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sabato 26 aprile 2025

Giuseppe Bentrovato, fotografo di Zara, potrebbe emigrare in Bolivia e altri in Australia, 1951

È una storia complessa e affascinante. A certi scossoni familiari si alternano grandi speranze e la voglia di una nuova vita altrove. Gli chiesero: Perché non vuole ritornare a Zara? “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported), come si vedrà più avanti.

Documento d'assistenza IRO di Giuseppe Bentrovato su carta intestata dell'ANVGZ di Bergamo (Archivio di Arolsen), particolare
Era nato sotto l’Austria, a Lussinpiccolo, il 18 agosto 1905 da Giuseppe e da Maria Eterovich, originaria dell’Isola di Brazza, in Dalmazia. Conosceva la lingua italiana e quella serbo-croata. Si chiamava Giuseppe Bentrovato e frequentò le scuole italiane elementari e quelle tecniche secondarie a Zara fino al 1919. Si sposò negli anni ’20 con Teresa Gavazzi, nata a Bergamo nel 1907. La sua primogenita Iolanda nacque a Brembate (BG) il 16 maggio 1929. Il 16 novembre 1932 gli nacque la seconda figlia Anna a Stezzano (BG). Il 25 gennaio 1935, a Zara, la moglie Teresa mise alla luce il terzogenito Giuseppe.

A metà degli anni ’30, Giuseppe Bentrovato lavorava nel suo stabilimento fotografico a Zara, Regno d’Italia. È citato così nella Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, tra i fotografi attivi a Zara: “Bentrovato G., Calle delle Carceri” (Guida… 1937 : 2087).

Dal mese di dicembre 1943, a causa della guerra, Bentrovato dovette sfollare presso parenti a Bergamo, dove lavorò come fotografo in proprio. Dal mese di ottobre 1944 fu arruolato dalla RSI tra i granatieri a Ponte San Pietro (BG) e poi venne trasferito a Vercelli. I partigiani jugoslavi di Tito occuparono Zara, enclave italiana in Dalmazia, il 1° novembre 1944, dopo che la città era stata distrutta da 54 bombardamenti angloamericani, poi i titini iniziarono a fucilare centinaia di italiani, oppure li gettarono in mare con una pietra al collo. Su 22 mila abitanti, oltre 2 mila furono i morti sotto le bombe alleate. Oltre 15 mila zaratini fuggirono per il terrore dei bombardamenti aerei e sapendo che Zara sarebbe finita nelle mani dei titini e anche i pochi rimasti se ne andarono dopo la presa del potere jugoslavo.

Nel mese di aprile 1945 il militare Giuseppe Bentrovato fu catturato dai partigiani italiani in Piemonte e portato dagli alleati al Campo di concentramento di Novara e, poi, in quello di Coltano, in comune di Pisa, fino al mese di ottobre 1945. Una volta libero, chiese ed ottenne il rilascio della carta d’identità al Comune di Bergamo, che la emise il 30 ottobre 1945. Poi Bentrovato esercitò il mestiere di fotografo in proprio a Bergamo fino al 1946, quando fece la separazione legale dalla moglie presso il tribunale di Bergamo in data 29 luglio 1946. In seguito lui, per lavoro, si spostò a Padova alle dipendenze del fotografo Greggio e, nel 1948, a Palermo, presso la ditta di fotografia Forzano, fino al mese di giugno 1950, quando perse il lavoro. Fu disoccupato fino al 1951, alloggiando presso la figlia Iolanda, a Bergamo in Via Carnevali 49. Frattanto, verso il 1948 i coniugi Giuseppe Bentrovato e Maria Eterovich, genitori del bravo fotografo di Zara, furono accolti nel Campo profughi di Novara.

Successe che dal 6 luglio 1948 la moglie separata Teresa Gavazzi e i figli minorenni Anna e Giuseppe Bentrovato, detto “Beppino”, si trovavano in Australia, partiti con i viaggi dell’IRO, via Germania, probabilmente dal porto di Bremerhaven.

Il 7 febbraio 1951 il tale F. Frautschi, funzionario degli uffici IRO di Milano, segnò con un timbro sulla  pratica d’espatrio del fotografo Giuseppe Bentrovato: “Non rientra nel mandato IRO. Idoneo per l’assistenza discrezionale al reinsediamento e alla protezione legale” (Not within the Mandate of IRO. Eligible for discretionary resettlement assistance and L.P. protection). Il mandato dell’IRO (International Refugee Organization) in Italia riguardava la cura, il rimpatrio e il reinsediamento dei rifugiati Oltre Oceano. Vladimir Suneric, altro funzionario IRO, controfirmò la pratica di Giuseppe Bentrovato fotografo, che poteva partire per il reinsediamento e con la protezione legale.

Si tenga presente che l’IRO era l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati che organizzava le partenze delle navi da Bagnoli, presso Napoli, verso le Americhe e l’Oceania. La presente ricerca si basa sui rari documenti inediti nell’Archivio di Bad Arolsen (Germania), da poco disponibili nel web. La pratica d’emigrazione di Giuseppe Bentrovato all’Ufficio IRO di Bergamo è del giorno 30 agosto 1949, redatta su carta intestata dell’Associazione Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (ANVGZ), Comitato Provinciale di Bergamo, perché il Bentrovato risiedeva in quella città presso l’abitazione della figlia Iolanda, sposata con Hans Liebschner (1927-2012), soldato tedesco, noto nel 2020 per i suoi filmati amatoriali degli anni ‘60. La firma del presidente dell’ANVGZ di Bergamo è: Antonio (ma il cognome è illeggibile). L’ANVGZ era già trasformata in ANVGD, ma si riciclavano i moduli.

Documento IRO per l'emigrazione in Bolivia di Giuseppe Bentrovato (Arolsen Archives)

Il fotografo Giuseppe Bentrovato dichiarò e firmò il Questionario al funzionario dell’IRO, il 7 febbraio 1951. In esso è scritto che non voleva tornare a Zara per una serie di motivi. Prima di tutto “si sentiva italiano e la sua città natale, Zara, era sotto un’amministrazione straniera” (He felt as an Italian and his home town Zara got under a foreign administration). “Non aveva nessuno o niente a Zara” (He had neither anybody or anything at all at Zara). “Non aveva parenti né in campagna nemmeno nella città di Zara” (Had no relatives in the country nor in the town of Zara). “Tutti i suoi beni andarono perduti con i bombardamenti” (All his property was lost with the bomabrdaments). “Non desidera trovarsi sotto un’amministrazione straniera, soprattutto se si tratta di un regime comunista” (He does not wish under a foreign administration, and espescially when this is a communist regime). “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported). “Le informazioni fattuali mi sono state lette e certifico che corrispondono al fatto da me riferito” (The factual information has been read to mi and I certify it correspond with the fact I have related).

