In Friuli è ormai normale raccontare in pubblico i soprusi
patiti per colpa dei titini in Istria negli anni Cinquanta. È accaduto questo fatto alla
sera del 18 gennaio 2018 a Villa Manin di Passariano, in comune di Codroipo,
provincia di Udine. Merito dell’iniziativa, che ha anticipato in regione il Giorno del Ricordo, è stato dello staff
del Caffè letterario codroipese. L’Associazione, presieduta da Luisa Venuti, si
è confermata come uno dei sodalizi culturali più attivi nel Medio Friuli, come
ha scritto il «Messaggero Veneto» del 18
gennaio 2018, a p. 37.
L’incontro pubblico ha
visto la partecipazione di oltre 120 persone di tutte le età. L’originale
incontro è stato aperto da Edi Bazzaro, vice presidente del Caffè letterario
codroipese. Faceva un certo effetto sentire i racconti su Umago, quando dopo il
1947 la situazione “peggiorava di giorno in giorno e la sparizione improvvisa
di tante persone coinvolgeva tutti. Diversi umaghesi, provetti marinai
fuggirono nelle notti di luna piena, tentando di superare le cinquanta miglia
che li separavano da Venezia. Ad alcuni andò bene, di altri non giunsero più
notizie. Qualche barca fu ritrovata al largo o fu ricondotta dalla marea in
porto: lo scafo forato, crivellato di pallottole. Il mare pietoso restituiva
anche molti cadaveri: le estremità, parzialmente divorate dai pesci, lasciavano
intendere i segni delle corde che li avevano legati”. Questa esclusiva parte di
testimonianza è di Raniero della famiglia di Ireneo (Rino) Latin, da Umago alle
Villotte nel 1958.
È contenuta nell’interessante volume presentato al Caffè
letterario di Codroipo. Scritto da due friulani, Nicoletta Ros e Luigino Vador,
il libro del 2017 si intitola “Senza ritorno. L’esodo istriano-fiumano-dalmata”
delle Edizioni Pontegobbo di Bobbio (PC).
Gli autori hanno raccolto con grande umanità e rispetto le
testimonianze di 17 famiglie, quasi tutte di origine contadina, fuggite
dall’Istria. Hanno dovuto lasciare le proprie case e le terre a causa delle
vessazioni subite da esponenti titini negli anni Cinquanta del Novecento. Hanno
voluto restare liberi e italiani. Ecco il loro obiettivo. L’accoglienza
riservata nel resto dell’Italia non fu sempre delle migliori. Anzi venivano
trattati con sospetto. Venivano accusati di essere fascisti, come hanno
ricordato vari autori, come Simone Cristicchi. Altri italiani dicevano loro:
“Andate via, che siete slavi e ci portate via il lavoro!”
Sicuramente il libro
cerca di scagionare gli esuli, se ce ne fosse bisogno, dalla pesante accusa di
essere usurpatori di terre altrui. Già perché alle Villotte
San Quirino, in provincia di Pordenone, dal 1957 vengono assegnati a 43 di loro
dal governo un podere con qualche animale di allevamento. Altri assegnatari
sono veneti (10) o friulani (3). C’era un contratto ben preciso dietro a tali
assegnazioni, con patto di riscatto trentennale. Erano terre magre che pochi
autoctoni volevano coltivare, per la scarsa resa agraria. Oggi sono
interessanti vigneti e frutteti. Poi tutti loro, gli istriani, uscivano dalle
condizioni inaudite dei Campi profughi, dalle baracche o vecchie caserme
riattate sparse per tutta Italia. Molti di essi sono transitati per il Centro di smistamento profughi di Udine, che ne accolse oltre cento mila dal 1945 al
1960, quando chiuse i battenti.
Questo libro è un poema di dolore, per tutte le sue 228
pagine. Sono stati bravi gli autori. È da leggere pagina per pagina, per capire
fino dove arrivasse la cattiveria e la violenza di chi imponeva la fuga ai
propri conterranei, ai vicini di casa, solo per idee politiche diverse. Oltre a
un breve filmato sulle fattorie così come sono oggi e a un po’ di musica
istriana, gli autori hanno provveduto a leggere alcuni brani del volume, coadiuvati
da Chiara Sartori.
