Ci sono stati un’emozione grandissima e tanto dolore a
Trieste nel vedere il Magazzino 18, coi suoi cumuli di masserizie abbandonate
dagli esuli italiani. Queste parole riassumono bene lo stato d’animo dei
visitatori giunti in pullman da Udine, per l’organizzazione del Comitato
Provinciale udinese dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD).
Trieste, Magazzino 18 - Franco Degrassi, presidente dell'IRCI, con cravatta chiara, assieme alla comitiva di soci dell'ANVGD di Udine. Con la cravatta rossa: Giovanni
Picco, presidente regionale dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di
Guerra, che ha portato la bandiera storica del sodalizio cucita e ricamata nel
1924. "Xe gavemo accorti dopo che la bandiera xe ribaltada, perché la emozion del posto iera granda".
Non tutti sanno che gli esuli italiani fuggirono dall’Istria,
da Fiume e dalla Dalmazia, per la paura delle violenze dei titini e
dell’uccisione nelle foibe a partire dal 1943. Il loro esodo è andato avanti
poco oltre il 1960 anche in forme clandestine, quando i graniciari (milizie confinarie per lo più serbe) al confine
tiravano contro di loro con i mitra.
Il gruppo di 22 persone, provenienti da Udine, ha visitato il
Magazzino 18 a Trieste il giorno 12 dicembre 2016 nella mattinata. È stato accolto
da vari volontari guidati da Piero Delbello,
direttore dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata (IRCI) di Trieste.
«Vi prego di portare i miei più
cari saluti – ha detto Franco Degrassi, presidente dell’IRCI – all’ingegner Silvio Cattalini, presidente del vostro Comitato Provinciale dell’ANVGD, oggi assente
per malattia, come mi avete detto».
Appena arrivati al Magazzino 18
Il racconto su Cristicchi
Mentre Delbello introduce il
gruppo nella prima stanza, quella delle fotografie, sbircio un nome scritto in
grande dietro un mobile: Gastone Benussi. È così il Magazzino 18. Duemila metri cubi di masserizie. Contiene
mobilia e oggetti della vita quotidiana della gente italiana in fuga dalla
Jugoslavia, poi abbandonata per l’emigrazione verso l’Argentina, gli Stati
Uniti d’America o l’Australia. Oppure quella roba non stava nelle case, dove i
profughi trovavano un domicilio in varie parti della penisola. Quasi ogni pezzo
ha il nome o l’etichetta col nominativo dell’originale proprietario.
La roba era al Magazzino 18 o a
quello n. 26, mentre i proprietari stavano al Campo profughi. L’Italia ha
aperto una grande quantità di Centri di Raccolta Profughi (CRP). Secondo padre
Flaminio Rocchi erano 109, invece circa 140 secondo Guido Rumici. «Venivamo qua – ha spiegato Delbello, classe
1961, quindi è un cucciolo dell’esodo
– a prendere i vestiti dell’inverno, ogni famiglia aveva i mobili e le sue cose
messe assieme a cubo, poi per fare la
mostra abbiamo scelto di presentare i generi: le sedie, le madie, i letti, le
fotografie, i piatti e così via».
Ingresso al Magazzino 18, Trieste
Delbello, molto coinvolgente,
racconta che verso il 2011 un certo Simone Cristicchi volle visitare questo
contenitore di vecchi e impolverati mobili e masserizie situato nel porto
vecchio di Trieste. Così iniziò l’interesse del famoso cantautore per la
tematica dell’esodo giuliano dalmata. «Cristicchi guardava e ascoltava molto,
ma proprio molto – ha detto Delbello – saremo stati qui oltre quattro ore, poi
io ho provato a dirgli di scrivere una canzone su questi fatti e lui dopo un
po’ di silenzio, mi ha risposto: No ne farò uno spettacolo». In questo modo è
nato lo spettacolo teatrale “Magazzino 18” di Cristicchi, che ha registrato
centinaia di repliche in Italia, Slovenia, Croazia, Stati Uniti, Canada,
Argentina...
Trieste, Porto vecchio, Magazzino 18, la montagna di sedie
Poi Delbello descrive
l’anonimato delle numerose fotografie appese alle pareti. «Solo da poco – ha
spiegato – abbiamo saputo che quella donna di Capodistria è una De Manzin».
Alla visita guidata partecipa anche Giovanni Picco,
presidente regionale dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra,
che ha portato la bandiera storica del sodalizio cucita e ricamata nel 1924.
Nella seconda stanza ci sono alcune gigantografie con le classiche immagini
dell’esodo da Pola e dagli altri luoghi degli italiani d’Istria, Fiume e
Dalmazia. Osservo molte tavole di legno per fare il bucato a mano nei mastelli (“le mastele”). Addirittura ci sono dei
setacci (“crivei par tamisar”) per
passare le farine o le salse, le composte. C’è molta etnografia in questi
spazi, c’è proprio la storia delle tradizioni popolari, degli usi e dei costumi.
Sarebbe molto interessante se accanto agli oggetti esposti ci fossero i termini
in dialetto istro-veneto, oltre che in italiano e, magari, in inglese, per
indicare cosa sono.