Il richiedente Bentrovato desiderava emigrare in Canada, Australia, o Nuova Zelanda. Il 10 maggio 1951, invece M. Connor, funzionario IRO di Bagnoli (NA) per l’emigrazione Oltre Oceano comunicò all’Ufficio IRO di Milano (Milan Area Emigration Office) che Giuseppe Bentrovato non si presentò per emigrare in Australia. Tra le tante località di questa storia si sa, sempre dai documenti IRO, che Bentrovato stava a Forlì, in Via F. Daverio 10, come da una comunicazione del 23 agosto 1951. Un ultimo documento del 30 settembre 1951 menziona il fotografo Giuseppe Bentrovato riguardo a una migrazione individuale in Bolivia, ma non si sa come finì.

Si ritiene che la cognata del nostro fotografo di Zara fosse Bentrovato Maria Irene, nata Gavazzi, del 1911 di Boltiere (BG). Dal 1924 risultò residente a Zara con i genitori e nel 1943 fu sfollata a Bergamo, in Via Carnevali 49 (proprio come il fotografo zaratino), con le figlie Graziella (nata a Zara nel 1937) e Giuliana (Zara 1943). Come dagli atti del tribunale di Genova dell’8 settembre 1949, essendo in quel periodo Maria Irene Gavazzi infermiera all’Ospedale “Gaslini” di Genova, pure lei si separò dal marito Ermenegildo Bentrovato, militare che fu internato in Germania. Maria Irene fece domanda per emigrare in Australia al solito Comitato di Bergamo dell’ANVGZ e fu dichiarata “Eligible”, ossia: idonea a partire con le figlie Graziella e Giuliana, nate a Zara.

Bentrovato Maria Irene Gavazzi, con la figlie Graziella e Giuliana, zaratine, nella pratica d'assistenza IRO per emigrare in Australia, dagli Archivi di Arolsen (Germania)
Per leggere altre testimonianze sull’emigrazione di istriani, fiumani e dalmati in Australia, come le vicende degli zaratini Carlo Mirelli-Mircovich e Illuminata Trentini, si può vedere ad esempio il libro di Guido Rumici e Olinto Mileta Mattiuz intitolato “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, quarto volume: Il lungo dopoguerra (Mileta Mattiuz O, Rumici G, 2015 : 77-94). Si sa che dei 300 mila profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, che costituiscono l’esodo giuliano dalmata, oltre 70 mila emigrarono in Canada, Argentina, Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Brasile e altri parti del globo mediante l’intervento dell’IRO. Certi esuli, pur non ricevendo l’assistenza dell’IRO, se ne andarono negli USA con mezzi finanziari propri pur di abbandonare i disagi delle baracche o delle camerate dei Campi profughi.

Conclusioni

La presente analisi storica, così articolata, si basa sui documenti d’archivio e sulla bibliografia citata. Si sono cercate altre notizie, poiché potrebbero esserci dei risvolti ulteriori. Si capisce che l’amore non ha confini, nemmeno linguistici, dato che il militare tedesco Hans Liebschner sposò Iolanda Bentrovato, sfollata di Zara e figlia del noto fotografo di Calle delle Carceri nel capoluogo dalmata del Regno d’Italia. Quella gente, nel dopoguerra, è disponibile ad una grande mobilità territoriale. Le sorelle Gavazzi Teresa e Maria Irene, coniugate in Bentrovato, vissute tra Bergamo e Zara e separate legalmente dai rispettivi consorti, sono disposte a emigrare, o sono definitivamente emigrate in Australia. Altri di famiglia finirono in Bolivia.

Si comprendono, infine, i modi in cui la famiglia è stata definita e regolata nel Novecento – come ha scritto Chiara Saraceno – con le forme di interdipendenza tra organizzazione familiare, sistemi economici e mercato del lavoro (Saraceno C, Naldini M 2020), aprendo uno squarcio sulla condizione della donna nelle situazioni estreme, come quelle successive a un grande conflitto mondiale.

 

Bibliografia e siti web

- Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, Trieste, Vitoppi Wilhelm & C., 1937.

- Olinto Mileta Mattiuz, Guido Rumici (a cura di), Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate. Quarto volume: Il lungo dopoguerra , Gorizia, ANVGD Gorizia-Mailing List Istria, 2015.

- Chiara Saraceno, Naldini Manuela, Sociologia della famiglia, 4^ edizione, Bologna, Il Mulino, 2020.

- Stefano Testa, Il secondo principio di Hans Liebschner, film documentario, Italia, 2020, durata 88 minuti.

- Lucio Toth, Storia di Zara dalle origini ai giorni nostri, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2016.

- Unterlagen von Bentrovato, Giuseppe, geboren am 18.08.1905, geboren in Lussinpiccolo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

- Unterlagen von Bentrovato, Maria, geboren am 22.08.1911, geboren in Boltiere Bergamo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

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Progetto di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Bruna Zuccolin, Bruno Bonetti, Sergio Satti, Annalisa Vucusa (ANVGD di Udine) e i professori Ezio Cragnolini e Enrico Modotti. Copertina: Documento IRO di Giuseppe Bentrovato (Archivio di Arolsen). Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Fotografie dall’Archivio di Arolsen e studi presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin, che fa parte pure del Consiglio nazionale del sodalizio e, dal 2024, è Coordinatore dell’ANVGD in Friuli Venezia Giulia.  Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi.   Sito web:  https://anvgdud.it/


venerdì 23 febbraio 2024

‘Me vergognavo de eser profuga’. Voci dell’esodo da Zara, Cittanova, Rovigno e Pirano, 1943-1960

Stefano Gilardi mi ha raccontato come è stato l’esodo della sua nonna. Si chiamava Redenta Orlich, nata a Zara nel 1919 e deceduta ad Alghero nel 2013. È da premettere che risale all’Ottocento la fondazione della Gilardi & Bettiza di Spalato, la più antica e la più importante di tutte le fabbriche dalmate. L’impresa affronta i sempre più grandi e frequenti ampliamenti e rimodernamenti a cavallo dell’Ottocento e Novecento, per terminare con la vendita alla famiglia croata Ferić, negli anni Venti del Novecento, messa in atto a causa un susseguirsi di circostanze storiche e politiche sfavorevoli. Ci fu un primo esodo dei Gilardi da Spalato a Zara, unico territorio dalmata nel Regno d’Italia, dal 1918 al 1943.

Redenta Orlich, sposata a Lorenzo Gilardi, scappò un’altra volta da Zara, probabilmente nel 1943, in treno, transitando per Trieste e la destinarono al Centro raccolta profughi di Reggio Calabria, poi la famiglia trovò un alloggio a Fertilia, nel Comune di Alghero, provincia di Sassari. Fertilia è una città di fondazione del fascismo, sorta nel 1936, ma non completata per lo scoppio della Seconda guerra mondiale. L’opera di colonizzazione in Sardegna si bloccò e la maggior parte degli edifici rimase di fatto inutilizzata. Nel dopoguerra giunsero gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia, diventando un microcosmo linguistico culturale vicino a quello di Alghero, di lingua catalana.

Sentiamo un’altra voce. Carla Pocecco, esule da Cittanova, mi ha detto che “semo vignudi via nel 1955 iera la Zona B appena passada sotto la Jugoslavia col Memorandum de Londra, mentre i fratelli de mia nonna iera stadi spedidi in Italia nel 1947”. È passata da qualche Campo profughi? “Sì, certo ierimo al Centro raccolta profughi de Valmaura a Trieste – ha aggiunto la Pocecco – me ricordo che ierimo tel fango e andavo a giogar al Campo profughi de San Sabba con tutte quelle scritte sui muri, chi ge gaveva dà el permesso de scriver su pei muri?” Poi la signora Pocecco, da grande, scopre che erano graffiti dei prigionieri ebrei, che furono deportati al Campo di sterminio di Auschwitz.

