È riuscito a sopravvivere al lager perché lavorava in modo coatto per la BMW, vicino a Monaco di Baviera. Ci sapeva fare col tornio, nonostante le sue conoscenze di meccanica fossero dovute solo alla scuola, come ha raccontato. Solo così è riuscito a portare a casa la ghirba. Si sa che a Flossenbürg i tedeschi realizzano uno stabilimento sotterraneo BMW per la produzione di motori per mezzi corazzati, come ha scritto Maria Chiara Laurenti, nel 2007.
Lo scampato al lager è Mario
Candotto, da Ronchi dei Legionari (GO) - foto sopra -, che ha detto di aver “lavorato
per la BMW a Trostberg, un sotto-campo di Dachau e, per tre mesi, dal 20 luglio
1944 in poi, anche a Markisch, in Bassa Lorena, annessa
al Terzo Reich, in francese è: Sainte-Marie-aux-Mine. Ovvero: Santa Maria delle
Miniere. La fabbrica là era in un tunnel ferroviario, per sfuggire ai
bombardamenti angloamericani. Io dipendevo da un ‘meister’ in fabbrica, che non
mi maltrattava, come invece facevano le guardie nel lager con baracche di 500
detenuti, anzi lui mi faceva trovare qualche pezzo di pane. L’ho rivisto nel
dopoguerra e faceva finta di niente, ero assieme ad un altro sopravvissuto di
Pola, che gli ha gridato: Ehi meister, così ci siamo messi a scambiare qualche
parola. Il turno di lavoro in fabbrica era di 12 ore e quello che subentrava al mio posto
era un croato del lavoro volontario, un ustascia, guai se avesse saputo che ero
stato catturato come sospetto partigiano, perché me gaveria copà”.
Mi vuol parare di
Dachau? “Sì, i nazisti in Campo di
concentramento volevano cancellare l’essere umano – ha risposto – eravamo più di 32.000 prigionieri, ma per
loro eravamo solo dei numeri. Negli appelli estenuanti al freddo io dovevo
dire, in tedesco, il n. 69.610. Era tutto un gridare. Nessuna guardia parlava
in modo normale. Il problema più grave era la fame. Poi le botte, il terrore,
le urla e la divisa a righe, che oggi… digo el pigiama. Nel dopoguerra no te
podevi parlar del Campo de concentramento neanche in famiglia. Iera robe che
pochi i credeva, sembrava esagerazioni. Me diseva: Basta parlar de guera ”. Foto sotto: cartolina di Ronchi dei Legionari, viaggiata nel 1935 foto G. Peluchetti, Monfalcone.
Quando è stato
arrestato a Ronchi dei Legionari e da chi? “Era
il 24 maggio del 1944 – ha detto Candotto – all’alba arrivano i camion di tedeschi con i repubblichini per un rastrellamento.
Hanno catturato una settantina persone, compresa la mia famiglia. Dopo si sa
che 32 ronchesi sono morti nei lager. A casa mia sono entrati i repubblichini e
sono andati a cercare in vari posti, compresa la vaschetta del water, dove
avevo nascosto una bustina partigiana con la stella rossa [il copricapo è
detto: la titovka, NdR]. Ci hanno portati
via tutti. Con me c’erano mia mamma Maria Turolo, mie sorelle Ida e Fede, oltre
a mio papà Domenico Candotto, detto Muini [in friulano], o Monego [in bisiaco, idioma di Ronchi
e Monfalcone, NdR], perché era sagrestano
a Porpetto (UD). Ci hanno trasferito al carcere del Coroneo di Trieste. Dopo un
po’ di giorni ci hanno caricato sui carri ferroviari, non sapevamo perché, poi
abbiamo visto il campo di concentramento. I carri con i prigionieri erano
aperti, ma nessuno, per paura, tentava di scappare. Il grande rastrellamento
nazista a Ronchi è stato possibile perché due partigiani avevano fatto la spia:
erano un certo Florean, detto ‘Cicogna’ e il tale Soranzio, detto ‘Crock’,
oppure: ‘Cubo”.
