Visualizzazione post con etichetta Brazza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Brazza. Mostra tutti i post

sabato 26 aprile 2025

Giuseppe Bentrovato, fotografo di Zara, potrebbe emigrare in Bolivia e altri in Australia, 1951

È una storia complessa e affascinante. A certi scossoni familiari si alternano grandi speranze e la voglia di una nuova vita altrove. Gli chiesero: Perché non vuole ritornare a Zara? “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported), come si vedrà più avanti.

Documento d'assistenza IRO di Giuseppe Bentrovato su carta intestata dell'ANVGZ di Bergamo (Archivio di Arolsen), particolare
Era nato sotto l’Austria, a Lussinpiccolo, il 18 agosto 1905 da Giuseppe e da Maria Eterovich, originaria dell’Isola di Brazza, in Dalmazia. Conosceva la lingua italiana e quella serbo-croata. Si chiamava Giuseppe Bentrovato e frequentò le scuole italiane elementari e quelle tecniche secondarie a Zara fino al 1919. Si sposò negli anni ’20 con Teresa Gavazzi, nata a Bergamo nel 1907. La sua primogenita Iolanda nacque a Brembate (BG) il 16 maggio 1929. Il 16 novembre 1932 gli nacque la seconda figlia Anna a Stezzano (BG). Il 25 gennaio 1935, a Zara, la moglie Teresa mise alla luce il terzogenito Giuseppe.

A metà degli anni ’30, Giuseppe Bentrovato lavorava nel suo stabilimento fotografico a Zara, Regno d’Italia. È citato così nella Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, tra i fotografi attivi a Zara: “Bentrovato G., Calle delle Carceri” (Guida… 1937 : 2087).

Dal mese di dicembre 1943, a causa della guerra, Bentrovato dovette sfollare presso parenti a Bergamo, dove lavorò come fotografo in proprio. Dal mese di ottobre 1944 fu arruolato dalla RSI tra i granatieri a Ponte San Pietro (BG) e poi venne trasferito a Vercelli. I partigiani jugoslavi di Tito occuparono Zara, enclave italiana in Dalmazia, il 1° novembre 1944, dopo che la città era stata distrutta da 54 bombardamenti angloamericani, poi i titini iniziarono a fucilare centinaia di italiani, oppure li gettarono in mare con una pietra al collo. Su 22 mila abitanti, oltre 2 mila furono i morti sotto le bombe alleate. Oltre 15 mila zaratini fuggirono per il terrore dei bombardamenti aerei e sapendo che Zara sarebbe finita nelle mani dei titini e anche i pochi rimasti se ne andarono dopo la presa del potere jugoslavo.

Nel mese di aprile 1945 il militare Giuseppe Bentrovato fu catturato dai partigiani italiani in Piemonte e portato dagli alleati al Campo di concentramento di Novara e, poi, in quello di Coltano, in comune di Pisa, fino al mese di ottobre 1945. Una volta libero, chiese ed ottenne il rilascio della carta d’identità al Comune di Bergamo, che la emise il 30 ottobre 1945. Poi Bentrovato esercitò il mestiere di fotografo in proprio a Bergamo fino al 1946, quando fece la separazione legale dalla moglie presso il tribunale di Bergamo in data 29 luglio 1946. In seguito lui, per lavoro, si spostò a Padova alle dipendenze del fotografo Greggio e, nel 1948, a Palermo, presso la ditta di fotografia Forzano, fino al mese di giugno 1950, quando perse il lavoro. Fu disoccupato fino al 1951, alloggiando presso la figlia Iolanda, a Bergamo in Via Carnevali 49. Frattanto, verso il 1948 i coniugi Giuseppe Bentrovato e Maria Eterovich, genitori del bravo fotografo di Zara, furono accolti nel Campo profughi di Novara.

Successe che dal 6 luglio 1948 la moglie separata Teresa Gavazzi e i figli minorenni Anna e Giuseppe Bentrovato, detto “Beppino”, si trovavano in Australia, partiti con i viaggi dell’IRO, via Germania, probabilmente dal porto di Bremerhaven.

Il 7 febbraio 1951 il tale F. Frautschi, funzionario degli uffici IRO di Milano, segnò con un timbro sulla  pratica d’espatrio del fotografo Giuseppe Bentrovato: “Non rientra nel mandato IRO. Idoneo per l’assistenza discrezionale al reinsediamento e alla protezione legale” (Not within the Mandate of IRO. Eligible for discretionary resettlement assistance and L.P. protection). Il mandato dell’IRO (International Refugee Organization) in Italia riguardava la cura, il rimpatrio e il reinsediamento dei rifugiati Oltre Oceano. Vladimir Suneric, altro funzionario IRO, controfirmò la pratica di Giuseppe Bentrovato fotografo, che poteva partire per il reinsediamento e con la protezione legale.