Perché siete fuggiti dall’Istria? “La gente italiana subiva atti di intimidazione e di violenza fisica –  ha proseguito la Pocecco – che non potevano risolversi diversamente che nella scelta dell’esodo, avevo fatto le scuole croate, dopo me vergognavo de essere profuga e domandavo papà cosa xe successo?”. Solo quando compì diciassette anni, il babbo che era carabiniere spiegò alla signora Carla Pocecco i fatti accaduti alla famiglia e la fuga dall’Istria, abbandonando i vari beni economici. “I miei decisero di partire prima che fosse troppo tardi – ha detto – mi dispiace, gò perso la cultura agraria e della pesca dei nonni, quella xe la mia storia”.

Fabbrica Gilardi e Bettiza a Spalato
Daniele De Fazio, mio amico d’infanzia, ha sposato Idanna Veggion, figlia di Antonio, esule da Rovigno, passato dal Centro smistamento profughi di via Pradamano a Udine. “Pensa che verso il 1984-1985 – ha riferito De Fazio – per il prezzo più basso, andavo a fare il pieno di benzina in Jugoslavia, con mia moglie e mio suocero Antonio Veggion, ebbene lui si faceva scaricare in Italia e ci aspettava al confine, da tanta paura che aveva ancora degli jugoslavi titini”.

Andare via da Pirano con il “lasciapassare il 20 maggio 1960”. È capitato a Mario Dugan esule a Marina di Ravenna. Egli ha voluto “ritornare in Istria nel mese di ottobre 1964 – ha concluso – e ho dovuto fare il passaporto italiano e aspettare il visto jugoslavo; non vi dico i controlli alla frontiera, molte volte le persone venivano spogliate, biancheria intima compresa. Buona giornata”.

Fonti orali - Le interviste (int.) sono state condotte a Udine con taccuino, penna e macchina fotografica da Elio Varutti, se non altrimenti indicato.

- Daniele De Fazio, Udine 1956, int. del 24 luglio 2017.

- Mario Dugan, Pirano 1942, vive a Marina di Ravenna (RA), messaggio in FB del 2 luglio 2017.

- Stefano Gilardi, Fertilia di Alghero (SS) 1983, int. del 24 novembre 2018.

- Carla Pocecco, Cittanova 1949, int. al telefono del 27 novembre 2018; componente del Consiglio Direttivo dell’Associazione delle Comunità Istriane, Trieste.

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Progetto di Elio Varutti, docente di Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata all’Università della Terza Età (UTE) di Udine. Ricerche e Networking di Tulia Hannah Tiervo, e E. Varutti. Lettori: Sebastiano Pio Zucchiatti e Enrico Modotti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e ANVGD di Arezzo. Fotografie da collezioni private e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

venerdì 9 febbraio 2024

Giorno del Ricordo 2024 all’Istituto ‘Levi’ di Montebelluna (TV)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un comunicato stampa dall’ingegnere Ezio Toffano, Dirigente Scolastico dell’Istituto d’Istruzione Superiore “Primo Levi” di Montebelluna (TV) su un evento originale riguardo al Giorno del Ricordo del 2024(a cura di Elio Varutti).


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Partire e restare: scelte che portano divisione e sofferenza, storia di un esilio reale e un esilio interiore

Si informa che sabato 10 febbraio 2024 alle ore 20,30, nell'aula magna dell'IIS "Primo Levi" di Montebelluna, gli studenti del liceo presenteranno lo spettacolo teatrale dal titolo "Partire e restare – Storia di una famiglia di Zara”, momento di riflessione, recitazione e musica, in occasione del Giorno del Ricordo.

La rappresentazione ha come obiettivo quello di proporre una riflessione sulla storia del Confine Orientale negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento e in particolare sulle motivazioni che spinsero alcuni istriani fiumani e dalmati a restare nelle loro terre d’origine e molti altri a partire. Attraverso letture, coreografie, esecuzioni musicali e una rielaborazione del testo “La zaratina” di Silvio Testa, gli studenti portano in scena in particolare la storia di una famiglia di Zara, le cui vicende e decisioni sono influenzate dai noti tragici eventi storici.

L’azione scenica è curata dalle professoresse Rossella Zanni e Laura Caccavale, e verrà trasmessa in diretta dall'emittente radiofonica d'istituto al link  www.bit.ly/WebRadioLevi

Lo spettacolo è aperto al pubblico. Si allega locandina. La cittadinanza è invitata a partecipare.

Montebelluna, 08.02.2024

sabato 16 settembre 2023

Memorie del viaggio a Zara nel 2000 con 160 esuli, partiti da Mestre

Siamo lieti di ospitare un articolo di Franca Balliana Serrentino per un resoconto di una visita turistica e di sentimenti a Zara, effettuata nel 2000 da 160 esuli dalmati. La signora Franca è la moglie dell’avvocato Pietro Serrentino (1921-2010), figlio dell’ultimo Prefetto italiano di Zara, fucilato a Sebenico nel 1947 dai titini. Oltre alla visita della città il gruppo si è soffermato per alcuni riti religiosi molto sentiti dagli zaratini. La devozione mariana non si ferma alla Pasqua di Borgo Erizzo, di antica etnia albanese, e i suggestivi rituali con cui veniva festeggiata dalla comunità. È la festa della Nostra Signora (“Gospa naša - Zonja Jon”), dedicata alla Madonna di Loreto, cui è intitolata la chiesa del rione, celebrata ancora oggi con grande afflusso popolare e con la tradizionale processione. È un racconto nostalgico di una gita in tre pullman, partiti da Mestre. Noi lo dedichiamo alla gioventù della parte alta di Borgo Erizzo, allontanatasi per sempre con l’esodo. In parentesi riquadrate vi sono rare spiegazioni del curatore. (a cura di Elio Varutti, per la redazione del blog).

Menego Mazzoni?, Zara, pittura, collezione Silvio Cattalini

Il nostro grand-père Ulisse Donati anche quest’anno si è fatto carico di organizzare il viaggio a Zara; che fatica! [Ulisse Donati era nato il 6 agosto 1913 a Zara e scomparve il 20 marzo 2013 a Venezia, NdR]. In gran numero, lunedì 8 maggio di buon’ora, noi tutti partecipanti siamo pronti ai punti di partenza alla stazione di Mestre-Venezia. Sotto una pioggia torrenziale provvediamo, aiutati dai bravi autisti della Ditta Faresin, a sistemare i nostri bagagli per poi salire sul pullman tutti bagnati dalla testa ai piedi.

Naturalmente le signore a bordo brontolano pensando ai loro capelli bagnati: alla cosiddetta “messa in piega”. Noto invece che io sto pensando ai miei piedi bagnati ed al possibile raffreddore che mi potrebbe colpire, date le molto ore che dovrò passare in pullman. Una volta sistemati ai propri posti incominciano i saluti: “Oh, ciao, ci sei anche tu! E Piero?”. Questa è una domanda che mi verrà rivolta ogni qualvolta che uno zaratino mi saluterà: quindi sempre.

