dell’ANVGD in Friuli Venezia Giulia.  Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi.   Sito web:  https://anvgdud.it/


giovedì 10 aprile 2025

STRAGE DI VERGAROLLA DEL 18 AGOSTO 1946 - DAL SILENZIO ALL’IMPEGNO ISTITUZIONALE - PROPOSTA LEGISLATIVA PER LA MEMORIA DEI MARTIRI

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Laura Brussi, esule da Pola e consigliere nazionale dell’Opera per i Caduti senza Croce. È un resoconto della Riunione-Stampa tenutasi presso la Camera dei Deputati a Roma il giorno 8 aprile 2025, cui ha presenziato. L’evento era sul tema della strage di Vergarolla del 18 agosto 1946 ed il grande eroe dottor Geppino Micheletti con l’illustrazione di una proposta di legge per istituire una Giornata nazionale per i martiri uccisi in quell’attentato. Ecco il testo di Laura Brussi. (Premessa di Elio Varutti, della redazione del blog - Cenni dal web: Presentazione PdL per istituzione giornata nazionale del ricordo dei martiri di Vergarolla - Conferenza stampa di Nicole Matteoni, 8 aprile 2025).

Micheletti è al centro, vestito di nero, a capo chino, mentre regge la bara del figlio Carlo. Pola, funerali per la strage di Vegarolla. Fotografia dal profilo Facebook di Unione degli Istriani, ch si ringrazia per la diffusione
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La strage compiuta il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Vergarolla, nei pressi di Pola, in cui caddero oltre cento persone (1) che per la maggior parte erano donne e bambini, è entrata a far parte della storia novecentesca come la più sanguinosa tra quelle che ebbero luogo in tempo di pace nel cosiddetto “secolo breve” avendo causato la morte straziante di tanti Martiri italiani, e nello stesso tempo, avendo accelerato l’Esodo dal capoluogo istriano, facendolo diventare plebiscitario. Non a caso, il 15 settembre dell’anno successivo, quando la sovranità sull’Istria e sul capoluogo fu trasferita alla Jugoslavia in esecuzione del trattato di pace che aveva fatto seguito alla Seconda Guerra mondiale, l’Esodo aveva raggiunto una quota pressoché unanime, tanto da interessare oltre nove decimi degli abitanti, mentre quanti decisero di non partire, perché vecchi, ammalati o fautori del nuovo regime comunista, furono meno di tremila.

Con tutta evidenza  si trattò di un vero e proprio plebiscito, analogo a quello già avvenuto a Fiume, a Zara e nelle altre città dell’Istria e della Dalmazia, con un’aggiunta negativa sul piano psicologico, perché a Pola, che a guerra finita era rimasta una piccola “enclave” gestita dagli Alleati americani e britannici, si era confidato in una soluzione favorevole all’Italia fino a quando le trattative di pace dimostrarono chiaramente, nel luglio 1946, che le scelte definitive erano state fatte a favore di Belgrado. In tale ambito, la “strage degli innocenti” di cui in premessa fu uno strumento criminale adottato da parte slava per convincere gli ultimi incerti e per accelerare l’Esodo facendo leva sulla paura e sulla disperazione.

L’Esodo da Pola, a parte la tempistica ritardata, ebbe un livello di concentrazione superiore a quelli che lo avevano preceduto, perché si sarebbe completato nel breve giro di alcuni mesi, terminando sostanzialmente entro il successivo marzo con l’utilizzo prioritario del vecchio piroscafo “Toscana” che fece diversi viaggi nelle direzioni rispettive di Ancona e di Venezia col suo dolente carico di profughi, costretti a lasciare le proprie abitazioni, i propri beni e persino le tombe degli Avi. in quest’ultimo caso, con qualche eccezione di alto valore simbolico, come accadde per il feretro dell’Eroe nazionale Nazario Sauro. All’inizio della primavera successiva, l’Esodo era stato pressoché completato, tanto che nel successivo settembre, quando un ufficiale britannico avrebbe consegnato simbolicamente le chiavi della città al famigerato Ivan Motika, Pola apparve pressoché deserta, e come tale, in grado di assicurare immediata ospitalità all’immigrazione slava. D’altro canto, qualsiasi ipotesi alternativa non era stata possibile, tanto più che, per promuovere le partenze, al pari di quanto era già accaduto altrove, gli Slavi non si astennero dal ricorrere alla violenza programmata, come accadde con l’eccidio di Vergarolla e con i suoi Martiri immuni da ogni colpa, salvo quella di essere Italiani.

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La proposta di legge formulata dall’On. Nicole Matteoni e da una trentina di altri parlamentari della Camera, volta all’istituzione di una “Giornata nazionale” in onore dei Martiri di quella strage contro l’umanità, ha preso l’avvio nello scorcio conclusivo del 2024 ed è stata oggetto di presentazione alla stampa in una conferenza tenutasi a Montecitorio lo scorso otto aprile, alla presenza della predetta prima proponente, e di vari esponenti prioritari del Gruppo “Fratelli d’Italia” quali il Sen. Luca Ciriani, gli On. Galeazzo Bignami, Walter Rizzetto, Alessando Amorese, e la stessa presentatrice del nuovo disegno legislativo.

