«La mia
famiglia è venuta via da Pola il 2 o 3 marzo 1947 col piroscafo Toscana e siamo sbarcati a Venezia – ha raccontato
la signora Giorgina Vatta – noi siamo riusciti a portare via anche i mobili e i
bauli che sono stati in magazzino per cinque anni a Venezia».
Pola 1906, Erminia Chiudina Piaceri, al centro della foto, con altri bambini. Notare le maglie adornate dell'Arena di Pola e dell'Arco dei Sergi
Quanti eravate? «In quattro – replica la signora Vatta – mio papà Carlo Vatta,
nato a Pola nel 1900 e morto ad Anzio nel 1991, mia mamma nata a Pola nel 1903
e morta a Udine nel 1964, mi e mia sorella Elda, che la sta a Roma».
Siete passati dal Campo profughi? E avete ripreso le vostre
masserizie? «Per un mese siamo stati al Centro Raccolta Profughi (CRP) di Brescia – ha aggiunto la signora Vatta – e poi per
due anni al CRP di Fasano del Garda, in provincia di Brescia, lì le suore ci facevano da mangiare… ah, se stava ben, poi si stava nelle case ammobiliate in
affitto, andavo a scuola a Salò… i mobili? Sì, li abbiamo recuperati, ma i
tappeti erano inumiditi e rovinati, mancavano certe cose e il mobilio era
ammuffito, abbiamo dovuto ricomprare quasi tutto. Si sono salvati i bauli e i
cassoni con un po’ di abbigliamento e le bambole, che oggi custodisco gelosamente.
Mi ricordo anche una fotografia del 1906 dove mia madre, da bambina, partecipa
ad uno spettacolo assieme ad altri bambini che sono vestiti con la maglietta
con l’Arena di Pola, oppure con l’Arco dei Sergi».
La bambola dell'esodo istriano. Giocattolo del 1906 regalato alla bambina Erminia Chiudina Piaceri e partito da Pola col Toscana nel 1947; destinazione: Venezia.
Poi cosa è successo? «Mio papà Carlo Vatta e mia mamma Erminia Chiudina Piaceri volevano
andare al CRP di Vicenza – ha risposto la testimone – per restare in Veneto, vicin
de l’Istria, a Trieste non era sicuro, perché troppo vicino al confine coi sciavi,
dopo, nel 1952, ci hanno assegnato la casa al Villaggio Giuliano di Udine e qui
ci siamo stabiliti».
Cosa ricorda di Pola? «Me ricordo che son nata vicin della Arena –
ha spiegato la signora Giorgina – in Via San Martin, vicin de la ciesa de Sant’Antonio,
dopo c’è da dire che mio papà lavorava, col suo negozio di meccanico di
biciclette a Pisino e ci eravamo trasferiti là, ma dopo el ribalton [ossia dopo
l’8 settembre 1943] alle cinque de matina i sciavi titini i xe vignudi in cinque per
ciaparlo e portarlo nelle prigioni del Castel de Montecuccoli».
Carlo Vatta (25 luglio Pola - Anzio 4 marzo 1991). Fotografia tratta da "L'Arena di Pola", 23 marzo 1991.
Ha rischiato di finire ucciso e gettato in foiba? «Sì, proprio
così – ha risposto Giorgina Vatta – erano in 80 nelle carceri di Pisino e solo
in quattro sono stati salvati dai tedeschi che hanno occupato l’Istria, prima i
gà avertido che i bombardava, dopo i gà bombardà Pisino, gà occupà el paese e i sciavi titini scampava. Tutti gli altri civili italiani prigionieri dei titini sarà
morti in foiba. Gò visto i soldati italiani abbandonare le armi e scampar mezzi
vestiti da civile e mezzi da militare. Allora i miei genitori gà deciso de
tornar a Pola dai parenti e semo restadi fin al 1947».
Bambole dell'esodo istriano. Questo giocattolo è di Giorgina Vatta, quando era bambina, chiuso in un baule, ha viaggiato da Pola col Toscana nel 1947 per Venezia.
A Pola cosa succedeva? C’erano violenze contro gli italiani dopo
la guerra? «Sì, mio papà xe stado bastonado dai sciavi – ha detto la signora
Vatta – lo spetava vicin de casa, a bosco Siana, dove gavevino la bandiera
tricolor senza la stella rossa nel mezzo, così lo gà fermà e giù botte coi
bastoni, lui cascando xe gà riparado con
la bicicletta e gà fatto el morto, così xe andadi via e lui xe gà salvado,
anche se con un po’ de ossa rotte. Gavevimo un rifugio antiaereo vicin de casa
e lì gavemo tignudo nascoso un ufficial italiano per due giorni el xe gà salvado
anche lui».
Giorgina Vatta, al centro dell'immagine, tratta da "L'Arena di Pola" del 14 novembre 1992.
Qualcuno di famiglia è rimasto a Pola? «Sì, mia nonna Giorgina De
Destales, sposata Vatta, resta a Pola – ha precisato la signora Vatta – in una
casa con cinque camere, col fio Mario che el iera cieco, de famiglia se stava
ben, me ricordo che la nona pagava el medico sciavo con un vaso de porcellana
del Giappone, perché el suo primogenito, mio zio Alberto Vatta iera in
marineria, navigava per l’Oriente e portava tanti regali a tutti i familiari,
come i vasi de porcellana giapponesi».
Ha dei conoscenti all’estero o in giro per l’Italia? «Son vignuda
via a diciassette anni – ha concluso Giorgina Vatta – ho perso le amicizie, le
simpatie, le conoscenze, lori xe tutti per l’Italia, sarà anche morti… o anche
negli Stati Uniti d’America e in Australia… eh! i istriani xe dappertutto».
---
Fonte orale: Giorgina Vatta, Pola 1929, intervista effettuata
a Udine il 21 dicembre 2016 a cura di E. Varutti.
---
Le fotografie, ove non altrimenti indicato, sono della
Collezione Giorgina Vatta, esule da Pola, Udine.
--
Silvio Cattalini tra due esuli: a destra Giorgina Vatta, da Pola e, a sinistra Egle Tomissich, venuta via da Fiume nel 1948. Natale dell'esule a Udine 2016. Fotografia di E. Varutti.
Cenni bibliografici
Maria Zanolli, “In fuga da Tito, profughi a Brescia. Il giornalista Paolo
Cittadini e il suo libro: «I miei nonni hanno vissuto nel campo profughi di via
Callegari»”, «Corriere Della Sera», Cronaca di Brescia, 12
febbraio 2012.
Un abbraccio a tutti coloro che hanno sofferto senza colpa, bambini, ragazzi, donne, brave persone, Salvatore Calligaris
RispondiElimina