Gina
Bonetti fu tra gli ultimi abitanti che nel 1944 lasciarono la città di Zara / Zadar,
colpita da 54 incursioni aeree anglo-americane e sotto la pressione dei
miliziani di Tito. Il piroscafo Sansego
che, nel 1944, la portava in fuga era talmente sovraccarico che dovette
lasciare i bagagli a terra, perdendo così per sempre il vestiario, i ricordi e
le fotografie della famiglia.
Zara, cartolina del 1898. Si noti che il fotografo o stampatore, tale "A. Gilardi & Figlio, Zara", reca lo stesso cognome di certe famiglie coinvolte nel presente articolo.
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine
Sono
vicende già note a chi ha letto le Memorie
di Emilia Calestani, che visse lo stesso disperato esodo sulla nave costretta a
viaggiare di notte a luci spente, sotto i raid alleati, in condizioni igieniche
penose e con l’ansia per le minacce del presente e le incertezze del futuro.
Nel caso di Gina (Cittavecchia / Starigrad 1885 – Milano 1966), le angosce venivano anche dalla recente morte, il 17 novembre del 1943, del marito Amato Filippi (Obbrovazzo / Obrovac 1884). Preside del liceo di Zara, direttore dell’Aquila del Dinara su cui scriveva D’Annunzio (i fitti carteggi tra i due sono tuttora conservati dalla famiglia) e vicepresidente della Provincia, era morto di malattia contratta a seguito delle notti passate all’addiaccio, dopo che le bombe avevano distrutto la loro casa.
Nel caso di Gina (Cittavecchia / Starigrad 1885 – Milano 1966), le angosce venivano anche dalla recente morte, il 17 novembre del 1943, del marito Amato Filippi (Obbrovazzo / Obrovac 1884). Preside del liceo di Zara, direttore dell’Aquila del Dinara su cui scriveva D’Annunzio (i fitti carteggi tra i due sono tuttora conservati dalla famiglia) e vicepresidente della Provincia, era morto di malattia contratta a seguito delle notti passate all’addiaccio, dopo che le bombe avevano distrutto la loro casa.
Come ricorda Antonio Cattalini in I bianchi binari del cielo, “i funerali
del prof. Filippi furono un plebiscito di compianto e di devozione ad uno dei
figli più degni ed onorati della città morente”.
Le
vedove dalmate affrontarono l’esodo con grande spirito di intraprendenza, anche
se spesso “ospiti in una patria voluta, ma che non le desiderava”. Come tante
di loro, nonostante il grande dolore, Gina non amava ricordare quegli eventi.
Le nonne parlavano poco di quei fatti, con la motivazione che: “a forza de
sbisigar ne le bronze, xe impiza el fogo”.
Cartolina di Spalato, anni Venti. Ripresa da Internet
Come ho già scritto, è stata la
signora Elvira Dudech, di Zara, a ripetermi varie volte che: «No se gà de
contar cosse brute ai pici». Quindi l’autocensura era motivata dal non far star
male le giovani generazioni, oppure dalla vergogna dell’esodo, o anche dalla
paura di definirsi esuli giuliano dalmati.
Tuttavia molti «cuccioli dell’esodo istriano», secondo una indovinata dizione di Roberto Zacchigna, cioè i discendenti, sono alla ricerca della memoria familiare e del paese d’origine. Ad esempio Bruno Bonetti, che si è dedicato alla ricerca delle proprie radici con una approfondita indagine genealogica sui Bonetti di Zara, occupandosi poi anche del ramo spalatino della famiglia, di sentimenti croati.
Tuttavia molti «cuccioli dell’esodo istriano», secondo una indovinata dizione di Roberto Zacchigna, cioè i discendenti, sono alla ricerca della memoria familiare e del paese d’origine. Ad esempio Bruno Bonetti, che si è dedicato alla ricerca delle proprie radici con una approfondita indagine genealogica sui Bonetti di Zara, occupandosi poi anche del ramo spalatino della famiglia, di sentimenti croati.
Oltre al grande esodo, per i
dalmati ci fu anche il “primo” esodo, 1920-1931
Con
Gina furono esuli anche i figli, tra cui Cesia Filippi (il nome fu un vezzo del
padre latinista, dalla «gens Caesia»,
che significa “celeste”), che sposò Giuseppe Gilardi, discendente della casata
spalatina proprietaria dell’omonimo cementificio “Gilardi & Bettiza”.