Nella sua qualità di Ministro per i Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani ha ricordato che la strage in questione fu “una delle pagine più feroci del lungo dopoguerra” nelle zone del confine orientale, e di quelle “strappate alla storia italiana per viltà o per interesse” allo scopo di perseguire, quale obiettivo prioritario, quello di “impedire ai nostri connazionali di rimanere nel loro territorio e nelle loro case”. L’iniziativa, d’inusitata crudeltà, ebbe un’evidente matrice anti-italiana, tanto da rendere assolutamente impossibile l’ipotesi di continuare a vivere in siffatte condizioni, che oggi è legittimo e doveroso ricordare, tanto più che “per guardare avanti bisogna conoscere il passato”. Di qui, la proposta della nuova “Giornata nazionale” volta a far conoscere in maniera più completa e meno episodica una vera e propria tragedia nazionale.

Dopo la votazione quasi unanime dell’encomiabile Legge 30 marzo 2004 n. 92 istitutiva del Ricordo con un “passaggio certamente decisivo” per la cancellazione di una “lunghissima indifferenza” - ha proseguito Ciriani - nel Parlamento italiano sono emerse attenzioni innovative per la tragedia del confine orientale, e più specificamente, per una strage come quella del 18 agosto 1946 ordita a Vergarolla, che “va ricordata perché volutamente anti-italiana”.

Dal canto suo, il Capo Gruppo di “Fratelli d’Italia” alla Camera, Galeazzo Bignami, ha definito quello della strage in questione come un “momento profondo di storia nazionale” di cui si è perduta per troppo tempo una memoria condivisa, al pari di quanto è accaduto per la lunga e angosciosa vicenda delle foibe, anche alla luce delle analoghe espressioni di una “dinamica particolarmente cruenta e criminale”. Proprio per questo, appare oggettivamente necessario proporre una memoria nazionale per quanto possibile condivisa, alla luce di un’identità e di una cultura patriottica presenti come non mai nello spirito del popolo, e in ogni caso, da diffondere e da insegnare ulteriormente.

Walter Rizzetto, Presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio, ha parlato di “evento tragico” occorso a due soli mesi dalla nascita della Repubblica Italiana, che non avendo ancora ottenuto i doverosi e necessari riconoscimenti, ha bisogno di una nuova legge come quella in fase di proposizione, che s’inserisce “nel più vasto contesto della testimonianza di un eccidio come quello degli Italiani di Venezia Giulia e Dalmazia” e nel suo ambito, dell’opera altamente meritoria svolta dal compianto Dr. Geppino Micheletti,  primario dell’Ospedale di Pola distintosi, nell’alacre ed eroica opera di assistenza ai feriti di Vergarolla, nonostante la perdita dei due figlioletti Carlo e Renzo, del fratello Alberto e della cognata. Dopo l'esplosione Il corpo di Carlo venne rinvenuto, ma di Renzo restarono soltanto o una scarpetta ed un calzino, che il medico avrebbe portato sempre con sé, anche nell’esilio di Narni.

Sempre nell’ambito di una memoria da condividere e da promuovere, Rizzetto ha accennato ai “Tremila anni di storia” giuliana e dalmata di Carlo Cesare Montani quale utile strumento di consultazione e valutazione storiografica (2) chiudendo il proprio intervento nel senso che le istituzioni “hanno il dovere di ricordare” e di promuovere la conoscenza della storia.

Infine, Rizzetto ha aggiunto che esiste un’altra proposta, presentata in tempi precedenti d’intesa con il Sen. Roberto Menia,  primo proponente della Legge istitutiva del Ricordo, dove è stata inserita nel titolo stesso del provvedimento la definizione di “Martiri” sostitutiva di quella riferita a “Vittime” perché proprio di questo si è oggettivamente trattato, col conseguente obbligo di tramandare la verità storica a futura memoria.

Ha fatto seguito l’intervento di Emanuele Merlino, che ha portato il saluto del mondo esule ringraziando il momento politico per la particolare sensibilità manifestata nei confronti del popolo giuliano, istriano e dalmata.

Il Capo Gruppo di FdI nella Commissione Cultura della stessa Montecitorio, Alessandro Amorese, premesso che il grande Esodo giuliano e dalmata sta diventando un patrimonio comune del popolo italiano, ha formulato la proposta di un adeguato riconoscimento pubblico per il Dr. Micheletti, nell’ambito delle iniziative in fieri, spiegando che si tratta di iniziative fondamentali perché inserite “nel lungo lavoro per riempire le pagine di storia con i capitoli strappati, per toglierli dall’oblio e dalla polvere”. Oltre all’idea del Museo dell’Esodo, già approvata, ne scaturisce anche quella di una “rete d’archivi sull’Esodo e sul centinaio di Campi profughi” esistiti nel lunghissimo dopoguerra dei profughi giuliani e dalmati.