Si tenga presente che l’IRO era l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati che organizzava le partenze delle navi da Bagnoli, presso Napoli, verso le Americhe e l’Oceania. La presente ricerca si basa sui rari documenti inediti nell’Archivio di Bad Arolsen (Germania), da poco disponibili nel web. La pratica d’emigrazione di Giuseppe Bentrovato all’Ufficio IRO di Bergamo è del giorno 30 agosto 1949, redatta su carta intestata dell’Associazione Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (ANVGZ), Comitato Provinciale di Bergamo, perché il Bentrovato risiedeva in quella città presso l’abitazione della figlia Iolanda, sposata con Hans Liebschner (1927-2012), soldato tedesco, noto nel 2020 per i suoi filmati amatoriali degli anni ‘60. La firma del presidente dell’ANVGZ di Bergamo è: Antonio (ma il cognome è illeggibile). L’ANVGZ era già trasformata in ANVGD, ma si riciclavano i moduli.

Documento IRO per l'emigrazione in Bolivia di Giuseppe Bentrovato (Arolsen Archives)

Il fotografo Giuseppe Bentrovato dichiarò e firmò il Questionario al funzionario dell’IRO, il 7 febbraio 1951. In esso è scritto che non voleva tornare a Zara per una serie di motivi. Prima di tutto “si sentiva italiano e la sua città natale, Zara, era sotto un’amministrazione straniera” (He felt as an Italian and his home town Zara got under a foreign administration). “Non aveva nessuno o niente a Zara” (He had neither anybody or anything at all at Zara). “Non aveva parenti né in campagna nemmeno nella città di Zara” (Had no relatives in the country nor in the town of Zara). “Tutti i suoi beni andarono perduti con i bombardamenti” (All his property was lost with the bomabrdaments). “Non desidera trovarsi sotto un’amministrazione straniera, soprattutto se si tratta di un regime comunista” (He does not wish under a foreign administration, and espescially when this is a communist regime). “In quanto italiano avrebbe dovuto temere le persecuzioni dei comunisti jugoslavi” (As an Italian he would have to fear persecutions by the Yugoslav communists). “Molti italiani furono uccisi dai partigiani jugoslavi e molti deportati” (Many of Italian were killed by the Yugoslav partisans, and many deported). “Le informazioni fattuali mi sono state lette e certifico che corrispondono al fatto da me riferito” (The factual information has been read to mi and I certify it correspond with the fact I have related).

Il richiedente Bentrovato desiderava emigrare in Canada, Australia, o Nuova Zelanda. Il 10 maggio 1951, invece M. Connor, funzionario IRO di Bagnoli (NA) per l’emigrazione Oltre Oceano comunicò all’Ufficio IRO di Milano (Milan Area Emigration Office) che Giuseppe Bentrovato non si presentò per emigrare in Australia. Tra le tante località di questa storia si sa, sempre dai documenti IRO, che Bentrovato stava a Forlì, in Via F. Daverio 10, come da una comunicazione del 23 agosto 1951. Un ultimo documento del 30 settembre 1951 menziona il fotografo Giuseppe Bentrovato riguardo a una migrazione individuale in Bolivia, ma non si sa come finì.

Si ritiene che la cognata del nostro fotografo di Zara fosse Bentrovato Maria Irene, nata Gavazzi, del 1911 di Boltiere (BG). Dal 1924 risultò residente a Zara con i genitori e nel 1943 fu sfollata a Bergamo, in Via Carnevali 49 (proprio come il fotografo zaratino), con le figlie Graziella (nata a Zara nel 1937) e Giuliana (Zara 1943). Come dagli atti del tribunale di Genova dell’8 settembre 1949, essendo in quel periodo Maria Irene Gavazzi infermiera all’Ospedale “Gaslini” di Genova, pure lei si separò dal marito Ermenegildo Bentrovato, militare che fu internato in Germania. Maria Irene fece domanda per emigrare in Australia al solito Comitato di Bergamo dell’ANVGZ e fu dichiarata “Eligible”, ossia: idonea a partire con le figlie Graziella e Giuliana, nate a Zara.

Bentrovato Maria Irene Gavazzi, con la figlie Graziella e Giuliana, zaratine, nella pratica d'assistenza IRO per emigrare in Australia, dagli Archivi di Arolsen (Germania)
Per leggere altre testimonianze sull’emigrazione di istriani, fiumani e dalmati in Australia, come le vicende degli zaratini Carlo Mirelli-Mircovich e Illuminata Trentini, si può vedere ad esempio il libro di Guido Rumici e Olinto Mileta Mattiuz intitolato “Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate”, quarto volume: Il lungo dopoguerra (Mileta Mattiuz O, Rumici G, 2015 : 77-94). Si sa che dei 300 mila profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, che costituiscono l’esodo giuliano dalmata, oltre 70 mila emigrarono in Canada, Argentina, Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Brasile e altri parti del globo mediante l’intervento dell’IRO. Certi esuli, pur non ricevendo l’assistenza dell’IRO, se ne andarono negli USA con mezzi finanziari propri pur di abbandonare i disagi delle baracche o delle camerate dei Campi profughi.