Bruno Bonetti, Signo / Sinj 1879 – Trieste 1933
Alla
fine della prima guerra mondiale, tutta la Dalmazia, tranne Zara, era stata
assegnata al Regno serbo croato sloveno. La comunità italiana di Spalato, la
più forte e organizzata della regione, era largamente minoritaria e pari al 15%
circa della popolazione; ma aveva nelle sue mani le principali attività
produttive, industriali e commerciali, della città.
Analogamente con quanto sarebbe successo ad opera del fascismo al di qua del confine, dopo la presa del potere, i croati incominciarono ad accanirsi contro i dalmati italiani. Le vetrine dei loro negozi venivano fracassate e squadre di picchiatori aggredivano chi rivendicava i diritti della minoranza.
Analogamente con quanto sarebbe successo ad opera del fascismo al di qua del confine, dopo la presa del potere, i croati incominciarono ad accanirsi contro i dalmati italiani. Le vetrine dei loro negozi venivano fracassate e squadre di picchiatori aggredivano chi rivendicava i diritti della minoranza.
Gina Bonetti
Fu
così che il cementificio Gilardi & Bettiza di Spalato, la più importante
industria della città, fu ceduto il 25 marzo 1929 alla famiglia croata Ferić.
Quanto ai Gilardi, lo stesso anno dovettero ritirarsi a Zara, che era terra
italiana, ignari che di lì a poco li avrebbe aspettati un nuovo esilio.
Un
destino simile attese la cugina del ramo spalatino Nada Bonetti (San Pietro della Brazza / Supetar 1905 – Roma
1998).
Costei aveva sposato l’ingegnere triestino Giuseppe Pahor, occupato nello stabilimento di carburo di calcio della SUFID di Punta Lunga / Dugi Rat presso Almissa / Omiš. Nel 1929 la proprietà italiana della SUFID (Società per l'usufrutto delle forze idriche della Dalmazia) fu costretta a vendere. I nuovi dirigenti accondiscesero immediatamente alle richieste croate di mortificare l’elemento italiano. Trenta operai con le relative famiglie rinunciarono alla cittadinanza italiana e dal 1931 la cittadinanza iugoslava fu un requisito indispensabile per non essere licenziati. Così si espresse la stampa croata: «Facciamo appello alla coscienza degli industriali affinché allontanino dai lavori gli operai stranieri e occupino i nostri»: gli stranieri erano gli spalatini di cittadinanza italiana. Analoga sorte capitò agli operai del cementificio di Spalato. Nada con il marito Giuseppe dovette quindi riparare in Italia, e finì i suoi giorni a Roma.
Costei aveva sposato l’ingegnere triestino Giuseppe Pahor, occupato nello stabilimento di carburo di calcio della SUFID di Punta Lunga / Dugi Rat presso Almissa / Omiš. Nel 1929 la proprietà italiana della SUFID (Società per l'usufrutto delle forze idriche della Dalmazia) fu costretta a vendere. I nuovi dirigenti accondiscesero immediatamente alle richieste croate di mortificare l’elemento italiano. Trenta operai con le relative famiglie rinunciarono alla cittadinanza italiana e dal 1931 la cittadinanza iugoslava fu un requisito indispensabile per non essere licenziati. Così si espresse la stampa croata: «Facciamo appello alla coscienza degli industriali affinché allontanino dai lavori gli operai stranieri e occupino i nostri»: gli stranieri erano gli spalatini di cittadinanza italiana. Analoga sorte capitò agli operai del cementificio di Spalato. Nada con il marito Giuseppe dovette quindi riparare in Italia, e finì i suoi giorni a Roma.
Zara, Riva nuova. Cartolina da Internet
Fabiani
nel 1911 si era presentato candidato per il Partito italiano nelle elezioni
politiche per la Dieta della Dalmazia. Il Partito croato, appoggiato dalle
autorità austriache, ebbe la meglio, ma Fabiani a Cittavecchia riportò la
maggioranza dei voti. Il «Narodni list»
pubblicò in quell’occasione un articolo, in cui si rimproveravano i croati,
padroni dell’amministrazione comunale, di non essere riusciti ad impedirne
l’affermazione, con il pericolo di perdere in futuro il Comune.