Miriam Paparella, assessore del libero Comune di Zara, provvede a fare l’appello di tutti i passeggeri presenti leggendo i nomi dall’elenco fornitole dal bravo Ulisse, tutto battuto a macchina ed in ordine alfabetico. Sì, sembra che ci siamo proprio tutti! Ed alla fine si può partire anche se la pioggia continua a cadere inesorabile, ma noi sappiamo che niente ci fermerà, arriveremo a Zara all’ora stabilita. L’interno del pullman subito si anima ed incominciano i chiacchierii. Sembra di essere con una scolaresca in vacanza. Chi domanda questo, chi domanda quello. Chi chiede quanti chilometri dista Trieste, chi quanti alla frontiera. Chi vuole essere informato sul tempo che farà a Zara. Chi sul cambio e sul valore delle Kune, chi sul mangiare Bonkulovich. [I dalmati erano, secondo Enzo Betttiza, buongustai o, meglio, «bonculovich» come si diceva in quelle terre].

Dal posto di comando del pullman veniamo informati dal nostro Ulisse, organizzatore-navigatore, che stiamo per arrivare alla frontiera, quindi bisogna preparare i documenti. Subito un grande aprire e chiudere borse e una guardatina alla fotografia del proprio documento: “Eh, gli anni passano!”

Prima sorpresa del viaggio, il nostro bravo assessore Miriam, sempre perfetta, questa volta ha dimenticato i documenti personali. “Oh, non è possibile, guarda bene – dice qualcuno – Zitti, zitti, non fate confusione, lasciate che Miriam guardi bene”. Ogni zaratino in quel momento era disposto a dividere il suo di documento, anche a pagare una gabella, purché servisse a far passare la nostra Miriam. Ma no, niente da fare. L’assessore deve scendere dal pullman e ritornare con i propri documenti – impresa ardua, ma non difficile conoscendo Miriam. Per fortuna con noi è rimasta un’altra autorità di questo Comune: il “Ministro degli Esteri, onorevole Pitamitz”. Il pullman riparte e questa volta l’unico rumore che si sente è quello del motore. Gli zaratini sono tutti in silenzio: cosa assai rara!

I nostri occhi continuano a guardare dai finestrini. Finalmente il cielo è più azzurro, la costa e il mare sono calmi. Tutto prosegue come da programma. Sosta a Buccari, panini, caffè e quant’altro: tutto bene. La nostra attenzione è sempre catturata da questo meraviglioso mare e dalla costa dura ed accogliente alo stesso tempo. Notiamo che qualche lavoro di sistemazione della strada percorsa due anni or sono è stato fatto e ci sentiamo più sicuri. Lara è più vicino e i tre pullman corrono uno di seguito all’altro.

Finalmente, verso le ore 18, si leva una voce per avvertirci che siamo in arrivo a Zara. Immediatamente tutti i passeggeri si alzano in piedi e vengono abbagliati da un sole infuocato. Ulisse chiede all’autista di fare un giro della città per farci ammirare il tramonto. Per tanti viaggiatori è un tramonto che non vedono da più di 55 anni. Mi vengono in mente le parole di Piero: “Vedrai Franca, i tramonti di Zara sono più belli di quelli sul Bosforo”. Devo ammetterlo anche questa volta Piero aveva ragione. Il mare, la città, le palme, le barche, il cielo, tutto è un colore arcobaleno: azzurro, rosa, rosso, arancione, il buon Dio non si è risparmiato.

Tutti noi siamo senza parole e all’interno del pullman regna un rispettoso silenzio. Finalmente approdiamo all’Hotel Kolovare, dove ognuno di noi viene adeguatamente sistemato. Ulisse ha scelto bene, come sempre. Ormai è fatta: siamo a Zara, dove ci attendono giorni molto intensi. Tutti hanno molte cose da rivedere, tanti posti da rivisitare e doni da consegnare a parenti ed amici. È un ritornare… con il cuore in gola.

L’indomani mattina, dopo un’abbondante colazione e tanti, tanti saluti – finalmente tutti i 160 zaratini sono insieme e le loro voci si sentono tutte – la nostra prima mattinata è dedicata ai nostri Cari Defunti. Davanti al Cimitero c’è un certo fermento, ad attenderci troviamo il nostro Vanni Rolli con Donna Vittoria [Maria Vittoria Barone, del Madrinato dalmatico] che vorrei ringraziare a nome di tutti per il generoso e nobile impegno, qui lo si vede tutto, che Donna Vittoria ed altri continuano a portare avanti senza mai lamentarsi.

Un caro saluto zaratino.         Franca Balliana Serrentino

Zara viale Ghisi, primi del '900. Collezione provata

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Documento originale - Franca Balliana Serrentino, “III Maggio zaratino (8-14 maggio 2000). Nostra Signora di Borgorizzo”, testo in Word, pp. 3.

Cenni bibliografici del curatore – Enzo Bettiza, Esilio, Milano, Mondadori, 1999.

– Gabriella Vuxani, “Recensione del libro ‘Borgo Erizzo. Scritti dedicati al quartiere albanese della città di Zara”, on line dal 3 maggio 2023 su anankenews.it

Nota di cronaca – Non c’è più Miriam Paparella Bracali, assessore del libero Comune di Zara in esilio. Sua figlia, Donatella Bracali, è presidente del Comitato provinciale di Pescara dell’ANVGD.

Antonio Pitamitz, nato a Zara il 23 agosto 1936, è deceduto nel 2022. A metà del 1983, pubblicò sulle pagine del mensile «Storia Illustrata» la prima inchiesta seria e documentata sulle foibe e sugli eccidi commessi da partigiani italiani e titini sul fronte orientale.

Nel 1982 nacque il Madrinato Dalmatico per la Conservazione del Cimitero degli Italiani di Zara fondato dalle donne dalmate che decisero di occuparsi delle tombe, tra le quali Maria Vittoria Barone Rolli.

Ringraziamenti – La redazione del blog, per il saggio presente, è riconoscente alla signora Franca Balliana Serrentino, che vive a Jesolo (VE), per aver cortesemente concesso, il 15 settembre 2023, la diffusione e pubblicazione dei suoi materiali d’archivio. Si ringrazia per la collaborazione riservata Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi (AR) delegato provinciale dell’ANVGD di Arezzo.