Conclusioni

La presente analisi storica, così articolata, si basa sui documenti d’archivio e sulla bibliografia citata. Si sono cercate altre notizie, poiché potrebbero esserci dei risvolti ulteriori. Si capisce che l’amore non ha confini, nemmeno linguistici, dato che il militare tedesco Hans Liebschner sposò Iolanda Bentrovato, sfollata di Zara e figlia del noto fotografo di Calle delle Carceri nel capoluogo dalmata del Regno d’Italia. Quella gente, nel dopoguerra, è disponibile ad una grande mobilità territoriale. Le sorelle Gavazzi Teresa e Maria Irene, coniugate in Bentrovato, vissute tra Bergamo e Zara e separate legalmente dai rispettivi consorti, sono disposte a emigrare, o sono definitivamente emigrate in Australia. Altri di famiglia finirono in Bolivia.

Si comprendono, infine, i modi in cui la famiglia è stata definita e regolata nel Novecento – come ha scritto Chiara Saraceno – con le forme di interdipendenza tra organizzazione familiare, sistemi economici e mercato del lavoro (Saraceno C, Naldini M 2020), aprendo uno squarcio sulla condizione della donna nelle situazioni estreme, come quelle successive a un grande conflitto mondiale.

 

Bibliografia e siti web

- Guida generale di Trieste e commerciale della Venezia Giulia, Fiume, Sebenico, Zara, Trieste, Vitoppi Wilhelm & C., 1937.

- Olinto Mileta Mattiuz, Guido Rumici (a cura di), Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate. Quarto volume: Il lungo dopoguerra , Gorizia, ANVGD Gorizia-Mailing List Istria, 2015.

- Chiara Saraceno, Naldini Manuela, Sociologia della famiglia, 4^ edizione, Bologna, Il Mulino, 2020.

- Stefano Testa, Il secondo principio di Hans Liebschner, film documentario, Italia, 2020, durata 88 minuti.

- Lucio Toth, Storia di Zara dalle origini ai giorni nostri, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2016.

- Unterlagen von Bentrovato, Giuseppe, geboren am 18.08.1905, geboren in Lussinpiccolo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

- Unterlagen von Bentrovato, Maria, geboren am 22.08.1911, geboren in Boltiere Bergamo und von weiteren Personen. Arolsen Archives (Germany).

--

Progetto di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Bruna Zuccolin, Bruno Bonetti, Sergio Satti, Annalisa Vucusa (ANVGD di Udine) e i professori Ezio Cragnolini e Enrico Modotti. Copertina: Documento IRO di Giuseppe Bentrovato (Archivio di Arolsen). Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Fotografie dall’Archivio di Arolsen e studi presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin, che fa parte pure del Consiglio nazionale del sodalizio e, dal 2024, è Coordinatore dell’ANVGD in Friuli Venezia Giulia.  Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi.   Sito web:  https://anvgdud.it/


lunedì 6 febbraio 2017

I Bonetti di Zara nell’esodo dalmata

Gina Bonetti fu tra gli ultimi abitanti che nel 1944 lasciarono la città di Zara / Zadar, colpita da 54 incursioni aeree anglo-americane e sotto la pressione dei miliziani di Tito. Il piroscafo Sansego che, nel 1944, la portava in fuga era talmente sovraccarico che dovette lasciare i bagagli a terra, perdendo così per sempre il vestiario, i ricordi e le fotografie della famiglia.
Zara, cartolina del 1898. Si noti che il fotografo o stampatore, tale "A. Gilardi & Figlio, Zara", reca lo stesso cognome di certe famiglie coinvolte nel presente articolo. 
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine

Sono vicende già note a chi ha letto le Memorie di Emilia Calestani, che visse lo stesso disperato esodo sulla nave costretta a viaggiare di notte a luci spente, sotto i raid alleati, in condizioni igieniche penose e con l’ansia per le minacce del presente e le incertezze del futuro.
Nel caso di Gina (Cittavecchia / Starigrad 1885 – Milano 1966), le angosce venivano anche dalla recente morte, il 17 novembre del 1943, del marito Amato Filippi (Obbrovazzo / Obrovac 1884). Preside del liceo di Zara, direttore dell’Aquila del Dinara su cui scriveva D’Annunzio (i fitti carteggi tra i due sono tuttora conservati dalla famiglia) e vicepresidente della Provincia, era morto di malattia contratta a seguito delle notti passate all’addiaccio, dopo che le bombe avevano distrutto la loro casa.
Come ricorda Antonio Cattalini in I bianchi binari del cielo, “i funerali del prof. Filippi furono un plebiscito di compianto e di devozione ad uno dei figli più degni ed onorati della città morente”.
Le vedove dalmate affrontarono l’esodo con grande spirito di intraprendenza, anche se spesso “ospiti in una patria voluta, ma che non le desiderava”. Come tante di loro, nonostante il grande dolore, Gina non amava ricordare quegli eventi. Le nonne parlavano poco di quei fatti, con la motivazione che: “a forza de sbisigar ne le bronze, xe impiza el fogo”.