A
seguito del trattato di Rapallo, che assegnò l’isola di Lesina al regno serbo
croato sloveno, nel 1920 la famiglia dovette lasciare tutto e imbarcarsi alla
volta di Zara. Nelle elezioni amministrative del 1923 (le prime dopo la
redenzione), Fabiani venne eletto sindaco. Direttore dell’ospedale civile, fu
affettuoso maestro di un’intera generazione di medici dalmati. Ma, come detto,
durante la seconda guerra mondiale, Evelina e Vincenzo dovettero fuggire una
seconda volta, a Milano.
Il “primo” esodo a Veglia, 1920
Bruno
Bonetti ci ha raccontato anche di sua zia Ottilia (Zara 1918 – Trieste 1989), che
sposò in seconde nozze il veglioto Livio Benevenia.
Alla
fine del primo conflitto mondiale, Veglia / Krk, città a maggioranza italiana, capoluogo
dell’omonima isola, non venne ricompresa all’interno dei nostri confini. Qui, il
nuovo governo serbo croato sloveno rese la vita difficile agli italiani. Il
Comune fu commissariato e venne occupata con la forza la scuola italiana.
Chiunque ricopriva una professione, optando per la cittadinanza italiana, non
vedeva riconosciuti i suoi titoli e fu costretto a emigrare.
Tra gli esuli, il dottor Livio Benevenia (Veglia 1911 – Trieste 1977), futuro ragioniere capo dell’ospedale di Trieste, che dovette lasciare l’isola nel 1920 con il padre, il medico Aldo Benevenia. La gran parte degli italiani, tuttavia, per lo più pescatori, agricoltori ed artigiani, non avendo interessi economici da tutelare, restò, tanto che alla vigilia della seconda guerra mondiale la metà degli abitanti di Veglia era ancora italiana.
Tra gli esuli, il dottor Livio Benevenia (Veglia 1911 – Trieste 1977), futuro ragioniere capo dell’ospedale di Trieste, che dovette lasciare l’isola nel 1920 con il padre, il medico Aldo Benevenia. La gran parte degli italiani, tuttavia, per lo più pescatori, agricoltori ed artigiani, non avendo interessi economici da tutelare, restò, tanto che alla vigilia della seconda guerra mondiale la metà degli abitanti di Veglia era ancora italiana.
Lesina 18 novembre 1918. Accoglienza alle truppe italiane. Cartolina a cura del Circolo Dalmatico Jadera di Trieste nel decennio della sua costituzione 1960-1970.
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine
Chi nel 1920 dovette andarsene per
lavoro…
Infine,
non può essere dimenticato come la fine della comunità italiana della Dalmazia
sia dovuta anche ai trasferimenti dei molti dipendenti della pubblica
amministrazione di Zara dopo il trattato di Rapallo. È il caso di Bruno Bonetti
(Signo / Sinj 1879 – Trieste 1933), fratello di Gina ed Evelina, e nonno dell’omonimo
nostro odierno testimone. Bruno, alla fine della Grande guerra, era dirigente
postale a Zara, città che lasciò per sempre, comandato a Trieste il 16 luglio
1921.
La
nuova amministrazione serbo croato slovena, infatti, cercò il più possibile di
tagliare fuori dalle linee postali e telegrafiche Zara, che fino ad allora era,
oltre che la capitale, il centro delle comunicazioni della Dalmazia. Con
l’annessione all’Italia, la città divenne una piccolissima enclave slegata dal
suo territorio. Dal 1921 al 1922 passò da 17.000 a 11.000 abitanti perché i
numerosi funzionari vennero trasferiti con nuove posizioni in seno
all’amministrazione italiana.
…e chi preferì restare
assimilandosi
Dopo il Trattato di Rapallo, a Spalato quasi tutti gli italiani, per lo più appartenenti alla
borghesia, posti di fronte all’opzione per la cittadinanza prevista dal
trattato, rifiutarono questa scelta, che avrebbe impedito loro l’accesso agli
uffici pubblici, lo svolgimento delle professioni di medico, ingegnere,
avvocato, notaio, e avrebbe ostacolato la loro attività industriale.
Spalato, 1930. Cartolina da Internet
Pietro
Bonetti (Spalato / Split 1888 – Zagabria / Zagreb 1967) merita un cenno
biografico a sé. Calciatore dilettante, giocò nello storico derby dell’11 giugno 1911 tra Hajduk e Calcio Spalato (la
squadra della minoranza italiana), davanti a un pubblico allora eccezionale di
tremila spettatori, e vinta per 9-0. Partita che fu un simbolo della fine della
comunità italiana in Dalmazia. Pietro fu anche uno dei primi presidenti
dell’Hajduk, tra il 1912 e il 1913.