È che il Magazzino 18 non è un museo nel senso classico del
termine. Pur con una forma espositiva, curata dai volontari, è tuttora un
semplice contenitore di masserizie, diventate di proprietà dello stato nel
1978, dopo l’ultimo manifesto indetto per andare a riprendersi le cose in esso
contenute.
«Cos ti vol far con quele quatro
scovaze de roba rota e sporca?» Dicevano così i profughi e i loro discendenti
fino agli anni 1970-1980. L’esodo era un fenomeno di cui vergognarsi. Non si
poteva parlare molto di quegli avvenimenti. Oggi gli storici dicono che dal
dopo guerra c’era la congiura del silenzio, per non disturbare Tito che si era
staccato dall’URSS. Si discute ancor oggi del silenzio dei profughi istriani.
Nel terzo millennio si è perfino formata una corrente di storici negazionisti,
che negano o riducono i dati sulle morti nelle foibe, sulle violenze titine e
sulle prevaricazioni jugoslave contro gli italiani d’Istria, di Fiume e
Dalmazia.
Il Magazzino 18 è un luogo di
memoria, di storia e di etnografia. Non è un museo ufficiale, ma un contenitore
culturale di alto profilo, perché evoca pensieri, eventi, vicende familiari di
una comunità gettata fuori dalle proprie case con la violenza psicologica e
fisica nella metà del Novecento.
Trieste, Magazzino 18, il canyon di mobili
I visitatori con le
lacrime agli occhi
Si pasa in altre stanze. Ci sono pochi giocattoli o oggetti d’infanzia:
un monopattino, una carriola, un passeggino, un girello e qualche bambola di
pezza. E tanti bauli. Anche fatti male. Fatti di corsa dal nonno, dallo zio “con pochi ciodi, perché mancava i ciodi”.
A qualche visitatore viene la lacrima agli occhi. Baule di G.
Petronio, collo n. 46. Baule: F. Stivek, CRP Trieste. Baule di Milanese
Giovanni. Delbello si ferma vicino alla fotografia di una coppia al Campo
Profughi di San Sabba. «Lori i
xe miei cugini – ha raccontato commosso – al Campo Profughi di San Sabba a
Trieste, vedè col filo spinato intorno alle baracche».
Trieste, Porto vecchio, Magazzino 18
La Risiera di San Sabba, dopo essere stata unico lager nazista in
Italia per concentrare ebrei ed altri prigionieri diretti ad Auschwitz per l’eliminazione
è stata utilizzata, per le baracche di legno, come Campo Profughi istriani,
fiumani e dalmati.
Del resto a Trieste sono stati aperti 18 CRP. L’ultimo a
chiudere, nel 1976, è stato quello di Padriciano, dove «è morta di freddo una
bambina di dodici mesi, Marinella Filippaz l’8 febbraio del 1956, anche ela mia
cugina seconda, perché no se podeva far fogo nelle baracche de legno, dopo
sempre al CRP de Padriciano mio nonno, nato nel 1895 e morto nel 1971 vardava
dalla finestra della baracca, ma no iera niente de vardar, perché iera el
bosco, nonno iera cussì, nol parlava mai, anche i miei parenti gà parlado poco
dell’esodo, mi penso: per vergogna. Sarebbe interessante approfondire certe
tematiche delle quali adesso si comincia a parlare, come il suicidio degli
esuli, oppure come l’alcolismo degli esuli, oppure la malattia mentale degli
esuli».
Marinella Filippaz, morta di freddo in Campo profughi, fotografia dal gruppo di Facebook "Esodo istriano per non dimenticare"
Ci commuoviamo un po’ tutti quando uno della nostra comitiva,
il signor Flavio Fiorentin, oriundo di Veglia, trova due sedie di casa sua, legate
assieme con lo spago col nome segnato sopra e il luogo di destinazione: “Fiorentin,
Trieste”. Ora sono lì un pezzo del museo. C’è chi si agita e vorrebbe
raccontare centomila cose, come il geometra Piccoli, coi genitori che stavano a
Fiume.
Molti altri si commuovono e ricordano i propri cari, finiti
nella foiba, come succede alla signora Bruna Travaglia di Albona. Il gruppo è
ammutolito in un silenzio assordante.
Nella generale commozione sento dire da una signora esule da Pola: «Più che se va drento, più che ne se ingropa el cuor».
Nella generale commozione sento dire da una signora esule da Pola: «Più che se va drento, più che ne se ingropa el cuor».
Ricordi strazianti
Vedo il signor Celso Giuriceo, nato a Veglia nel 1936, che
osserva la scritta “Marsi” dietro un mobile. «Con un cognome così – ha detto Giuriceo – sarà stato di Veglia,
quasi sicuro». Si procede nella vista al museo-non museo Magazzino 18. Una
stanza è piena di stufe, in un vano ci sono le macchine per cucire. «Chissà
quanti sacrifici per comprarla – ha detto una signora di Pirano – e poi vadra lì,
dove è finita». Molte altre visitatrici annuiscono e raccontano delle loro
mamme, delle zie, delle rispettive famiglie.