Al microfono Edi Bazzaro, vice presidente del Caffè letterario di Codroipo, Chiara Sartori e Luigino Vador
Prosegue così il racconto di Raniero della famiglia di Ireneo
(Rino) Latin: “Il 16 aprile 1950 fu stabilito il giorno del libero voto nella Zona B. Libero! Era in realtà una beffa:
appena l’elettore aveva votato e girava la schiena, ritiravano la scheda
dall’urna e la controllavano. Noi conoscevamo bene l’intenzione di papà: “La
deporrò bianca” aveva detto il giorno prima delle votazioni. Pagò cara la sua
disobbedienza al regime. Un gruppo di malnati irruppe in casa nostra la sera successiva:
lo presero di peso, lo buttarono giù per i gradini che dalla cucina portavano
al cortile e là lo pestarono a sangue usando pali di legno, divelti dalle sponde
del carro. Rimase accartocciato sulla polvere infine, i polsi rotti, la testa
tumefatta, il corpo martoriato che non dava più segni di vita”.
Oltre alle eliminazioni degli italiani nelle foibe, i titini
usavano anche l’annegamento. Ecco ciò che hanno riferito Rodolfo e Olimpia
Giugovaz da Butturi di Buie, alle Villotte nel 1957, riguardo al cugino sparito,
perché non si assoggettava al potere titino: “Dopo un mese, il nonno scoprì il
suo corpo dondolarsi sulle onde calme. Era tornato a galla: i pesci avevano
strappato i suoi pantaloni riempiti di pietre e legati alle caviglie per
trattenerle, prima di scivolare e lasciarsi annegare, o forse… fu fatto
annegare nel suo mare, davanti alla collina”.
Gli autori una decina d’anni fa pubblicarono una prima
versione di questi scabrosi racconti istriani, per l’Amministrazione comunale
di San Quirino, col titolo “Opzione: Italiani!”. Si legge nel web che: “L’opera
Opzione: Italiani!, tratta l’Esodo
Istriano-Fiumano-Dalmata. Dopo il riconoscimento del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano, raccoglie altri 16 importanti premi in tutta
Italia” (Vedi «Il Ponte» del 3 settembre 2013).
Luigino Vador, scrittore
Lo stesso Luigino Vador ha dichiarato al pubblico del
Ristorante “Il Doge”, dove si tiene il Caffè letterario che “Erano trent’anni
che abitavo lì e non sapevo nulla di loro, degli istriani”. Gli autori hanno
presentato la prima edizione in varie città d’Italia e in diverse scuole, dove
alcuni docenti hanno adottato il volume tra i testi consigliati.
Ha poi parlato Gianni Giugovaz, sindaco di San Quirino, oltre
che discendete di esuli istriani. “Sono storie semplici che ci fanno commuovere
– ha detto in un silenzio da tagliare a fette – io con la mia famiglia ho
passato due anni al Campo profughi di Sistiana e in quello di Opicina, con
baracche per trenta persone, tutte insieme, poi siamo venuti alle Villotte,
zona magra, sassosa e senza irrigazione. Ci vedevano come stranieri a
conquistare le terre e allora dico che è giusto raccontare questi fatti perché
sono poche le persone che sanno. Ci sentiamo due volte italiani, la prima per
nascita e la seconda per scelta, ricordatevelo”.
È intervenuto in seguito pure Eugenio Latin, presidente del
Circolo delle Villotte. “Nella mia famiglia, che viene da Umago, si raccontava
di parenti uccisi nelle foibe, ma non potevano dire queste cose. Gli uomini politici
di allora dicevano che era meglio che non si sapesse”.
Verso la fine degli interventi ha parlato Tiziana Cividini,
assessore alla Cultura del Comune di Codroipo. “Ho apprezzato – ha detto
l’assessore – il modo pacato e sereno di riportare questi fatti che sono verità
sull’esodo istriano e poi ho sentito un grande senso di responsabilità nelle
parole del sindaco di San Quirino quando ha affermato di sentirsi due volte
italiano, per nascita e per scelta. Questi sono passi di storia importantissimi
da trasmettere nelle scuole”.