Note generali – Autrice principale: Franca Balliana Serrentino. Ricerca e Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Lettori: Franca Balliana Serrentino, assessore alle Attività promozionali del Libero Comune di Zara in Esilio, Bruno Bonetti, Bruno Stipcevich, Claudio Ausilio e la professoressa Annalisa Vucusa (ANVGD Udine). Aderisce il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e ANVGD di Arezzo. Copertina: Menego Mazzoni?, Zara, pittura, collezione Silvio Cattalini. Altre fotografie da collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/


domenica 29 gennaio 2023

La Porporela de Zara

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Ulisse Donati, zaratino “patoco”. Inviatoci da Franca Balliana Serrentino, è intitolato “La Porporela”. Fu da lui diffuso ai suoi corrispondenti con un cartoncino d’auguri per le festività natalizie 2003-2004. Il vocabolo veneziano “porporèla” significa “scogliera artificiale”, ben documentato nel XVI secolo. Ha per sinonimi “sesame, nafo, poto, mula, barìgola” ed altri, come ha scritto Franco Crevatin, di Trieste, in “Etimi Istriani”, pubblicato su < academia.edu > nel web. Il vocabolo è utilizzato in altri porti dell’Istria e della Dalmazia, per secoli “Stato da Mar” dei Dogi. Riguardo all’etimologia, c’è un’ipotesi. La barriera frangiflutti è costituita da massi, o conci di pietra carsica chiara, che assume facilmente i colori dell’alba e del tramonto, rosa, rosso e rosso porpora, da cui: Porporela.

Nel proporre qui il testo di Ulisse Donati, nato il 6 agosto 1913 a Zara e scomparso il 20 marzo 2013 a Venezia, si è cercato di rispettare la grafia originale del dattiloscritto, pur sciogliendo alcune abbreviazioni. In parentesi riquadrate si sono inserite rare note redazionali, o traduzioni in italiano dal dialetto zaratino. A cura di Elio Varutti, per la redazione del blog.

Cartolina di Zara con la Fabbrica Luxardo, anni 1930-1940. Collez. privata.

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Per quei che no xe [non sono] Zaratini, devo precisar che con questo nome se vol indicar quela diga che se trova quando che se entra nel porto de Zara, e se gà in zima [cima] una lanterna con luce rossa. L’altra, con luce verde, xe [è] su la ponta de la riva Derna.

Mi, che gò un zerta età, ve posso parlar de do [di due] Porporele. Quela vecia, costruida da la Serenissima, jera fata de grossi sassi. Scopo principal de ‘sti sassi jera de spacar le onde che le forti ponentade e maestraloni alzava [onde dei venti Ponente e Maestrale]. E come i xe riussidi a farla tanto longa e grossa? Se dixe che Venezia gaveva obligado i Scojani [abitanti delle isole vicine a Zara], che veniva in porto, de portarse adrio [dietro], come biglieto de entrada, un grosso sasso. E così, sasso su sasso, xe saltà fora la diga che mi me ricordo da mulo [ragazzo].

Quela che vedè oggi, xe quela che el Genio Civil gà fato nei anni 1926, ’27 e ’28. La xe longa 175 metri, in fondo la gà quatro scalini per poder montar in barca e passar su la riva de fronte. Podè veder la zima de la Porporela, a destra, su la foto che ghe sul cartonzin de auguri [qui mancante]. Xe un bon posto per ormegiar barche e navi de una zerta grandezza.

Ricordo che dopo la Prima Guera Mondial, se gaveva ligado el cacciatorpediniere “Missuri”. Comandante da sempre, e per sempre, el maressiallo De Franceschi, a Zara per anni e anni. Magro, alto con la sua divisa squasi in bon stato. Però, quando che jera qualche giorno de festa, el tirava fora la divisa bela con decorazioni. El fazeva, alora, la sua bela figura.

Altra barca granda jera la “Croce del Sud”. El suo paron jera Graneli, de la Magnesa San Pelegrino. Jera un tre alberi, fato, su disegno de l’ingegner Gino Treleani, a Lussinpicolo. No so se la xe ancora in vita, ma ogi la podaria far ancora invidia a qualchedun. Altro cuter [cutter= parola inglese per barca a vela con una randa e due fiocchi], el “Corsaro”, con rispeto parlando, jera un vero casson [grande cassa]. No gò mai avudo el piazer de vederlo con le vele alzade. Po’ el gà cambiado posto, metendose davanti la casa Gilardi. A un zerto momento se gà parlà ch’el Corsaro andava in crociera. Preparativi a non finir, rifornimenti de viveri, de spagnoleti e acendini. El giorno che i doveva partir, i gà trovà la barca a fondo, unica coxa visibile la zima de l’albero. Non se gà mai savudo coxa jera nato. Se parlava de tapi no ben streti.

Ligado proprio vizin el Circolo Canottieri Diadora, el motoscafo de la Polizia, el P9. Comandante, motorista e marinaio el solo agente Fiorucci, venezian. De quei che frequentava la Canotiera el saveva tuto de tuti, da bon polizioto.

A Zara la Canotiera jera ciamada “Ponton”. Nome ciapado da un poton fisso inclinado, che aiutava i vogatori de meter le barche in mar. El Ponton, sempre pien de giovani pieni de vita, el gaveva de fianco la Porporela, dove sfilava la gente che andava a ciapar la barca per andar a Zara [nel centro città].

Gò sempre presente quando passava la Rosy Ledwinca, sorela de un bon canotier, el Nico Ledwinca che nel 1926, con Menego Brazzani, Giulio Colombani e Mario Bina, timonier Massi Cettineo, gà vinto a Pola. Xe stà l’unico armo [equipaggio], a quatro, che gà battudo la famosa “Pulino” de Isola d’Istria [Società nautica ‘Giacinto Pullino’, sorta nel 1925]. Po’ per anni e anni, la Pulino gà vinto tuto: gare nazionali, internazionali e Olimpiadi.

Davanti passava un mucio [mucchio] de gente, ma ghe jera uno che, quando el passava, el meteva in rivoluzion tuto el Ponton. Jera el Bek (Böck), basso, squasi inoservado, coi cavei rossi e un naso a pissinboca [volgare: piscio in bocca]. El portava pegola, se dixeva. El primo che lo vedeva, el dava un urlo: “el Bek!”. E ‘sto nome passava de boca in boca, come una eco. Zà, quando ch’el passava, el girava la testa verso Val de Ghisi, come voler parar ‘sta valanga de urli. E in Ponton, al primo urlo “Bek”, tuti se portava le man avanti per scongiurar l’efeto “Bek”. Povero Bek, quanto semo stai cativi con ti!

Francobollo emesso sotto l'occupazione tedesca di Zara, 1943.

E no ghe jera solo el Bek che passava davanti el Ponton, ghe jera una signora che andava a ciapar la barca, in fondo a la Porporela, ogni matina. Ma el belo jera che ogni matina la coreva, per arivar prima de le oto, e pagar zinque centesimi inveze de diexe [dieci]. Se vede che la sortiva tardi da casa, e per tuta la Porporela jera una corsa. Ti vedevi ‘ste masse de carne che se spostava da l’alto in basso, da destra a sinistra e viceversa. La jera un donon, sempre vestia de nero. Qualche volta mi con la bici, con discrezion, la seguivo a debita distanza per veder se la ciapava la barca o se la ciapava un colpo. La gà sempre ciapà la barca. Ma conveniva ris’ciar, ghe jera zinque centesimi de sparagno [risparmio]. E no jera poco!