Si passa nella stanza delle stoviglie. Ci sono centinaia di piatti
bianchi col bordo lobato e spesso, fabbricati in Cecoslovacchia. «Sono come
quelli della mia famiglia – ha detto la signora Daniela – quando stava a Fiume».
Altra stanza. Tra un gruppo di signore esce la frase tenerissima: «Varda
el strucapatate!» La visita prosegue nello stanzone finale. Decine di mobili
ammucchiati alle pareti. Sembra di passare in un canyon tra credenze e armadi. Ad
un certo punto c’è una “muraglia” di sedie. È quella che ha ispirato una delle
scenografie più toccanti dello spettacolo di Cristicchi. Migliaia di sedie
ammonticchiate una sull’altra. Senza ordine, casualmente. Con qualche gamba
rotta. Qualcuna mostra delle riparazioni casalinghe fatte da un papà, uno zio,
un nonno. Perfino quelle con la paglia di Vienna «le gà giustade con lo spago».
È una straziaria di affetti.
Etichetta su un mobile al Magazzino 18 di Trieste
Molte suppellettili hanno il nome, come già detto. In qualche caso
c’è l’etichetta della prefettura di un'altra provincia, perché erano ferme in
altri magazzini d’Italia e poi sono state concentrate qui a Trieste, negli anni
1965-1975.
Sono assorto. Chissà dove è finita la signora Maria Degrassi, di
cui osservo la sedia, mentre mi chiamano perché è ora di andare via. C’è solo il
tempo per le fotografie di gruppo e per le firme sul libro dei visitatori. «L’ingresso
è gratuito – ha concluso Delbello – ma vi chiedo di apporre la vostra firma sul
libro delle visite, poi stringerò la mano ad ognuno di voi».
Le firme di saluto
Al Museo Revoltella
Dopo il pranzo in un ristorante della zona, la comitiva dell’ANVGD
di Udine ha visitato, con una competente guida, il Museo Revoltella e i
mercatini di Natale, prima di rientrare nel capoluogo friulano.
Proprio nel giorno della suddetta
visita al Magazzino 18 usciva su «Il Piccolo» di Trieste una pagina intera del giornalista Silvio
Maranzana sul futuro del Museo dell’esodo istriano, comprese le masserizie del
Magazzino 18, che si cita nella bibliografia.
Riferimenti bibliografici
- Sui “cuccioli dell’esodo” si veda: Michele Zacchigna, Piccolo elogio della non appartenenza. Una storia istriana, Trieste, Nonostante Edizioni, con una Postfazione di Paolo
Cammarosano, 2013, pagg. 68, euro 10.
- Simone Cristicchi, Jan Bernas, Magazzino 18. Storie di Italiani Esuli d'Istria, Fiume e Dalmazia,
Milano, Mondadori, 2014.
- Silvio Maranzana, “Il Museo dell’esodo istriano si sposta in Porto vecchio”, «Il Piccolo», Trieste cronaca, 12 dicembre 2016.
- Salvatore Samani, Dizionario
del Dialetto Fiumano, a cura dell’Associazione Studi sul dialetto di Fiume,
Venezia-Roma, 1978.
Filmografia
- Simone Cristicchi, Magazzino 18, 2013.
Sitologia
- E. Varutti, Udine, la Todt in Baldasseria e i Cosacchi in Porta Aquileia, 2014.
- Elio Varutti, Cristicchi a Udine, "Il Giornale del Friuli", 2014.
- E. Varutti, Il viaggio di Meri. Esodo da Veglia 1944, 2016.
- AA.VV., Strage di Vergarolla, memorial a Pola e Trieste, 18 agosto 1946-2016.
- AA.VV., Strage di Vergarolla, memorial a Pola e Trieste, 18 agosto 1946-2016.
Ringraziamenti
Ringrazio i volontari dell’accoglienza alla visita del
Magazzino 18 che mi hanno consentito di effettuare alcuni scatti fotografici.
Trieste, Museo Revoltella, i visitatori dell'ANVGD di Udine
---
Servizio giornalistico, fotografico e di networking di Elio Varutti.
Il registro delle visite al Magazzino 18, Trieste
Informo il lettore che il 18 dicembre 2016 ho ricevuto questa
lettera per e-mail. La riproduco senza il nome dell’autore, che era in visita
al Magazzino 18. Mi ha molto colpito…
Caro prof. Varutti,
La ringrazio per il suo articolo che per me rappresenta uno
splendido regalo di Natale. Esso ha reso esattamente lo stato d'animo di tutti
noi visitatori di una struggente e vivissima testimonianza di un dramma che ci ha
visto involontari, ma consapevoli protagonisti e che ha lasciato in ciascuno di
noi una ferita che il tempo non rimargina. Complimenti per l'interpretazione di
ciò che la visita e la splendida guida ci hanno fatto rivivere e che la commozione ci ha impedito di
comunicare esteriormente. Grazie ancora!
Con l'augurio di un sereno Natale e di un felice 2017.
El mucio de sedie
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