Cartolina di Spalato, anni Venti. Ripresa da Internet

Come ho già scritto, è stata la signora Elvira Dudech, di Zara, a ripetermi varie volte che: «No se gà de contar cosse brute ai pici». Quindi l’autocensura era motivata dal non far star male le giovani generazioni, oppure dalla vergogna dell’esodo, o anche dalla paura di definirsi esuli giuliano dalmati.
Tuttavia molti «cuccioli dell’esodo istriano», secondo una indovinata dizione di Roberto Zacchigna, cioè i discendenti, sono alla ricerca della memoria familiare e del paese d’origine. Ad esempio Bruno Bonetti, che si è dedicato alla ricerca delle proprie radici con una approfondita indagine genealogica sui Bonetti di Zara, occupandosi poi anche del ramo spalatino della famiglia, di sentimenti croati.

Oltre al grande esodo, per i dalmati ci fu anche il “primo” esodo, 1920-1931
Con Gina furono esuli anche i figli, tra cui Cesia Filippi (il nome fu un vezzo del padre latinista, dalla «gens Caesia», che significa “celeste”), che sposò Giuseppe Gilardi, discendente della casata spalatina proprietaria dell’omonimo cementificio “Gilardi & Bettiza”.
Bruno Bonetti, Signo / Sinj 1879 – Trieste 1933

Il dettaglio è importante perché ci permette di mettere a fuoco un fatto importante per la Dalmazia e ancora poco conosciuto: il “primo esodo”.
Alla fine della prima guerra mondiale, tutta la Dalmazia, tranne Zara, era stata assegnata al Regno serbo croato sloveno. La comunità italiana di Spalato, la più forte e organizzata della regione, era largamente minoritaria e pari al 15% circa della popolazione; ma aveva nelle sue mani le principali attività produttive, industriali e commerciali, della città.
Analogamente con quanto sarebbe successo ad opera del fascismo al di qua del confine, dopo la presa del potere, i croati incominciarono ad accanirsi contro i dalmati italiani. Le vetrine dei loro negozi venivano fracassate e squadre di picchiatori aggredivano chi rivendicava i diritti della minoranza.
Gina Bonetti

Le persecuzioni si intensificarono nel 1928, quando le lotte interetniche sconvolsero il regno serbo croato sloveno, e dopo il colpo di Stato del 1929, quando re Alessandro avocò a sé tutti i poteri per sedare i dissidi e cambiò il nome dello Stato in Jugoslavia, portando avanti un programma di assimilazione forzata di tutte le differenze culturali dei popoli che lo componevano.
Fu così che il cementificio Gilardi & Bettiza di Spalato, la più importante industria della città, fu ceduto il 25 marzo 1929 alla famiglia croata Ferić. Quanto ai Gilardi, lo stesso anno dovettero ritirarsi a Zara, che era terra italiana, ignari che di lì a poco li avrebbe aspettati un nuovo esilio.
Un destino simile attese la cugina del ramo spalatino Nada Bonetti (San Pietro della Brazza / Supetar 1905 – Roma 1998). 
Costei aveva sposato l’ingegnere triestino Giuseppe Pahor, occupato nello stabilimento di carburo di calcio della SUFID di Punta Lunga / Dugi Rat presso Almissa / Omiš. Nel 1929 la proprietà italiana della SUFID (Società per l'usufrutto delle forze idriche della Dalmazia) fu costretta a vendere. I nuovi dirigenti accondiscesero immediatamente alle richieste croate di mortificare l’elemento italiano. Trenta operai con le relative famiglie rinunciarono alla cittadinanza italiana e dal 1931 la cittadinanza iugoslava fu un requisito indispensabile per non essere licenziati. Così si espresse la stampa croata: «Facciamo appello alla coscienza degli industriali affinché allontanino dai lavori gli operai stranieri e occupino i nostri»: gli stranieri erano gli spalatini di cittadinanza italiana. Analoga sorte capitò agli operai del cementificio di Spalato. Nada con il marito Giuseppe dovette quindi riparare in Italia, e finì i suoi giorni a Roma.
Zara, Riva nuova. Cartolina da Internet 

Come Gina, anche la sorella maggiore Evelina Bonetti (Signo / Sign 1878 – Milano 1967) fu profuga da Zara; ma anche per lei le pene dell’esilio furono doppie. Evelina infatti aveva sposato il medico lesignano Vincenzo Fabiani (Cittavecchia / Starigrad 1870 – Milano 1959), vivendo con lui sulla stessa isola.
Fabiani nel 1911 si era presentato candidato per il Partito italiano nelle elezioni politiche per la Dieta della Dalmazia. Il Partito croato, appoggiato dalle autorità austriache, ebbe la meglio, ma Fabiani a Cittavecchia riportò la maggioranza dei voti. Il «Narodni list» pubblicò in quell’occasione un articolo, in cui si rimproveravano i croati, padroni dell’amministrazione comunale, di non essere riusciti ad impedirne l’affermazione, con il pericolo di perdere in futuro il Comune.
A seguito del trattato di Rapallo, che assegnò l’isola di Lesina al regno serbo croato sloveno, nel 1920 la famiglia dovette lasciare tutto e imbarcarsi alla volta di Zara. Nelle elezioni amministrative del 1923 (le prime dopo la redenzione), Fabiani venne eletto sindaco. Direttore dell’ospedale civile, fu affettuoso maestro di un’intera generazione di medici dalmati. Ma, come detto, durante la seconda guerra mondiale, Evelina e Vincenzo dovettero fuggire una seconda volta, a Milano.
Porto di Ancona, idrovolante Ancona-Zara andata e ritorno, 1930-1935. Cartolina da Internet