Ghe jera, po’, un momento che la Porporela cambiava el suo muxo [muso], e jera quando veniva a Zara la Squadra Naval de la Regia Marina. Le navi grosse come la “Duilio” e la “Cavour”, se fermava nel Canal de Zara, mentre le picole, i caciatorpedinieri, veniva a ligarse a la Porporela. Ti vedevi, alora, ‘sti sete o oto cacia [cacciatorpedinieri] tuti alineadi, come soldatini, ligadi a le colone de la diga. I Cacia i jera pituradi di un grigio ciaro ciaro. Le corde de un cacia andava a incrosarse con quele de l’altro cacia vizin, così da formar una ragnatela de corde.

Standoghe vizin ti sentivi quel particolar odor de catrame de le corde, missiado a quelo de le cuxine [cucine] e de qualche motor sempre impizado [acceso]. ‘Sto insieme de odori jera un vero profumo, el “profumo de nave”. Su le pupe [poppe] ghe jera el nome del cacia, scrito in letere de oton, sempre lucido, filetado de color rosso, per fa risaltar meo [meglio] el nome. E tuto quelo che ghe jera a bordo de oton e rame, sluxava [luccicava]. Ma el belo jera veder quela selva de stendardi dai vivi colori che i dava un senso de gioia. Me sentivo fiero de esser italian. A pupa la grande bandiera bianco, rosso e verde che tocava squasi el mar. Al centro el stema sabaudo con la bela corona. I stendardi no gaveva in zima el solito pomolo, ma una corona intajada de legno. E, quando mi jero in brodo de sixole [giuggiole] nel amirar le nostre bandiere, no jera ancora nato quel italian che gavaria dito de butar in cesso la bandiera italiana. Me usavo sentar, per meze ore, su una colona piena de corde del cacia ligado.

Guardavo senza secar nissun, come se svolgeva la vita a bordo. A pupa jera el solito Guardiamarina, ne la sua imacolada divisa bianca con una fassa azura de traverso. I marini, ne le divise bianche, che i se moveva a bordo senza dar l’idea che i fazessi qualcosa che i doveva far. I soliti marinai de cuxina con le maie a meze manighe, de estate e de inverno, e la traverseta [grembiule] davanti, che i butava in mar i resti del rancio. I marinai che i andava in libera uscita, prima de prender el pontil per andar a tera, i salutava la bandiera.

A proposito de bandiere, mi conosso uno che, fato prigioniero da le SS de la Panzer Divisionen “Prinz Eugen”, davanti a la Corte Marzial che ghe fazeva zerte proposte, le rifiutava dixendo che lù se sentiva ancora ligado dal giuramento fato su la bandiera. La Corte Marzial gaveva fato fucilar 49 sui coleghi, inveze lù se la gà cavà con soli do anni de lager tedeschi. El xe tornà da la prigionia pele e ossi, ma drento forte. Tornando ancora a le bandiere, co ti me posso confidar: a mi quele bandiere de i cacia ligadi su la Porporela, le me xe rimaste nel cor [cuore]. Le jera una lezion de amor de Patria al solo guardarle. Se qualchedun me sentissi dir ‘ste coxe [cose], ogi, el me daria sicuro del fassista, coxa che no me ofende. Me ofendaria se i dixesse che son comunista.

La Porporela, el Ponton e la Fabrica de Maraschino Luxardo ghe stava tuti in un fazoleto, tanto jerimo vizini. Quando finiva el lavoro in Fabrica, i operai sortiva e i se sparpajava, chi da una parte, chi da l’altra, a pie o in bici. No i gaveva le machine, parchegiade fora, come se vede ogi ne le fabriche. E pur se viveva ben e tuti jera contenti e felici. De vista li conosevo tuti. Per no parlar po’ de le done che andava in fabrica per cior la paja [paglia]. Le sortiva co muci de paja soto el brazo in bici. A casa le preparava el rivestimento de le famose botilie impajade de maraschino de Zara.

Se uno volaria parlar de el Ponton, el dovarìa spender una vita, tanto ghe sarìa de scriver. Per tanti giovani el xe stado una vera scola [scuola]. Drento ghe jera gente de tuti i colori che, squasi per magia, se amalgamava tra de lori. No xe nato, in tanti anni, nissun incidente, no xe mai mancado niente. Inveze a chi ghe xe venudo a mancar qualcoxa xe stada la Fabrica de Maraschino Luxardo, quando arivava le marasche [ciliegie]. Noi muli del Ponton ne butajmo [ci buttavamo] su le marasche come mosche su el zucaro [zucchero]. Per dir la verità, i Luxardo no ne scazava via, podejmo magnar quanto volejmo, però “sul posto”, senza portar via gnente. Quando finivimo de magnar, cambiavimo de speto. Ve ricordè che tanti anni fa jera sortidi do film americani: “El cantante del Gez” e “El cantante mato” con Al Gionson? [Il cantante di jazz, “The Jazz Singer”, film del 1927, diretto da Alan Crosland e interpretato da Al Jolson]. Lù, negro, el se gaveva fato, in bianco, una granda boca e le man anca bianche con do ocioni [occhioni] spalancai. Nojaltri, inveze, co le marasche gavejmo una granda boca nera e le man nere. Adesso no ricordo ben, ma credo che, andajmo a far pipì, fazejmo amarena. Senza zucaro.

Adesso la Fabrica, a vederla, la xe come prima. Al zentro, in alto, la grande scrita: “Maraska”. Xe scrito “Marasca”, ma se leze: Luxardo. Ve podaria scriver ancora tante coxe, ma mi gò rispetto per i mii amizi e no li vojo anojar e farghe perder tempo. Tanto più che ogni anno i me lassa scriver de monade su Zara. E mi de questo ghe son grato.

Adesso mi devo confessar una coxa: ve gò parlado de la Porporela, ma mi no so dove xe saltà fora ‘sto nome. No so se za i Veneziani la ciamava così, lori che la gà costruida. O chi xe stà el primo. Sarìa grato a chi me lo savessi dir. Sarìa grato anca a chi me savessi dir coxa vol dit “garofolin”.

Quelo che ve volevo dir, xe che ne sentiremo el prossimo anno, sempre sperando che…

Ulisse

Nota finale – Bruno Stipcevich il 29.1.2023 ci ha scritto che: “Non so dire di preciso se ancora oggi si accende la luce rossa alla lanterna e quella verde sulla ponta della riva Derna, come si sa, adesso, c’è il porto a Gaseniza [Gaženica, in croato]. Alla lanterna c’è ancora il barcaiolo per andare alla fabbrica Luxardo”.

Cenni bibliografici

- Ruggero Botterini, Parlavimo e scrivevimo cussì in casa Mocolo. Vocabolario del dialetto polesano-istriano, Mariano del Friuli (GO), Edizioni della Laguna, 2014.

- Giovanni (Nino) Bracco, Piccolo dizionario dell’antica parlata slava di Neresine, 2009.

- Franco Crevatin, “Etimi Istriani”, on line su academia.edu

Edizione originale – Ulisse Donati, La porporela, dattiloscr., s.l. [Venezia], 2003, pp. 2.

Collezione privata - Franca Balliana Serrentino, dattiloscr.

Ringraziamenti – La redazione del blog, per il saggio presente, è riconoscente alla signora Franca Balliana Serrentino, che vive a Jesolo (VE), per aver cortesemente concesso, il 16 gennaio 2023, la diffusione e pubblicazione. Si ringraziano per la collaborazione riservata Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi (AR) delegato provinciale dell’ANVGD di Arezzo e Bruno Stipcevich, esule di Zara a Meldola (FC).