Alla fine della Grande guerra, si schierò politicamente con il partito unionista slavo. Magistrato e consigliere di banovina, nel dicembre 1924 fu nominato regio commissario del Comune di Dernis / Drniš. Si trattava di un incarico difficile, che esercitò con equilibrio, essendo la località teatro di aspri scontri fra serbi e croati, che impedivano di eleggere un’amministrazione. Si guadagnò così la fiducia di entrambe le parti e soprattutto del re.
Alla fine della Grande guerra, si schierò politicamente con il partito unionista slavo. Magistrato e consigliere di banovina, nel dicembre 1924 fu nominato regio commissario del Comune di Dernis / Drniš. Si trattava di un incarico difficile, che esercitò con equilibrio, essendo la località teatro di aspri scontri fra serbi e croati, che impedivano di eleggere un’amministrazione. Si guadagnò così la fiducia di entrambe le parti e soprattutto del re.
Pietro Bonetti
Sebbene tenesse contatti con la resistenza
jugoslava, mantenne importanti funzioni amministrative durante l’occupazione
italiana di Spalato, diventando dall’aprile 1941 al settembre 1943 il braccio
destro dell’amico viceprefetto Oscar Benussi (poi prefetto
della Repubblica sociale a Treviso e, sotto il governo De Gasperi, di Cremona e di Firenze, per concludere la
carriera come consigliere di Stato).
Pietro Bonetti, altrettanto abile e capace, continuò
a fare carriera a Zagabria, che concluse
(mai iscritto al partito) come
capo ufficio legale
del governo croato
jugoslavo comunista.
Fonti
orali e ringraziamenti
Si precisa che è
stato indicato il bilinguismo (italiano / croato) nei toponimi, per comodità di
lettura e di individuazione delle località sugli atlanti e sulle carte
geografiche. Si ringraziano e si ricordano le seguenti persone, intervistate a
Udine, con taccuino, penna e macchina fotografica, a cura di Elio Varutti, se
non altrimenti specificato:
Bruno Bonetti (Gorizia
1968), intervista del 18 dicembre 2016.
Elvira Dudech
(Zara 1930 – Udine 2008), intervista del 28 gennaio 2004.
Elvira Dudech, al centro, in passeggiata con amiche nel corso di Laterina (Arezzo), sede di un Centro Raccolta Profughi, 1949. Fotografia per gentile concessione di Claudio Ausilio
Archivi
parrocchiali e comunali
Sono stati
consultati da Bruno Bonetti per le sue ricerche genealogiche i seguenti
archivi:
- Archivio
arcivescovile di Zara
- Archivio di
Stato di Zara
- Archivio di
Stato di Spalato
- Collezione
famiglia Bonetti, Udine
- Collezione professor Giuseppe Bugatto (1924 - 2014), esule da Zara a Udine
- Collezione professor Giuseppe Bugatto (1924 - 2014), esule da Zara a Udine
- Collezione famiglia
Gilardi, Venezia
- Collezione Antonie Aloisia Mosettig, Abbazia, ora in collezione privata, Udine
- Collezione Antonie Aloisia Mosettig, Abbazia, ora in collezione privata, Udine
Zara con architetture in stile razionalista, 1925-1935.
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine
Collezione Giuseppe Bugatto, esule da Zara a Udine
Bibliografia
- Bruno Bonetti, I Bonetti di Dalmazia negli ultimi duecento
anni, Udine, 2013, videoscritto in formato PDF, con immagini in b/n e a
colori.
- Emilia Calestani, Memorie.
Zara, 1937-1944, Udine, Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia,
2013.
- Antonio Cattalini, I
bianchi binari del cielo, Trieste, L’Arena di Pola, 1990.
- Michele
Zacchigna, Piccolo elogio della non appartenenza. Una storia istriana, Trieste, Nonostante Edizioni, con una postfazione
di Paolo Cammarosano, 2013.
- Luciano Monzali, Italiani
di Dalmazia, Firenze, Le Lettere, 2007.
- Marzio Scaglioni,
La presenza italiana in Dalmazia,
1866-1943, Università di Milano, Facoltà di scienze politiche, a.a.
1995-96. Tesi di laurea, relatore prof. Edoardo Bressan, correlatore prof.
Maurizio Antonioli.
Abbazia, passeggiata lungo mare, 1913, cartolina viaggiata. Collezione Antonie Aloisia Mosettig, Abbazia, ora in collezione privata, Udine
Sitologia
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