Sono diversi i partigiani
doppiogiochisti, anzi troppi. Gli esperti ne parlano poco, forse perché la
polvere del salotto è meglio lasciarla sotto il tappeto. È stato Mario Tardivo,
presidente dell’ANED di Ronchi a fare i nomi di quelle due spie sulla Cronaca
di Gorizia de «Il Piccolo» del 5 maggio 1999; si tratterebbe di Ferruccio
Soranzio, nome di battaglia ‘Crock’ ed Umberto Florean ‘Cicogna’. Le cifre
degli arresti di Ronchi sono state pubblicate su «Il Piccolo» del 26 maggio
2016. Gli arrestati sono imprigionati dalla “SIPO Triest” (Archivi di Arolsen).
La Scherheitspolizei (SIPO) è la
polizia di sicurezza tedesca di stanza a Trieste. Per i ronchesi ed altri
detenuti il 31 maggio 1944 è il giorno di partenza per i lager nazisti.
Com’è stata la
liberazione a Dachau? “Ci sono arrivato
il 2 giugno 1944 e alla fine pesavo circa 40 chili – ha replicato Mario
Candotto – un prigioniero russo
spilungone pesava solo 28 chili, la mattina del 29 aprile 1945 molte guardie SS
erano scappate con i kapò resisi colpevoli di violenze e assassini di detenuti.
Prima di quella giornata hanno preso 1.500 prigionieri dal nostro sotto-campo
per ammassarli a Dachau, volevano far sparire tutte le tracce della prigionia. Non
ci danno la sveglia alle 4,30 come al solito e c’era trambusto da qualche
giorno, poco dopo abbiamo visto una jeep coi soldati americani vicino al Campo,
era una grande gioia, ci hanno detto di stare calmi, per evitare spargimento di
sangue e vendette varie sulle ultime guardie arresesi agli alleati, così
abbiamo fatto, poi con i documenti in una decina di italiani ci siamo diretti
verso Salisburgo e lì abbiamo trovato un Campo per reduci, dove ci hanno
rifocillato e poi via verso Tarvisio e l’Italia. È a Salisburgo che una mia
sorella sopravvissuta pure lei ad Auschwitz, ha visto il mio nome scritto sul
registro del Campo di reduci, scoprendo che ero ancora vivo”.
Con quale mezzo
viaggiavate? “Son tornà a casa a pie in
più di dieci giorni! – ha detto Candotto – ma mio papà e mia mamma non sono più tornati, mia mamma Maria Turolo
(1890-1945) ha finito di vivere in una Marcia della morte, così mi ha
raccontato una certa Brumat, detta Slavica, mio papà Domenico Candotto
(1886-1944) stava nella baracca dei preti per almeno due mesi, lavorava in
fabbrica ed è morto in una succursale del lager. L’ha sotterrato un altro
detenuto di Monfalcone nel piccolo cimitero del paese, mi disse che aveva un
anello di ferro al dito, prodotto da un chiodo”.
In effetti negli
Archivi di Arolsen (Germania), consultabili in Internet, si è trovato il
certificato di morte del padre di Mario Candotto. Il suo babbo Domenico
Candotto, di Porpetto (UD), risulta deceduto il: “23 novembre 1944 a Dachau
II”.
Come mai da Porpetto la sua famiglia è giunta a Ronchi dei Legionari? “Mio papà era caligher – ha aggiunto Mario Candotto – pensi che nel 1911 aveva fabbricato un paio di scarpine per la principessa Iolanda di Savoia, ma non le sono state recapitate, perché qualcuno aveva introdotto un biglietto contro i regnanti, così sono ritornate indietro con i carabinieri in casa. Eravamo sette fratelli e il primogenito Massimo era un seminarista, ma poi ha cambiato idea, così è stato uno scandalo per tutta la famiglia. Venivamo segnati a dito per il paese; è per tale motivo che mio padre ha cercato lavoro nei cantieri, ci siamo stabiliti a Ronchi e ha dovuto iscriversi al fascio per lavorare. Due mie sorelle si sono sposate. Poi arriva la seconda guerra mondiale, un mio fratello è militare in Jugoslavia e ci raccontava le ingiustizie contro la popolazione che vedeva là”.
Con l’armistizio dell’8
settembre 1943 cosa succede? “In tre
fratelli, Lorenzo, Massimo ed io volevamo andare coi partigiani garibaldini
– ha spiegato il testimone – ma a Vermegliano,
che fa parte del comune di Ronchi dei Legionari, i miei fratelli mi hanno
detto: Tu vai a casa, qui siamo già in due. Allora io son tornato a casa,
mentre loro sono andati a Doberdò del Lago (GO), dove era in corso
l’ammassamento delle reclute partigiane. Loro hanno partecipato alla
costituzione della Brigata proletaria. Dopo un comizio ai cantieri navali del
10 settembre, c’è stato l’invito agli operai ad unirsi ai partigiani titini.