Zara con la Porporela, in alto a destra, 1930-1940

Note varie – Autore principale: Ulisse Donati. Lettori: Franca Balliana Serrentino, assessore alle Attività promozionali del Libero Comune di Zara in Esilio. Altri lettori: Bruno Bonetti, Claudio Ausilio, i professori Annalisa Vucusa e Marcello Mencarelli. Aderiscono il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’ANVGD di Arezzo.

Ricerche e Networking di Girolamo Jacobson e Elio Varutti. Copertina: Cartolina di Zara con la Fabbrica Luxardo, anni 1930-1940. Collez. privata. Altre fotografie da collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

domenica 11 settembre 2022

Maestri pionieri senza stipendio alla scuola sussidiata di Laterina, nel Campo profughi, 1956

Ricordo che gli scolari del Campo profughi di Laterina avevano una gran voglia d’imparare”. Si apre con tali parole il racconto di Giulietta Del Vita, maestra in baracca alle scuole elementari del Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina, provincia di Arezzo nell’anno scolastico 1956-1957. 

La maestra Giuletta Del Vita, nel 1960, con gli scolari di Castiglion Alberti-Badia-Agnano-Bucine (AR). Collezione Giulietta Del Vita

Ho insegnato per solo un anno scolastico in una stanzina – ha aggiunto – avevo diciannove anni e mi sono trovata bene coi bambini e con le famiglie, nonostante molti di loro avessero dei problemi con la lingua italiana, erano le cosiddette scuole elementari sussidiate con maestri senza stipendio, lo si faceva per avere punteggio nelle graduatorie del Provveditorato agli Studi. Spesso erano delle pluriclassi, appena arrivavano i nuovi bambini al Campo li si inseriva in una classe prima, perché si orientassero”. La maestra Del Vita aveva 34 iscritti, 11 maschi e 23 femmine con esami svolti dal 3 al 4 luglio 1957 e nel registro di classe ha annotato che il locale scolastico: “ha un tetto resistente a tutto meno che alla pioggia, mura disadorne, tre finestre che permettono di vedere una bella campagna ed anche il vicino paese”.

Arezzo 1955, gare di Scuola Magistrale, Giulietta Del Vita è la prima a sinistra. Collezione Giulietta Del Vita.

Le hanno mai raccontato qualcosa dell’esodo giuliano dalmata? No, mai – è la replica – non ho mai saputo nulla della loro vita precedente, per me era importante lavorare e poi tornavo a casa col motorino di marca ‘Motom’ fino a Laterina stazione, poi in treno fino a Montevarchi. Non sono mai entrata nelle baracche delle loro famiglie. Avevo la lavagna, i banchi e le seggiole, non ricordo di aver patito il freddo, come hanno scritto altri educatori”. Ricorda il nome di qualche maestro suo collega lì nel Crp di Laterina?

C’erano la maestra Emilia Carmignani, proveniente da Loro Ciuffenna (AR), il maestro Romano Alfieri e Giuliana Stoppielli, da Terranuova Bracciolini (AR) – ha risposto la maestra Del Vita – eh, tra colleghi si stava bene, si scherzava, poi c’era il direttore didattico Elio Scala e quando ci facevano visita il Direttore o l’ispettore, per gli allievi era una festa, dato che non vedevano mai nessuno”. Ha mai portato in gita i suoi scolari?

Più che altro facevano delle belle passeggiate vicino al Crp, alla centrale elettrica, o lungo il fiume Arno – ha concluso la maestra Giulietta Del Vita – ricordo che i maschietti erano felicissimi e mi dicevano: Allora maestra, andiamo a ingrumar fiori? E io, per l’ennesima volta, li dovevo correggere, avevano il dialetto dentro di sé e in famiglia parlavano solo in quel modo”.

Nomina a insegnante di Del Vita Giulietta nella scuola sussidiata di Laterina Campo profughi per l’anno scolastico 1956-’57, ciclost. e ms. Collezione Giulietta Del Vita.

Il Memoriale di Edoardo Radolovich, 2021

Un suo affezionato allievo, Edoardo Radolovich, nel 2021, ha scritto che: “La nostra maestra non solo era brava, ma anche carina oltre che simpatica e per questi motivi eravamo molto legati a lei. Parlando del più e del meno una volta ci disse che abitava a Montevarchi che era un paese a nord di Laterina e distava 12-13 chilometri” (Dvori. Breve storia di un bimbo Slavo con genitori Italiani e nonni Austriaci, p. 34).

“Era una giornata estiva e con il solito gruppetto camminavamo sulle sponde dell’Arno quando mi venne un’idea malsana. Andare a trovare la maestra e facendo un piccolo calcolo in due ore potevamo essere a Montevarchi. Oramai l’aritmetica e la logica erano il nostro pane. Continuammo lungo il fiume ma non era molto agevole anche perché ogni tanto c’era un torrentello che si immetteva e per noi era impossibile attraversarlo se non andare in cerca di qualche ponticello. Così però avremmo perso troppo tempo e già eravamo partiti a pomeriggio inoltrato. Decidemmo altresì di raggiungere la strada statale che stava poco più su. Camminammo molto ai bordi della stessa con qualche macchina che passava ogni tanto ma a dire il vero erano pochissime in quel periodo. Dopo qualche ora arrivammo alle porte del paese ovvero dove c’era il cartello stradale con su scritto “Montevarchi”.

Tutti felici (eravamo in tre) guardammo il cartello ma le luci stradali in quel momento si accesero e ci rendemmo conto che era quasi sera. Invertimmo velocemente la marcia e seguendo la strada ci incamminammo verso Laterina. Dopo un paio di ore era completamente buio ed eravamo scoraggiati anche se non proprio impauriti. D’altrocanto avevamo circa otto-nove anni ed impreparati a tutto o quasi. Qualcuno di noi stava per disperarsi e minacciava di buttarsi sotto una delle poche automobili che passavano di lì” (p. 35). Poi tutto finì bene perché un passante, alla guida di una Topolino, accompagnò i tre scolari in Campo profughi, dove erano attesi dagli allarmati genitori e dal personale del Crp stesso.

Decalogo di un bravo maestro, Montevarchi, 8 febbraio 1957, ciclost. Collezione Giulietta Del Vita.

Il Decalogo del bravo maestro ed altri atti scolastici

Se non fosse autentico, tale Vademecum potrebbe sembrare uno scherzo di Carnevale o del Primo di aprile. È una curiosità. Veniva distribuito ad ogni maestro con la consegna della nomina di insegnamento firmata dal Provveditore agli Studi della Provincia. Questa sì, era ed è un pezzo di carta importantissimo per un insegnante statale, perché significa che ha il lavoro. Poi la maestra Del Vita deve aver iniziato a leggere. Il primo punto è: “Sii umile e modesto”. Punto 2: “Non avere fretta nell’avanzare”. Punto 3: “Non essere sollecito nel giudicare male gli alunni”. Punto 4: “Sii allegro e ottimista”. Punto 5: “Guarda con simpatia e ammirazione le cose degli alunni”. Punto 6: “Sii di costante esempio” e così via, sull’onda del libro Cuore di Edmondo De Amicis.