Poi ha chiesto la parola Bruna Zuccolin, presidente dell’Associazione
Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato provinciale di Udine.
“Questo è proprio un bel libro – ha detto Zuccolin, che ha parenti di Pirano –
vi faccio i miei complimenti e ci piacerebbe come ANVGD trovare dei momenti di
collaborazione con voi, per parlare dell’esodo giuliano dalmata, con queste
testimonianze, così incisive”.
In seguito ha parlato un’altra esule che vive al Dandolo di
Maniago, altra zona per i profughi giuliano dalmati. “Io sono passata dal Campo
profughi di Fossoli e a quello di Tortona, prima di arrivare qui in Friuli”.
Un’altra zona di insediamento di profughi si trova alle Forcate di Roveredo in
Piano, sempre in provincia di Pordenone e, infine, a Fossalon di Grado, in
provincia di Gorizia.
Ha voluto portare il suo messaggio di esule da Pola pure
Sergio Satti, per decenni vice presidente dell’ANVGd di Udine al fianco del
compianto presidente Silvio Cattalini, esule da Zara. “Mi ricordo che a Pola –
ha detto l’ingegnere Satti – noi ragazzi si portava una coccarda tricolore
sulla giacca e i titini i me gà dito: o te la tiri via o te pestemo a sangue;
ecco come era la situazione nel 1947”. Alla fine dell’incontro ha parlato
Graziano Ganzit, assessore alle Attività produttive e politiche comunitarie del Comune di
Codroipo, per accennare al fatto che pure le nuove generazioni croate di oggi
sanno poco o niente dell’esodo giuliano dalmata. “L’ho provato di persona nel
2004 – ha detto – con una interprete giovane che si è dimostrata molto
interessata a ciò che le ho potuto raccontare sul dopoguerra in Istria e
Dalmazia”.
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Il volume di Nicoletta Ros e Luigino Vador si apre col saluto
di Gianni Giugovaz, sindaco di San Quirino. Di seguito troviamo una nota di
Sergio Bolzonello, vicepresidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
Anche Eugenio Latin dedica alcune righe alla pubblicazione nella sua veste di
presidente del Circolo ricreativo delle Villotte San Quirino. Poi ci sono due
pagine per una spiegazione geografica sul luogo di arrivo e su quello di
partenza degli istriani esuli nel Pordenonese. Una breve storia delle Villotte
è tratta dai documenti ufficiali, tipo quelli del Commissariato Regionale per
la Liquidazione degli Usi Civici, con sede a Venezia.
Dopo una poesia di Nicoletta Ros, trova spazio una sentita Prefazione del professor Guido Porro,
che tanto fece alle giovani generazioni di Pordenone per spiegare i fatti
dell’esodo giuliano dalmata. Prima delle testimonianze di diciassette famiglie
di esuli si può leggere una breve Introduzione
degli autori. Nel libro c’è la carta geografica dell’Istria dopo il Trattato di
pace del 1947, con la creazione del Territorio Libero di Trieste, diviso in due
zone. La Zona A sotto controllo
angloamericano, mentre la Zona B
aveva i carri armati slavi. Il libro non ha altre immagini, se non se non
quella classica dell’esodo istriano col carretto e la bandiera tricolore. Il
testo è scorrevole e tutto in lingua italiana. Viene in mente Caterina Percoto,
quando riguardo alle violenze della Restaurazione austro-ungarica delle truppe
croate in Friuli del 1848, scrisse un reportage non molto noto in letteratura col
titolo, se non erro: “Non una parola oltre il vero”.
Molte fotografie messe a disposizione degli autori durante le
ricerche con le famiglie degli esuli sono state utilizzate per creare una originale
mostra fotografica su pannelli, che ha girato in varie parti d’Italia, “perché
bisogna raccontare queste cose e la gente deve sapere”.
Cari armati titini transitano a Fiume nel 1945
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Servizio giornalistico e di fotografia di Elio Varutti. Ricerche
e networking di Gabriele Anelli Monti.
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