Il “primo” esodo a Veglia, 1920
Bruno Bonetti ci ha raccontato anche di sua zia Ottilia (Zara 1918 – Trieste 1989), che sposò in seconde nozze il veglioto Livio Benevenia.
Alla fine del primo conflitto mondiale, Veglia / Krk, città a maggioranza italiana, capoluogo dell’omonima isola, non venne ricompresa all’interno dei nostri confini. Qui, il nuovo governo serbo croato sloveno rese la vita difficile agli italiani. Il Comune fu commissariato e venne occupata con la forza la scuola italiana. Chiunque ricopriva una professione, optando per la cittadinanza italiana, non vedeva riconosciuti i suoi titoli e fu costretto a emigrare. 
Tra gli esuli, il dottor Livio Benevenia (Veglia 1911 – Trieste 1977), futuro ragioniere capo dell’ospedale di Trieste, che dovette lasciare l’isola nel 1920 con il padre, il medico Aldo Benevenia. La gran parte degli italiani, tuttavia, per lo più pescatori, agricoltori ed artigiani, non avendo interessi economici da tutelare, restò, tanto che alla vigilia della seconda guerra mondiale la metà degli abitanti di Veglia era ancora italiana.
Lesina 18 novembre 1918. Accoglienza alle truppe italiane. Cartolina a cura del Circolo Dalmatico Jadera di Trieste nel decennio della sua costituzione 1960-1970. 
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine

Chi nel 1920 dovette andarsene per lavoro…
Infine, non può essere dimenticato come la fine della comunità italiana della Dalmazia sia dovuta anche ai trasferimenti dei molti dipendenti della pubblica amministrazione di Zara dopo il trattato di Rapallo. È il caso di Bruno Bonetti (Signo / Sinj 1879 – Trieste 1933), fratello di Gina ed Evelina, e nonno dell’omonimo nostro odierno testimone. Bruno, alla fine della Grande guerra, era dirigente postale a Zara, città che lasciò per sempre, comandato a Trieste il 16 luglio 1921.
La nuova amministrazione serbo croato slovena, infatti, cercò il più possibile di tagliare fuori dalle linee postali e telegrafiche Zara, che fino ad allora era, oltre che la capitale, il centro delle comunicazioni della Dalmazia. Con l’annessione all’Italia, la città divenne una piccolissima enclave slegata dal suo territorio. Dal 1921 al 1922 passò da 17.000 a 11.000 abitanti perché i numerosi funzionari vennero trasferiti con nuove posizioni in seno all’amministrazione italiana.

…e chi preferì restare assimilandosi
Dopo il Trattato di Rapallo, a Spalato quasi tutti gli italiani, per lo più appartenenti alla borghesia, posti di fronte all’opzione per la cittadinanza prevista dal trattato, rifiutarono questa scelta, che avrebbe impedito loro l’accesso agli uffici pubblici, lo svolgimento delle professioni di medico, ingegnere, avvocato, notaio, e avrebbe ostacolato la loro attività industriale.
Spalato, 1930. Cartolina da Internet

Così si spiega come dalmati dai nomi di origine inequivocabile, e che in casa parlavano dialetto veneto (come il deputato Bianchini o il sindaco Tartaglia) si siano professati jugoslavi. Ivo Tartaglia, compagno di ginnasio di Bruno Bonetti, fu il primo sindaco del regno serbo croato sloveno di Spalato, dal 1918 al 1928, anno in cui gli successe il cugino di Bruno, Pietro.
Pietro Bonetti (Spalato / Split 1888 – Zagabria / Zagreb 1967) merita un cenno biografico a sé. Calciatore dilettante, giocò nello storico derby dell’11 giugno 1911 tra Hajduk e Calcio Spalato (la squadra della minoranza italiana), davanti a un pubblico allora eccezionale di tremila spettatori, e vinta per 9-0. Partita che fu un simbolo della fine della comunità italiana in Dalmazia. Pietro fu anche uno dei primi presidenti dell’Hajduk, tra il 1912 e il 1913.
Alla fine della Grande guerra, si schierò politicamente con il partito unionista slavo. Magistrato e consigliere di banovina, nel dicembre 1924 fu nominato regio commissario del Comune di Dernis / Drniš. Si trattava di un incarico difficile, che esercitò con equilibrio, essendo la località teatro di aspri scontri fra serbi e croati, che impedivano di eleggere un’amministrazione. Si guadagnò così la fiducia di entrambe le parti e soprattutto del re.
Pietro Bonetti