Infine, Nicole Matteoni ha spiegato il significato della proposta di legge che reca la sua firma di prima proponente. Dopo avere ricordato la triste priorità della strage di Vergarolla nella storia della Repubblica uscita dal referendum istituzionale del 2 giugno 1946, ha rammentato che nell’esplosione di decine di ordigni che avrebbe cancellato tante vite incolpevoli nell’orrenda giornata del successivo 18 agosto, scomparvero oltre cento persone, di cui soltanto 64 ebbero la possibilità di essere identificate, stante la violenza della deflagrazione. Ebbene, proprio “per avere una memoria nazionale condivisa” si è ritenuto congruo e funzionale presentare una proposta di legge (3) in grado di dare “finalmente giustizia e verità a una pagina di storia italiana dimenticata”, tanto più necessaria approssimandosi l’ottantesimo anniversario di quel terribile delitto collettivo, che sottolinea, a più forte motivo, quanto sia necessario e condivisibile promuovere la definitiva istituzionalizzazione della memoria.

          Laura Brussi, Esule da Pola, Opera per i Caduti senza Croce / Consigliere Nazionale

 

Annotazioni

(1) - in base alla storiografia più recente ed aggiornata, le Vittime della strage assommerebbero tra le 110 e le 116, cui si deve aggiungere anche la morte di uno tra i 54 feriti operati dal Dr. Micheletti, che del resto era giunto nella sala operatoria in stato ormai agonico. Giova ricordare che il medesimo medico, impegnato per due giorni e due notti in interventi pressoché ininterrotti, fu costretto a evitare le normali precauzioni per la sua persona, con la successiva conseguenza di perdere alcune dita delle mani a causa delle complicazioni sopraggiunte. Fra le proposte dell’On. Matteoni si deve menzionare anche quella di intitolare alla memoria del Dr. Micheletti un’aula dell’Università degli Studi di Trieste.

(2) - Cfr. Carlo Cesare Montani, Venezia Giulia Istria Dalmazia: Pensiero e vita morale, Seconda edizione ampliata, Aviani & Aviani Editore, Udine 2024, pagg. 416 (per la strage di Vergarolla si veda in modo particolare il cap. 16 della seconda parte, pagg. 183-186).

(3) - Conviene aggiungere che nella presentazione del disegno di legge si accenna, per completezza, a qualche residua riserva circa le matrici dell’attentato, in conformità a talune espressioni della storiografia più datata; nondimeno, a tale ultimo riguardo conviene rammentare che, dopo l’apertura degli Archivi britannici avvenuta nel sessantennio dalla strage, ogni residua interpretazione difforme fu accantonata, confermando quella che la “vox populi” aveva anticipato sin dal momento della strage.

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Un approfondimento in coda

Come argomento in coda, ci permettiamo di aggiungere quanto accaduto nel 2021 a Montevarchi, provincia di Arezzo, grazie alla proposta di Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi, che collabora attivamente con l’ANVGD di Udine sul tema del Centro raccolta profughi di Laterina (AR). Si riprendono le parole dal profilo Facebook di Unione degli Istriani.

“Il Consiglio comunale di Montevarchi (Arezzo), nella seduta del 25 febbraio 2021 ha approvato all’unanimità un articolato documento finalizzato a ricordare la Strage di Vergarolla ed onorare il ricordo del medico Giuseppe Micheletti, principale artefice dei soccorsi alle vittime dell’esplosione avvenuta il 18 agosto 1946 sulla spiaggia affollata di Pola.

Con l’approvazione di questo atto a pochi giorni di distanza dalle celebrazioni del Giorno del Ricordo 2021, il Consiglio Comunale ha dato mandato al Sindaco Silvia Chiassai Martini di avviare le procedure di intitolazione di uno spazio pubblico all’interno del territorio comunale al medico chirurgo Giuseppe Micheletti per l’inestimabile ed altissimo valore morale e di senso civico di un “Eroe dimenticato” – ed al ricordo delle altre vittime di quella che è passata alla storia come la più grande strage della repubblica italiana.

La prima cittadina di Montevarchi è stata inoltre impegnata dall’assise cittadina ad avviare, assieme agli altri sindaci del Valdarno aretino, un progetto di realizzazione all’interno dell’ex campo profughi di Laterina di un monumento dedicato al ricordo di Micheletti e delle vittime di Vergarolla, da realizzarsi con il coinvolgimento degli istituti superiori del Valdarno aretino attraverso un concorso di idee, affinché siano proprio le nuove generazioni gli artefici della costruzione di un “processo del Ricordo”.

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Ricerche presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30.   Sito web:  https://anvgdud.it/

Articolo da <<Il Dalmata>> del mese di marzo 2008, n. 54, con i nomi degli agenti dell'OZNA, autori dell'attentato di Vergarolla: Giuseppe Covacich, Oreste Parovel, Marco Lipez, Silvano Picorich e Guido Fiorino.