Molto interessante, invece, in chiave pedagogica è il documento del 1° febbraio 1957 firmato da Elio Scala, Direttore didattico di Montevarchi (AR), diretto agli insegnanti della scuola elementare del Crp di Laterina. L’oggetto della lettera dattiloscritta è: la scuola sussidiata del Crp di Laterina. Si legge che il Provveditore agli Studi “ha istituito una seconda Scuola sussidiata nella sede del Crp [ossia: in baracca, NdR], onde poter impiegare la maestra Benvegnù Pasqua nel recupero degli alunni da poco immigrati dalle Scuole croate dei territori italiani occupati dalla Iugoslavia (…)”. Gli altri maestri coinvolti nell’insegnamento, oltre alla Giulietta Del Vita, sono: Anna Maria Fratini, Giuliana Stoppielli, Emilia Carmignani e Romano Alfieri. Quattro classi fanno lezione al mattino, mentre le altre nel pomeriggio. Con la pluriclasse della maestra Pasqua Benvegnù, in tutto si contano sette classi. Dai registri dei maestri si vedono gli elenchi che contano 25-35 iscritti, talvolta fino a 40 bambini e passa, per un totale complessivo di oltre 250 scolari. In altri anni scolastici aumentano le pluriclassi e c’è un ricambio di bambini dietro i banchi, per i nuovi arrivi e per le emigrazioni di altri. I trasferimenti in alcune classi sono il 20 per cento degli iscritti, subito rimpiazzati dai nuovi ingressi provenienti dalle scuole croate.

Disegno di una allieva della classe 1^ elementare del Crp di Laterina, anno scolastico 1956-1957; collezione privata.


I disegni e i pensierini dei bambini delle baracche

Da una collezione privata si sono esaminati diversi disegni e pensieri scritti degli scolari del Crp di Laterina negli anni ‘50, talvolta dedicati alla maestra o al direttore “che ci ha portato un bel libro”. Si notano, tra i disegni, molti animali domestici, come l’asino, la pecora, oche e galline, ben noti ai figli dei contadini istriani, liburnici e dalmati. Certe bambine disegnano case, pulcini, ciliegie, frumento, farfalle, cardellini, canarini e variopinti fiori. Sia i maschietti che le femmine non scordano di dipingere una grande nave, avendo forse il babbo in marineria. Un certo Gino Sincich disegna perfino un torchio, non si sa se per olive o uva, comunque un residuo della cultura agreste dell’Istria. Disegnano colline e il fiume Arno che passa nelle vicinanze del Crp. Dovendo vivere in baracche tutte uguali e andando a lezione in una baracca, la sagoma della casa o della scuola sono simili, c’è chi disegna la fontana all’esterno, come effettivamente dovevano fare i profughi per approvvigionarsi dell’acqua per uso personale e domestico.

Lettera di Elio Scala, Direttore didattico a Montevarchi (AR), Scuola sussidiata nella sede statale di Crp Laterina, 1° febbraio 1957, dattiloscr. Collezione Giulietta Del Vita.

Conclusioni – Con i circa 250 scolari già citati, includendo poi i bimbi dell’asilo infantile, si può affermare che i bambini che frequentano le istituzioni scolastiche del Crp a Laterina sono tra i 400 e i 500 individui all’anno. Poi ci sono quelli delle scuole medie e superiori. Così tanto per aggiornare, per l’ennesima volta, i dati del primordiale censimento, chiuso nel 1956, da Amedeo Colella per conto dell’Opera per l’assistenza ai profughi giuliano-dalmati, edito nel 1958, che riportava esserci in tutta la provincia di Arezzo solo “588 profughi dislocati”. Nel Crp di Laterina, dal 1946 al 1963, invece transitano circa 10 mila profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, oltre a certi italiani espulsi dalle ex colonie d’Africa (Pesca G… 2021) (Varutti E 2021).

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Fonti orali – Giulietta Del Vita, Montevarchi (AR), 1938, int. al telefono a cura di Elio Varutti e Claudio Ausilio del 31 agosto 2022, in presenza di Fabio Rossi.

Fonti originali - Edoardo Radolovich, Dvori. Breve storia di un bimbo Slavo con genitori Italiani e nonni Austriaci, testo in PDF con fotografie, 2021 pp. 42.

Pensierino dell’alunna Renata Blasich di Pola, del 10 aprile 1957, sulla lunga casa-baracca del Crp di Laterina non intonacata e priva di grondaie. Notare i mattoni rossi a vista nel disegno, come nella realtà. Collezione privata.

Collezioni private

- Giulietta Del Vita, Montevarchi (AR), documenti scolastici stampati, ciclostilati e ms.

- Collezione privata, Arezzo, disegni e scritti scolastici, ms colorati.

Fonti d’archivio

Premesso che potrebbero esserci alcuni errori materiali di scrittura, ecco i testi raccolti da Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo presso l’Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR).

- Provveditorato agli studi di Arezzo, Comune di Laterina, Scuole elementari, Direzione Didattica di Montevarchi, Relazione finale, Scuola di Campo Profughi, Classe 1^ insegnante Del Vita Giulietta, anno scolastico 1956-1957, pp. 30, stampato e ms.

Cenni bibliografici

- Amedeo Colella (a cura di), L’esodo dalle terre adriatiche. Rilevazioni statistiche, Roma, 1958.

- Giuliana Pesca, Serena Domenici, Giovanni Ruggiero, Tracce d’esilio. Il C.R.P. di Laterina 1948-1963. Tra esuli istriano-giuliano-dalmati, rimpatriati e profuganze d’Africa, Città di Castello (PG), Biblioteca del Centro Studi “Mario Pancrazi”, Edizioni NuovaPrhomos, 2021.

- Elio Varutti, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Aska edizioni, Firenze, 2021.

Una delle tante navi disegnate dagli alunni della scuola elementare al Crp di Laterina. Qui con pensierino di Oriana Stifanich, di Parenzo (PL), 11 marzo 1957. Collezione privata.

Progetto e ricerca di Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo). Interviste di Claudio Ausilio e Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Giulietta De Vita, Claudio Ausilio e Marco Birin. Adesioni al progetto: ANVGD di Arezzo e Centro studi, ricerca e documentazione sull'esodo giuliano dalmata, Udine. Si ringrazia Fabio Rossi, di Montevarchi, per la collaborazione alla ricerca.

Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

Arezzo 1955, la studentessa magistrale Giulietta Del Vita taglia il traguardo in una gara scolastica. Collezione Giulietta Del Vita.

Attestato di affetto per il Direttore didattico di Montevarchi con farfalla gigante e baracca da parte della scolara Nevia Gelleni, di Gimino (PL). Collezione privata.

Semplice riproduzione di una disadorna baracca del Crp di Laterina della scolara Liliana Vescovi, di Pola. Notare, a destra, la fontana all’aperto, dove approvvigionarsi d’acqua, come nella dura realtà. In cielo nere nuvole la dicono lunga sulla vita in Campo profughi. Collezione privata.