Come sopra ricordato, a Spalato, nel 1928 si riaccesero le persecuzioni contro gli italiani. Alla fine del decennale mandato del carismatico Ivo Tartaglia, il nuovo consiglio comunale non riusciva ad eleggere un sindaco. Re Alessandro pensò bene di nominare komesar Pietro Bonetti. Pochi mesi, da luglio a novembre 1928, e la città ritornò pacificamente all’ordine. Il commissario da un lato garantì fedeltà al re serbo, che stava instaurando una dittatura centralista (e per questo sarebbe stato assassinato a Marsiglia nel 1934); dall’altro, tutelò l’autonomia della città e della sua popolazione croata, oltre che il rispetto della minoranza italiana.
Sebbene tenesse contatti con la resistenza jugoslava, mantenne importanti funzioni amministrative durante l’occupazione italiana di Spalato, diventando dall’aprile 1941 al settembre 1943 il braccio destro dell’amico viceprefetto Oscar Benussi (poi prefetto della Repubblica sociale a Treviso e, sotto il governo De Gasperi, di Cremona e di Firenze, per concludere la carriera come consigliere di Stato).
Pietro Bonetti, altrettanto abile e capace, continuò a fare carriera a Zagabria, che concluse (mai iscritto al partito) come capo ufficio legale del governo croato jugoslavo comunista.

Fonti orali e ringraziamenti
Si precisa che è stato indicato il bilinguismo (italiano / croato) nei toponimi, per comodità di lettura e di individuazione delle località sugli atlanti e sulle carte geografiche. Si ringraziano e si ricordano le seguenti persone, intervistate a Udine, con taccuino, penna e macchina fotografica, a cura di Elio Varutti, se non altrimenti specificato:
Bruno Bonetti (Gorizia 1968), intervista del 18 dicembre 2016.
Elvira Dudech (Zara 1930 – Udine 2008), intervista del 28 gennaio 2004.

Elvira Dudech, al centro, in passeggiata con amiche nel corso di Laterina (Arezzo), sede di un Centro Raccolta Profughi, 1949. Fotografia per gentile concessione di Claudio Ausilio 

Archivi parrocchiali e comunali
Sono stati consultati da Bruno Bonetti per le sue ricerche genealogiche i seguenti archivi:
- Archivio arcivescovile di Zara
- Archivio di Stato di Zara
- Archivio di Stato di Spalato

Collezioni private
- Collezione Claudio Ausilio, delegato provinciale ANVGD di Arezzo
- Collezione famiglia Bonetti, Udine
Collezione professor  Giuseppe Bugatto  (1924 - 2014), esule da Zara a Udine
- Collezione famiglia Gilardi, Venezia
Collezione Antonie Aloisia Mosettig, Abbazia, ora in collezione privata, Udine


Zara con architetture in stile razionalista, 1925-1935. 
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine

Bibliografia
- Bruno Bonetti, I Bonetti di Dalmazia negli ultimi duecento anni, Udine, 2013, videoscritto in formato PDF, con immagini in b/n e a colori.
- Emilia Calestani, Memorie. Zara, 1937-1944, Udine, Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, 2013.
- Antonio Cattalini, I bianchi binari del cielo, Trieste, L’Arena di Pola, 1990.
- Michele Zacchigna, Piccolo elogio della non appartenenza. Una storia istriana, Trieste, Nonostante Edizioni, con una postfazione di Paolo Cammarosano, 2013.
- Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia, Firenze, Le Lettere, 2007.
- Marzio Scaglioni, La presenza italiana in Dalmazia, 1866-1943, Università di Milano, Facoltà di scienze politiche, a.a. 1995-96. Tesi di laurea, relatore prof. Edoardo Bressan, correlatore prof. Maurizio Antonioli.

Abbazia, passeggiata lungo mare, 1913, cartolina viaggiata. Collezione Antonie Aloisia Mosettig, Abbazia, ora in collezione privata, Udine

Sitologia
- Petar Bonetti (Split, 3. listopada 1888. - Zagreb 14. listopada 1967)

Ombrellino parasole femminile da passeggio, Paglia, velluto nero, legno, metallo, filo. Anni 1910-1912. Collezione Antonie Aloisia Mosettig, Abbazia, ora in collezione privata, Udine

giovedì 25 febbraio 2016

Donne fucilate a Spalato, 1943

«Mia mamma si chiama Margherita Covacich ed  è nata a Spalato nel 1939 – esordisce così Antonella Mereu nel raccontare una storia dell’esodo dalmata della sua famiglia – sono venuti via nel 1943, era il 28 agosto, c’erano lo zio, mia madre, un cugino, poi c’era la sorella di mia madre, Maddalena e sua madre, ovvero mia nonna, Antonietta Aviani, nata nel 1908 a Milna, sull’Isola di Brazza».
Domanda: Come mai sono fuggiti da Spalato?


