Venerdì 19 febbraio 2016 presso
l’aula magna dell’Istituto “Bonaldo Stringher” di Udine si è tenuto il primo
incontro promosso da School Academy, branchia del Gruppo Spaggiari Parma.
L’evento, dedicato alla didattica digitale, era rivolto alla formazione e
aggiornamento dei docenti. Ha visto la partecipazione di un centinaio di insegnanti e l'intervento del professore di filosofia della scienza Stefano Moriggi, dell'Università Milano Bicocca.
Udine, Auditorium Istituto Stringher - Corso di aggiornamento con il prof. Stefano Meriggi, filosofo della scienza
Dopo la presentazione del
professor Carlo Vendraminetto (docente di Informatica allo Stringher), Moriggi
ha motivato lo scopo del corso. «Per aumentare la consapevolezza tecnica nei
docenti – ha detto Moriggi – non basta usare le nuove tecnologie, conseguendo
risultati didattici in termini di conoscenze e competenze, ma tutto deve
partire da una nuova mentalità didattica in modo da attuare una rivoluzione
nell'insegnamento».
Moriggi, partendo da esempi
storici puntuali, come l'uso dei Lunar Men
inglesi di far assistere i bambini ad esperimenti scientifici ha ricordato
l'introduzione del libro quale primo strumento didattico di interazione
tecnologico. I Lunar Men erano
chiamati così perché, al termine degli esperimenti scientifici si recavano a
casa propria alla luce della luna. Poi Moriggi ha sottolineato che proprio il
libro ha posto fine all'antico metodo di apprendimento della disputa e della
dialettica tra maestro e allievi, nel solco della tradizione greca. Se infatti
il libro e di conseguenza la scrittura, come supporto alla conservazione della
memoria, ha spostato i ricordi dall'interno della mente all'esterno del corpo
operando quindi una "sostituzione".
Già Platone individuò l'equivoco
tra la scrittura come rimedio alla perdita di memoria, che definì pharmakon, nel senso di medicina, che
cura ma non guarisce, ma anche nel senso di veleno. La scrittura, quindi, per
Platone fu la medicina che avvelenò e allo stesso tempo il veleno che curò la
memoria umana, che però lo stesso filosofo usò come strumento didattico per
redigere i suoi famosi dialoghi aventi scopo pedagogico e didattico.
Oggi il dialogo può essere
ottenuto in classe attraverso la metodologia della flipped class in cui la relazione docente-studenti è ribaltata, in
quanto rivoluziona la lezione frontale tradizionale. Così si danno gli input
agli studenti per l'uso delle nuove tecnologie (web, tablet, internet, lim
etc..) e fornendo contenuti e competenze da discutere in gruppo ed esporre
susseguentemente in classe.
Gli studenti e la classe diventano, quindi, una
comunità scientifica di ricerca in cui il sapere è pubblico (di tutti e che tutti hanno contribuito a formare), rivedibile (valido fin a prova
contraria) e controllabile (democratico).
Il sapere quindi è aperto alla novità ma suffragato dai risultati e non
sottoposto al volere delle maggioranze come già Galileo asseriva "nella repubblica delle lettere non si decide
per alzata di mano", riprendendo Cartesio che sosteneva che nelle cose
"difficili" solitamente ad aver ragione non è la maggioranza ma la
minoranza scientificamente qualificata. Questo cambio di mentalità deve essere
alla base della nuova tolleranza
epistemologica in cui l'idea altrui è valida fino al sorgere di idee nuove.
È compito del docente durante
l'uso delle tecnologie, ad esempio, non far sentire i ragazzi in un panopticon benthamiano (carcere ideale),
che attraverso l'assiduo controllo inibisce l'uso stesso del mezzo tecnologico.
Bisogna fare assumere il ruolo di ricercatore
esperto con il compito di guidare verso la conoscenza attraverso la
rimozione del rimprovero dell'errore.
È compito infine del docente
creare un "bisogno all’uso delle
tecnologie". Oggi perciò è fondamentale portare le nuove tecnologie in
classe ma prima di tutto i docenti devono modificare la loro mentalità capace di
dare significato all'uso di queste, mentalità da trasmettere anche agli
studenti. Ai ragazzi nel loro "setting"
deputato all'apprendimento, l'aula, bisogna instillare l'abitudine di pensare a
come usare le tecnologie ma anche a pensare con
le tecnologie, in modo che gli stessi studenti capiscano il valore pedagogico
delle tecnologie stesse.
Diventando una piccola comunità
scientifica i docenti hanno l'incarico di guidare la classe verso l'apprendimento
reciproco, interattivo. Sarà compito dell’insegnante, infine, adottare le
tecnologie più idonee ai destinatari e fruitori, ai loro interessi e capacità. (C. M.)
Stefano Moriggi, filosofo della
scienza ha il pallino della didattica
aumentata. Che cosa significa? La tecnologia è entrata nelle scuole, ma si
dovrebbe puntare ad aumentare le possibilità didattiche mediante l’uso
consapevole di essa. La tecnologia informatica è uno strumento. Il conduttore
privilegiato del processo di apprendimento resta sempre l’insegnante. Egli
dovrebbe cambiare pelle e trasformarsi in una sorta di “direttore della
ricerca”, per ogni attività didattica. La classe va intesa come una comunità di
ricercatori, dove si impara facendo. Così si lavora insieme nell’esperienza di
crescita pedagogica.
Allora non si risolve tutto con
un tablet, con la LIM, col il notebook per tutti, ma è determinante la rete. È
proprio il nodo del discorso. La rete è fondamentale per sviluppare le
“casematte” della didattica aumentata. I computer, gli smartphone, gli iPad
vanno usati come protesi. Sono solo lo strumento per immaginare il futuro. Da
sempre l’uomo usa la tecnica e le macchine per immaginare il futuro.
Altro concetto caro al professor
Moriggi è quello di “classe ribaltata”. Non è certo quella di quando la bidella
Mafalda fa le pulizie. La “classe ribaltata” è come un centro di ricerca, dove
si sviluppano i comportamenti di “cooperative learning”, con un controllo
reciproco, pubblico e rivedibile. Lo studio e l’impegno avverrà per isole, come nelle fabbriche automobilistiche svedesi del
1960, quando si voleva superare il taylorismo. Si andrà verso una scuola integrata? Riprendendo dall'industria, con la sua fabbrica integrata?
Cambierà pure la valutazione.
Essa dovrà tener conto dell’apporto del singolo e delle attività di gruppo,
mediante l’uso di un “Diario di laboratorio”. Un punto di debolezza di tale
approccio sta nell’inibizione del discente, che si sente “controllato” dal
professore in ogni sua mossa. Comunque, mettetevi tranquilli: la tecnologia è
nella rete. Il computer è solo una protesi.
Come ha ricordato Anna Maria
Zilli, Dirigente scolastico dell’Istituto “B. Stringher” di Udine «va
sottolineato il fatto che l'investimento e l’iniziativa di formazione con il
professor Moriggi è stata lanciata dall’Istituto Stringher, che punta all’innovazione
e alla diffusione delle nove tecnologie nella didattica».
«La nostra scuola – ha aggiunto
la preside Zilli – ha diffuso la possibilità di aggiornamento, attraverso il
polo formativo, di cui la scuola è partner, al territorio ed agli altri
istituti della provincia». (E. V.)
Servizi giornalistici di Cristiano Menghel e Elio Varutti
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