Oltre 1.000 volontari si incamminano verso il punto di raccolta alle Cave di
Selz, frazione di Ronchi, per attaccare poi Gorizia, difesa dai nazifascisti.
La battaglia del 28 novembre 1943 segna l’annientamento della Brigata
proletaria, dove muore anche un mio fratello. Poi io ho fatto il portaordini
dei partigiani”.
Conteme la storia delle
due monete in Campo di concentramento. “Quando
ero prigioniero a Dachau – ha precisato Candotto – mentre si aspettava l’appello in cortile, spostavo la ghiaia con i
piedi e ho visto due monete da cinque marchi l’una, allora le ho ricoperte e, dopo
la guerra, quando sono tornato a Dachau in un viaggio della memoria con l’ANED,
perché sa, io sono iscritto all’ANED di Udine, sono andato a cercare proprio quelle
monete tra la meraviglia e la curiosità dei presenti, ma non le ho mica più trovate”.
Nella primavera del
1947, dopo la firma del trattato di pace (10 febbraio) e il ritorno della
sovranità italiana nell’Isontino (Gorizia, Ronchi e Monfalcone), più di duemila
operai dei Cantieri navali di Monfalcone, uno dei principali del Mediterraneo,
lasciano il lavoro, le case e l’Italia per raggiungere i Cantieri di Fiume e
Pola e altre località ormai annesse alla Jugoslavia, dove sperano di vivere in
una società libera e più giusta. In seguito, la delusione per le condizioni di
vita e la scelta di appoggiare Stalin contro Tito dopo la “scomunica” del
partito comunista jugoslavo in seguito alla Risoluzione del Cominform del 28
giugno 1948, causarono una sconfitta bruciante che ebbe devastanti
ripercussioni sulle vite personali e familiari: dal ritorno a casa alla
detenzione nei gulag di Tito, tra i quali “l’inferno” di Goli Otok, l’Isola
Calva. (vedi: Chiara Fragiacomo, 2017).
Ho saputo che è stato uno dei ‘cantierini’ andati a rinforzare il cosiddetto paradiso socialista di Tito. “Sì, sono partito anch’io come tanti qui di Ronchi e lavoravo in una autorimessa – ha concluso Mario Candotto – ma sono ritornato in Italia quattro mesi prima della Risoluzione del Cominform del 1948, così non mi hanno recluso nel campo di concentramento titino. Che delusione un guerrigliero come Tito, che poi pensa solo al potere, così ho gettato la tessera del partito comunista e mi sono avvicinato al movimento anarchico”.
Fonte orale – Mario Candotto - foto sopra -, Porpetto (UD), 2 giugno 1926, intervista di Elio Varutti del giorno 11 marzo 2022 a Ronchi dei Legionari (GO), in presenza di Paolo Boscarol, Franco Pischiutti e di Zorzin.
Cenni
bibliografici e del web
- Arolsen Archives,
Archiv zu den Opfern und Überlebenden des Nationalsozialismus, Bad Arolsen, Deutschland, personen Candotto
Mario, geburtsdatum 06.02.1926, prisoner 69.610.
- Chiara Fragiacomo, Fuga dall’utopia. la tragedia dei“monfalconesi”. 1947-1949, Novecento.org, n. 8, agosto 2017.
- Maria Chiara Laurenti, L’economia tedesca e il lavoro dei deportati, Pinerolo (TO), aprile 2007.
- Giovanni Melodia, La liberazione di Dachau nelle parole degli americani, Archivio storico dell’Associazione Nazionale Ex Deportati (ANED).
Note
– Progetto e attività di ricerca di: Elio Varutti, docente di Sociologia del ricordo. Esodo giuliano
dalmata all’Università della Terza Età (UTE) di Udine. Networking di
Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Mario Candotto, Paolo Boscarol e il professor
Stefano Meroi. Grazie all’architetto Franco Pischiutti (ANVGD di Udine) per la
collaborazione riservata alla ricerca. Copertina: Mario Candotto. Fotografie di
Elio Varutti.
Ricerche per il blog presso
l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD),
Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua in via Aquileia, 29 – primo piano,
c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da
lunedì a venerdì ore 9,30-12,30.
Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno
Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:
https://anvgdud.it/
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