Risposta: «Sono venuti via perché sparivano le persone – prosegue la testimonianza di Antonella Mereu – e i partigiani di Tito facevano la fucilazione degli italiani. Due donne della mia famiglia sono rimaste lì. “Cosa vuoi che ci facciano?” – dicevano. Hanno fucilato pure una di loro: Romana Covacich. Le donne rimaste erano la mamma e la sorella di mio nonno Antonio».
D.: Qual è la prima tappa dell’esodo dalla Dalmazia della sua famiglia italiana di Spalato?
R.: «Arrivarono a Trieste – ha detto la Mereu – e furono alloggiati in un albergo, poi furono destinati ad Arta Terme, in provincia di Udine, presso un albergo locale. Poi si spostarono in Veneto, nel Trevigiano».
D.: Ricorda altri familiari in fuga da Spalato?
R.: «Nel 1944 è riuscito a scappare anche il nonno, Antonio Covacich, che era impiegato al Credito Italiano. Era nato a Spalato nel 1908. È salito su una nave della Croce Rossa; c'erano due navi, quella davanti alla sua è stata affondata, subito dopo la partenza».
D.: Altri ricordi riguardo alla partenza?
R.: «I miei familiari si ricordano che sono partiti – conclude la testimonianza della Mereu – con una valigia, un materasso e la carrozzina da bimbo».
---
Da una fonte in Internet si legge la notizia su Romana Covacich, da Spalato, uccisa dopo l'8 settembre 1943; la notizia dell'esecuzione fu data il 28-1-1944.

 

Immagini da Internet 
Un'altra testimonianza su Spalato
Un racconto su Spalato è stato riportato, nel 2005, anche da Mario Blasoni, giornalista del «Messaggero Veneto», che l'ha poi pubblicato in un libro. Il testimone raccolto è Rodolfo de Chmielewski, nato a Udine nel 1931, con lontani avi polacchi. Egli è figlio di un funzionario dell'Intendenza di finanza di Spalato, il ragioniere Giorgio de Chmielewski (1885-1966), esule nel 1921 in Friuli e a Trieste.
«Mio padre era di sentimenti italianissimi – ha detto Rodolfo de Chmielewski a Blasoni – un vero irredentista. Nel 1921, quando la Dalmazia è stata assegnata al Regno di Jugoslavia, non ha voluto giurare fedeltà a Re Pietro e ha perso il posto. Ha dovuto optare per l’Italia, andando prima a Trieste e poi a Udine».
Questo è il primo esodo per molti italiani di Spalato, Ragusa, Sebenico e Traù. Gli slavi in quel periodo se la prendevano solo con le tombe o coi leoni di San Marco, presi a mazzate per far scomparire ogni traccia storica di italianità.
«Per mio padre era stato doloroso dover lasciare la sua amata Spalato – ha raccontato Rodolfo de Chmielewski a Blasoni –. E nel 1941, quando la Dalmazia venne occupata dagli italiani, volle tornarvi con la famiglia».
Rodolfo frequenta a Spalato la quinta elementare e la prima media, poi succedono cose truci.
«Nel 1943 ci fu il 25 luglio – ha detto il testimone – e poi cominciò la caccia agli italiani, identificati coi fascisti da parte dei croati».
Suo padre, Giorgio de Chmielewski, divenuto ragioniere capo dell’Intendenza di finanza di Spalato fu imprigionato dai titini, ma dopo alcuni giorni lo lasciarono tornare a casa.
«Un suo fratello, invece, fu ucciso in seguito e in Italia da un komando di partigiani rossi assieme alla moglie incinta di sei mesi – ha concluso Rodolfo de Chmeilewski al giornalista Blasoni –. Sono ricordi orribili».

---
1.      
Le bombe su Zara
Andiamo ora a sentire un testimone dalmata vivente. Si tratta di Sergio Brcic, nato a Zara nel 1930. Egli è uno storico della Dalmazia, ma di recente, viene contestato il risultato delle sue ricerche storiche orientate soprattutto ai 54 bombardamenti di Zara, enclave italiana sulla costa dalmata dal 1918 al 1943. La contestazione viene da parte degli storici croati di questi decenni.
Elio Migliorini nella voce Zara del secondo volume di appendice dell'Enciclopedia Treccani, pubblicato nel 1949, scrive: «oltre l'85% degli edifici fu distrutto o danneggiato; 4000 cittadini ci lasciarono la vita».
«La mia Zara non esiste più – afferma in modo stentoreo Sergio Brcic – perché è stata cancellata per volere dei titini con i continui bombardamenti anglo-americani».
Domanda: A che punto è il contrasto con gli storici croati sui bombardamenti di Zara italiana?
Risposta: «Per i croati di questi anni i morti negli attacchi aerei del 1943-1944 sono stati circa 400 – risponde Brcic – mentre ne abbiamo avuti oltre 2000, si tenga presente poi che le bombe hanno ucciso gli italiani sì, ma hanno perso la vita anche vari croati».
D.: Sembra che non ci sia concordanza nemmeno sul numero totale dei bombardamenti. È vero?
R.: «Loro hanno scritto che sono stati sei in tutto – spiega Brcic – poi hanno cambiato idea e sono arrivati a conteggiare 30 azioni aeree sulla città di Zara, ma in verità gli attacchi sono stai 54 in tutto e sono stati devastanti, Zara è stata rasa al suolo, non come a Pola che era dotata di tanti rifugi antiaerei nelle cavità naturali».
---
Un altro zaratino, Antonio Nicolich, ha detto: «Son vegnù via nel 1948, dopo le opzioni, ma non i dava tanti permessi, dopo son andà a Milano e no son mai più tornà a Zara, perché della mia città cossa sarà restà, dopo 54 bombardamenti e coi cambiamenti fatti da quei che xe vegnui dopo».
---
Anche Bruno Perisutti ricorda la fuga da Zara della sua famiglia: «Siamo scappati da Zara nel 1943 – dice Perisutti – e siamo andati ad Aiello del Friuli da certi parenti, poi dal 1950 si abitò a Udine, in Via delle Fornaci, nelle case Fanfani, vicino al Centro di Smistamento Profughi».
---
La signora Elvira Dudech, da Zara, andò, con nave, al Centro Raccolta Profughi di Ancona, poi per quattro anni e mezzo al Campo Profughi di Laterina (provincia di Arezzo), in quello di Chiari (provincia di Brescia, e infine a Roma coi familiari. Invece certi suoi cugini, che lei andò a visitare, erano sistemati al Centro di Smistamento Profughi di Udine, in Via Pradamano, verso il 1955. «Gò visto brande e mia cugina che dormiva in campo – ha raccontato la Dudech – jera fioi che i piangeva, i voleva la casa, le mame diseva: no gavemo più casa».

Un’altra figura notevole tra gli zaratini di Udine fu padre Cesario da Rovigo. Egli fu vicino ai profughi del Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano, poiché era un esule “di spirito” essendo stato in servizio a Zara dal 1935 al 1939. Come ha scritto Natale Zaccuri su «La Vita Cattolica» del 2 luglio 2015, a pag. 19: “Fu cappellano a San Servolo di Venezia, al Cimitero di Udine, «Guardiano» a Gorizia (dal 1928 al 1931), a Padova (1932), a Zara (1935) e «Padre spirituale» in Dalmazia”.
Dalle mie ricerche personali emerge che Padre Cesario dei Cappuccini fu rettore della Chiesa del Cimitero nel 1954, come risulta dal Libro Storico della Parrocchia della Beata Vergine del Carmine, a p. 267. Dopo l’esodo fu in servizio nella chiesa di Baldasseria, come riportato dal Bollettino Parrocchiale della Beata Vergine del Carmine del 1954. Celebrava la santa Messa pure nel Villaggio Metallico. Cesario Giacomo Finotti, detto Padre Cesario da Rovigo, nacque a Rovigo il 4 luglio 1893 e morì a Udine il 1° luglio 1983.
Duomo di Udine, 18 febbraio 1949 (oppure 1950). S. Messa con gli esuli zaratini in ricordo di S. Simeone, patrono di Zara. Si riconoscono: il celebrante padre Cesario da Rovigo, già in servizio a Zara e don Giovanni Budinich (col breviario). Tra di loro: Rita Bugatto e il signor Bognolo. Da sinistra: le signore Galessi e Cassani. Davanti a lei c’è: Antonio Bugatto (coi calzoncini). Dietro di lui: il signor Giadrini ed Elda Alesani (vicino al frate), con suo figlio Plinio (dietro al prete), accanto a Nina Nagy e sua sorella Emilia (in prima fila, col cappellino). Tra le sorelle Nagy c’è Licia Bulat, zia dei giovani Bugatto. Da destra: la signora Biasutti (volto tagliato) e il dott. Giacinto Bugatto (col lutto), direttore delle Poste di Zara, padre dei tre Bugatto. Dietro di lui: il dott. Hoffmann, vice prefetto di Udine, con sua moglie Raffaella. Dietro ad Hoffmann ci sono: Antonio Usmiani (di tre quarti), i signori Marsan, Boezio e Giuseppe Bugatto (in fondo a tutti). Collezione Giuseppe Bugatto, Udine.

---
Molto interessante è pure la biografia di Silvio CattaliniNato il 2 giugno 1927 a Zara, quando apparteneva al Regno d’Italia, Silvio Cattalini è figlio di Antonio e di Gisella Vucusa. È presidente dal 1972 del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD.
---
Le interviste ai testimoni citati sono a cura di Elio Varutti, che ha operato con taccuino e penna. Si sono svolte a Udine nelle giornate sotto riportate.
1)      Sergio Brcic, Zara (1930), int. del 10 febbraio 2016, storico della Dalmazia.
2)      Elvira Dudech (Zara 1930 – Udine 2008), int. del 15 febbraio 2007.
3)    professoressa Antonella Mereu, Treviso (1966), intervista del 12 febbraio 2016.
4)      Antonio Nicolich, Zara (1927), int. del 20 aprile 2007.
5)      Bruno Perisutti, Zara (1936), int. del 11 gennaio 2004.

Bibliografia

- Mario Blasoni, “De Chmielewski, autore di teatro e chansonnier”, in M. Blasoni, Cento udinesi raccontano, Udine, La Nuova Base, 2007, volume III, pp. 36-38.
- Oddone Talpo – Sergio Brcic, ...Vennero dal cielo : 185 fotografie di Zara distrutta 1943-1944 (1.a edizione: Trieste, Libero comune di Zara in esilio, Delegazione di Trieste, stampa 2000). Associazione Dalmati italiani nel mondo, Campobasso, Palladino, 2.a ediz., 2006.
- Natale Zaccuri, Si ricorda padre Cesario, «La Vita Cattolica» del 2 luglio 2015, Udine, pag. 19.

La bandiera dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia
---

Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina.  È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che  ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD di Udine.